4.
Cristiana rinvenne da sola. La coscienza le tornò assieme a un sordo dolore al fianco sinistro, proprio sull’anca. Era certamente caduta su quel fianco e il tappeto, per quanto alto e soffice, non aveva attutito il colpo. Le sembrò di arrivare da lontano... Una nebbia fitta nel cervello, - senza sprazzi di luce. Si avvide di essere distesa in terra quando provò a sollevarsi sul gomito per liberarsi dal dolore. E a tutta prima quella constatazione non le procurò che sorpresa. La memoria le tornò improvvisa, folgorante, con la vista del letto e dell’uomo morto che vi giaceva. Allora, balzò in piedi. Ricordò- chiaramente e minutamente tutti gli avvenimenti - così inaspettati, così sconvolgenti fino alla scoperta sul suo letto di quel cadavere che per lei era addirittura terrorizzante - e, per uno strano fenomeno, quasi che con lo svenimento ella avesse raggiunto il fondo dell’abbandono fisico e morale e che adesso risalisse alla superficie di se stessa, ritrovò con gli spiriti la freddezza e l’energia abituali.
Si sentì circondata da pericoli e da insidie e una tale coscienza risvegliò le sue capacità di difesa e di lotta. Nel salone aveva veduto Anna Sage... Quella vista l’aveva dapprima atterrita, poi indotta a fuggire dalla sala, a rifugiarsi nella sua stanza. Proposito infantile, quella fuga, dacché con ogni evidenza Anna era venuta unicamente per farsi vedere da lei e per vedere. E nella sua stanza, sul suo letto, aveva trovato il cadavere di Valerio... Valerio non era nulla per lei... Soltanto un servo fedele... che lei aveva incontrato a Napoli, al suo sbarco dall’America, e che aveva condotto con sé a Milano, quando era appena un ragazzo... Adesso, il ragazzo aveva vent’anni... Ma era rimasto per lei l’automa sicuro, lo schiavo di cui si serviva per tutto quanto le occorreva di segreto... I suoi segreti... Di nuovo, come le era accaduto prima di vedere il cadavere e di svenire, le labbra le si strinsero in una smorfia di disgusto... un sapore amaro le sali alla bocca... I suoi segreti... Occorreva pur vivere, no? E a lei avevano avvelenato la vita proprio quand’essa cominciava... Guardò il morto. Schiavo fedele? Un sorriso tragicamente crudele le increspò le labbra. Perché, in qual modo lo avevano portato sul suo letto?
Rivide il volto di Anna Sage... e accanto a quello un altro volto... ma come dietro un’evanescente nube di nebbia... coi lineamenti confusi, sfocati... Un volto di uomo, questo... di un uomo, che lei aveva amato e che, pur avendole avvelenata la vita alle radici, sicuramente dal canto suo l’amava ancora... Era tornato per riafferrarla, per tenerla, per non lasciarla più fino alla morte? Ebbe un brivido. La morte era già entrata nella sua casa, le stava accanto. Perché sul suo letto? Pensò che tra poco anche la polizia si sarebbe fatta l’identica domanda... Il giudice... l’inchiesta... E lei era fuggita dall’America perché non voleva trovarsi alle prese con la polizia!... Sì, tra poco qualcun altro si sarebbe chiesto: perché il cadavere si trova su quel letto? E avrebbe interrogato, frugato, cercato... soprattutto cercato... Occorreva far presto... Andò all’armadio, lo aprì. Era un armadio a muro, assai profondo. Si volse a guardare la porta rimasta aperta... Se fosse entrato qualcuno... Ebbene, bisognava arrischiare; inutile perder tempo Col chiudere quella porta... E poi c’era un cadavere nella sua camera, non poteva chiudersi dentro con quel cadavere... Scostò i vestiti appesi, entrò lei stessa nell’armadio e alzò le braccia, tese le mani e le ritrasse con una scatola di lacca rossa, una preziosa scatola fatta a bauletto, che si trovava sopra una tavola sporgente un palmo dal muro. Certo il nascondiglio era buono, normalmente; ma lei sapeva per esperienza che la polizia cerca sempre dentro gli armadi... A Cleveland avevano fatto proprio questo, senza trovar nulla del resto, che Russel era troppo furbo per nascondere in casa titoli o denaro... Rimise a posto gli abiti, chiuse l’armadio.
Con la scatola tra le mani, contro il petto - il rosso della lacca era di un tono più cupo e brillante di quello della seta dell’abito - Cristiana si diresse risolutamente verso l’altra parete della stanza e si chinò sul caminetto. Trasse a sé la piccola stufa elettrica, che stava fra gli alari, circondata di legna per dar l’illusione del fuoco vivo e che era spenta, poiché nella stanza, come in tutta la casa, funzionava il termosifone. Nel fondo, in basso, il muro faceva una rientranza, che si spingeva di una ventina di centimetri sotto il livello del pavimento: depose la scatola in quella rientranza e la copri con qualche pezzo di legno, rimise la stufa elettrica al suo posto e si raddrizzò. L’occhiata che diede al caminetto la soddisfece. E adesso occorreva agire. In che modo? Non ebbe il tempo di pensarci, dacché il rumore dell’ascensore che si fermava la fece sussultare. Qualcuno veniva... Sedette in una poltrona, presso alla porta, lontana dal cadavere e si accasciò. Sulle piastrelle bianche e nere risuonarono passi rapidi. Mister Prospero e Marta apparvero sulla soglia. Cristiana li guardò con occhi spenti, emise un breve sospiro che sembrò un singhiozzo. Tese il braccio verso il cadavere.
“Valerio... - Valerio... lo hanno ucciso...”
Prospero - birillo nero con la testa d’avorio - battendo le palpebre fitto fitto, corse al letto. Marta ebbe una breve esitazione. Che cosa si fa in caso di svenimento? Acqua fredda? Sali? Qualcuno le aveva detto che bisognava rovesciare la testa dei paziente verso terra, per fargli affluire il sangue al cervello... Si avvicinò a Cristiana e si limitò a prenderle un polso; non poteva certo rivoltarla col capo all’ingiù.
“Come vi sentite, signora?”
Cristiana le diede uno sguardo languidissimo.
“Perché hanno ucciso quel ragazzo?”
“Coraggio, signora!... Può essere stata una disgrazia.. La voce di Prospero O’Lary risuonò concitata.
“Niente disgrazia!... È stato realmente strangolato!”
E l’ometto rimbalzò dal letto in mezzo alla stanza. “Bisogna avvertire la polizia!...”
Marta fremette. Cristiana aveva chiuso gli occhi. “Fatelo subito, mister O’Lary...” mormorò e alzò le palpebre. Soltanto allora lo sguardo, che era chiaro e acuto, vide sul cassettone un’orchidea, che prima non aveva veduta e che certo non era stata lei a mettere in quel piccolo vaso di cristallo.