14. STRYCHNOS NUX VOMICA

 

"I sintomi sono evidenti! Aspetto tetanico; labbra che scoprono i denti; testa rovesciata; dorso arcuato come nell'opistotono; una gamba rialzata... E il volto che, senza essere né congestionato né gonfio, perché la stricnina agisce sulla spina dorsale e non sulle vie respiratorie, dimostra un terrore intenso... Non c'è da sbagliare!" Il medico distolse lo sguardo dal cadavere, si aggiustò gli occhiali e si chinò sul tavolo per osservare il contenuto del boccale. "Dite che ha bevuto di questo vino?" chiese.

Flauti annuì. "Doveva berlo..." mormorò con voce smorzata.

Dietro di lui Caienni e Vernieri erano terrei. Micheluccio gettava sguardi smarriti al suo socio, che appariva più che mai grifagno e che cercava di vincere l'agitazione, facendo incoscienti smorfie convulse.

Attorno, attori, operatori, aiutanti, sembravano paralizzati. La morte di Set Nicholson sovrappostasi tragicamente alla finzione era così incredibile, così imprevedibile e inaccettabile che lo stupore, più del terrore, pesava su tutti.

Assia, sempre aggrappata alla spalliera del seggiolone, fissava il cadavere. I suoi grandi occhi riflettevano l'angoscia, un'angoscia smarrita che toccava i limiti della follia.

"Dunque, il veleno si trovava in quel boccale?" Il commissario di polizia di servizio a Cinecittà aveva fatto un passo verso il tavolo e adesso guardava anche lui il boccale, con una strana aria tra l'inquisitorio e il divertito. Chiamato da Sangalli, il quale gli aveva anche detto che avrebbe telefonato direttamente al Questore, era accorso e subito aveva fatto piantonare il teatro dai suoi agenti, con l'ordine di non fare uscire nessuno. Esaurito così quello che gli sembrava il suo unico compito, s'era messo ad attendere: il Questore avrebbe certo inviato qualcuno dalla Centrale. Era un fattaccio grosso, quello! Non avrebbero certo affidato a lui le indagini. Ma quando il medico, dopo avere emesso il suo verdetto aveva accennato al vino, non aveva potuto trattenersi dall'intervenire. Con un primo moto impulsivo, scevro di ragionamento, pensava che non doveva esser difficile scoprire da chi quel vino era stato preparato, e quali persone potevano avere avuto la possibilità di avvelenarlo...

Il dottore si voltò lentamente e lo fissò al di sopra degli occhiali: "La stricnina è un alcaloide. Si presenta in prismi cristallini romboidali, anidri, incolori, amarissimi. Sono solubili nell'acqua, e, più facilmente, nell'alcool... Questo è vino. Come volete che senza averlo analizzato vi dica se contiene stricnina?" Sorrise maliziosamente: "Potrei assaggiarlo, ma neppure voi me lo consigliereste!"

Il commissario non si diede per vinto. "In quanto tempo uccide la stricnina?"

"Ah! Se la dose è forte, occorrono una diecina di minuti perché si verifichino i primi sintomi... quindi il corpo si rovescia e la crisi esplode... La morte sembra imminente, ma invece di colpo le contrazioni cessano, i muscoli si distendono e si ha un breve periodo di calma. Poco dopo, un nuovo e più violento accesso succede al primo, e così via, fino alla morte per asfissia o per paralisi dovuta a esaurimento del sistema nervoso. Nel caso presente, la morte è sopravvenuta dopo il terzo accesso, vale a dire a circa mezz'ora dal manifestarsi dei primi sintomi. Io sono intervenuto allorché si manifestava il secondo accesso e non ho potuto fargli altro che una iniezione di morfina. Non avevo alcun preparato tannico da fargli ingerire e tanto meno il metital. D'altra parte, la stricnina viene tanto improvvisamente eliminata dall'organismo, che il paziente o muore subito o, se resiste per un paio d'ore, la guarigione è certa."

"Dunque, nessun dubbio che quell'infelice è stato ucciso dal vino che ha bevuto, mentre stava girando la sua scena?"

"Uhm! L'ipotesi è fondata. Per quanto, come vi ho detto, la stricnina non opera immediatamente e quindi, a rigore, Nicholson avrebbe potuto ingerirla una diecina di minuti prima di dare inizio alla sua scena."

Flauti intervenne: "Non è possibile! Nicholson si trovava qui, alla presenza di tutti, assai prima che si cominciasse a girare. Ha parlato con me e con Telma. Né io né gli altri lo abbiamo visto bere. Anche Blanca era con noi." Si guardò attorno a cercare Blanca Vertua; la vide che piangeva, lontana dagli altri, in quella poltrona dalla quale aveva assistito alla ripresa della scena, ed ebbe un gesto di pietà.

Il commissario scosse la testa con aria perplessa; finì col trarre di tasca un taccuino e una matita. Fu in quel momento che il cerchio degli astanti si aprì, per lasciare il passo a Sangalli e a De Vincenzi.

Il direttore di Cinecittà aveva perduto quella sua aria soddisfatta e beata. Precedeva De Vincenzi con agitazione. Quando fu davanti alla tavola, si fermò e indicò al commissario il cadavere con un gesto quasi disperato.

De Vincenzi fece il giro del tavolo e si chinò su Nicholson. Subito si rialzò e cercò con lo sguardo tra i presenti. "Il dottore?"

"Eccomi. Immagino che voi siate il commissario della Centrale." Finì di chiudere la borsa nera in cui aveva riposto la siringa e le fiale, e si avvicinò.

"Stricnina?" gli chiese De Vincenzi; ma fissava soprattutto Assia, e gli occhi di lei, immobili e senza espressione.

"Ve l'hanno detto? Infatti."

"Anche se non me l'avessero detto, i sintomi son chiari." Distolse lo sguardo dalla ragazza. "Siete arrivato che era già morto?"

"No. Ho fatto in tempo a fargli un'iniezione. È morto dopo il terzo attacco, con insolita rapidità. La dose ingerita deve essere stata assai forte."

Il commissario di Cinecittà avanzò verso De Vincenzi. "Commissario Pastore... Ho fatto quel che si poteva, quasi nulla, cioè! Il teatro è piantonato dai due agenti che ho con me. Nessuno è uscito, almeno da quando mi trovo qui io. Nicholson è stato avvelenato, e c'è da credere che la stricnina fosse contenuta nel vino bevuto dall'attore durante la scena che stava girando. Quello è il boccale dal quale ha bevuto..."

"Grazie." Guardò il boccale, tornò a osservare Assia; disse, senza volgersi: "Credo inutile chiedervi, dottore, se ha potuto dir qualcosa prima di morire. Anche nell'intervallo fra le crisi non può aver parlato."

Il medico ebbe un gesto. "Vi occupate di medicina, commissario?"

"Ho dovuto occuparmi di veleni." Sorrise. "Ho letto i trattati di Tardieu e di Taylor." Si chinò di nuovo a osservare il cadavere. Un giovanotto magnificamente costruito. Nemmeno le convulsioni tetaniche, sconvolgendogli i lineamenti, erano riuscite a renderlo brutto. Forse, però, deve la morte alla sua bellezza. E il pensiero gli corse a quell'altro che avevano pugnalato. C'era davvero un legame fra i due delitti? La medesima mano che aveva piantato il coltello tra le scapole del regista aveva messo il veleno nel vino destinato all'attore? Si sollevò e guardò il boccale. "Quando è morto, stavate girando?" Aveva formulato la domanda a voce abbastanza alta, perché tutti i presenti la udissero, senza rivolgerla ad alcuno in particolare.

Gli risposero Flauti e Telma Zinger.

Flauti disse: "Sì..."

Telma esclamò con voce stridente: "Non sarebbe morto, se non avessimo girato!"

De Vincenzi la fissò un istante.

"Capisco quel che volete dire, signorina. Bere il vino del boccale rientrava nel numero delle azioni che egli doveva compiere davanti all'obbiettivo." Girò lo sguardo su Flauti, poi su Vernieri e Caienni, accanto ai quali si era messo Sangalli. Ebbe per tutti un sorriso accattivante. "Io non sono pratico di questo vostro mondo, signori, ignoro tutto del cinema. Ve lo dico, perché adesso sarò costretto a rivolgervi alcune domande, e qualcuna di esse vi sembrerà ingenua o addirittura sciocca." Ebbe un altro sorriso. "I mezzi, per un'inchiesta criminale, si sa, sono scarsi, e non corrispondono quasi mai a quelli che inventano i romanzieri o i soggettisti di film polizieschi. Chi comanda qui? Chi è, voglio dire, il padrone assoluto, mentre si gira?"

Sangalli si credette in dovere di rispondere. "Vi dirò, commissario... I padroni di una società cinematografica sono coloro che mettono o rappresentano il denaro. Nel caso nostro, il signor Vernieri e il dottor Caienni," e li indicò.

Caienni esclamò: "Ma noi..."

De Vincenzi lo interruppe con un gesto.

Sangalli continuò: "Essi assumono un direttore di produzione, per la scelta dei soggetti, e un regista per la realizzazione dei film. Non appena il film entra in lavorazione, il padrone assoluto, come voi avete detto, commissario, è il regista."

Caienni questa volta fece un passo avanti: "Il nostro regista è Vassilli Boldviski. Una celebrità! Ma oggi è assente, inspiegabilmente assente..." Fissava il commissario, quasi attendesse che parlasse; fece una breve pausa. De Vincenzi annuì placidamente, il suo volto esprimeva soltanto una cortese e compiacente attenzione.

Sangalli fece qualche movimento impacciato. Avrebbe voluto parlare, stava per mettere una mano sulla spalla di Caienni, ma un rapidissimo sguardo di De Vincenzi lo inchiodò al suo posto e lo fece tacere.

"Sicché..." riprese Caienni, arricciandosi nervosamente i baffi e passandosi poi la mano sulla barba, col movimento che gli era abituale, "... sicché oggi ha diretto la prima giornata di riprese del nuovo film l'aiuto di Boldviski, il signor Flauti."

Armando Flauti guardò Caienni, poi chinò la testa davanti al commissario. Il giovanotto era mortalmente pallido.

"Vedo..." fece De Vincenzi, fissandolo. "E siete stato voi a curare i particolari della scena?"

Flauti negò col capo. "Chi si occupa di queste cose è il segretario di produzione, sotto la diretta guida del regista".

"Sono stata io a provvedere a tutto quanto occorreva per le prime scene, come era mio dovere," disse Telma Zinger. "Le mie funzioni sono appunto quelle di segretaria di produzione. Ma Bold... il signor Boldviski, tiene molto a questo film, che è un'opera storica di grande impegno. Egli è scrupoloso nei particolari, fino alla mania. Così ha voluto non soltanto che i boccali e i bicchieri fossero autentici – quel boccale viene da un museo – ma che contenessero vernaccia di Sangemignano o di Solarussa. Le vernacce delle Cinque Terre e della Valle del Tirso in Sardegna sono le migliori, diceva..."

"Ah! E perché aveva bisogno proprio della migliore vernaccia?"

Interdetta, Telma lo fissò. "Non saprei... Probabilmente, perché a lui sembrava la meglio adatta a creare nell'attore l'atmosfera..."

"No. All'ultimo momento, e cioè ieri, Bold... il signor Boldviski, mi ha ordinato di sostituirla con vino di Malaga."

"Strano. Nessuna affinità, ch'io sappia, tra il Malaga e la vernaccia... Vero è che io sono un ben misero enologo. E quando avete riempito il boccale di Malaga?"

"Oggi, subito dopo il primo intervallo. Quando Flauti mi ha comunicato che alle dieci e tre quarti avrebbe girato le scene di Faenza, io sono venuta qui con l'architetto e col pittore per assicurarmi che tutto fosse pronto, e nello stesso tempo mi sono occupata degli accessori."

"E avete versato il vino nel boccale?"

"Sì."

"Prendendolo da dove?"

"Da una delle bottiglie. Avevo dato ordine che se ne comperassero due."

"E dove si trovavano le bottiglie?"

Telma Zinger si diresse a un grande armadio che era contro la parete più lunga, di fronte alla porta, e De Vincenzi la seguì. "Qui si ripongono tutti gli accessori. Ecco le due bottiglie..." e, aperto uno degli sportelli dell'armadio, gliele indicò, sopra il ripiano più basso, accanto ad altre bottiglie di ogni sorta, a vasi, a scatole. De Vincenzi le osservò. Una era ancora chiusa, con la stagnola dorata sul tappo; l'altra non conteneva che quattro o cinque dita di liquido. Trasse di tasca il fazzoletto, ne avvolse la bottiglia semivuota e la prese. "Avete aperto voi stessa questa bottiglia?"

Telma ebbe un gesto. "Ma no..." Una ruga le traversava la fronte bianca. Sembrava che esitasse a continuare.

De Vincenzi si fermò. Erano ancora lontani dal gruppo raccolto attorno alla scena del dramma. "Coraggio, signorina! Credo che vi sarà facile ricordare. Vi aiuterò io... Voi questa sera venite qui dentro. Non siete sola, come mi avete detto. A un certo momento, occorre riempire il boccale. E allora?"

"Sono andata all'armadio. Ho preso la bottiglia. Pensavo che avrei dovuto farmela aprire da qualche macchinista. Invece..."

"Invece?"

"Invece era stata già aperta, e il tappo rimesso al suo posto, sicché naturalmente bastava una leggera pressione per toglierlo di nuovo."

"E la bottiglia era piena?"

"Oh, sì. Di questo sono certa."

"Grazie. Non mi occorre altro, per ora." Tornò nel cerchio della zona illuminata, depose la bottiglia sul tavolo. Si volse agli astanti: "Credo che avrò bisogno di chiacchierare un poco con la maggior parte di voi. Non posso dirvi di andarvene, quindi. Ma vi pregherei di tenervi lontani da questo angolo. Per fortuna il salone è immenso. Mettetevi dove volete; fate quel che volete... Io ho bisogno di esser lasciato tranquillo." Si guardò attorno. "Che sala vuole essere questa?"

"La Sala Rossa del Palazzo dei Manfredi a Faenza," rispose Flauti.

"Ecco! E voi rimarrete accanto a me, signor Flauti... Mi aiuterete. Per una volta tanto, fornirete i vostri lumi a qualcuno che non è un regista... Grazie! Volete cominciare col far spegnere tutte le luci? Basterà una lampada sola, una lampada modesta."