12.
Era la cameriera di Cristiana. Il volto incipriato, il corpo snello e pur muscoloso nell’abito corto di rigatino azzurro, sotto la cuffia di merletto la zazzeretta bionda. Teneva le mani nelle tasche del grembiulino bianco e non sembrava per nulla turbata.
“Siete la cameriera della signora O’Brian?”
“Verna Campbell...”
Una voce dura, tutta di testa. Aveva lanciato il nome come una sfida e fissava sfrontatamente De Vincenzi.
“La signora vi ha condotta con sé dall’America?”
“Si.”
E due: l’altro era Prospero O’Lary.
“Vattene nel corridoio...”
L’agente raggiunse il compagno che ormai aveva contemplato quattro erme e stava ammirando la quinta.
“Sedete, signorina Campbell...”
La ragazza diede appena un’occhiata attorno a sé, prima di sedere. Aveva evitato di guardare il letto e De Vincenzi ebbe la sicurezza che conosceva o intuiva la presenza del cadavere. Assunse un’aria di cordiale bonomia.
“Faticoso il servizio con la signora O’Brian, signorina Campbell?”
“Se il far niente è una fatica, il mio servizio è certo il più faticoso...”
De Vincenzi, seguendo il suo metodo di adoperare quando gli era possibile la lingua delle persone alle quali voleva ispirare confidenza, le aveva parlato in inglese e la Campbell aveva detto far niente in italiano. Ma il tono della sua voce rimaneva corrucciato, quasi indolente, tutto inflessioni ascendenti.
“Per questo l’avete seguita dall’America in Italia?”
“L’ho seguita perché ho bisogno di guadagnare.”
“Eravate la sua cameriera anche laggiù?”
“No. La signora Sage mi ha presa a Miami, togliendomi dall’albergo dove facevo la stagione... Poiché mi offri uno stipendio doppio, accettai di seguirla in Europa.”
“Sage?”
“Era il nome della signora o per lo meno quello di suo marito.”
“Morto?”
“Non credo.”
Un fugace sorriso ironico. E gli occhi della ragazza si fecero beffardi. Sage? De Vincenzi ebbe l’impressione di aver udito altre volte quel nome. Più che udito, letto. Ecco, egli doveva averlo letto in un libro o in qualche giornale.
“Divorzio?”
“Se volete.”
“Che cosa faceva il signor Sage?”
“Svaligiava banche. Godeva di una vera celebrità in questo mestiere. Soltanto, nessuno lo conobbe col suo vero nome, quello di Sage, se non quando comparve davanti alla Corte di Rutland... Fino allora egli si era contentato di diventar celebre col nome di Moran...” Edward Moran, il compagno di Mitragliatrice Kelly, di Baby Face Nelson, di John Dillinger... Il gangster fantasma... Colui che aveva fatto il colpo di un milione di dollari alla banca di Lincoln... Ma sicuro. Adesso De Vincenzi ricordava perfettamente. E non perché avesse l’abitudine di seguire le cronache criminali d’America, ma perché gli era capitato fra le mani un libro assai interessante, Persons in Hiding, scritto dal Capo dei G-Men, Edgard Hoover. Fece un gesto di indifferenza.
“Nulla di più naturale che la moglie di un tal bandito abbia voluto divorziare e abbia ripreso il proprio nome...”
"Chi vi ha detto il contrario? E se voi siete sicuro che O’Brian è il suo nome...”
Stringeva le labbra con dispetto. Non amava la sua padrona, Verna Campbell.
“Dunque, veniste direttamente in Italia?”
“Sì. Sbarcammo a Napoli... Ma da Napoli, dopo pochi giorni, filammo a Parigi... e da Parigi a Londra... Due mesi di Londra e poi di nuovo a Parigi... Credevamo di essere giunti alla meta stabile, finalmente, ché stavamo già da tre mesi nella capitale francese, quando improvvisamente la signora ci fece partire in aeroplano per Venezia... È soltanto da due anni che siamo a Milano...”
“Naturale anche questo. La signora O’Brian cercava il luogo più adatto per fondare una Casa di Mode... Non vi sembra?”
Il sorriso di De Vincenzi era di una ingenuità da collegiale. Aveva scoperto il punto debole della donna e cercava di pungerla, per farla parlare. Il gioco gli riuscì.
“Oh! precisamente. Era appunto una Casa di Mode che lei sognava di creare!... Una Casa di Mode con molti ricchi clienti uomini a cui rendere servigi...”
“Clienti uomini?... Siete sicura di non sbagliarvi, signorina Campbell?... In basso, le sale sono piene di signore...”
Lo guardò con commiserazione. Un poliziotto così ineffabilmente ottuso non lo aveva mai conosciuto, neppure in sogno.
“Infatti, posso sbagliare.”
Il tono, condiscendente diceva: a che scopo guastar la digestione di un uomo capace di tanta buona fede? Ma aveva volto il capo verso il telefono, che si trovava sopra un piccolo tavolo accanto al letto, e De Vincenzi seguì il suo sguardo. Cera l’apparecchio telefonico, su quel tavolo, e c’era una piccola agenda rilegata in pelle verde.
“Volete dare un’occhiata qui sotto, signorina Campbell?”
Si alzò e si diresse al letto. La ragazza lo guardò fare con indifferenza. Egli sollevò il lembo ripiegato della coltre e scoprì il cadavere. Verna Campbell si fece livida. Ma non lo spavento o il turbamento operavano in lei. Piuttosto una collera sorda e ruggente, un odio infiammato.
“Lo conoscete?”
“Non lo conosco più. Starà finalmente all’inferno, adesso!
De Vincenzi ricoprì la salma. Era un sentimentale, in fondo, e aveva istintivo il rispetto dei morti, per canaglie che fossero stati da vivi. Le parole così gelidamente spietate della ragazza lo avevano ferito.
“Dove vi trovavate oggi fra le due e le quattro, signorina Campbell?” chiese con voce dura.
“Nella mia camera.”
“E la vostra camera dove si trova?”
“Prima del laboratorio, al secondo piano.”
“Vicino alla scala di servizio?”
“Come fate a saperlo?”
“Non lo so, ve lo chiedo.”
“Precisamente. Ma se pensate che possa essere stata io ad uccidere quel... quell’uomo, prendete un grosso granchio. Da tempo evitava di farsi vedere da me, lui.”
“Riparleremo di questo, signorina...”
L’accompagnò alla porta. Verna Campbell si allontanò rapidamente e sparì per la scala di servizio. De Vincenzi sospirò. Si sentiva di pessimo umore. L’atmosfera gli si faceva attorno sempre più pesante, carica di elettricità, percossa da brividi premonitori. Lui si conosceva un tale stato d’animo e ne aveva terrore. Era sempre foriero di catastrofi, quasi il presentimento avesse una reale forza operante. Ritornò accanto al letto e fissò il piccolo libriccino verde. Aveva quasi paura a toccarlo. Vincendo la repugnanza, lo prese e lo sfogliò. Era una rubrica. Le pagine, divise secondo l’alfabeto, non contenevano che pochi nomi e numeri. Lesse qualcuno di quei nomi, richiuse il libriccino e se lo mise in tasca. Gli appariva più che mai importante e urgente, adesso, di avere un colloquio con la grassa Evelina. Un colloquio tranquillo, da solo a sola, senza interruzioni e soprattutto senza attacchi cardiaci... Nel corridoio, ordinò ai due agenti: “Non vi muovete di qui. Nessuno deve entrare in quella camera, tranne il giudice istruttore.”