4.

Il corridoio appariva particolarmente tetro e buio in quella giornata piovosa. Le erme bianche stagliavano i loro profili da sfinge contro il riquadro lontano dell’unica finestra, presso alla scala di servizio. E il pavimento lucido, bianco e nero, aumentava l’impressione che si provava di trovarsi in una corsia di ospedale o di museo, luoghi entrambi egualmente carichi di desolazione. De Vincenzi sentì d’aver freddo alle ossa. Non soltanto l’incubo ricominciava, come egli si era detto subito, ma ricominciava con un ritmo accelerato d’orrore... Picchiò una sola volta alla porta di Cristiana e, senza attendere risposta, girò la maniglia e aprì. La donna stava in mezzo alla stanza, in piedi, come rappresa in se stessa, con le braccia incrociate sul petto, stringendosi le braccia con le mani, la testa un poco china, forse scossa anche lei da brividi, forse pronta al balzo d’offesa e di difesa. Aveva lo sguardo lucido, il volto esangue. De Vincenzi si accorse subito che questa volta il suo turbamento era effettivo e profondo. Egli non l’aveva ancora veduta in quello stato, per quanto avesse osservato le sue reazioni davanti al cadavere di Evelina, quando lui glielo aveva mostrato all’improvviso e senza preavviso.

Cristiana riconobbe De Vincenzi ed ebbe un sussulto.

“Siete voi!...”

“Perdonatemi, signora. O’Lary mi ha detto che eravate turbata per la scoperta di un’altra orchidea, e ho creduto che meglio di lui avrei potuto aiutarvi io... se pure si tratta di darvi aiuto...”

Lentamente i nervi della donna si distesero, i suoi muscoli rattratti si rilassarono, uno scialbo sorriso le apparve sul volto.

“Infatti, non credo che ci sarà bisogno di aiuto. Dopo... i morti di ieri, è anche spiegabile che i miei nervi vibrino eccessivamente... La vista di quell’orchidea mi ha spaventata, in un primo momento. Spavento puerile e ingiustificato! Siete voi che dovete perdonarmi, commissario...”

“Oh, ma io non lo direi puerile e senza giustificazione, il vostro spavento!”

Si diresse verso la porta del bagno. Cristiana, rapida, lo precedette.

“Volete vederla?... È un’orchidea... come le altre.” Apri la porta e si fermò sulla soglia, traendosi un poco da parte, perché lui entrasse. Sulla toletta, le orchidee erano due. Una nel vaso di vetro in cui De Vincenzi l’aveva veduta il giorno prima; l’altra posata sulla tela rosa, come depostavi per esser ripresa o cadutavi. La porta di comunicazione col “museo degli orrori” era chiusa, ma il catenaccio pendeva sempre scardinato.

“Quando vi siete accorta che i fiori erano due?”

“Pochi minuti fa... sono entrata qui dentro per fare il bagno e vestirmi, e l’ho veduta... Soltanto adesso io mi sono levata dal letto... Ho avuto una notte pessima, quasi completamente insonne.”

Questo doveva esser veto. Cristiana era in pigiama, sotto la vestaglia rosa, e i profondi cerchi neri attorno agli occhi potevano esser stati prodotti dall’insonnia. Qualcuno che fosse passato dal “museo degli orrori” aveva potuto con tutta tranquillità mettere la seconda orchidea sulla toletta, senza che Cristiana lo udisse. La porta di comunicazione ormai non costituiva più neppure un impedimento tale da obbligare a far rumore per superarlo. Ma a quale scopo, se non per quello di dare un avvertimento alla donna e di spaventarla? Un fatto, comunque, per De Vincenzi era certo: nessuna delle ipotesi ch’egli aveva fatte sembrava reggere adesso davanti a quella nuova manifestazione incomprensibile. Tornò lentamente nella stanza da letto, seguito da Cristiana.

La sua perplessità era tale ch’egli non sapeva di dove cominciare l’interrogatorio che pure era nei suoi propositi, venendo in Corso del Littorio dopo esser stato in via Catalani e in piazza della Scala e dopo aver parlato con Russel Sage. Cristiana si lasciò cadere in una poltrona, quella medesima in cui lui l’aveva trovata il giorno prima. De Vincenzi guardò il letto... no, naturalmente, il cadavere non c’era più e il letto era disfatto...

“Voi sapete dirmi qualcosa sulle orchidee, commissario?”

La domanda non era né scherzosa, né bizzarra. Essa tendeva realmente ad ottenere una risposta.

“Cara signora... I miei ricordi di scuola... e anche il fatto che questa notte a casa mia ho consultato un dizionario enciclopedico mi aiutano a dirvi che si tratta di una pianta monocotiledone estremamente polimorfa per svariati adattamenti alle condizioni ambientali e ai mezzi d’impollinazione...”

“Polimorfa?” Corrugava la fronte.

“Multiforme...” le disse De Vincenzi con un sorriso. E poi, dopo un silenzio: “Tutto questo vi aiuta a comprendere perché abbiano messo un’orchidea davanti ai due cadaveri e una terza nella vostra stanza da bagno?”

“No, davvero!”

Ma rifletteva e la paura che traspariva dai suoi sguardi era aumentata.

“Sapete che la signorina Evelina da due mesi a questa parte era in preda ad una preoccupazione così forte da impedirle persino di dedicarsi al suo svago preferito, la lettura?”

“Evelina?... E perché avrebbe dovuto averla? E che cosa volete che ne sappia io?”

“Sapete che vostro marito ha deciso di stabilirsi a Milano?”

“Russel Sage non è più mio marito... Prima di lasciare l’America mi fu accordato il divorzio. Deve esserne stato informato ad Alcatraz...” Per un vero miracolo di volontà, tanto fino a quel momento era apparsa depressa e smarrita, ella sapeva mantenersi adesso attenta e guardinga. “Che cos’altro avete saputo, commissario?”

“Oh! non molto più di questo, signora... Se non che Valerio aveva l’abitudine di frequentare i cinodromi...”

“Valerio? Ma neppur per sogno!... L’anno scorso per indurlo a condurre un mio levriere al Cinodromo di San Siro, dovetti ordinarglielo e ancora non vi andò che una sola volta... Fu una sera in cui Fatima, che pure vinceva sempre, arrivò ultima...”

“Immagino che Fatima sia la vostra levriera...”

“Era, commissario... Ho dovuto disfarmene.”

“Molti premi?”

“Qualcuno...”

Ecco, dunque, che le apparenze si facevano ancora più inquietanti... La medaglia trovata nel “museo degli orrori” poteva non appartenere a Valerio, mentre... Ma De Vincenzi non volle approfondire. Aveva da raccogliere qualche altro dato più preciso, prima di iniziare un’offensiva che si poteva anche risolvere in una disfatta. Si alzò.

“Polimorfa... Multiforme, è vero?”

La donna stava sempre pensando all'orchidea. Chiunque fosse stato l’assassino di Valerio e di Evelina, un fatto era certo: Cristiana aveva paura di quella terza orchidea.

“Ve ne andate?”

“Oh! Non mi sarà possibile andarmene tanto presto da questa casa, signora! Ma vi chiedo il permesso di visitare le stanze che ancora non conosco. La stanza di Valerio, per esempio...”

“Non credo ch’essa vi rivelerà gran cosa d’interessante. Valerio aveva l’animo dell’uccello di passaggio... Non si posava e non costruiva un nido... Vi troverete soltanto qualche suo abito e un gran disordine...”

Ma De Vincenzi vi trovò qualche altra cosa.