6.

De Vincenzi vide il cadavere, vide Cristiana e vide l’orchidea. Ai cadaveri e alle donne era abituato -quante inchieste, e tutte con almeno un cadavere e sempre con molte donne, aveva ormai al suo attivo? -alle orchidee un po’ meno, per quanto invece le amasse assai di più. Così, il suo sguardo si arrestò più lungamente e con compiacenza sul fiore. Mostruoso fiore fatto di carne, nato dal limo in putrefazione, cresciuto in una atmosfera da tropico. Sentì lo sguardo della donna pesare su di lui, scrutatore e sospettoso. Conosceva bene quel modo di guardare che hanno le donne, quando sono messe nella necessità di temere e di difendersi. Sapeva che con una domanda improvvisa e inaspettata si può prendere di sorpresa un uomo; ma non si prende mai alla sprovvista una donna. Essa ha la menzogna facile, il diversivo pronto, la deviazione immediata. Si tolse dalla contemplazione del fiore e si volse verso il cadavere.

Il suo movimento fu così rapido ch’egli urtò contro Prospero O’Lary. L’ometto gli si era messo al fianco e lui non se n’era accorto. “Oremus,” dopo aver vacillato e incespicato, annaspò a tempo e si mantenne in piedi.

“Perdonatemi...” borbottò, tutto rosso in viso, e si aggiustò gli occhiali sul naso.

De Vincenzi aveva raggiunto il letto. Il giovane era stato strangolato: lo vedeva da solo. Ma a lui occorreva saperne molto di più e non poteva far altro che attendere il medico, che aveva fatto avvertire e che sarebbe giunto quando sarebbe giunto, col suo comodo. Da quanto tempo era morto? Proprio strangolato? Non che avesse dubbi al riguardo; ma il giovane non portava altre tracce visibili di percosse o di ferite, eppure era sano e sufficientemente robusto per potersi difendere; possibile che si fosse fatto uccidere senza lottare? Il volto gli apparve bello e volgare. Un’aria cinica e insolentemente sfrontata gli era rimasta anche dopo la morte.

“Chi è... chi era costui?” chiese, senza voltarsi, mentre osservava i vestiti del morto, che erano pretenziosi e di costo, la camicia troppo fine, di seta, il fazzoletto sgargiante che gli usciva dal taschino del petto.

“Valerio Tardini...” disse O’Lary.

“Oh! no... era Valerio soltanto... Basta dire Valerio...” La voce di Cristiana aveva risonato musicale, piena di ondulazioni cantanti eppure vibrante di ansia contenuta.

De Vincenzi si allontanò dal letto, si accostò alla donna seduta.

“Credo di comprendere, signora, ch’egli vi fosse caro?” Cristiana non potè sollevare le sopracciglia dallo stupore perché esse erano già due archi neri a mezza fronte, ma aprì smisuratamente gli occhi.

“Caro?... Ma no!... Valerio non era nulla per me. Non era nulla per nessuno... Valerio era adesso il mio segretario particolare, dopo essere stato il mio cameriere, il mio fattorino... Esso mi apparteneva... apparteneva alla Casa O’Brian...”

“Capisco...” fece De Vincenzi con voce soave. “Vi apparteneva come un oggetto... come un piccolo e grazioso animale domestico...”

Cristiana lo scrutò...

“Siete commissario di polizia, voi?”

L’altro chinò il capo.

“Come fate a sapere che mi apparteneva... proprio a quel modo?”

“Ho creduto che voi voleste farmelo capire. Ma perché lo hanno ucciso e perché proprio sul vostro letto?... Non è la vostra camera, questa?”

“La mia camera, commissario, e quello è il mio letto...

Perché lo abbiano ucciso non so... a meno che non lo abbiano fatto proprio per farmelo trovare sul mio letto!...”

Poteva interpretare quella risposta come una confessione o come una denunzia? Troppo presto! Non doveva precipitare le conclusioni; se c’era un “caso” in cui egli non doveva precipitare era quello. De Vincenzi sentiva l’insidia e il pericolo come il rabdomante sente l’acqua. E insidia e pericolo aveva sentito appena entrato in quella stanza... Con l’aggravante di un’atmosfera infida, percorsa da brividi gelidi. Ricordò di aver provato la medesima impressione, molti anni addietro, quando si era trovato alle prese col mistero dell’Albergo delle Tre Rose, in quell'interminabile notte d’incubo, cosparsa di cadaveri, allucinante. Fece mostra di non dar peso alle parole udite.

“Volete dirmi come si sono svolti i fatti?”

E si volse in giro, quasi la domanda non fosse stata rivolta a Cristiana. Si avvide allora che nella stanza c’era un’altra donna; Marta, infatti, si teneva appoggiata alla parete, presso l’armadio, e lo ascoltava e lo guardava avidamente, quasi volesse comprendere il meccanismo delle sue azioni e delle sue parole. Questa qui era una ignota per lui. Prospero O’Lary, mentre lo accompagnava in ascensore, gli aveva soltanto parlato di Cristiana O’Brian e del morto.

“I fatti?... Ma non ci sono fatti, commissario, o per lo meno ce n’è uno solo. Sono salita nella mia camera, ho veduto il cadavere e...” ebbe un sorriso di commiserazione per se stessa e di scusa, “... e credo di essere svenuta... Non mi era mai accaduto, commissario! Vi prego di credere che non mi era mai accaduto...”

“Lo credo, signora. Da quanto tempo mancavate dalla vostra camera?...”

“Ma... da molto tempo... Da questa mattina. La mia vita si svolge tutta in basso... al primo piano... nel mio studio e nei saloni... Non vengo qui su durante il giorno che per cambiarmi d’abito... e alla notte per dormire...”

“A che ora ci siete venuta, oggi?”

“Oh... so bene... Voi poliziotti volete sempre conoscere l’ora esatta di ogni movimento... come se, nella vita, uno che si muove tenesse conto dell’ora col cronometro!... Ebbene, saranno state le quattro, commissario. Vi dico le quattro, perché alle tre e mezzo è cominciata la sfilata dei modelli e io vi assistevo...”

“E ci siete venuta per cambiarvi d’abito?”

Non ebbe esitazioni: mentì di colpo,

“Precisamente! Ero stanca di vedermi con quest’abito rosso... Giù nei saloni ci sono molti specchi...”

“In questo piano abitate voi sola?”

“E madama Firmino...”

“Madama?”

“Firmino. È la mia direttrice artistica. Una francese di Antibes...”

“Si trovava con voi nelle sale?”

“No, era proprio quello il luogo dove non si trovava...” Marta finalmente si scosse.

“Madama Firmino era salita nella sua camera alle tre... Lei non assiste mai alle nostre sfilate... Dice che è uno spettacolo nauseante per chi ha creato i modelli... Poco dopo le quattro, ce la siamo veduta capitare in basso... Era in costume da bagno... coperta appena da una ve-” staglia...”

Attese che De Vincenzi l’interrompesse, ma lui si contentò di assentire con il capo come se la cosa gli fosse apparsa naturale; allora Marta spiegò:

“Madama Firmino fa la cura di sole artificiale... La cura dei raggi ultravioletti...”

- “Interessante...”

“Vi sembra? Ebbene, dalla sua camera aveva udito un tonfo, era accorsa qui e aveva trovato la signora Cristiana O’Brian svenuta in terra e... e...” terminò indicando col gesto il cadavere.

“Capisco!”

“Così almeno ci ha detto madama Firmino...” aggiunse Prospero O’Lary. “Ma che stesse facendo la cura di sole era proprio vero...”

“Lo avete dedotto dal suo costume?”

“L’ho dedotto dal fatto che aveva la faccia unta di olio...” affermò con disgusto “Oremus.”

“È conclusivo!”

Sì, i fatti potevano essersi svolti a quel modo... Per lo meno, era questa l’apparenza dei fatti, quell’apparenza che l’assassino aveva voluto creare. Ma, a ben considerarla,, essa non faceva che allontanarlo dall’assassino.

“E Valerio?”

“Valerio che cosa?” chiese Cristiana.

“Dove avrebbe dovuto trovarsi a quell’ora?”

“Ma dove voleva!... Valerio non aveva un orario... non aveva neppure un suo posto preciso... la sua camera, dove dormiva, è al secondo piano, dopo i laboratori... Lui poteva entrare, uscire, quando gli piaceva... Io ne avevo bisogno assai di rado e ad ogni modo non ne avrei certo avuto bisogno oggi, che è giornata di esposizione...”

“E nessuno di voi lo ha veduto, oggi?...”

“È venuto da me alle undici... Mi ha chiesto gli ordini. Non ne avevo ed egli se n’è andato... Da allora non l’ho più veduto...”

De Vincenzi si volse a Marta.

“Voi siete?”

“La direttrice...”

“Avete veduto Valerio, oggi?”

“L’ho veduto...”

“Dove?”

“Dove lo vedevo sempre... nella stanza delle indossatrici... Lui passava il suo tempo con quelle ragazze... le quali di solito non hanno nulla da fare...”

“A che ora?”

“Alle due... e poiché gli avevo proibito di entrare in quella stanza e oggi le indossatrici avevano molto lavoro, Valerio è scappato appena sono apparsa...”

“Dunque, alle due era ancora vivo. Saliva spesso, Valerio, a questo piano?...”

Ci fu una pausa di silenzio. Per la prima volta De Vincenzi senti che la sua domanda aveva incontrato una certa resistenza. Fino allora i suoi colpi avevano tagliato il vuoto.

“Vi ho detto che aveva la libertà di andare dove voleva...”

La voce di Cristiana era fredda, incisiva.

“Ma quale ragione poteva avere per venire qui? E nella vostra camera, poi?”

Prospero O’Lary si agitò; ma Cristiana lo prevenne: “Nessuno ha mai saputo che cosa quel ragazzo avesse nel cervello... Neppur io. La sua coscienza era piena di deviazioni... E alla fine chi vi dice, commissario, che egli sia stato ucciso in questa camera?..”

“Naturalmente...”

De Vincenzi guardava l’orchidea.

“Amate le, orchidee, signora O’Brian?”

Cristiana ebbe un brivido visibile.

“Le detesto... Anche quel fiore è stato -portato nella mìa camera senza che io lo sapessi... come il cadavere!”