8. PSICOLOGIA

 

"Bene. I fatti sarebbero questi, se nessuno mi ha mentito..."

In piedi, De Vincenzi guardò attorno a sé i presenti, a uno a uno. (La madre... È lei il fulcro del dramma? Quel giovanotto si trovava qui per proteggerla, lei deve aver chiesto il suo aiuto. Ma non è l'assassina. Tutta la sua preoccupazione è che io non mi preoccupi della figlia. Sperava persino di potermene nascondere l'esistenza. Bisogna ridarle la calma, farla parlare con sincerità. Ma è poi capace d'esser sincera, quella donna? E perché io sono sicuro che non è l'assassina?)

Cobina seduta sul divano era marmorea. Tanto più impassibile, quanto più affranta. Dentro di sé aveva la rovina. (Come ho fatto a non pensare che la portinaia avrebbe parlato di Assia? Che avrebbe detto di averla veduta entrare alle una e uscire con me, dopo il delitto? Ho detto che Assia è mia figlia... adesso dovrò dir tutto il resto... tutto!)

Vergolli le era seduto accanto. (Questo commissario è pericoloso! Appartiene alla categoria degli artisti. Procede negli interrogatori come se ricamasse: un punto dopo l'altro, con leggerezza. Ascolta, dando l'impressione di non udire. Arriverà dove vuole. Ma dov'è che vuole arrivare? Ha mostrato di non dare alcuna importanza alla presenza in questa casa di Assia, all'esistenza di Assia. Non ha neppure messo in rilievo che Assia non è qui, con sua madre. Di me, s'infischia allegramente. Ha subito capito che mi trovo in mezzo a questo pasticcio come l'asino tra i buoi...)

Il vicecommissario D'Angelo sbadigliava; oltre tutto, sentiva gli stimoli della fame. Erano le ventuno passate, ormai. Ne avremo per tutto la notte! Ci mancava che arrivasse proprio oggi da Milano il nuovo commissario! Lo sapevo che sarebbero cominciati i guai... Mica ha fretta... Ah, che vita!)

"C'è un telefono nello stabile?"

"C'è un telefono nella mia camera da letto..."

"Grazie, signora."

De Vincenzi non era entrato nella camera da letto; aveva dato appena un'occhiata al cadavere, non aveva fatto perquisire l'appartamento e le persone. Il maresciallo, dal suo angolo, lo aveva guardato dimenticare tutte quelle azioni per lui fondamentali, con un blando sorriso di disapprovazione.

"Maresciallo!"

"Comandate, cavaliere."

"Andate a telefonare all'obitorio, che mandino a prendere il cadavere, subito! E che il dottore si affretti..."

Il vicecommissario D'Angelo intervenne. Con voce soave, come gli consigliava il suo nome e gli imponeva il rispetto gerarchico: "Cavaliere..."

De Vincenzi fece una smorfia. Cominciavano a dargli sui nervi con quel titolo. A Milano tutti sapevano che non voleva esser chiamato cavaliere.

"Cavaliere, non si può rimuovere il cadavere, prima che il giudice abbia dato il nulla osta!"

"Si può, invece, dal momento che il giudice non sarà qui che tra qualche ora, se non addirittura domattina. Me ne assumo io la responsabilità. Andate, maresciallo." (Grane, eh! Occorre filar diritti. Ma il peggio che mi può capitare è che mi rimandino via da Roma, ed è proprio quello che voglio. Mentre non voglio affatto che la presenza del morto produca una crisi di nervi a questa signora. L'unica mia speranza è che lei si convinca a parlare.)

Un silenzio. La pendola sulla consolle scandiva i secondi con battiti regolari, come se respirasse.

La portinaia guardava il vaso di fiori in mezzo alla tavola, con occhi allucinati. (Perché lo hanno ammazzato? Sono state le due donne a fargli la festa... Che strana gente! E quella americana si è messa a ridere, quando le ho detto che il commissario sarebbe andato a trovarla: "Un morto? Perché un morto? Io debbo suonare!" Stanotte, quando mio marito tornerà dal suo servizio allo Scalo Ferroviario, dirà che sono stata io a far succedere tutto questo pandemonio. Lui dà sempre la colpa a me di quel che accade...)

De Vincenzi guardò i capelli rossi della portinaia. (L'ambiente... E non siamo che al principio. Debbo ancora conoscere il morto! Chi me lo farà conoscere?)

"Ho telefonato, commissario. Saranno qui tra poco..."

"Bene. Voi, maresciallo, aspetterete gli uomini dell'obitorio in anticamera. Poi potrete andarvene. Lascerete l'agente di guardia sul pianerottolo. Gli darò io la consegna, e voi provvederete a fargli dare il cambio. Fin quando il giudice istruttore non abbia fatto il sopralluogo, occorre che qualcuno rimanga qui, intesi? Arrivederci..."

Il maresciallo scomparve.

"Voi..."

La portinaia sobbalzò.

"Ascoltatemi." De Vincenzi diede un'occhiata al giornale sul margine del quale aveva segnato qualche nome. "Al primo piano, una maestra elementare e Sid Renier, attore cinematografico. Al secondo piano una coppia di giovani sposi e un maggiore di cavalleria, che adopera l'appartamento saltuariamente, pei suoi comodi... Al terzo, questo qui, non c'è da sbagliare... È così?"

"Sì."

"Avete detto alla signorina americana di non muoversi?"

"Mi ha risposto che lei vuole suonare."

"Tra poco potrà ricominciare a farlo. Tornate in portineria. Non ho più bisogno di voi, grazie."

I capelli rossi scomparvero.

"D'Angelo, amico mio, nessuna necessità che vi fermiate anche voi, per adesso... Andate a mangiare."

Il faccione s'illuminò.

"E voi, cavaliere... volete continuare da solo? Non mangiate, voi? Se volete che rimanga io..." Ma già si avviava alla porta.

"Grazie. Sono abituato a mangiare a qualunque ora..."

"Ai vostri ordini." Aveva un piede sulla soglia.

"Un momento! Non ho finito. Prima di andare a mangiare, telefonate in Questura, che mandino subito un agente a piantonare la camera di Boldviski all'Execelsior; e alle ventidue tornate in ufficio. Può darsi che io abbia bisogno di chiamar qualcuno. Nel caso, vi telefonerò e mi raggiungerete... E dal canto vostro, potrete sempre telefonarmi qui, se succede qualcosa. Credo che ne avrò per parecchio tempo ancora."

"Va bene, cavaliere."

Rimasero in tre.

De Vincenzi sedette al tavolo. Scostò il vaso coi fiori, che gli impediva di vedere il divano, di fronte a sé. Prese con due dita il grande fazzoletto colorato, che il maresciallo aveva trovato in terra nell'anticamera e lo contemplò qualche istante.

"Dite che non è vostro?"

"No"

"E neppure di Boldviski?"

"No. Non credo."

"Uhm!" (Un assassino che lascia il suo fazzoletto... Tutto può darsi... Che se ne sia servito per impugnare il coltello, senza lasciare impronte sul manico?) Piegò il fazzoletto e se lo mise nella tasca del pastrano. "Adesso, chiacchieriamo tra noi. Faremo in fretta, se voi mi aiuterete. Qualcuno ha ucciso Boldviski in casa vostra, signora. Se i fatti si sono svolti come voi affermate, c'è da presumere che questo qualcuno si trovasse nascosto in anticamera, e di là non ho veduto nascondigli adatti. Io non metto in dubbio le vostre affermazioni. Sono così contrarie a ogni logica, che certamente avreste inventato una storia più credibile, se aveste voluto mentire. Soltanto la menzogna ha tutta l'apparenza della verità, mentre di solito la verità non ha quasi mai l'apparenza di essere tale..."

Teneva le mani congiunte sul tavolo e parlava lentamente, quasi tra sé, senza prendersi la pena di sorridere per rassicurarli. Era neutro come una lastra fotografica che ha da impressionarsi.

Cobina pensava ad Assia. (Che avrà fatto a Cinecittà? Che cosa staranno facendo laggiù? Perché questo qui non mi parla di Assia?...)

Vergolli si disse: la realtà è sempre sorprendente. Anche questo commissario e le cose che dice sono una verità sorprendente.

"Ammettiamo pure che l'assassino stesse nascosto nella vostra anticamera. Vedremo in seguito come ha potuto farlo. Forse, ce lo dirà lui. Forse lo capiremo da noi, quando sapremo il nome dell'assassino. Il modo con cui ha ucciso, il mezzo di cui si è servito per farlo, sono particolari che non hanno importanza, adesso. Se sapessimo come ha fatto, non sapremmo per logica conseguenza chi è. Mentre per logica conseguenza sapremo come ha fatto, quando sapremo chi è. Non vi pare?"

Si alzò. Fece qualche passo per la camera. Si fermò dinanzi a una fotografia appesa a una parte. Era una fotografia di bimba. Si voltò: "Vostra figlia?"

"Sì," disse Cobina.

"È stata fatta in Italia?"

"Mia figlia è nata in Italia."

"E voi?"

"A Budapest."

"E Boldviski?"

"Che c'entra? Era russo."

"Era vostro amico?"

"Non lo avevo rivisto da molti anni."

"Come ha fatto a trovarvi?"

"L'ho cercato io."

"Perché?"

"Mia figlia voleva fare l'attrice cinematografica..."

"E lui era regista. Un regista famoso, non è vero, signor Vergolli?"

"Geniale. Credeva nella propria arte. Molto gli si deve perdonare, quando si pensa che è stato un artista autentico in un mondo di mestieranti."

"Vedo..." Fece qualche altro passo per la camera; tornò al tavolo, sedette. Di nuovo le sue mani si congiunsero. "Adesso, volete dirmi tutto, signora? Tutto di lui, e di voi?"

Nel silenzio che seguì la pendola batté un colpo sonoro: erano le ventuno e mezzo.