10.
“Sorpresa?”
“Sapevo che ti avrei riveduto assai presto.” "Intuizione?”
“Anna ti ha preceduto!”
“Deduzione, allora.”
Seguì un silenzio.
L’uomo si tolse gli occhiali.
“Non ho mai compreso perché gli occhiali, specialmente se cerchiati d’oro, contribuiscano a conferire un’aria di rispettabilità a una persona...”
Cristiana era adesso completamente padrona di sé. “Anche laggiù ti eri illuso di avere un’apparenza perfettamente rispettabile... Non ci sono caduta che io!” Russel P. Sage sorrise con amarezza.
“E, invece, i G-Men mi stavano alle calcagna!... Oh! ma qui è
un’altra cosa... Qui sono John Bolton, ricco industriale di
Chicago, e non ho alcuna intenzione di svaligiare banche... Sto
maturando il progetto di fondare una fabbrica di
giocattoli...”
“Come a Portland...”
Egli l’interruppe con un gesto della mano.
“Zitta... L’Ultra Products Company è morta... Non fabbricherò più piccoli animali e soldatini di piombo... Altro clima, altri gusti... Sogno certe graziose automobiline che saranno capolavori... Renderò felici i bimbi di questo paese, producendone in serie... Il mercato sarà invaso dalle automobili Bolton...”
Cristiana s’irrigidì.
“Che cosa vuoi da me?”
“Oh! nulla che tu non possa darmi. Voglio il tuo amore.”
La donna rise. Un riso metallico, vibrante, che faceva male a udirlo.
“Tu hai ucciso in me ogni possibilità d’amare, Russel!”
“Non mi nascondo le colpe che ho verso di te, Ileana. Non dovevo farmi prendere.”
“Credi che sia soltanto questa la tua colpa?”
“Certo! Non avevo il diritto di trascinarti nella mia rovina e tu hai avuto ragione di fuggire a tempo. La tua perspicacia è stata grande a ritenere che l’assalto alla Caledonia National Bank di Banville sarebbe stato la mia ultima impresa e che io sarei comparso davanti alla Corte di Rutland...” La sua voce si fece di colpo sorda, le parole martellarono: “Ma non dovevi dubitare di me, Ileana! Ti avevo dato troppo, perché tu dubitassi.” Si era eccitato. “Ah! no... non dovevi credere che io sarei morto nella prigione di Alcatraz!... Non dovevi sperare di non rivedermi mai più!”
Le labbra della donna si contrassero.
“Più nulla da fare!... Più nulla da fare per te, Russel Sage!... Non potrai riprendermi... anche se sotto quella coltre c’è un cadavere!...”
Russel segui lo sguardo di lei e vide il letto scomposto, i piedi del morto che uscivano di sotto al damasco.
“Per questo è venuta la polizia? E io che sono salito qui su per aiutarti!...”
La guardò. Il volto gli si era fatto cupo e una vena gli pulsava turgida sulla fronte, presso alla voglia di vino rosso. La scrutava. Prese a battersi le dita della destra sul pugno chiuso dell’altra mano. Il suo lavoro di riflessione appariva intenso. A un tratto si scosse.
“Un tranello, eh?”
La guardò ancora; ma questa volta con ammirazione. “Sei di una bella forza!... Non ho saputo apprezzarti...” Si rimise gli occhiali. “Non ho alcun timore che tu dica ai poliziotti chi è realmente John Bolton... Sarebbe troppo pericoloso per te e ad ogni modo non lo sarebbe affatto per me. Uscirò da questa casa tranquillamente, Ileana... Ma ci rivedremo...”
Raggiunse la porta, retrocedendo a piccoli passi senza voltarsi, guardandola fissamente. Di colpo fece un balzo nel corridoio. Si diresse con sicurezza alla scala di servizio e vi si gettò rapidissimo e leggero, sicché discese fino al primo piano senza che il rumore dei suoi passi si udisse. Poco dopo rientrava nel salone, mentre l'altoparlante annunciava il trentasettesimo vestito della collezione di Cristiana O’Brian. La donna rimaneva immobile, fissando l’uscio per il quale Russel era scomparso. Quella fuga improvvisa l’aveva sorpresa. Si era preparata a resistergli, a combattere... e tutto era finito prima ancora di cominciare. Eppure la fuga di lui era logica, un autentico primato di riflessione rapida. Rimanere in quella stanza, col pericolo di esservi sorpreso dai poliziotti, voleva dire confessare d’esser lui l’assassino di Valerio. Ma chi aveva portato il cadavere sul suo letto? Come aveva fatto Russel a conoscere l’ubicazione della sua camera e giungervi senza farsi vedere da nessuno? Poteva ammettere che non era quella la prima volta che ci veniva? Le idee le si confondevano. Aveva l’impressione che da tre ore tutti gli avvenimenti attorno a lei stessero prendendo corpo, si amalgamassero, si fondessero in un unico enorme proiettile die attraversava lo spazio come un fulmine e che sarebbe inevitabilmente precipitato contro di lei, scoppiando appena a terra con fragore formidabile, un fragore e una rovina che l’avrebbero sepolta. Un leggero scricchiolio la fece sussultare. Si volse di scatto verso la parete dov’erano l’armadio e il caminetto, che il rumore le era sembrato provenire da quella parte. Gli sportelli dell’armadio apparivano socchiusi. Era stata lei a lasciarli così? Non ebbe il tempo di rispondersi. L’armadio si aprì e Prospero O’Lary apparve.
“Stavate lì dentro, voi!...”
L’ometto scavalcò l’asse inferiore, uscì completamente dal rifugio. Respirò e si aggiustò la redingote attorno alla vita.
“Perché è andato via così presto?”
“Ha veduto il cadavere...”
“Oremus” sembrò perplesso.
“Naturale!...” borbottò; poi a voce più chiara: “Non è stato lui a uccidere Valerio.”
“A ogni modo, è questo che ha voluto farmi credere. Come ha fatto a trovare la mia camera?”
“Dimenticate che Russel sapeva svaligiare una banca di pieno giorno...” Si avviò alla porta. “Bisogna che ritorni dabbasso... E fareste bene a venir giù anche voi... Questa camera tra poco sarà invasa dalla polizia. Il modo di fare di quel commissario non mi dà alcuna tranquillità... e quel cadavere me ne procura ancora meno...” Cristiana lo guardò andar via. Ne udì i passi nel corridoio, fino alla porta dell’ascensore che si apri e si richiuse col suo scatto caratteristico. No. Lei non sarebbe discesa. Guardò l’orchidea. Poi il caminetto e l'armadio. Come era stato pronto Prospero O’Lary a trovare quel nascondiglio.
“Mi permettete di entrare, signora?”
Il sussulto del corpo di Cristiana fu un vero balzo di pantera sorpresa.
“Ah! siete voi, commissario? Mi avete fatto paura... Entrate, entrate pure, naturalmente.”
De Vincenzi entrò accompagnato da un agente. Un altro se ne vedeva nel corridoio, intento a guardare curiosamente una delle otto erme.
“Fin quando il giudice istruttore non sia venuto e non abbia dato il nulla osta per il trasporto del cadavere, dovrò far piantonare questa camera... Poiché certamente tutto il necessario sarà fatto prima di sera, voi potreste andarvene provvisoriamente nel vostro studio, signora...” Un sorriso increspò le labbra di Cristiana.
“Mi sono chiesta, infatti, come mai voi non aveste ancora perquisito questa camera!...”
“Potete credere che mi sarebbe stato utile farlo? Raramente gli oggetti parlano... almeno nel senso che intendono i più, quando si tratta di una inchiesta criminale. Io non corro mai dietro alle tracce e agli indizi materiali... Ed è per questo che tanto spesso sbaglio!...” aggiunse, sorridendole con cordialità.
Cristiana si guardò in giro.
“Vi prego soltanto di non produrre un troppo grande disordine... La mia cameriera non ve ne sarebbe grata...”
“Mi contenterò invece di parlare alla vostra cameriera, signora... Volete farla salire, se si trova qui?”
“Ma certo che si trova qui, commissario!... Le camere di servizio e la cucina sono al secondo piano. Passando, l'avvertirò.”
Fece per uscire, mentre l’agente si ritraeva al suo passaggio, ma sulla soglia si fermò.
“Quali misure prendete qui in Italia, contro le persone sospette, commissario?”
“Nessuna o quasi nessuna, signora O’Brian... Ci contentiamo di attendere che i nostri sospetti si palesino fondati...”
“Uhm!... Quindi non mi farete neppure sorvegliare?”
“Perché pensate d’essere sospetta?”
“Perché... vedete... soltanto io potevo avere interesse a uccidere Valerio. Quel ragazzo cominciava a divenire ingombrante.”
“Oh! se tutte le persone che hanno qualche interesse a uccidere, uccidessero realmente, la terra sarebbe cosparsa di cadaveri!... Talvolta il vero assassino non fa che favorire i desideri di un altro... o di molti altri, signora... E in quanto al farvi sorvegliare, non mi sembra necessario. In nessun caso vi sarebbe possibile uscire da questa casa...”
La donna gli diede un’ultima occhiata.
“Non avrei mai creduto che i poliziotti in Italia avessero una tale... originalità di metodi.”
“Vi sembra proprio originale il mio metodo?”
“Mi sembra soprattutto pericoloso. Arrivederci, commissario!”
“Non ne dubitate, signora!” le disse De Vincenzi senza ironia e indicò una poltrona all’agente.
“Siedi, tu...”
L’uomo sedette. Era grassottello, pulitino e giovane. Si era sollevato le falde del cappotto prima di sedere. “È questo il luogo del delitto, dottore?”
De Vincenzi aveva cominciato a guardarsi attorno. La sua attenzione si era fissata all’armadio.
“Chiamalo il luogo del delitto, se vuoi.”
“Non vedo il cadavere, dottore.”
“Se ti volti, lo tocchi. Ti ci sei seduto davanti.” L’agente si volse. Vide il rigonfio del corpo sotto la coperta. Un poco arrossì e si alzò di colpo. Fece un sor-, riso goffo a De Vincenzi che l’osservava benevolmente, poi si allontanò dal letto e andò a sedersi - sulla poltrona più lontana, accanto alla porta.
“Hai paura dei morti?”
“Mi fanno una certa impressione, cavaliere!”
“E a me fanno sempre una certa impressione i vivi, invece!... Te ne accorgerai col tempo.” Aprì l’armadio e ne osservò l’interno per qualche minuto. “Vedi, per esempio. Dentro quest’armadio c’è stato un vivo... che non si è affatto preoccupato di rimettere in ordine i vestiti...”