17. LA CAMERA DI BOLDVISKI

 

Dentro l'ascensore, De Vincenzi si disse che le reazioni delle persone messe bruscamente alla presenza della polizia sono sempre molto curiose. Nessuno è talmente puro da non avere il subcosciente in agitazione non appena si sente interrogato da un rappresentante della legge. E che il portiere dell'Excelsior – per quanto nulla sapesse ancora di lui – fosse insolitamente puro, De Vincenzi non aveva alcuna ragione per ammetterlo, sicché si chiedeva quali potevano essere state le sue reazioni sotto quella maschera di ossequiosa impassibilità. Certo, quell'uomo non aveva nulla a che vedere con l'assassinio di Boldviski e di Nicholson, eppure aveva sentito il bisogno di fingere non appena si era accorto di avere a che fare con un poliziotto. Il ragazzo verde e oro vide con meraviglia che il commissario sorrideva a se stesso.

Nessuna scossa, e l'ascensore s'era fermato.

Il ragazzo precedette il commissario per il corridoio bianco e si fermò davanti a una porta che recava il numero 540 in metallo argentato. "Questa è la camera del signor Boldviski."

Un uomo sorse come per incanto, sbucando dal fianco di un grande armadio, e si affrettò a mettersi fra l'uscio e i sopravvenuti.

"Siete l'agente di guardia? Sono il commissario De Vincenzi. Apritemi quella porta."

L'agente salutò e girò la chiave, dando quindi un colpo al battente, che si spalancò.

"Non ho più bisogno di te."

Il ragazzo snocciolò d'un fiato: "La camera della signorina Vertua è al secondo piano, numero 148. Quella di miss Wirtz al primo piano, numero 76. Sullo stesso piano sono le camere dei signori Vernieri e Caienni, numeri 52 e 54."

"E la camera di Nicholson?"

"Numero 177, secondo piano."

"Grazie."

Il ragazzo non si muoveva e fissava De Vincenzi.

"Ebbene?"

Ebbe un sorriso malizioso: "E vi ricorderete tutti i numeri?"

Infatti! Se li segnò sul margine di un giornale – i suoi appunti li prendeva sempre a quel modo – ed entrò.

La camera era quasi spoglia. Il letto, un grande tavolo, una poltrona. Evidentemente, il regista aveva fatto portar via i mobili che gli erano sembrati superflui. Persino l'armadio mancava, mentre erano rimasti sulla parete a fiorami chiari i lunghi segni quasi neri, lasciati dalla permanenza del mobile contro di essa. In terra un baule aperto e due valigie, pure aperte. Sul tavolo molte carte e qualche libro.

De Vincenzi si avvicinò al tavolo. Diede un'occhiata alle carte. Erano appunti presi su fogli volanti. Alcuni si riferivano al lavoro preparatorio del Cesare Borgia. De Vincenzi, dopo la prima occhiata, sedette e si mise a far passare i fogli con attenzione. Senza dubbio, quelle note erano interessanti; al punto da farlo cadere di colpo in una tormentata perplessità.

In una nota gettata giù d'impeto, in francese, il regista aveva scritto: Je me flatte d'être le plus désagréable de tous les metteurs en scène de cinéma. J'abuse de mes gens. J'insulte les femmes. Je les traite tous comme s'ils étaient des esclaves...

Una professione di fede e una confessione abbastanza ciniche. E Boldviski continuava, facendo un quadro desolante degli attori, a cui negava ogni intelligenza: Quand ils doivent penser au film, au scénario, au caractère de leur rôle, c'est à la camera qu'ils pensent, au public qui les verra et ils présentent le meilleur cóté de leur visage. Puah!... E affermava: Et je travaille des jours entiers à rendre les gens souples et à en faire des marionettes obéissantes et soumises!

Un altro appunto si riferiva direttamente a Nicholson: Nich. N'est pas acteur. Je le sais depuis longtemps, mais il est phisiquement le type idéale de ce rôle et je pense qu'à force de volonté j'arriverai à créer ce que je rêve... surtout dans la scéne de l'agonie...

De Vincenzi si era fatto pensieroso. Fissò la finestra dinanzi a sé e si abbandonò a una lunga meditazione. Quando si scosse, cominciò a esaminare i volumi sparsi sul tavolo, in terra, dentro le valigie. Non erano molti, ma erano in compenso sorprendenti.

Vide: Il Grimoire di Onorio, l'Hexameron di Torquemada, il Quadro dell'Incostanza dei Demoni di Delancre, le Disquisizioni Magiche di Delrio, gli Acta et scripta magica di Hanber, il Malleus maleficorum di Sprenger e persino una Kabbalah in arabo.

Possibile che Boldviski fosse un invasato dell'occultismo e della magia nera? A giudicare da quei volumi la risposta non poteva essere dubbia. Finalmente, in fondo a una delle due valigie, De Vincenzi trovò un ultimo volume, che sfogliò rapidamente e che finì per mettersi nella tasca del pastrano.

Adesso, appariva francamente turbato. Mormorò: "È pazzesco! Questa volta la mia fantasia mi gioca un tiro atroce!"

Uscì in fretta dalla camera, la richiuse a chiave.

"Bisognerà che tu rimanga di guardia a quella porta ancora tutto il giorno. Questa sera verrò io a liberarti."

L'agente ebbe un gesto: "Non è un servizio pesante, cavaliere!" E indicò la poltrona che s'era fatta mettere accanto all'armadio, in un riposante cantuccio.

Quasi la fortuna volesse far comprendere a De Vincenzi che non doveva aspettarsi troppo da lei, la camera di Nicholson non gli offrì il più piccolo indizio illuminante. Qui i mobili dell'albergo c'erano tutti – dorati, pesanti, intagliati e sbalzati – e per di più c'era una profusione di ninnoli e di soprammobili, e sparso per l'aria un fortissimo odore di acqua di colonia e di tabacco aromatizzato. Un baule di pelle gialla, molte valigie. Ma neppure un libro, neppure una carta. Nei cassetti biancheria di lusso, cravatte, calze di seta. Sul tavolo il sottomano di pelle dell'albergo si mostrava immacolato; e null'altro c'era che un vaso di fiori, un orario ferroviario internazionale e la fotografia di Blanca Vertua in cornice d'argento.

Quand'ebbe visto una grande scatola di sigarette mezza vuota, una bottiglia di cognac e una di assenzio con un bicchiere munito di graticoletta d'argento per il ghiaccio, e n'ebbe dedotto che l'attore fumava molto – i portacenere erano colmi di cenere e mozziconi, per quanto dovevano evidentemente essere stati puliti alla mattina e quindi riempiti a quel modo nelle poche ore del pomeriggio che Nicholson aveva trascorse in albergo prima di recarsi a Cinecittà – e beveva volentieri, De Vincenzi si disse che quella camera gli aveva rivelato tutto quanto poteva.

Uscì e diede ordine all'agente di tornarsene in Questura. Nessun bisogno di continuare il piantonamento alla camera di Set Nicholson, uomo senza mistero. La camera dei misteri era un'altra... o lui stava per prendere uno dei più fenomenali granchi della sua vita!