25. GITA GARENA

 

De Vincenzi, naturalmente, non era matto. Andandosene in quel modo sbrigativo dalla casa dell'ineffabile ballerinetta americana, aveva voluto semplicemente guadagnar tempo. Ogni minuto contava, dal momento che attraverso i vetri della finestra di miss Llewellyn aveva notato che cominciava a piovere.

Se l'ipotesi che gli era balenata dopo il breve colloquio con Cobina de Kergorlay e davanti alle rose gialle di miss Llewellyn, corrispondeva a realtà, aveva a che fare con un criminale di una specie particolarmente pericolosa: il passionale cerebrale mosso da un impulso incoercibile e aberrante. Lo squilibrato lucido. Tutti gli omicidi sono opera di squilibrati. Quando poi il delitto è passionale, l'equilibrio psichico è profondamente turbato, anche se le azioni del soggetto si svolgono rigidamente secondo logica. E l'uccisione di Boldviski – come quella di Nicholson, del resto – era senza dubbio un delitto passionale.

La vista delle rose gialle portate dal fattorino con l'impermeabile e il cappuccio aveva prodotto in De Vincenzi, col lampo rivelatore, una vera scarica elettrica. Tutti i pezzi del giuoco di pazienza si erano messi a danzargli nel cervello con una sarabanda folle per andarsi a disporre di colpo al loro posto. Tutti quei pezzi tronchi, bizzarri, privi di significato si erano incastrati l'uno all'altro, formando un tutto logico, una figura precisa. Prove? No, non ne aveva alcuna e per di più ancora gli mancava di verificare vari particolari che, se fossero stati diversi di come glieli presentava la sua immaginazione, avrebbero fatto crollare tutto il castello della sua ipotesi. Ma era sicuro – avventatamente, illogicamente sicuro – di non sbagliare!

Ed ecco che per una maledizione, proprio quando nel suo spirito si era fatta la luce, la pioggia cominciava a cadere! Occorreva verificare i particolari mancanti: ma presto, se voleva immobilizzare il colpevole prima che si decidesse a colpire di nuovo per nascondere se stesso, per far scomparire, con qualche altra persona, gli indizi lasciati; soprattutto per chiudere il cerchio mostruoso prestabilito dalla propria aberrazione!

Indizi? Non aveva commesso alcun errore, l'assassino. Tranne uno, uno solo: ma enorme! Aveva lasciato le rose a qualcuno al quale non erano destinate...

De Vincenzi scese le scale della casa di via Brescia a precipizio. Far presto... E Roma è così vasta, Cinecittà tanto lontana...

Far presto, ma agire freddamente, con metodo, con prudenza. Una mossa falsa, e lui si sarebbe trovato un altro cadavere fra i piedi: forse più di uno.

Si fermò davanti alla porta di Sid Renier. Spinse il battente socchiuso. Sid, seduto davanti alla stufa e coi due gatti magri sulle ginocchia, sollevò il volto. L'agente, al rumore della porta era balzato in piedi.

"Quando avete fatto fare la chiave, Sid?"

L'uomo lo guardò e fece un gesto. Che importava tutto questo, adesso! "Me l'hanno consegnata tre giorni fa."

"Come avete fatto a trovare questo appartamento? Perché avete subito pensato all'opportunità di abitare nella stessa casa di Cobina de Kergorlay, se non sapevate ancora del documento?"

"Ma lo sapevo! Fu una delle prime cose che mi dissero, un mese fa! Che Cobina era la moglie di Boldviski e che Gita Garena era la figlia... di Lilli. Fu una sera a Cinecittà. L'Acidalia aveva già affittato il teatro 5 e la piscina, cominciavano i preparativi per il Cesare Borgia. Io volevo farmi scritturare da Boldviski... M'ero rivolto a Telma Zinger, che sembrava la più adatta ad aiutarmi essendo segretaria di produzione. Quella ragazza è comprensiva... Debbo a lei se Boldviski mi diede la parte di Menico Sanguigni... Fu lei che mi parlò di Boldviski e della de Kergorlay... È stata una vera sorella con me, e benedissi Iddio che mi aveva mandato un'anima buona a cui aprire il mio cuore..."

"Le manifestaste i vostri propositi?"

"Le dissi che, se davvero Gita Garena era la figlia di Lilli, avrei saputo costringere Boldviski a fare il suo dovere."

"Le parlaste della chiave?"

"Sì."

"Bene, Sid Renier." Si volse all'agente: "Vieni con me, tu..."

Il vecchio implorò: "Commissario!"

De Vincenzi sapeva quel che gli stava per chiedere. Non si fermò. "Come volete che io lo sappia, Renier? Ma lo saprò... e vi prometto di dirvelo... Per quanto non veda quel che potreste fare per lei, adesso."

Fuori dell'uscio parlò all'agente. "Prenditi una seggiola dalla portineria e siedi nell'atrio... Nell'atrio, capisci? Non dentro la portineria. C'è un uscio in fondo alle scale, che dà sul giardino... È di lì che ieri sera uscì la de Kergorlay, senza esser vista. Devi impedire che qualcuno entri dal portone o da quella porta... Chiunque sia, chiunque... intesi?"

"E se qualcuno esce?"

"Tranne Sid Renier, tutti possono uscire."

"E quando entrano... io li fermo... e poi?"

"Basterà che tu li fermi e li interroghi. La persona a cui io penso, quando si vedrà sorvegliata, capirà che non è possibile fare quel che vorrebbe, e tornerà indietro... Tu lasciala andare!" Scese al pianterreno. Passando davanti alla portineria, vide la testa rossa china sul tavolo. Lo scoiattolo non poteva proprio stare senza leggere!

Appena per la strada, si sentì il volto bagnato dalla pioggia sottile, che minacciava di cadere interminabilmente! Scorse un tassì che passava vuoto, lo fermò. "Via della Rosetta, numero 7. Fa' presto!"

E il tassì, pur facendo presto, fece a tempo proprio per miracolo!

L'atrio era stretto e breve: a neppure tre metri e mezzo dalla soglia del portone cominciavano i gradini della scala. A destra, in uno sgabuzzino senza finestre, un gobbo batteva sul deschetto il tacco di una scarpa da risuolare.

"La signorina Garena?"

Il gobbo alzò la testa. Un visuccio vizzo da vecchio bimbo; il naso aguzzo, gli occhi rossi, i capelli color della barba del granoturco. Squadrò De Vincenzi e brontolò con voce stridula: "E tre!"

"Che volete dire?"

"Che in manco un'ora siete il terzo a chiedere della signorina."

"Chi erano gli altri due?"

Storse la bocca. "Marameo... Che ve n'importa?"

De Vincenzi gli mostrò la placca di commissario. "Polizia."

Il gobbo diede un colpo di martello rabbioso sul tacco. "Mo' semo ar completo! E allora?"

"Ditemi chi erano gli altri due... E presto!"

"Er primo è stato un signore grasso e tondo, no' sgonfiatello pieno de sordi, perché è arrivato in macchina e m'ha rifilato cinque lire appena sceso. E poco fa è arrivato un fattorino con un mazzo de fiori..."

De Vincenzi si sentì prendere dalla vertigine. "Portava l'impermeabile e aveva il cappuccio?"

Il gobbo mandò un fischio. "Pe' Cristo! Ecché i questurini se so svejati? Come ce lo sapete? Ma guarda un po'! Quanno piove chi ce l'ha, se lo mette er cappuccio..."

"Lo avete visto ridiscendere?"

"Subito è ridisceso. E senza fiori..."

"A che piano?"

"Come?"

"A che piano sta la signorina Garena?"

"Ar seconno... Nun ve l'ho detto?"

Fece le quattro rampe di volo, e sul pianerottolo del secondo piano rimase un istante perplesso davanti alle due porte che si facevano riscontro nell'angolo. Ma vide sulla più vicina un nome ignoto e premette il campanello dell'altra. Aveva il cuore in gola.

L'attesa si prolungò per una quarantina di secondi, forse per un minuto; ma fu un minuto che contò nella vita di De Vincenti. Stava premendo di nuovo il bottone, quando tolse la mano di scatto: "Scusatemi."

Gita Garena gli sorrise: "Ero occupata e sono sola in casa..."

"Mi permettete di entrare?"

La ragazza si tirò in disparte. Dall'ingresso lo precedette subito in un salotto ammobiliato sommariamente, ma con gusto. L'impronta di una personalità era evidente. Pochi i mobili, ma artistici. Gita Garena aveva dovuto comperarli a uno a uno, a seconda che i suoi mezzi glielo permettevano, e le pareti vuote ne attendevano degli altri. Sotto la finestra c'era una tavola da disegno con un disegno a carbone incominciato. Ma per prima cosa, De Vincenzi vide un mazzo di rose carnicine e un piccolo involto elegantemente confezionato.

"Guardate i miei disegni, commissario? Prima che riuscissi nel cinema mi davano da vivere... Facevo figurini per le case di mode..." Si era appoggiata alla spalliera d'una poltrona e aveva piegato una gamba sotto di sé. Era una bella figliuola. Un tipo, a ogni modo, con qualche caratteristica orientale. I capelli neri si accordavano all'avorio denso della pelle e gli occhi erano di uno splendore che colpiva. Il corpo pieno, tutto curve dolci, aveva una mollezza e un abbandono seducentissimi.

"Guardavo quei fiori... e quella scatola. Permettete?"

Prese l'involto. Il cordone dorato che l'avvolgeva era già slegato. Aprì la carta. Era infatti una scatola ed era piena di canditi.

Lei lo guardava fare, un po' divertita e un po' meravigliata: un modo strano per procedere all'interrogatorio di un testimonio o di un sospetto!

"Cercate l'assassino tra quei dolci?"

De Vincenzi sussultò. "Non saprete mai come la vostra supposizione risponda a verità, signorina Garena! Immagino che voi ignoriate nel modo più completo il nome di chi vi ha mandato questi dolci e questi fiori."

"Proprio così! Siete stato voi?" Rideva, ma il riso le si spense sulle labbra, perché il volto di De Vincenzi era stranamente cupo e i suoi occhi febbrili non permettevano davvero che si pensasse a uno scherzo. "Perdonatemi! Ma come avete fatto a sapere che il donatore mi era ignoto? Li hanno portati poco fa e io stavo per aprire il pacchetto, sperando di trovarvi dentro una lettera o qualche cosa che me ne rivelasse la provenienza, quando voi avete suonato. Non c'è nulla, vero?"

"No, nulla... eppure tanto! Bisognerà che vi accontentiate di averli soltanto visti, questi dolci, perché li porterò via con me..."

"Non capisco, commissario! Davvero non capisco! Ma questo è il giorno delle sorprese per me, e sono pronta ad aspettarmi tutto e a credere a tutto..."

"Anche a credermi, se vi dico che questi canditi sono avvelenati?" Si rizzò, fece un passo verso di lui. Era pallidissima.

"È uno scherzo, vero?"

"No, non è uno scherzo."

"Ma perché? Perché? E chi mai può mandare proprio a me un veleno...?"

Si passò una mano sulla fronte. Vacillò. De Vincenzi fece a tempo a sorreggerla e a farla sedere. Lei si fece forza subito e gli sorrise. "Scusatemi! Di solito ho più coraggio. Ma la morte di Nicholson e quella di... Boldviski hanno già messo alla prova i miei nervi. Questa storia era già troppo orribile da sola, perché voi veniste a complicarne l'orrore con la vostra rivelazione... Siete proprio sicuro di quel che dite? È inspiegabile!"

"Infatti... Ma forse una spiegazione c'è, per quanto, quando la conosceremo, non farà che rendere più atroce la verità... Avete guardato bene colui che vi ha portato quei fiori e i dolci?"

"Guardato bene? No... Era un fattorino. Me li ha consegnati e se ne è andato. Io sono rimasta così stupita di trovarmi fra le mani un mazzo di rose, che non ho fatto neppure a tempo a chiedergli chi le mandava. Quando ho voluto farlo, il ragazzo era già scomparso giù per le scale."

"Un ragazzo, eh?"

"Ne ho avuto l'impressione..."

"Già!" Chiuse la scatola e se la mise in tasca. "Perché mi avete detto, signorina, che questo era il giorno delle sorprese, per voi?"

"Perché lo è!... Prima del fattorino avevo ricevuto la visita del signor Vernieri... Potete immaginare se sono rimasta meravigliata nel vedermelo davanti. Era stato lui a scritturarmi per l'Acidalia, voglio dire che avevo fatto il contratto con lui, dopo essere stata accettata da... Boldviski... ma lo conoscevo appena. Nessuna intimità, comunque, per giustificare una sua visita."

"E Vernieri?"

"È venuto a portarmi una notizia da mille e una notte... A comunicarmi qualcosa d'incredibile!" Parlava in fretta, con voce tesa, nella quale passavano vibrazioni di pianto. "Sembra... Sembra che io sia quasi ricca, adesso, sapete?" Scoppiò in singhiozzi e si prese il volto fra le mani.

De Vincenzi immaginava quel che poteva esserle venuto a dire il grasso e astuto Vernieri, a cui quell'indemoniato di Boldviski aveva evidentemente l'abitudine di affidare la sistemazione dei propri pasticci. Altrimenti, perché le avrebbero portato i dolci mortali? La guardò qualche istante. La ragazza adesso sollevava il volto.

"Finirete col credermi pazza, commissario... E lo diventerò davvero, pazza! Tutto si sta rovesciando su me così inaspettatamente..." Si asciugò gli occhi e si alzò. Si sforzava di sorridere. "Volete proprio che vi spieghi? Che vi dica come Boldviski fosse mio padre e come io, pur sapendolo, non mi fossi mai preoccupata di cercarlo? Era tanto lontano e io non avevo nessun desiderio di conoscerlo... dopo quello che mi aveva detto di lui la donna che mi ha allevata, e che era la padrona della casa dove mia madre morì, dandomi alla luce... Quando presi la determinazione di dedicarmi al cine, non supponevo neppure che Boldviski potesse venire in Italia e che io avrei lavorato con lui... Poi, naturalmente, una volta costituitasi l'Acidalia, poiché tutti parlavano della nuova società e di Boldviski, lo andai a trovare. Che volete? Per me voleva dire sistemarmi definitivamente... A Boldviski dissi chi ero e che sapevo chi era lui; ma gli dichiarai subito che non pretendevo nulla da lui come padre, e che non avrei mai fatto valere i miei diritti... Fui esplicita e sincera, commissario, credetelo! Lui lo credette, tanto che mi fece scritturare. Dopo quel giorno non lo avevo visto che di rado, per ragioni di lavoro e null'altro... Ed ecco che lo hanno ucciso, e che oggi Vernieri è venuto a comunicarmi che io sono la sua erede... E voi venite a dirmi che quei dolci contengono un veleno e mi salvate la vita, se è vero quel che dite... Non c'è da piangere e da ridere assieme? Pazzesco!"

De Vincenzi capì che, pur riuscendo a dominarsi, Gita Garena era allo stremo delle forze. Perbacco! Poche donne avrebbero resistito fino a quel punto. "Ascoltatemi, signorina! Romanzo o non romanzo, adesso bisogna che voi lo viviate. Ed è altrettanto necessario che lo viva io, fino in fondo. Qualcuno ha ucciso Boldviski e Nicholson... Questo qualcuno sapeva evidentemente chi siete voi, e ha interesse... o forse, anche senza avere un interesse, ha la determinazione di uccidere anche voi. Di questo io sono convinto e occorre che agisca. Per farlo, debbo andarmene di qui. Ogni minuto è prezioso... Mi promettete di osservare scrupolosamente le istruzioni che vi darò adesso? Di fare soltanto quel che vi dirò?"

Gli occhi di Gita si erano spalancati. In lei – messa brutalmente davanti a una atroce realtà – si cominciava a svegliare la coscienza del pericolo corso. "Ma voi sapete chi è l'assassino?"

De Vincenzi eluse la domanda. "Per ora, signorina, io so soltanto chi non è l'assassino. È già molto, credetelo. Farete quel che vi chiedo?"

"Sì," rispose Gita Garena. Ma la voce le si spense sulle labbra, e svenne.