9.

Marta aprì la porta della direzione e si ritrasse, dopo aver dato un’occhiata nell’interno.

“Madama Firmino è ancora lì...”

De Vincenzi stava rivolgendo un sorriso rassicurante ad Evelina, che coi suoi occhietti più che mai stupefatti lo fissava di sopra al registro.

Il placido volto, così teneramente roseo, della matura grassona aveva ispirato un’immediata fiducia al commissario.

“La signora si trova in questa camera da molto tempo?”

Marta guardò Evelina e poi De Vincenzi.

“Naturalmente!... Alle due la signorina Evelina è sempre in ufficio.”

“Faccio colazione nella casa... alla mensa delle lavoranti...”

L’umida premura che traspariva da quelle parole convinse sempre più De Vincenzi che Evelina sarebbe stata l’ideale dei testimoni veritieri... se pure avesse avuto qualcosa da dire. Si avvicinò al suo tavolo.

“Molto lavoro, eh?”

Evelina depose le mani aperte sui fogli a cinque finche che stava riempiendo di cifre e fissò l’intruso con meno benevolenza. Non permetteva, lei, che gli estranei si occupassero dei suoi conti: la contabilità di una ditta è segreta e sacra.

“Voi siete l’amministratrice, signora?”

“Signorina...” mormorò la zitella, abbassando lo sguardo e poi con voce rinfrancata: “Tengo io la contabilità... e anche un poco la cassa... ma l’amministratrice è in realtà la signora O’Brian, con l’aiuto del signor O’Lary...”

“Capisco...” De Vincenzi si appoggiò familiarmente alla scrivania, evitando di guardare il sacro registro. “E oggi... nel pomeriggio, avete veduto Valerio?”

La domanda inaspettata ebbe la virtù di far impallidire il placido volto di Evelina.

“Valerio?... Che c’entra Valerio con me?...” E si volse verso Marta, come a chiedere il suo intervento.

La direttrice era rimasta presso l’uscio della direzione che teneva ancora aperto. Al muto allarmato appello di Evelina, si strinse nelle spalle con un gesto di rassegnata impotenza.

“Il signore è un commissario di polizia...”

De Vincenzi si scostò dalla scrivania. Nessun bisogno più di conquistarsi le simpatie e la fiducia di Evelina. Questa si era irrigidita di colpo: un blocco compatto di carne congelata. Un poco le guance le tremavano e il petto le ansava sotto la seta del corpetto troppo stretto.

“Polizia?... Perché la polizia?...” Ebbe un lampo cattivo delle pupille tra la grascia delle palpebre pesanti. “Io l’ho sempre pensato che quel ragazzaccio sarebbe finito male...”

“È finito malissimo, infatti, signorina... Lo hanno semplicemente strangolato...”

Questa volta il colpo fu formidabile. Evelina vacillò e poi si accasciò come un tenero vitello sotto la mazzuola.

“Ma io l’ho veduto... l’ho veduto ed era vivo...” gemette.

“A che ora lo avete veduto, signorina?”

La donna era livida e tremava tutta.

“Un bicchier d’acqua...” implorò con voce pastosa.

Aveva gli occhi sbarrati. Marta accorse. Afferrò De Vincenzi per un braccio.

“Soffre di cuore...”

“Datele l’acqua...”

Marta corse verso la direzione e scomparve attraverso la porta aperta. De Vincenzi aveva afferrato una mano della donna e le picchiettava sul dorso, dolcemente ma con frequenza. La donna sembrava rimettersi. Il colorito le tornava al viso e il sudor freddo le era cessato.

“Oh!” sospirò e guardò De Vincenzi con smarrimento. “Che cosa orribile!”

De Vincenzi continuava a battere sulla mano e aveva l’impressione di sculacciare un bimbo.

“Non pensateci adesso, signorina... Ne parleremo più tardi, pacatamente...” Sentì i passi di Marta che tornava e si allontanò dalla donna.

“Ne parleremo da soli..”

Negli occhi di Evelina passò un lampo di spavento. E De Vincenzi ebbe la sicurezza che proprio lei gli sarebbe stata di grande aiuto... se fosse riuscito a farla parlare.

“Datele da bere, signorina... spruzzatele un po’ d’acqua in volto... e conducetela alla finestra, che respiri aria pura... Io vado a conversare con madama Firmino...”

Entrò in direzione, prima che Marta avesse potuto rispondergli. Dolores non s’era mossa dalla poltrona e fumava. De Vincenzi vide le gambe color del rame, la faccia unta e anche qualche lembo, per quanto assai breve, del costume da bagno giallo e nero che sporgeva dalle aperture della vestaglia. Ma soprattutto vide il volto dai tratti acuti, quasi pungenti, e i capelli platinati. Gli occhi di madama Firmino lo avevano afferrato fin dal suo entrare e non lo lasciavano. Era evidente ch’ella sapeva o intuiva chi fosse quel compito signore che avanzava verso di lei ed era altrettanto evidente che si era messa sulla difensiva. Il commissario procedette fra le poltrone e i piccoli tavoli e si inchinò davanti alla ragazza.

“Vengo a parlare con voi di moda e di modelli, madama Firmino... Conosco la vostra competenza in materia...”

Dolores non si fece prendere all’inganno, per quanto quello fosse il più strabiliante preambolo che avesse potuto attendersi.

“Indagate sulla morte di Valerio?”

De Vincenzi fece un gesto con la mano, come per diradare e rendere evanescente quella precisazione.

“Muoversi in un ambiente che non si conosce è assai difficile, signorina... Volete guidarmi, voi?”

Sedette nella poltrona che era di fronte a quella della giovane.

“Vi hanno detto che sono stata io la prima a trovare Cristiana svenuta e Valerio morto sul letto?...” Gettò la sigaretta consumata in una coppa di cristallo che era sul piccolo tavolo e ne prese un’altra dalla scatola di legno di sandalo di cui si era addirittura impossessata. “Avete un fiammifero?... Da quando sono qui, ho dovuto accendere una sigaretta all’altra, perché sono uscita dalla mia camera senza prendere i fiammiferi...” Sorrise: “E neppure le sigarette, del resto... Queste che sto fumando sono di Cristiana... Così imparerà a farsi trovare in terra svenuta davanti a un cadavere...”

De Vincenzi le accese la sigaretta.

“Voi non fumate?”

“Raramente...”

“Il vostro cervello non ha bisogno di stimoli?”

“È dall’osservazione delle cose e delle persone che mi vengono...” Lo fissò in volto.

“Siete un commissario di polizia?”

“Già...”

“Non vorrei essere l’assassino di Valerio. Un commissario di polizia che osserva cose e persone è assai pericoloso,” decretò e, raccoltisi i lembi della vestaglia attorno alle gambe, si mise le mani sulle ginocchia e protese il volto verso di lui. “Interrogatemi. Sono pronta.” De Vincenzi sorrise di nuovo. Per quanto pronta, madama Firmino dovette riconoscere dentro di sé che da ogni movimento di quell’uomo, dall’espressione del suo volto, da quel suo sorriso rassicurante, si sprigionava un senso di tranquilla indifferenza, quasi egli non desse alcuna importanza né al morto né a colui che lo aveva ucciso. E per quanto si dicesse che quell’atteggiamento era un tranello, si sentì disposta a caderci.

“Conoscevate bene Valerio?”

“Bene, che vuol dire? È da un anno che sono con Cristiana O’Brian e da un anno conoscevo Valerio. Lo vedevo un paio di volte al giorno e forse più... Assai di rado gli parlavo e lui, dopo i primi tempi, quando ebbe perduto ogni illusione circa la possibilità che io gli permettessi di farmi la corte, non si rivolgeva a me se non proprio costrettovi dalla necessità... Se questo voi lo chiamate conoscer bene!... Non c’era dimestichezza fra noi... non c’era neppure alcuna affinità... un altro piano... un’altra classe...”

“Perché la signora O’Brian lo teneva?”

“Con tutta probabilità perché le era utile.”

“In qual modo?”

“Ma nell’unico modo possibile: servendola. Cristiana lo aveva incontrato a Napoli... era già grande, ma sempre un ragazzo della strada... Lo condusse con sé... Valerio aveva una certa intelligenza e senza dubbio molta furberia... Si attaccò a lei e non si fece sfuggire alcuna possibilità che gli si offriva...”

“Quali erano i suoi rapporti col personale?”

“Vedete, commissario, il personale... come voi lo chiamate... di questa Casa è tutto femminile... Di uomini non c’è che mister O’Lary e Federico, il custode... Per cui i rapporti che mi chiedete potete immaginarli da voi. Valerio era un piccolo dongiovanni da strapazzo. E poiché possedeva indubbi doni fisici... aveva fortuna...”

“Potrebbe, averlo ucciso una donna?”

“E perché non potrebbe averlo ucciso una donna?... Ma nella camera di Cristiana?”

Appunto questo era il problema. Il luogo dove il cadavere era stato trovato, con la complicazione dell’orchidea. Tanto più oscuro, tale problema, per quanto appariva fondata la presunzione che Valerio fosse stato ucciso altrove di dove lo avevano deposto dopo morto. “Parlatemi della signora O’Brian, signorina...”

“E perché non mi dite: parlatemi dell’ultima regina della Cambogia? Che cosa volete che ne sappia io di Cristiana?... È la proprietaria di questa Casa di Mode, è sola... almeno apparentemente... è sempre molto cortese con me e con tutte... Io disegno figurini... invento fogge di vestiti... studio colori... soppeso stoffe... Ho troppo lavoro, sapete?, perché possa occuparmi di quel che non mi riguarda... Cristiana è rumena... almeno credo che sia di origine rumena... - Viene dall’America e ho sentito dire che da due anni si trova a Milano... Sembra sia vedova e a ogni modo è questo che lei afferma... e lo afferma anche Prospero O’Lary, che è venuto dall’America con lei... Ha denaro, forse molto, e questa ditta è la prima di Milano... Se andate di là, nelle sale, trovate i più bei nomi dell’aristocrazia e del censo... Un abito che esce di qui non costa mai meno di qualche migliaio di lire...” Gettò la sigaretta, fece per prenderne un’altra, ma si trattenne. “Fumo troppo!... Troppi stimoli. Sono essi che mi fanno parlare eccessivamente.”

“Oh! Voi mi avete detto abbastanza, madama Firmino... assolutamente abbastanza, per quanto non mi abbiate parlato dei vostri disegni... La signora Cristiana è disegnatrice anch’essa?”

Dolores sorrise. Sapeva anche troppo bene quanto poco fosse disegnatrice Cristiana e quale dichiarato cattivo gusto avesse in fatto di abiti.

“Due soli colori, caro commissario e una sola foggia!... Il rosso pomidoro e il celeste prima comunione’... E, da quando a Parigi le capitò di vedere un quadro di Fragonard, non concepisce che gonne assai ampie, maniche lunghe, corsetti scollatissimi e al di sopra una sciarpa di velo...”

“Un po’ fuori moda, nevvero?”

“Oh no... È una moda che si potrebbe ancora lanciare, a patto di rinnovarla e di rinnovarsi... Cristiana, invece, per quel che riguarda gli abiti delle altre, è statica!”

“Ma almeno avrà una certa competenza per quel che riguarda la confezione?”

“Domandatelo a Marta... Ha dovuto pregarla di non metter piede nei laboratori...”

“Capisco!... Ella pratica la moda come un’industria. Ha il senso degli affari.”

Il sorriso di madama Firmino fu un vero capolavoro di malignità.

“Oh! Per questo, il senso degli affari non le manca...” De Vincenzi si alzò.

“A che ora avete veduto Valerio oggi, per l’ultima volta?”

“Credo di non averlo veduto affatto... Ma l’ho udito. Ho udito quel suo fastidioso zufolare, che lo precedeva quasi sempre quando passava per il corridoio della mia camera...”

“A che ora?”

“Oh! Dio, commissario... non ho guardato l’orologio. Ma saranno state certo le due e mezzo passate, perché alle due e mezzo io sono salita nella mia camera per dedicarmi alla cura della mia persona....”

E Cristiana aveva scoperto il cadavere poco prima delle quattro. De Vincenzi vide un foglio di carta bianco sopra il tavolo di palissandro. Lo prese e lo porse a madama Firmino con la matita d’oro che s’era tolta dal taschino del panciotto.

“Posso chiedervi di fare un disegno per me?”

Lo guardò stupita.

“Il disegno di un abito?”

“Non chiedo tanto!... Mi basta che mi facciate la pianta del terzo piano di questa casa...”

“Ah!”

Esitò, poi scrollò le spalle e, messo il foglio sopra il piccolo tavolo, lo copri rapidamente prima di linee, poi di parole.

“Avreste potuto farvi fare questa pianta da chiunque... Tanto è valso, quindi, che ve l’abbia fatta io.”

De Vincenzi osservò il foglio.

“Vi ringrazio di avere anche scritto sopra ogni ambiente l’indicazione del suo ufficio... È perfettamente chiara... Tranne quest’ultima camera...”

E le indicò un rettangolino, alla fine del corridoio, presso la scala.

“Oh! Quella... è la stanza che noi chiamiamo il ‘museo degli orrori’... Sono stata io a battezzarla così. È in quel locale che si conservano i manichini di tutte le nostre clienti abituali.”

“Perdonatemi, madama Firmino, ma non capisco...”

“Ecco! Per poter lavorare con più sicurezza e senza disturbare le clienti con troppe prove, quando una signora si serve costantemente da noi, Marta ordina un manichino sulle sue misure... un perfetto duplicato, insomma, del suo corpo in legno e crine... Potete immaginare, commissario, quali orrori si conservano in quella stanza.”