10.
Depose l’orchidea in un bicchiere che aveva riempito d’acqua al rubinetto del lavabo e, aperta la porta di comunicazione, entrò nel “museo degli orrori.” Era un trucco il suo. Non faceva altro che preparare una trappola. Forse, il colpevole ci sarebbe caduto e forse no. A ogni modo erano così poche le carte che poteva giocare per tentare di confonderlo e spingerlo a tradirsi, ch’egli non, aveva troppa scelta. Il suo gioco non era leale? Ma nemmeno quello dell’assassino lo era. Egli non aveva mai incontrato un colpevole che avesse voluto e saputo accumulare tanti e così terribili indizi contro un innocente per perderlo! E, quindi, per salvare se stesso. Una simile viltà lo indignava. No, egli non aveva alcuno scrupolo di tendere un tranello a colui che da quarantott’ore non faceva altro che tendere tranelli e fabbricare false apparenze... Col bicchiere e i fiori in mano, si diresse fra i manichini. Trovò facilmente il luogo dove il manichino rovesciato rivelava la lotta. Depose il bicchiere in terra e si allontanò per la porta del corridoio. Soltanto pochi istanti era rimasto in quella camera. Anche perché, appena entrato, si era sentito riprendere dallo strano malessere che tutti quei tronchi decapitati gli avevano prodotto fin dal primo momento che li aveva veduti. Dal sommo della scala, chiamò Sani. Il vice-commissario sali e il dottore era con lui.
“Ho finito, commissario. C’è poco da fare, sapete? Il proiettile gli è entrato nel cranio, penetrandogli dalla nuca. Con tutta probabilità, ha leso il midollo spinale. La morte deve essere stata istantanea. Vedete, commissario...”
De Vincenzi lo interruppe con un gesto brusco. Non era il momento per lui di ascoltare le disquisizioni di quel buonomo.
“Gli hai vuotato le tasche?” chiese a Sani.
“SI, niente d’interessante. Un portafogli bene imbottito e un passaporto al nome di John Bolton di Chicago... Ma l’interessante viene adesso... Guarda!”
E Sani apri il pugno della mano destra e sulla palma mostrò un fiore: un’orchidea!
De Vincenzi sussultò.
“Dove l'hai trovata?”
“L’aveva il morto all’occhiello!”
Assurdo... Edward Moran si era messo un’orchidea all’occhiello... Eppure nella sua camera non c’erano orchidee. Doveva averne acquistata una di proposito. Ma perché? De Vincenzi prese il fiore, che era ormai pesto e schiacciato, e se lo mise in tasca.
“Bene,” disse. “Adesso, entra in quella camera...” gli indicò la stanza di Cristiana, “e fruga dovunque... Non importa se metti in disordine...”
“Che cosa vuoi trovare?”
“Non lo so. Nulla di preciso. Ti dico di farlo, ma non ho la più piccola speranza che tu scopra qualcosa d’interessante.” Si volse al medico. “Spero proprio che con questo terzo cadavere voi abbiate finito il vostro lavoro qui dentro, dottore...”
Il dottore non sembrava soverchiamente preoccupato da quel suo lavoro. Scosse la testa.
“Oh! per me...” disse. “Piuttosto, commissario, avete letto il mio rapporto sul primo cadavere, quello del giovanotto?”
“Non l’ho avuto ancora. Strangolamento, no?”
“Precisamente. Ma quanto vi dissi dopo il primo esame era esatto. Una leggera pressione è stata sufficiente a ucciderlo. L’individuo era tarato... Cocaina, morfina e alcole... Chi l’ha ucciso, stringendolo alla gola, deve esserselo trovato morto fra le mani, senza neppure saperlo... Capite?”
Era perfettamente chiaro. E interessante, molto interessante. Fu con gratitudine nuova, che lo accompagnò alla scala:
“Grazie, dottore. Mi siete stato molto utile! Più di quanto voi stesso non possiate supporre...”
Gli strinse la mano e tornò nella camera di Cristiana. Sani aveva vuotato i tiretti del cassettone e stava per attaccare l’armadio.
“Aspetta... Qui dentro guardo io. Tu occupati del resto...”
Adesso, il disordine prodotto da colui che si era nascosto nell’armadio era scomparso. I vestiti erano tutti al loro posto e gli attaccapanni si allineavano a eguale distanza. Nulla di strano, dal momento che Cristiana doveva averci messo le mani. Si apri un varco fra le vesti ed esaminò attentamente il fondo dell’armadio. Nulla: ed era da escludere che ci fosse qualche passaggio o qualche nascondiglio. La mensola in alto era vuota. Fece scorrere le stampelle e macchinalmente si mise a osservare i vestiti, toccando le sete e i drappi. A un tratto vide che uno di quegli abiti - una veste di seta a fiorami, soffice e leggera - aveva un lungo strappo al collo. La tolse dal? attaccapanni e l’osservò. La laceratura andava dal collo alla spalla...
Lui non aveva sperato di trovare un indizio chiarificatore di quella fatta! E il dottore gli aveva detto che Valerio era profondamente tarato... Stava meditando in silenzio su quel capo di vestiario rivelatore, quando un’esclamazione violenta di Sani lo fece voltare.
“Guarda qui!...”
Il vice-commissario si sollevava dal caminetto, tenendo una scatola di lacca rossa fra le mani.
“Era lì... nascosta sotto i legni...”.
De Vincenzi sorrise. Adesso, l’insperato esagerava.
Prese la scatola e la depose sopra il tavolo. Era chiusa a chiave.
“Hai un temperino?... È inutile... dammi quel calzatore... basterà...”
Col calzatore d’argento fece saltare il coperchio del bauletto, che era di legno assai fragile. Nell’interno, tra il velluto rosso delle pareti vide un piccolo pacco di lettere. Erano d’ogni forma e grandezza. Le fece scorrere e constatò ch’erano tutte dirette a Cristiana O’Brian. Ne aprì una e non ebbe bisogno di leggere le altre: non gli apprendevano nulla di più di quanto gli aveva appreso il colloquio avuto col commendatore N... Richiuse la scatola e la lasciò sul tavolo.
“Se avessi saputo quel che conteneva, non ne avrei rotto il coperchio... È stato un vero vandalismo il mio...”
Sani lo guardava.
“Lettere d’amore?”
“Chiamalo amore, se vuoi... Hai finito, eh?... Andiamo da basso e vediamo se ci riesce di concludere...”
“Conosci l’assassino?”
“Forse... ma conoscerlo non serve a nulla! Se non mi riesce di farlo tradire, mi sfuggirà dalle mani come un’anguilla.” Quando scesero per la scala, il cadavere era sul pianerottolo piantonato da due agenti. “Gli uomini dell’Obitorio non sono ancora venuti?” chiese Sani.
“Non ancora, dottore.”
Bolton giaceva adesso supino e il volto rotondo aveva quella sua placida apparenza sorridente e accattivante. Sembrava che dormisse. Certo il proiettile lo aveva fulminato prima che potesse rendersi conto d’esser stato colpito. De Vincenzi s’era fermato a contemplarlo. Molte cose gli rivelava quella placidezza. Bolton saliva la scala, non dubitando affatto d’esser stato attirato in un’imboscata... Egli doveva recarsi a un colloquio che si riprometteva pieno di promesse... E aveva telefonato a lui per pregarlo dì raggiungerlo subito... e nella sua voce, mentre gli parlava al telefono, vibrava un’ansia contenuta, quasi un fremito di paura... La telefonata di Bolton era avvenuta alle tre, quando Cristiana - se era vero quanto- gli aveva affermato - aveva già lasciato l’Albergo Palazzo... E dopo neppure un’ora, l’uomo saliva le scale di Corso del Littorio e si faceva uccidere da un colpo di rivoltella alle spalle... Che cosa era accaduto in quel breve spazio di tempo che lo aveva indotto a uscire dall’albergo, senza aspettarlo, e ad andare a gettarsi nella gola del lupo?... Si scosse e si volse a Sani.
“Fa’ una breve corsa per me, vuoi? Si tratta di arrivare qui vicino; ma devi far presto. Io attenderò te, per cominciare.”
Scendendo la scala, gli disse di che si trattava. Il volto di Sani si era illuminato.
“Tu sai, allora?”
“Ma no, mio caro! Io non so nulla di concreto... E quel che so è così arbitrario che, se non corrisponde a verità, è proprio questa la volta in cui mi gioco il posto!”