11.
De Vincenzi trovò Cristiana e le due donne sedute nel salone. Prospero O’Lary passeggiava dinanzi a esse. L’ometto era più del solito, acceso in volto e il cranio gli brillava. Tutta la sua vernice traslucida da soprammobile di lusso se ne era andata ed egli adesso, nonostante l’impeccabile redingote e gli occhiali che continuavano a scivolargli dal naso, appariva stranamente diverso da quel che fino allora era apparso. Si sarebbe detto che, toltosi di dosso il lustro, scoprisse ora il legno della sua natura alquanto volgare.
“Non si può chiudere gli occhi di fronte all’evidenza!” diceva, mentre continuava in quel suo deambulare disordinato. “Bisogna affrontarla! Non è il momento di nascondere a sé e agli altri gli errori commessi, quando si sta sotto la minaccia di un’accusa terribile.” Si fermò davanti a Cristiana e sollevò le mani verso di lei con un gesto di drammatica implorazione. “Voi siete andata da Russel Sage e gli avete parlato. Subito dopo egli, è venuto qui... e qualcuno lo ha ucciso. Chi può credere che non siate stata voi ad attirarlo in casa vostra per ucciderlo?... Io naturalmente non lo credo; ma gli altri?,.. Perché non dite che Valerio, vi ricattava?... Neppure a uccidere lui siete stata voi, d’accordo! Ma intanto quello sciagurato lascia dietro di sé tanto da compromettervi... Ed Evelina? Tutto verrà fuori, vi dico! Tutto!...”
La sua voce era bassa e soffiata; ma perveniva perfettamente intelligibile a De Vincenzi, che s’era fermato sulla soglia. Marta e madama Firmino lo ascoltavano. I loro sguardi pieni di uno stupore senza limiti andavano da lui a Cristiana, che per quanto pallidissima lo contemplava con un leggero sorriso sarcastico sul volto contratto, quel suo volto più che mai ora enigmatico. I passi pesanti di un agente che dal vestibolo veniva nel corridoio fecero voltare Prospero. Vide De Vincenzi e ammutolì di colpo. Si morse le labbra e fece un gesto di rabbia. Cristiana sorrideva sempre. Aveva veduto anche lei De Vincenzi e disse con voce perfettamente calma:
“Adesso che avete udito la requisitoria di O’Lary, commissario, non vi resta che mettermi le manette!”
Prospero scattò di nuovo:
“Damn! Non ascoltatela, commissario! Io so che è innocente! Ma ho voluto scuoterla, perché si rendesse conto della realtà...”
“Naturale!” assentì De Vincenzi e si volse all’agente. “Che c’è?”
“Una signora chiede di parlare a Cristiana O’Brian... L’hanno fermata al portone; ma lei insiste. Dice di chiamarsi Anna Bolton... Quando ha veduto entrare la barella dell’Obitorio, ha cominciato a gridare e abbiamo dovuto sudare due camicie per impedirle di seguirla...”
“Fatela salire...”
L’uomo scomparve di corsa. L’annunzio della presenza di Anna aveva avuto il dono di far scuotere dal suo torpore Cristiana. La donna si era alzata e adesso attendeva con gli occhi fissi alla porta, pili che mai pallida, tesa e vibrante. Anna Sage giunse, preceduta dall’agente, che a un cenno di De Vincenzi si ritirò. La sorella di Edward Moran indossava sempre l’abito nero e portava il piccolo cappello col velo. Il suo volto naturalmente bianco era più che mai impressionante. Si dominava adesso, ma le sue pupille verdi mandavano lampi d’un bagliore minaccioso. De Vincenzi le andò incontro, tentando di fermarla nel corridoio; ma la donna procedeva rapida - con quel suo passo tanto leggero, da farla credere dotata di magiche virtù di levitazione - e s’incontrò con lui in vista della porta aperta e del salone. Era appunto questo che De Vincenzi non voleva e manovrò in modo da frapporsi fra lei e la porta. Se aveva fatto salire la donna, perché sperava trarre da lei - mossa dall’impeto della collera e del dolore - qualche informazione utile e decisiva, non desiderava che l’urto inevitabile con Cristiana O’Brian si facesse troppo grave. Anna fissò prima De Vincenzi, poi, al disopra della sua spalla, le persone che erano nella sala.
“Mio fratello è venuto qui,” disse con voce rauca, ferma e incisiva. "Lo hanno ucciso, vero?”
De Vincenzi non si aspettava un attacco così diretto ed ebbe un’esitazione.
“È inutile mentirmi. Anche se non avessi veduto la barella, ne avrei avuto la sicurezza. Quando è uscito dall’albergo, mi ha detto: Vado da Ileana, se tra mezz’ora non sarò di ritorno, avverti il detective che ho chiamato e che deve venir qui tra poco...”
Fece una pausa e fissò De Vincenzi.
“Chi siete voi?”
“Appunto il commissario di polizia che vostro fratello aveva invitato a recarsi da lui...”
“Ecco!” fece Anna a modo di conclusione. E tacque. Il suo pallore era aumentato, se possibile, sino a farla apparire spettrale. A De Vincenzi sembrò che vacillasse e fece per accostarlesi. Ma lei lo respinse con un gesto. “Vi hanno detto che ho gridato alla vista della barella? Ho gridato, infatti; ma soltanto perché mi si voleva impedire di salire. Il mio posto è qui. Accanto a lui.” Scosse il capo con forza: “Per vendicarlo. Non vedrete una lacrima nei miei occhi, fin quando non lo avrò vendicato. Come lo hanno ucciso?”
“Gli hanno sparato alle spalle. È morto di colpo, senza soffrire.”
“Sapete chi lo ha ucciso?”
“No... Non ancora...”
“Io lo so!...”.
Con un gesto deciso passò dinanzi a De Vincenzi e raggiunse la soglia del salone. Fissò una dopo l’altra le tre donne e sollevò il braccio in direzione di Cristiana. “È stata lei! Sua moglie.”
Cristiana sussultò quasi colpita materialmente da quelle parole, che avevano suonato gelidamente mortali. Era visibilmente in preda al terrore. Gridò con voce rotta: “Non è vero!”
“È stata lei!” ripetè Anna Sage, lanciandole un altro sguardo carico d’odio, e tornò a rivolgersi a De Vincenzi. “Volete le prove, voi? Ve le darò. Sapete che era sua moglie, vero? Si, forse questo lo sapete; ma quel che ignorate sono le ragioni per le quali è fuggita dall’America. Neppure mio fratello ve le ha rivelate, quando siete stato da lui oggi, perché mio fratello, lo crediate o no, era un sentimentale e amava quella donna...” S’interruppe. Si sollevò il velo dalla fronte, respirò con più forza, come se si sentisse mancar l’aria. Con voce diversa, in cui vibrava un’infantile nota di pianto, mormorò: “Morto!... Me l’ha ucciso!... Io non volevo che la rivedesse!...” Fu un attimo. Subito si raddrizzò e riapparve fredda e decisa. “Mio fratello fu arrestato a Miami, in un albergo, dove si trovava con costei... Nessuno conosceva la sua vera identità... nessuno sospettava che Russel Sage fosse Edward Moran, eppure un giorno gli agenti federali entrarono nell’albergo e lo presero. A denunziarlo, a tradirlo, era stata costei!”
“Non è vero!...”
Il grido di Cristiana aveva vibrato irrompente, così disperato e lacerante che Marta e Dolores ne fremettero.
“È vero. Lei sola poteva farlo e lei lo ha fatto. A parte che non aveva mai amato mio fratello, a lei premeva liberarsene, per potersi impadronire dei titoli e del denaro di Edward nascosti in un luogo che suo marito le aveva rivelato... Appena Moran fu condannato, quella donna scomparve... E quando Edward use! di prigione... il denaro e i titoli non c’erano più... Questa è la verità! **
Adesso, Cristiana, appoggiata alla parete, fissava la cognata. Sembrava aver rinunciato alla lotta e alla difesa. Il suo sguardo allucinato aveva bagliori di disperazione impotente.
“Edward volle cercarla e, dopo essersela fatta sfuggire a Parigi, l’ha raggiunta qui. Non era per il denaro che voleva ritrovarla; lui le avrebbe perdonato tutto, pur di riaverla con sé. Ve l’ho detto, ne era innamorato e credeva di non poter vivere senza di lei. Ma lei ha avuto paura. Ha veduto in lui il giustiziere. E, appena ha potuto, lo ha ucciso...”
Un silenzio segui. Anna Sage rimaneva diritta, immobile. I suoi occhi, adesso, non si distoglievano dal volto di De Vincenzi. Era da lui che attendeva la vendetta. E De Vincenzi faceva lavorare il proprio cervello. Gli avvenimenti si erano messi finalmente sul piano da lui voluto. Era lo scioglimento... Tutto stava a non commettere il più piccolo errore, a non dire una sola parola di più o di meno del necessario. Dipendeva da lui soltanto che il nodo si sciogliesse, che la verità balzasse naturale, logica, indiscutibilmente accusatrice. C’era stato un altro cadavere; ma lui non avrebbe potuto umanamente evitare che ci fosse. Adesso, sapeva che la sua presunzione di poter intervenire a tempo era illusoria e che, se fosse intervenuto nell’unico modo che gli era possibile, arrestando il presunto assassino vale a dire, sarebbe stato obbligato a rilasciarlo e a fargli le sue scuse... Soltanto l’assassinio di Edward Moran spiegava tutto e poteva dargli, con la spiegazione, il mezzo di avere le prove per accusare.
“Mi avete udita? Io accuso quella donna di essere l’assassina di mio fratello!...”
“Vi ho udita, signora.”
Si volse a fissare Cristiana. Con un movimento istintivo, Marta e- madama Firmino si allontanarono da colei che era la padrona della Casa di Mode O’Brian, e quindi la loro. Cristiana rimase sola, contro la parete, immobile; i suoi occhi sbarrati non si distoglievano da Anna Sage. De Vincenzi fece un passo verso di lei. Allora Cristiana lo guardò, come se lo vedesse in quel momento per la prima volta.
“Mi arrestate?” chiese e nella sua voce non vibrava la più piccola traccia di collera o di paura.
De Vincenzi avanzò ancora, prese una poltrona e la spinse verso la donna.
“Sedete, vi prego. Fra mezz’ora, al massimo, vi dirò se vi arresto.”
Cristiana sedette.