9. CAIENNI PRENDE UNA DECISIONE
I riflettori dall'alto delle torrette mobili, illuminavano la mole massiccia di Castel Sant'Angelo e, in basso, l'acqua del fiume e uno scorcio del ponte.
La riproduzione del nucleo cilindrico della rocca, fasciato superiormente dalla cortina a beccatelli di Alessandro VI e coronato dalla loggia, sopra cui dominava il torrione centrale con l'angelo armato, era, in scala ridotta, veramente perfetta.
Sugli spalti pentagonali, i macchinisti in tuta gialla davano gli ultimi colpi di martello. L'acqua della grande piscina, leggermente colorata di ocra, per rendere l'omaggio dovuto al Tevere biondo, dava l'impressione di scorrere mossa da un occulto meccanismo che la faceva girare a tondo come l'asino della mola. Sotto l'arcata del ponte, una barca leggera attraccata alla banchina tirava la corda, trascinata dalla corrente artificiale.
Al di là del muro di cinta di Cinecittà, che correva a qualche decina di metri dietro la piscina, l'oscurità della sera invernale era scesa densa di vapore e di nebbia, e sommergeva la piatta campagna e i ruderi secolari degli acquedotti.
Presso la piscina, sul vasto spiazzo tra l'ultimo teatro da presa e l'acqua, l'impianto per la registrazione sonora, assieme alla gru e ai carrelli con le macchine da presa, metteva una nota meccanicamente discordante, dando alla scena un carattere di provvisorietà, resa ancor più evidente dalle poltrone di tela e dai tavoli pieghevoli disposti in doppia fila davanti alla sponda.
"Oh, io non vado mai al cinema. Da quando vivo qui dentro non posso vedere un 'interno' sullo schermo, senza pensare che i muri sono di legno e tela dipinta e che, mentre gli attori si muovono e parlano, c'è un obbiettivo che li osserva e un microfono che li ascolta..."
Sdraiato sulla seggiola di legno e tela col suo nome sulla spalliera, il direttore di Cinecittà, che si era affrettato ad accettare la supervisione del Cesare Borgia offertagli dall'astuto Micheluccio Vernieri, versava i tesori delle proprie meditazioni in seno alla sua segretaria, una bionda opulenta e altera, nell'attesa che si desse il primo giro di manovella al più spettacoloso e costoso film storico dell'annata.
Dietro di lui, Micheluccio Vernieri e Giucé Caienni, in altre due seggiole uguali, tacevano, come se osservassero il movimento degli attori e del personale tecnico. In realtà, negli occhi di Caienni c'era una strana luce febbrile, ed egli li muoveva rapidi attorno, più sovente volgendoli verso il viale, fra il teatro 5 e il magazzino dei costumi, mentre Vernieri lo osservava di sottecchi con un lieve sorriso sul placido volto.
Gli attori, già vestiti coi panni dell'epoca, i ricchi costumi del Rinascimento, giravano attorno alle sponde, salivano il ponte sotto gli spalti, si sdraiavano sulla ghiaia, attendendo.
Il freddo umido della sera s'era fatto pungente, e gli uomini portavano i pastrani novecenteschi sopra i giustacuori e tremavano con le gambe nude sotto la fascia dei maglioni aderenti; le donne si stringevano addosso le pellicce, a costo di spiegazzar la seta e il velluto delle gamurre e le trine degli sbuffi.
Telma Zinger, vestita mascolinamente di nero, con la stretta gonna corta ai polpacci, le lenti che raccoglievano a tratti le luci dei riflettori, un piccolo taccuino e una matita d'argento nelle mani, si agitava con impazienza sempre crescente, in attesa dell'approssimarsi d'ogni persona, avviandosi talvolta sino allo studio 5 per veder meglio e più lontano, verso l'ingresso di Cinecittà. Poi tornava, e a ogni occhiata che dava al proprio polso, per guardar l'ora, il suo volto esprimeva una inquietudine sempre più forte e precisa.
Il direttore di Cinecittà sbadigliò. Lo fece senza vergogna, con l'impulsività infantile che caratterizzava ogni suo atto: un fanciullone viziato e male educato. Viziato dalla fortuna che lo aveva protetto per quarant'anni, fino a portarlo a quel posto assai ben pagato, grazie al quale anche la sua vanità di bell'uomo veniva soddisfatta, permettendogli di vivere in un mondo di cartapesta che sembrava creato proprio per lui.
Fu il rumore sgraziato di quello sbadiglio – più forte del ronzio continuo che emanava dal carro del sonoro e dal parlottare frammentario degli attori – a richiamare ognuno al senso preciso del tempo e delle circostanze.
Giucé Caienni trasse l'orologio d'oro dal taschino e mandò una sorda esclamazione, mentre Vernieri dava un balzo sulla seggiola, facendola gemere alle giunture.
"Le otto e mezzo! Certo, qualcosa dev'essere accaduto, perché Boldviski è sempre d'una puntualità esemplare!"
"Esasperante!"
"Cosa dite, voi?" Caienni fece qualche passo minaccioso verso Set Nicholson, che seduto in terra dinanzi alla triplice linea delle seggiole direttoriali, aveva mandato quella esclamazione con voce strascicata.
L'attore sollevò le sopracciglia nere e sorrise, scoprendo i magnifici denti sotto la linea del labbro sottile e dei baffetti ad accento circonflesso. Si toccò la grossa catena di similoro che aveva al collo, sul giubbonetto di velluto nero, e sospirò.
"Dico che la puntualità di Boldviski è esasperante, mentre questa sera è la sua mancanza di puntualità che esaspera...
Telma Zinger gli lanciò un'occhiata di disprezzo. "È accaduto qualcosa al signor Bold... Deve certamente essergli accaduto qualcosa, altrimenti sarebbe qui. Due ore e mezzo di ritardo superano il limite di ogni normale contrattempo." Squadrò Caienni. "Ho telefonato all'Excelsior: è uscito alle quindici..."
"Uhm!" fece Caienni.
Telma dilatò le orbite e gli occhiali le ricaddero sul petto, appesi al nastro di seta nera. Senza quel cerchio, il volto di lei, glabro e liscio, appariva impudico nella sua nudità depilata: un giovane efebo avvizzito anzitempo...
Caienni girò su se stesso e con un numero eguale di passi tornò alla sua seggiola; ma non sedette. Anzi se ne allontanò subito e andò a piantarsi di fronte a Vernieri. "Che facciamo, Micke?"
Il faccione rotondo di Micheluccio Vernieri assunse un'aria pietosa.
"Che vuoi che ne sappia? Senza Bold, non possiamo far nulla..."
"Oh!" e Giucé piroettò di nuovo su se stesso. "Far nulla, far nulla! Lo vedrai! Flauti! Sibylle! Voialtri!" Lanciò i suoi appelli con voce acuta, e la barba nera setosa, barba di gran lusso, gli fremeva mandando scintille alla luce dei riflettori.
Micheluccio lo guardava in preda a uno stupore senza limiti.
"Riesce a non aver paura di Bold, adesso!" mormorò a se stesso.
Sibylle Wirtz, la segretaria di Caienni, che assolveva anche le funzioni di scriptgirl, avanzò dal fondo lentamente, coi suoi lunghi piedi che facevano gridare la ghiaia. Il bel volto di lei, dalle linee fortemente segnate, dalla mascella solida, appariva ermetico e indifferente. "Dottore?" chiese, mordendo le dentali della parola. "Si gira?" E andò a mettersi a sedere sul seggiolino accanto alla macchina da presa, disponendosi sulle ginocchia il largo quaderno in cui doveva scrivere ogni particolare dell'azione.
Intanto, dall'alto della rocca di cartapesta, curvandosi sul parapetto della loggia di Giulio II, Armando Flauti, l'aiutante di Boldviski, si sporgeva e gridava, tenendo le mani attorno alla bocca per dirigere e amplificare il suono delle parole: "Che c'è, dottor Caienni? È arrivato Bold?"
"No! Lo sa il diavolo dove s'è cacciato il vostro Boldviski! Venite giù... Comincerete a girare voi!"
"Girare senza Bold?" gridò esterrefatto il giovane.
"Scendete, perdio! Sibylle, cercate la sceneggiatura e i dialoghi! E voi, signorina Zinger, saprete pure quali erano le scene che Boldviski intendeva girare oggi... Muovetevi, sacripante! Credete che voglia tener qui gli attori e le comparse tutta la notte a non far nulla?"
Il direttore di Cinecittà si era alzato. Alto, snello, ancora giovanilmente aitante e agile, si muoveva con grazia. "Che cosa può essere accaduto al vostro regista?" chiese con indifferenza.
"E lo domandate a me, porco Giuda?" Ma Caienni s'interruppe: non era così che voleva e poteva parlare al commendator Sangalli. "Scusate, Sangalli! La scomparsa di Boldviski mi... E sono preoccupato, realmente preoccupato. Ma che volete? Dobbiamo pur cominciare. Tra luci e paghe sono migliaia di lire che ballano!"
Telma Zinger aveva deposto il grosso fascicolo delle sequenze, e gli altri della sceneggiatura e dei dialoghi sopra un tavolo. Disse a voce alta, come era abituata a fare quando Boldviski gliene dava l'ordine: "Le scene dell'arrivo a Castel Sant'Angelo. E poi le scene dell'uccisione di Manfredi, nella rocca di Faenza. Si comincia con le scene di Castel Sant'Angelo. Nella barca il barcaiolo Menico Sanguigni e Luisella Paoli..."
Flauti era disceso e le stava accanto. "Bene..." appariva trepidante. Diede un'occhiata interrogativa a Caienni, che gli fece un cenno energico. Finì coll'alzar le spalle. Gridò: "Gli svizzeri ai posti di guardia... Il barcaiolo ai remi... Staccate la barca dalla banchina... Un momento! Debbono prima salirvi Menico e Luisella..."
Gli attori si agitarono. Il braccio della gru che recava il carrello cominciò a protendersi verso l'acqua. Gli operatori braccavano le macchine, il rumore dal camion del sonoro si fece ronzante. Fra i beccatelli del loggiato si videro spuntare le alabarde degli svizzeri. Set Nicholson si alzò, si avvolse nel pastrano, e andò a mettersi accanto a Blanca Vertua, magnifica nelle vesti opulente di Lucrezia.
Telma Zinger gridò: "Sid Renier! Assia Paris!"
Un movimento di curiosità si produsse fra gli attori: nessuno fino allora si era accorto che la bionda Assia mancava.
"Sid Renier... Assia Paris..."
"Eccomi! Sono qui, e la signorina Paris verrà subito. Sta finendo di vestirsi."
Col giubbonetto rosso del sicario borgiano, le gambe ancor più scheletriche nel maglione giallo, Sid, uscito dal teatro 5, dov'era il suo camerino, avanzava in fretta per il viale, e il sorriso che gli contraeva le labbra sarebbe apparso a chiunque, più che faunesco, sinistro. Ma quando il vecchio ebbe raggiunto il cerchio illuminato dai riflettori, quel sorriso era scomparso.