18. BLANCA VERTUA

 

Sullo stesso piano, nell'altro braccio del corridoio, trovò la camera 148.

Blanca Vertua lo attendeva. Aveva indossato un abito di seta nera, assai semplice, con un collettino bianco. Seduta nella poltrona, la ragazza appariva affranta. Nessuna posa in lei: il suo dolore era sincero e profondo. Il suo volto privo di trucco – appena appena un po' di rosso alle labbra – recava le tracce delle lacrime. Quando vide il commissario tentò di alzarsi e ricadde nella poltrona.

"Avete trovato l'assassino?" La domanda suonò inespressiva. Evidentemente, era stata formulata senza speranza, quasi senza interesse, tanto per dir qualcosa. Indicò una seggiola a De Vincenzi e attese, guardandolo. Nei suoi grandi occhi, una tristezza cupa.

De Vincenzi sentì la sofferenza di quell'interrogatorio. Gli sarebbe stato necessario rivolgerle domande traforanti, che certo le avrebbero acuito il dolore. Per un istante, ebbe l'impulso di formulare qualche frase di condoglianza, e poi andarsene. Fece forza a se stesso e sedette. "Voi avete creduto che mi sarebbe stato facile trovarlo, l'assassino?"

Blanca Vertua scosse la testa. "Perché avrei dovuto crederlo?"

"Non immaginate chi possa aver messo il veleno nel boccale?"

"Chi?" E spalancò gli occhi come davanti a una visione d'orrore.

"Nicholson non aveva nemici? Nessuno che lo odiasse?"

"No, non credo... non so..." Due lagrime le scesero per le gote. Teneva le mani abbandonate sulle ginocchia, il busto rilassato.

"Da quanto tempo lo conoscevate?"

"Ci siamo conosciuti all'Acidalia Film. Un mese fa. Set era appena arrivato dalla Francia... L'ho amato subito, forse prima che anche lui mi amasse. Fu come la rivelazione per me di un mondo nuovo. Era la prima volta che mi accadeva. Ma voi non potete comprendere."

De Vincenzi comprendeva. O si ama a quel modo o non si ama. Lui non credeva all'amore frutto di ragionamento, che proviene dall'abitudine. Così si creano le amicizie, si stringono nodi di affetto. Ma non è amore. Ebbe uno slancio di simpatia umana per quella creatura, a cui il dolore toglieva ogni vanità femminile. "Vi comprendo, invece."

Seguì un silenzio. De Vincenzi dovette romperlo. "Vi consolerete. Siete giovane."

Uno sguardo scorato. Disse semplicemente: "Non mi sarà possibile amare un'altra volta."

"Sapete che anche Boldviski è morto?"

Si scosse. Ebbe un fremito. "Boldviski morto? Perché?"

"Lo hanno ucciso. Una pugnalata."

"Oh!" Si coprì gli occhi con le mani. Singhiozzava, senza piangere. Era sull'orlo di una crisi nervosa.

"Su, su, signorina!" De Vincenzi quasi gridava. La sua voce s'era fatta dura. Non ebbe il coraggio di percuoterla, per quanto sapesse che soltanto colpendola al volto le avrebbe impedito di svenire o di cadere in convulsioni. Si alzò. Vide un bicchiere e una bottiglia. Riempì il bicchiere d'acqua. "Bevete!"

Blanca si portò il bicchiere alle labbra. De Vincenzi sentì il rumore del vetro contro i denti. Un po' d'acqua le cadde sull'abito. Ma la crisi era scongiurata.

La guardò in viso, ed ella gli chiese, "Quando?" I suoi occhi mutevoli, azzurri o violacei, esprimevano sgomento; assai probabilmente, paura. Erano gli occhi di un gatto che soffre.

"Prima che Nicholson fosse morto. Boldviski è stato pugnalato tra le quattro e le cinque pomeridiane di ieri."

"Oh!" Si fece rigida, tesa. La paura prese in lei connotati visibili, precisi.

"Dove?"

"In casa di Cobina de Kergorlay."

Un lampo. Ma questa volta non di spavento. Forse, di comprensione. "Sua moglie!"

"Lo sapete?"

"Sì..." Si lasciò ricadere; le palpebre le si abbassarono. Una grande stanchezza. "Lo so..."

Un altro silenzio. Eppure occorreva continuare. "Cercate di trovar la forza per dirmi come lo sapete. Da quanto tempo conoscevate Boldviski?"

"Da quando mi scritturò per il Cesare Borgia. Poco più di un mese."

"E allora?"

"Boldviski si era incapricciato di me. Una cosa mostruosa, che mi ha contaminata. Voleva sposarmi."

"Ve lo propose?"

"Sì, e mi disse che Cobina de Kergorlay era sua moglie. Ma ne rideva, ferocemente... Aveva un suo modo di ridere che dava i brividi. Mi disse che l'aveva sposata in America, ma che quel matrimonio non aveva alcun valore per lui; l'avrebbe obbligata ad andarsene lontano, e dopo avrebbe potuto sposare me con tutta tranquillità, senza pericolo. Un orrore, vi dico!"

"E voi?"

"Io presi tempo. Non potevo fare altro. Un rifiuto lo avrebbe reso folle di collera, e le sue collere erano pericolose. Mi ripromettevo di mettere in guardia la signora Cobina; avrei tentato di farmene un'alleata..."

"Le avete parlato?"

"No. Vi ho già detto che con Boldviski prendevo tempo."

"Sapevate che Assia Paris era sua figlia?"

"No!" Uno sguardo smarrito. L'abisso le appariva a ogni momento più pauroso.

"Avevate avvertito Nicholson?"

"No, no! No, vi dico! Mi credete?" Aveva trovato la forza di gridare, quasi. Questa era dunque la sua paura, da quando aveva saputo che il regista era stato ucciso prima che Nicholson fosse morto.

"Naturalmente. Ma Nicholson doveva avere immaginato."

"Perché? Se io lo amavo! Lo sapeva, ne era sicuro."

Un sorriso dolce di De Vincenzi. Un altro sguardo smarrito di lei.

"Fu Boldviski a proporvi la parte di Lucrezia Borgia?"

"Sì, lui. Del resto, era la più importante del film..."

"Sapete se c'era qualche altra donna che aspirava a quella parte?"

"Oh, naturalmente."

"Ma qualcuno in modo preciso?"

"Un giorno incontrai nello studio di Boldviski..."

"Aveva uno studio?"

"Una stanza gli era riservata alla sede dell'Acidalia, in piazza Nicosia. Ma lui evitava il più possibile di andarvi. Lavorava sempre qui, in albergo."

"Ebbene?"

"C'era una donna nel suo studio, un giorno. Una bionda, molto bella, un tipo, un'americana... Boldviski me la presentò e, quando se ne fu andata, mi disse: vuole fare Lucrezia! Caienni vorrebbe impormela, ma Lucrezia la devi fare tu..."

"Il nome, lo ricordate?"

"Llevellin... mi sembra, o qualcosa di simile."

Mary Llewellyn... il minuetto di Scarlatti... Ma dunque, l'amico che le aveva insegnato l'italiano sarebbe stato Caienni?

De Vincenzi chiese rapidamente: "Che farete adesso, signorina Vertua?"

"Non so... non so pensare a quello che farò."

"Ve l'ho detto! Siete giovane, ritroverete la forza di vivere. La vostra arte vi aiuterà. Credete nella vostra arte? Bisogna crederci! Coraggio!"

Un inchino. La ritirata fu frettolosa. Gli sembrava di aver commesso una crudeltà. E l'avere scoperto che la danzatrice della Taverna di Costantino era forse l'amica di Giucé Caienni gli aveva aperto la mente a ipotesi di ogni genere.