7.

Ad aprirgli la porta dell’ascensore fu Rosetta. Madama Firmino era nel corridoio. Sembrava occupata a osservare alla luce d’una delle porte del salone alcuni campioni di stoffe e, quando lo vide, fece un gesto di meraviglia.

“Già di ritorno?...” Diede uno scappellotto a Rosetta, cacciandola verso il fondo. “Va’ nel laboratorio, tu...”.

La “piscinina” trotterellò e scomparve per la scala. Allora, madama Firmino si avvicinò a De Vincenzi.

“Non direte che vi ho telefonato, eh? Le orchidee sono nella stanza dei bauli... La prima a sinistra, uscendo dall’ascensore...”

“Come avete fatto a trovarle?”

“Le ho cercate... Nulla di più naturale che le abbiano nascoste in quella camera, nella, quale non entra mai nessuno...”

“Quante sono?”

“Non le ho contate... parecchie...”

“Chi pensate che possa avervele messe?”

Lo guardò con sospetto.

“Scherzate? Se lo sapessi...” Scrollò la testa, gettandola all’indietro quasi in atto di sfida; lo faceva per darsi coraggio e subito aggiunse: “Se lo sapessi, avrei meno paura!”

“Nuli’altro di nuovo?”

“Nulla, se non che m’hanno lasciata quasi sola...”

De Vincenzi la scrutò.

“Intendete che Cristiana è uscita?”

“Cristiana e ‘Oremus’ e persino la Campbell... che deve avere accompagnato la sua padrona...”

“Oremus?”

Non sorrise neppure.

“Lo chiamano così le operaie e le indossatrici. È mister O’Lary...”

“Sono usciti tutti e tre assieme?”

“No. Prospero è rimasto in direzione con Marta e con me... In quel momento, Cristiana doveva trovarsi nella sua camera, secondo noi... Invece, Marta si e recata da lei e non c’era.. /”

“A che ora?”

“Saranno state le due... forse, le due e mezzo. Allora, l’abbiamo cercata da per tutto, senza trovarla...”

“Siete sicura che sia uscita?”

“E dove volete che si sia cacciata? Anche la sua cameriera manca, ve l’ho detto. Certo sono uscite assieme.”

“È una semplice supposizione la vostra!”

Madama Firmino alzò le spalle.

“Adesso vi accompagno a vedere le orchidee... Oppure volete parlare a Marta?”

E si diresse alla porta dell’amministrazione.

“Un momento. E il signor O’Lary?”

“Ah! era preoccupato dell’assenza di Cristiana. Quando Marta e io siamo tornate in direzione a dirgli che certo Cristiana doveva essere uscita con la Campbell lo abbiamo visto che ci attendeva col pastrano e il cappello, pronto ad andarsene. E se ne è andato subito, infatti, dicendoci: ‘Immagino dove può essersi recata... sarà meglio che la raggiunga...’”

“E dove può essersi recata, secondo voi?”

“Non lo so, commissario!... Voi mi attribuite una conoscenza di cose e persone che davvero io non ho!”

“Alle due e mezzo, avete detto?”

“Press’a poco.”

Guardò l’orologio: erano le tre e venti.

“Fatemi entrare in direzione. Poi andremo di sopra.” Passarono per la stanza di Evelina. De Vincenzi si fermò qualche secondo davanti alla scrivania della donna. Evelina era stata strangolata fra le diciotto e le diciotto e mezzo... A quell’ora i saloni si stavano vuotando... in direzione si trovava madama Firmino e Prospero O’Lary... poco dopo i due erano stati raggiunti da Cristiana, che lui aveva fatto discendere per rimanere solo sul luogo del delitto... E lui poi aveva scoperto il cadavere alle diciannove circa, quando cioè le due donne e Prospero si trovavano nella stanza della direzione... A strangolare Evelina non poteva essere stata che una persona a lei ben nota e di cui lei diffidava tanto poco da consentirle l’uso del proprio telefono... Ma adesso, poteva aggiungere un altro indizio a quei pochi esistenti. Colui o colei che aveva strangolato Evelina doveva necessariamente provenire dal terzo piano ed era disceso col proposito di compiere il delitto, dal momento che aveva portato con sé un’orchidea, andandola a prendere là dove le aveva nascoste, nella stanza dei bauli vale a dire. Si volse e fissò madama Firmino.

“Cercate di ricordarvi bene, signorina. Ieri alle diciotto io vi lasciai in quella stanza...” Indicò la porta della direzione. “Eravate in vestaglia e fumavate una sigaretta dopo l’altra...”

“Ebbene?”

“Quando più tardi io tornai lì dentro e vi annunciai la morte di Evelina con voi c’erano anche Cristiana e O’Lary. Quale dei due era entrato per primo?”

“Prospero... Fu dopo qualche minuto, una diecina almeno, che entrò Cristiana...”

“E da quel momento nessuno di voi tre è più uscito da quella stanza, fino al mio ingresso?”

La donna corrugò la fronte.

“Aspettate... Ricordo che Cristiana trasse Prospero nel vano della finestra e si misero a parlare fittamente tra di loro... Io badavo appena a quel che facevano... Ma sì... ecco... non vorrei dirvi qualcosa di inesatto, ma mi sembra che a un certo punto Prospero uscisse, mentre Cristiana andava a sedere alla sua scrivania... A ogni modo, però, l’assenza di "Oremus" non può esser durata che pochissimi minuti...”

“Siete sicura di questo?”

“Sicura? No. Ho l’impressione che sia così... ma potrei benissimo sbagliarmi...”

“Sbagliarvi al punto da avere il dubbio che ad uscire sia stata Cristiana O’Brian?”

“No, no!... Cristiana è andata alla sua scrivania... Questo lo ricordo perfettamente.”

De Vincenzi entrò in direzione. Marta stava seduta alla scrivania di Cristiana. Fissò De Vincenzi con preoccupazione.

“Che cosa è accaduto ancora? Perché siete tornato?”

“Nulla di strano che io sia tornato. Ma voi che cosa temete?”

Marta si era alzata. Guardò madama Firmino.

“Gli avete detto che Cristiana è uscita?”

“Siete sicura, proprio sicura che sia uscita, signorina Marta?”

Marta impallidì. Rispose con voce bianca:

“Nelle sue stanze non c’è e non vedo dove potrebbe essere andata a finire... Se si trovasse nei laboratori, l’avremmo veduta...”

De Vincenzi si avvicinò alla scrivania. Nulla sul piano di essa, se non i soliti oggetti. I tiretti erano chiusi. Ricordò che il giorno prima Cristiana stava scrivendo e, quando lui era entrato si era affrettata a chiudere nel tiretto le carte che aveva dinanzi. Fece il movimento di aprire il cassetto di centro; ma si trattenne. Non aveva alcun diritto di farlo... almeno non aveva ancora un tal diritto.

“Andiamo di sopra...” disse.

Attraversavano la stanza dell’amministrazione, quando si rammentò di John Bolton. L’americano lo stava aspettando.

“Un momento...”

Andò al telefono e chiamò l’Albergo Palazzo. Dopo qualche minuto di attesa, gli dissero che mister Bolton era uscito e che nessuno rispondeva dal suo appartamento. Riappese il ricevitore. Il fatto era strano. Bolton gli aveva telefonato per pregarlo di andar subito da lui... Un certo nervosismo l’invase. Le orchidee stavano in terra in un vaso di ceramica grezza, nell’angolo più vicino alla porta, fra la parete e un baule. Le contò: erano cinque. Il nascondiglio era tale per modo di dire; chiunque fosse entrato in quella stanza le avrebbe vedute.

Colui che ve le aveva messe, doveva aver fatto affidamento soltanto sul poco uso che si faceva di quella stanza. Uscì nel corridoio, dove lo attendevano Marta e madama Firmino. Richiuse la porta. Marta, che aveva interrogato Dolores, sapeva dei fiori e gii chiese con stupore:

“Lasciate le orchidee lì dentro?”

“Naturalmente. E prego voi due di non dire a nessuno... a nessuno, badate bene, senza eccezioni, che le abbiamo scoperte.”

Gli occhi di Marta si allargarono e madama Firmino ebbe un sussulto.

“Commissario! Voi non potete obbligarmi a rimanere in questa casa...”

“Calma, madama Firmino! Calma! Nulla è accaduto e nulla accadrà... forse. Diamo un’occhiata a queste stanze...” Ma dalla scala di servizio saliva correndo Rosetta. La fanciulla era livida e agitava le mani convulsamente. “Là... là... sulla scala...”

E non potè dir altro, ché, coprendosi il visuccio con le mani, scoppiò in un pianto singhiozzante.