20. L'ALIBI DI GIUCÉ E LA CONFESSIONE DI MIKE
Il 54 veniva prima del 52, sul corridoio. Ma De Vincenzi picchiò al 52. Non voleva vedere Caienni, in quel momento. Non prima, comunque, d'aver parlato a Vernieri. Invece, li trovò tutti e due nella camera di Micheluccio.
Vernieri era rosso in volto e sbuffava. Caienni, con quel suo pallore grigiastro, non appariva più movimentato del consueto. Così pieno di tic nervosi com'era sarebbe stato difficile precisare il grado d'intensità della sua agitazione. Dovevano avere avuto una discussione, a giudicare dalle apparenze.
Micheluccio corse incontro a De Vincenzi. "Ci avevano detto che eravate in albergo, commissario! Questa notte abbiamo lasciato Cinecittà prima che voi terminaste gli interrogatori. Avete scoperto qualche cosa?"
"Non potevo scoprir nulla a Cinecittà!"
Il tono brusco di lui arrestò la foga dell'altro, che tacque, continuando ad ansare.
"Vi disturbo?"
Caienni protestò: "E se anche ci disturbaste? Voi non ve ne andreste, no? Stavamo cercando di trovare un modo per riparare alla meglio il disastro... Una tegola di questo genere rompe la testa! Nicholson e Boldviski! Ma soprattutto Boldviski! Come lo sostituiremo? Nessuno lo può sostituire!" Gli si avvicinò, gli cacciò la mano sotto gli occhi: "Lo sapete quanto è costato il Cesare Borgia? Due milioni! Due milioni tondi. E in preventivo ce ne sono altri tre, per la maggior parte dei quali abbiamo preso impegni tassativi... Un disastro..." Si allontanò e andò ad appoggiarsi al caminetto.
Vernieri disse: "Sedete, commissario... Non è affatto vero che ci disturbiate. E più presto questa storia sarà finita, più presto potremo far qualcosa per riprendere il lavoro..."
"Quale lavoro vuoi riprendere, senza Boldviski? Liquidare e andarcene dovremo. Nient'altro da fare!"
De Vincenzi sedette, li guardò qualche istante, poi disse con soavità: "Anche a Los Angeles, mi sembra, liquidaste e ve ne andaste! O forse non liquidaste neppure, vero?"
Il rossore di Vernieri si fece apoplettico. L'altro fece un salto e ricadde senza fiato. Seguì un silenzio.
Caienni ritrovò per primo la forza di parlare, e lo fece d'impeto, quasi urlando, per dar l'impressione che avesse taciuto tanto tempo perché strangolato dall'ira. "Cosa volete insinuare? Noi da Los Angeles ce ne siamo andati quando c'è piaciuto. Non avevamo da render conto a nessuno!"
La voce di De Vincenzi si fece ancor più soave. "Neppure agli azionisti? Neppure ai clienti della banca?"
"Che cosa sapete voi? Chi vi ha detto... Andate al diavolo!" Fece un gesto violento e si mise a passeggiare per la stanza.
Vernieri sembrò essersi ripreso e volle intervenire. "Siedi, Giucé! Parliamone tranquillamente. Il commissario deve esser stato male informato, tocca a noi illuminarlo! Ma siedi, dunque!" Si alzò, andò ad afferrare Caienni per un braccio, lo spinse verso una poltrona e ve lo gettò con uno spintone, "Uff! Devi esser sempre tu, col tuo impeto cieco, a rovinar tutto!"
Gli occhi di Caienni mandavano lampi. Si passò una mano sulla barba, a più riprese, violentemente, quasi volesse strapparsela. Se non fossero stati quei suoi sguardi pieni d'odio, sguardi di belva presa al laccio, avrebbe fatto ridere come uno spaventapasseri.
Micheluccio gli diede un'ultima occhiata, alzò le spalle e si avviò verso De Vincenzi. "Suvvia, commissario, compatitelo! Tutta la colpa è delle sue glandole endocrine..." E rise, affettando una gaiezza che contrastava con la preoccupazione visibile del suo volto. "Vi hanno informato male, ecco tutto... E non vi chiediamo neppure chi sia stato. Siamo superiori, noi, a certe cose." Faceva il bravo ragazzo, pieno di comprensione e di indulgenza. "Ma, in sostanza, che cosa vi hanno detto?"
De Vincenzi gli sorrise e scosse la testa. "Lasciamo stare, per ora. La mia è stata una anticipazione involontaria. La verità è che il Procuratore Distrettuale di Los Angeles non ha ancora risposto al nostro telegramma. Parleremo di questo, quando quella risposta sarà arrivata." Non aveva telegrafato a nessuno, naturalmente, sebbene si ripromettesse di farlo appena tornato in Questura; ma non rischiava niente a parlare a quel modo. Il colpo raggiunse il segno.
Micheluccio emise un gemito da agonizzante, e dovette sedersi, perché le gambe non lo reggevano più; in quanto a Giucé, ogni sua tracotanza era sparita di colpo e i suoi sguardi s'eran fatti smarriti. Smarrimento breve, del resto: quando parlò, De Vincenzi ebbe la misura del suo sangue freddo e della padronanza che aveva su se stesso. "Tutte queste sono chiacchiere, commissario. Voi state perdendo il vostro tempo. Los Angeles e Hollywood sono lontani e non hanno nulla a che fare con la morte di Boldviski e di Nicholson."
"È vero! Vi ho già detto che la mia è stata una anticipazione involontaria. Parliamo, invece, di quel che è accaduto ieri e questa notte. Dove eravate voi, dottor Caienni, ieri dalle quattro alle cinque del pomeriggio?"
"Io? Dov'ero? Ma credereste, forse..."
"Non credo nulla, ve lo assicuro! Che cosa potrei credere, per ora? Sono venuto appunto qui per cominciare a credere a qualcosa; se voi sarete così cortesi da rispondere alle mie domande..."
Caienni smozzicò un'imprecazione fra i denti, ma si padroneggiò ancora una volta. "Dov'ero ieri alle quattro del pomeriggio? Vediamo un po'... Alle tre e mezzo uscii dalla sede dell'Acidalia, in Piazza Nicosia, presi un tassì e mi feci condurre all'Aragno, dove avevo un appuntamento d'affari... che del resto andò all'aria, perché colui che dovevo incontrare mi telefonò al caffè facendomi avvertire che gli era impossibile raggiungermi... Rimasi all'Aragno fino alle cinque, credo, minuto più minuto meno, e quindi con un altro tassì mi feci condurre a Cinecittà, dove alle sei Boldviski doveva cominciare a girare."
"Non avete un'auto vostra, signor Caienni?"
"Sì che ce l'ho! Ma proprio ieri mattina l'autista ha dovuto portarla in rimessa per una riparazione."
"E non vorreste dirmi con chi dovevate trovarvi all'Aragno?"
"Non credo che ve lo dirò, commissario. Mi sembra inutile."
"Infatti, per ora è inutile. E voi, signor Vernieri, dove eravate?"
Alla domanda, che pure doveva attendersi, Micheluccio si turbò in modo così pietoso da riuscire quasi incomprensibile. "Ma perché diavolo... Insomma..." Balbettava: lo si sarebbe detto sui carboni ardenti.
Il suo turbamento era eccessivo anche per un assassino, pensò De Vincenzi. Chi ha avuto il sangue freddo di uccidere Boldviski nel modo con cui l'ha ucciso, deve essersi preparato un alibi, non può smarrirsi a questo punto. Caienni stesso fissava il socio con evidente stupore.
"Signor Vernieri, la mia domanda non implica alcuna accusa... Dirmi dove eravate ieri dalle quattro alle cinque non significa necessariamente che voi abbiate bisogno di un alibi o che io lo creda. Ve l'ho detto: cerco soltanto di situare al loro posto i vari pezzi di un giuoco di pazienza. Sono convinto che soltanto con la pazienza arriverò a conoscere il nome dell'assassino, o degli assassini."
"Che cosa dite? Voi ammettete dunque che due persone diverse..." Caienni si rivolgeva a lui quasi con cortesia, adesso. Si sarebbe detto che quell'ipotesi lo riempisse di tale stupore, da fargli dimenticare la sua collera.
"E voi?"
"Oh! Non è logico! I delitti sono strettamente collegati. Nicholson è stato avvelenato dalla stessa persona che ha ucciso Bold! Non si può supporre..."
"Che cosa non si può supporre, signor Caienni?"
"Che un uomo di buon senso ammetta l'assurdo di due assassini distinti nello stesso giorno, dentro il cerchio ristretto di poche persone... Eh, via... la coincidenza sarebbe straordinaria."
"Le coincidenze sono sempre straordinarie!"
Giucé lo guardò, stava per insistere, finì coll'alzare le spalle.
De Vincenzi non diede scampo a Vernieri. "Signor Vernieri, se voi mi aiutaste un poco, si perderebbe anche meno tempo. E Dio sa quanto il tempo mi sia prezioso in questo momento!"
Micheluccio sbottò, finalmente. "Ma santo Cielo! Non capite che quando io vi avrò detto dove mi trovavo ieri alle cinque, voi mi crederete l'assassino di Boldviski? Non capite che non voglio... che non posso mentire... perché voi controllereste le mie affermazioni... e d'altra parte la verità è tale da accusarmi?"
"Ma che dici, Mike?"
"Lasciatelo dire, signor Caienni. Vedrete che tutto si chiarirà. Dunque, voi ieri alle cinque..."
"Sì, alle cinque salivo le scale della casa di Cobina de Kergorlay. Perché vi andavo? Perché Boldviski mi aveva chiesto di recarmici. Aveva bisogno che intervenissi per indurre Cobina, sua moglie, a lasciare l'Italia. Avrei dovuto assicurarle una pensione... Impegnarmi io a versargliela... Non potevo negare questo a Boldviski, dato che lui aveva minacciato di andarsene, di abbandonare l'Acidalia da un giorno all'altro, se Cobina avesse continuato a stargli accanto. E d'altra parte i denari che avrei dovuto versare alla signora erano di Boldviski, lui mi aveva autorizzato a trattenerli dal suo stipendio."
"Ma io non sapevo nulla di tutto questo, Mike!"
"E che importa? Non ho avuto il tempo e il modo di dirtelo. Lo avresti saputo, o presto o tardi, e il fatto in se stesso non poteva interessarti."
"E allora?" De Vincenzi sentiva che non bisognava dar tempo a Vernieri di riflettere. E peggio sarebbe stato, se a farlo riflettere era Caienni! "E allora?" insisté. "Alle cinque Boldviski era morto, se Cobina de Kergorlay non ha mentito."
"Io sono entrato nel portone alle cinque e qualche minuto. Avevo lasciato la macchina in piazza Fiume, perché non volevo che l'autista vedesse dove mi recavo."
"Non capisco..."
"Cobina de Kergorlay è la madre di Assia Paris. Tutti lo sanno, e il mio autista è anche meccanico, e come tale aiuta gli operatori dell'Acidalia. È amico di tutti e si trova a contatto con gli attori..."
"Volevate salvare la reputazione di Assia Paris, signor Vernieri?"
Micheluccio non colse l'ironia. "Volevo che non si facessero pettegolezzi sul mio conto. Sono salito al terzo piano e ho suonato alla porta di Cobina. Inutilmente. Ho suonato più volte... Dopo qualche minuto, vedendo che nessuno m'apriva sono ridisceso. Ho pensato che Boldviski avesse rimandato la sua visita, senza fare in tempo ad avvertirmi."
"La porta della signora de Kergorlay era chiusa?"
"Naturalmente!"
Allora colui che l'aveva lasciata aperta doveva essere penetrato nell'appartamento dopo le cinque. A meno che Vernieri non mentisse, confessando soltanto una parte della verità nel timore che l'autista parlasse della gita a piazza Fiume. "Ne siete sicuro?"
"Diavolo! Sospettate che io..."
"Non sospetto nulla!" De Vincenzi s'era alzato. "È inutile, del resto, ch'io vi dica quel che sospetto. Chiedo scusa per il disturbo, ma temo che dovrò darvene ancora." Si diresse alla porta. In quel momento squillò il telefono. Caienni si gettò sull'apparecchio, mentre De Vincenzi si voltava ad attendere.
"È per voi, commissario."
Era la Questura Centrale. D'Angelo lo avvertiva che soltanto in quel momento aveva potuto avere il rapporto del Gabinetto Chimico con l'analisi del liquido contenuto nella bottiglia e nel boccale. "Ve lo porto subito, cavalié!"
"No. Apritelo e leggetemene le conclusioni."
Le conclusioni erano nette: arsenico in fortissima dose nel boccale; nessuna traccia di veleno nella bottiglia. De Vincenzi se lo fece ripetere due volte, poi depose il cornetto, senza neppure rispondere al saluto del vice-commissario. Altro che sistemare al loro posto i pezzi del giuoco di pazienza! Tutto da rifare, adesso! Dal momento che la bottiglia era innocua, il veleno doveva esser stato versato nel boccale dopo le dieci di sera, vale a dire dopo che Telma Zinger lo aveva riempito col vino di Malaga.
E questo De Vincenzi, adesso che aveva visitato la camera di Vassilli Boldviski, non avrebbe voluto crederlo!