Prima giornata: giovedì

1.

Si senti stringere alla gola. Avrebbe voluto gridare. Un grido, uno solo, l’avrebbe liberata da quell'atroce impressione di soffocamento. Ma era appunto l'unica cosa che non doveva fare. Se qualcuno si fosse accorto del suo terrore, sarebbe stato peggio; lei stessa avrebbe creato l’irreparabile. Lo specchio di fronte a lei, sull’altra parete, le rimandò l’immagine del suo corpo alto, così armonico, nella veste aderente di seta rossa. Un magnifico corpo di pantera in agguato. Ma il volto le apparve disfatto. Quel suo singolarissimo volto, asimmetrico, dalla fronte alta sotto il casco dei capelli neri, dalle sopracciglia sottili e arcuate, col piccolo naso camuso vibrante sulla bocca a cuore; quel suo volto, di cui ella conosceva l’impassibile maschera, questa volta l’aveva tradita e le si mostrava contratto da uno spasmo di terrore che lo rendeva odioso. Doveva dominarsi a ogni costo.

Si provò a sorridere. Guardò attorno a sé le signore sedute sui divani e sulle poltrone tutt’attorno alle pareti. Ormai i tre saloni erano gremiti... Tutta la miglior clientela di Milano, la più ricca, clientela davvero ideale per una grande Casa di Mode, era accorsa al suo invito ed ecco che lei si sentiva svenire proprio lì, nel salone, davanti a tutti... Trovò la forza per togliersi dall’immobilità in cui il terrore l'aveva inchiodata e si mosse lentamente verso la porta del corridoio, la più vicina a lei.

In quel momento l'altoparlante annunciò il ritorno di una delle tre indossatrici,

"Numero 2449... 24... 49... Vestito da sera di marocchino nero ricamato a perline nere che formano un disegno di foglie d’ippocastano...”

L’indossatrice le passò dinanzi - entrata dalla porta alla quale lei era diretta - e accentuò la cadenza artefatta del proprio passo quasi danzante, il sorriso stereotipato sul volto dipinto, le mani protese in un gesto ridicolo di esibizione e di offerta. Cristiana senti il mormorio sommesso dei commenti. Tutto le perveniva come in un sogno febbrile. Aveva nelle orecchie il rumore del mare, denso, fondo e continuo, tanto il sangue le batteva rapido alla nuca. Riuscì a raggiungere la porta, ad uscire sul corridoio. Marta, col suo abito di seta nera, di gran gala, così corto da scoprirle i ginocchi, si ritrasse per lasciarla . passare e la guardò un poco incuriosita; ma subito la malizia del suo sguardo acuto si tramutò in apprensione.

“Signora...” e le si avvicinò, pronta a sorreggerla.

“Nulla!... Sorvegliate le indossatrici... e soprattutto controllate i biglietti d’invito...”

“Ma voi, signora...”

“Nulla, vi dico!... Fa troppo caldo lì dentro...”

La direttrice ebbe un gesto, la seguì con lo sguardo, finì coll’alzare impercettibilmente le spalle. Cristiana si meravigliò di aver potuto parlare. Appena dentro l’ascensore, sedette. E di nuovo uno specchio tornò a metterla di fronte a se stessa. Adesso, poteva pensare. Che colpo aveva avuto!... Ma era possibile? Non si era ingannata? Una rassomiglianza... sì, per quanto straordinaria, doveva trattarsi di una rassomiglianza... La bocca le si contrasse in una smorfia di disgusto. Disgusto di se stessa. Mai di fronte al pericolo ella aveva cercato d’ingannare il proprio cervello, d’illudersi. Anche quando le si era rivelata l’orribile verità sul conto di suo marito, aveva sopportato il colpo bravamente, con coraggio freddo e cosciente. E, freddamente, aveva preparato la fuga. Le cento astuzie a cui era ricorsa per non far trasparire nulla del suo progetto, Cristiana le aveva adoperate con sottile sagacia. Era in gioco la sua vita allora e l’aveva difesa. Ma adesso?... Si disse che ogni sua energia si era esaurita in quella lotta di allora... e che per questo adesso era inerme... Tanto era assorta e sconvolta, che l’ascensore si fermò e lei non se ne avvide. Soltanto dopo qualche secondo ebbe coscienza dell’immobilità improvvisa in cui si trovava. Nell’aprire il cancelletto, quando si vide dinanzi il lungo corridoio bianco, dal pavimento a mattonelle rigate di nero, con le erme stilizzate disposte a riscontro sulle due pareti, fra porta e porta, che ne aumentavano la lunghezza, si chiese a quale scopo fosse fuggita lassù. Se veramente la donna che aveva veduta nel suo salone era colei che temeva - e lo era- come poteva sperare di sfuggirle, nascondendosi? Anna Sage non era venuta in Italia sola... E soprattutto non si era recata a quell’esposizione di modelli di Cristiana O’Brian, senza sapere chi era Cristiana... Doveva essere stato Russel a mandarvela; Russel che si trovava in Italia anche lui e che evidentemente l’aveva cercata e trovata. A mezzo corridoio si fermò ed entrò nella sua camera da letto. Ecco perché era fuggita. Per rifugiarsi in solitudine e perché aveva assoluto bisogno di distendersi, di gettarsi sul suo letto... Non potè farlo, però, perché il letto era occupato, ed era occupato da un cadavere. Questa volta Cristiana O’Brian svenne e il tonfo del suo corpo sul tappeto si ripercosse cupo per il corridoio, senza peraltro turbare la fissità delle otto erme di falso marmo.