15. COLPI DI SONDA
De Vincenzi adesso vedeva il cadavere ai piedi del seggiolone e della tavola. Vedeva il boccale e la bottiglia di Malaga avvolta nel fazzoletto. E vedeva Assia Paris, che non aveva certo né udito né compreso quanto lui aveva detto: era rimasta appoggiata allo schienale della poltrona, completamente assente da quanto avveniva attorno a lei.
De Vincenzi si volse a Flauti e gliela indicò con lo sguardo: "Era in scena con Nicholson, quando è morto?"
Flauti annuì. Aveva un grande smarrimento nello sguardo. Tutte quelle giovani donne coinvolte in un simile orrore! E Blanca Vertua che aveva perduto Nicholson...
"Come si chiama?"
"Assia Paris."
Il destino! Proprio lei doveva trovarsi accanto a Nicholson, a vederlo morire. Come se non ne avesse avuto abbastanza del cadavere di Boldviski! Le si avvicinò e le toccò dolcemente il braccio. "Signorina!"
Assia si scosse. "È proprio morto?" chiese. Si sentiva stanchissima. Ecco, soprattutto la stanchezza le impediva di ragionare, di pensare, di muoversi.
In quel momento un'ombra nera avanzò dall'ingresso, seguita da un'altra ombra che cercava di raggiungerla. La prima si avvicinò al tavolo. "Assia!" Ma ebbe la visione improvvisa del cadavere e la voce le si strozzò in gola.
De Vincenzi pensò: è logico che sia corsa a cercare sua figlia, ma come ha fatto a uscire dal portone? "Signora de Kergorlay, è assai opportuno che siate venuta. Dovete condurre via vostra figlia."
Ma Cobina fissava il cadavere. Dietro di lei adesso era Vergolli. "Come? Perché?"
De Vincenzi si frappose fra lei e la macabra visione. "Per ora, l'unica cosa utile che possiate fare è di condurre via vostra figlia."
"Ma perché proprio lui?" Sembrava che più dell'orrore nel suo cervello operasse un affannoso, spasmodico lavoro di comprensione.
De Vincenzi la osservava. "Non trovate il nesso?"
"No."
"Non aveva nulla in comune con Boldviski?"
"Sì. Questo sì..."
"Che cosa?"
"Una donna... Vassilli era venuto da me oggi, per obbligarmi a scomparire, e..."
"E voleva?"
"Sì, voleva un'altra donna. Io gli ero d'impaccio." Parlava per sé, seguiva il filo di un proprio ragionamento.
"E costei era?"
De Vincenzi cercò di aiutarla dolcemente in quel suo sforzo.
"Blanca Vertua... ma..."
"Nicholson..." insinuò la voce di De Vincenzi.
"Sì, Nicholson amava Blanca Vertua e ne era amato." Si passò una mano sulla fronte, comprimendosi le tempie. "Ma non ha senso!" esclamò con voce dura. "Non ha senso che abbiano ucciso Nicholson, quando era già stato ucciso Boldviski."
Si udì un gemito. Assia era scivolata a terra svenuta. De Vincenzi, Flauti, Vergolli la sollevarono, la adagiarono sulla poltrona. Cobina si chinò sopra sua figlia, la osservò, la baciò sulla fronte. Appariva calmissima. Si volse a De Vincenzi. "È esausta."
Assia apriva gli occhi. Sorrise alla madre. Poco dopo usciva dal teatro 5 sorretta da Cobina e da Vergolli. Sul viale videro un tassì che arrivava. Ne discesero alcuni uomini, che si affrettarono a scomparire dentro il teatro. L'autista abbassò la bandierina del tassametro. Vergolli aprì lo sportello della macchina e fece salire le due donne. "Ditemi, dove dobbiamo andare?" chiese a Cobina.
"All'Excelsior. Assia abita all'Excelsior."
"D'Angelo, occorre che voi vi occupiate di parecchie cose..." E gli sorrise. Il vicecommissario era arrivato con tre uomini.
"Mi avete detto che volevate quattro agenti, cav..." Si interruppe, con un gesto di scusa. "Neh, cavalié, perdonatemi, è l'abitudine. Vi dicevo che ho potuto condurne con me soltanto tre. Gli altri li avevo già mandati..."
"Ho capito. Bastano. Teneteli a vostra disposizione, e provvedete pel giudice istruttore. Fate coprire con un lenzuolo il cadavere. Quella bottiglia e quel boccale mandateli all'analisi. Voglio il rapporto domattina, cioè questa mattina. M'interessa solo sapere se il vino contiene stricnina o no. È un'analisi facile. Sulla bottiglia fate rilevare le impronte."
D'Angelo sollevò la mano e contò con le dita: "Giudice istruttore... Cadavere..." Si volse ai suoi uomini: "Neh, voialtri! Fatevi dare un lenzuolo, un panno, e coprite il cadavere."
I tre uomini si guardarono tra loro, poi si mossero.
D'Angelo riprese a contare: "Bottiglia... boccale... Rapporto stamattina..." Fece una smorfia. "Li manderò a un gabinetto d'analisi privato: se ricorro al perito legale avremo il rapporto fra un mese!" E ammiccò con aria furbesca. "E poi le impronte... Va bene, dottore?" E guardò De Vincenzi trionfalmente.
"Va bene. Grazie." Gli volse le spalle, e D'Angelo, dopo essersi assicurato che i suoi uomini stavano coprendo il cadavere con una vasta coperta di damasco rosso, scomparve nel salone.
"Signor Flauti, volete raccontarmi la storia degli amori di Boldviski?"
Flauti sussultò. "La storia? Ma io conosco Boldviski da tre mesi appena, e poi..."
De Vincenzi si era seduto in un angolo della Sala Rossa, sopra uno sgabello cinquecentesco e aveva fatto cenno al giovanotto di sedergli accanto. Adesso, erano accese soltanto un paio di lampade sospese in alto, che diffondevano nell'angolo della Sala Rossa una luce chiara e uguale.
"E poi?"
"Perché non vi rivolgete a Telma Zinger? La Zinger ha lavorato a Hollywood con Bold."
"Parlerò anche con Telma Zinger. Ma intanto vorrei che voi mi diceste quali rapporti correvano tra Boldviski e Blanca Vertua."
Flauti si oscurò ancor di più. "Commissario, vorrei non parlare di tutto questo! Boldviski è il mio capo... Oggi ha in mano non soltanto la mia situazione presente, ma il mio avvenire..."
"No, signor Flauti. Ormai Vassilli Boldviski non può far più nulla né in vostro favore, né contro di voi."
Flauti alzò gli occhi su De Vincenzi. Non comprendeva.
"Costui non pensa neppure lontanamente alla possibilità che Boldviski sia stato assassinato" si disse De Vincenzi. Poi, ad alta voce: "Ieri pomeriggio Boldviski è morto."
Questa volta il giovanotto balzò in piedi, come se fosse stato morso da una tarantola. "Morto? Boldviski!" Aveva gridato.
"Non gridate, vi prego! E rimettetevi a sedere. Non desidero che tutti sappiano della morte di Boldviski prima che io li abbia interrogati. Boldviski è stato assassinato; e, a giudicare dallo svolgersi degli avvenimenti, si può credere che il suo assassinio non sia estraneo a quanto è accaduto qui."
Flauti non aveva quasi più forza di parlare. "Ma è atroce! Una maledizione si è abbattuta sull'Acidalia!"
"Sapreste dare un nome a tale maledizione?"
Il giovanotto strinse i pugni. Cercava di ritrovare se stesso, irrigidendosi.
"Un nome? Se non fosse stato assassinato, direi Boldviski! Quell'uomo portava in sé il male e la rovina..." Fece una pausa. "Ed era un genio, nella sua arte. Si soffrivano le pene dell'inferno a lavorare con lui; ma gli si perdonava tutto, quando lo si era visto all'opera!"
De Vincenzi si alzò. "Rimanete qui, signor Flauti."
Occorreva far presto. Non poteva tenere tutta quella gente chiusa lì dentro, se non per un tempo relativamente breve. Né poteva sperare che uno di essi gli si presentasse e gli dicesse: io sono l'assassino; oppure: io ho veduto versare il veleno nel vino di Malaga.
"D'Angelo!"
"Neh, cavalié!" La voce veniva dal fondo del teatro. È più forte di lui, pensò De Vincenzi, e si rassegnò a sentirsi dare del cavaliere a ogni pie' sospinto.
Il vicecommissario accorreva. "Ho provveduto a tutto, secondo i vostri ordini."
"Fatemi venire qui i due proprietari dell'Acidalia."
Micheluccio Vernieri e Giucé Caienni si erano rifugiati in una specie di bar-cantina, che gli operatori avevano apprestato sopra alcune casse con qualche bottiglia di liquore e molti fiaschi di Frascati. Tutt'attorno avevano disposto tavoli e seggiole. Vernieri e Caienni sedevano con Sangalli.
Si alzarono e si avvicinarono a De Vincenzi.
Micheluccio sembrava uscito da un lungo soggiorno in una cantina umida: livido, aveva le gote flaccide e tremava visibilmente. Giucé Caienni sapeva dominarsi, e si poteva mettere sul conto del suo temperamento e di quel suo corpo allampanato e spettrale l'irrequietezza e l'irruenza epilettoide dei suoi gesti.
"Sedete, signori. Conto su voi per conoscere qualcosa di preciso su Set Nicholson e sui suoi colleghi."
Vernieri guardava il drappo rosso disteso sopra il cadavere. Sedette e si cacciò un grosso sigaro in bocca, ma non lo accese.
Caienni si lisciò la barba. "Commissario, la morte di Nicholson è un fatto mostruoso. Ma noi siamo preoccupati anche per un altro mistero. Il nostro regista è scomparso. Chi conosce Vassilli Boldviski sa che non avrebbe mai mancato al suo dovere, per nessuna ragione al mondo! Oggi si doveva dar principio a un film, il primo dell'Acidalia... Un importante lavoro, commissario; il più costoso, il più spettacolare film italiano dell'annata. Ebbene, Boldviski non è venuto! In albergo non è tornato, dopo essere uscito nel primo pomeriggio. A Cinecittà nessuno lo ha visto..."
"Che cosa supponete che possa essergli accaduto?"
Micheluccio si tolse il sigaro dalla bocca. "Normalmente potremmo pensare che sia stato trattenuto da qualche donna. Boldviski ha sempre avuto molti intrighi femminili."
"Nessuna donna è mai riuscita a distogliere Bold dal suo lavoro," affermò Caienni, alzando le spalle.
"Conoscevate Boldviski da molto?"
"Lo abbiamo conosciuto in America. Vernieri e io avevamo una banca a Los Angeles, quando Bold si trovava a Hollywood. Era cliente della banca."
"Siete stati voi a farlo venire in Italia?"
"No," disse Vernieri, scuotendo violentemente il capo.
Caienni aveva avuto un'esitazione. "È stato lui che, saputo della nostra presenza a Milano, ci ha raggiunti, e ci ha convinti a fondare l'Acidalia Film."
"Capisco."
"Avere a propria disposizione un regista della forza di Bold e non servirsene sarebbe stato una sciocchezza! Certamente, senza di lui, non avremmo pensato a un'impresa del genere. Perciò adesso, commissario..."
De Vincenzi assentì. "Capisco, e debbo darvi una notizia assai dolorosa, signori: Vassilli Boldviski è stato assassinato ieri nel pomeriggio."
Il sigaro cadde dalle labbra di Micheluccio, mentre Giucé sbarrava gli occhi. Nessuno dei due riuscì a parlare. Erano annientati. De Vincenzi ebbe un gesto di rammarico e si alzò. Stava per allontanarsi, quando Vernieri si scosse e lo afferrò per un braccio. "Ma come? Dove? Chi lo ha ucciso?"
"Lo hanno pugnalato, e l'assassino non ha lasciato alcuna traccia."
Vernieri fece ricadere la mano e si afflosciò di nuovo.
Caienni mormorò con voce appena intelligibile:
"È molto tempo che mi aspettavo qualcosa del genere!"
De Vincenzi pensò che quasi tutti, attorno a Boldviski, avevano previsto che un giorno o l'altro sarebbe stato assassinato... tranne lui, forse!
Alle quattro del mattino nel teatro 5 erano rimaste con De Vincenzi poche persone. Aveva condotto con rapidità gli interrogatori.
Di preciso aveva appreso poche cose, e cioè che Boldviski si era innamorato di Blanca Vertua appena l'aveva conosciuta. L'aveva subito scelta per la parte di Lucrezia Borgia, contro la volontà di Caienni, che aveva tentato di imporre un'altra candidata. Blanca Vertua, che non avrebbe potuto davvero amarlo o dargliene l'illusione anche se non fosse stata innamorata di Nicholson, era stata costretta a destreggiarsi per non indispettirlo e farselo nemico: la ragazza si era cavata discretamente d'impaccio fino a quel momento, ma tutti attendevano il peggio, perché Boldviski non era uomo da farsi menare a lungo per il naso, e Nicholson, dal canto suo, cominciava a sprizzar faville. L'attore per quanto non godesse le simpatie degli uomini (e questo era logico, data la sua bellezza e la presunzione che affettava), non aveva nemici, anche perché, venuto da poco dalla Francia e sconosciuto pressoché a tutti, aveva allacciato pochissime relazioni personali in soli trenta giorni di permanenza a Roma; sicché la sua morte appariva assolutamente inspiegabile a tutti.
De Vincenzi, dopo aver assodato che l'armadio a muro del teatro 5 era abitualmente chiuso a chiave; che di tali chiavi ne esistevano cinque, possedute rispettivamente dalla segretaria di produzione (Zinger ), dal regista (Boldviski ), dall'ispettore di produzione (Beniamino Trivelli, un posato e metodico individuo, a cui quelle morti violente avevano tolto, con l'appetito, ogni pace), dall'aiuto regista (Flauti) e dal costumista (Benedetti, giovanotto occhialuto, abbondantemente chiomato e ignaro ancora di tutto – a meno che non fosse stato lui a mettere il veleno nel boccale – perché quel pomeriggio e quella notte assente da Cinecittà per doveri del suo ufficio); dopo aver assodato ciò, De Vincenzi si era visto nella necessità di concludere che soltanto qualcuno appartenente al personale artistico o tecnico dell'Acidalia aveva potuto tendere a Nicholson l'infernale tranello. Non necessariamente una di quelle cinque persone; ma certamente qualcuno che di quelle persone conosceva le abitudini e che, spiandole, sarebbe stato in grado di arrivare all'armadio in un momento di disattenzione o di assenza.
D'altra parte, per mettere il veleno nella bottiglia di Malaga, occorreva aprirla, e tale operazione richiedeva qualche minuto e la disponibilità di un cavatappi.
Quando si era reso conto di tutto ciò, De Vincenzi aveva sospirato: lavoro lungo! Sarebbe stato necessario controllare i movimenti di quelle cinque persone – anche quelli del morto – dal momento in cui le due bottiglie di Malaga erano state poste nell'armadio a quello in cui Telma Zinger aveva travasato il vino nel boccale. Bisognava ricostruire pazientemente quei movimenti e sapere in quali ore e per quanto tempo l'armadio era rimasto aperto, e a disposizione di chi. C'era da aggiungere che negli ultimi giorni il teatro 5 era stato quasi di continuo occupato dagli operai i quali, sotto la guida dell'architetto e del pittore, avevano costruito e montato le scene di Faenza. Giorno e notte? Quasi. Le squadre degli operai si erano date il cambio di giorno fino alle 20 e di notte dalle 22 alle 5 del mattino. E nelle ore di riposo? Un guardiano di Cinecittà provvedeva a chiudere a chiave e a sprangare il portale del teatro di posa, per riaprirlo a tempo debito.
Non era possibile entrare nel teatro se non per la grande porta: questo De Vincenzi lo verificò agevolmente; ma sarebbe stato possibile e facile invece nascondersi in qualche angolo dell'immenso salone, dietro un fondale, fra le casse, e farvisi chiudere dentro, per agire indisturbati una volta che il teatro fosse stato deserto.
De Vincenzi guardò le poche persone che si trovavano attorno a lui: Telma Zinger, Sibylle Wirtz, Blanca Vertua, Gita Garena... Quattro donne, che non aveva ancora interrogato, perché il suo istinto gli aveva suggerito di tenerle per ultime. L'uccisione di Nicholson aveva tutta l'aria d'essere un delitto passionale, e il veleno è stata sempre un'arma squisitamente femminile. Il rapporto donne-veleno lo si conosce da secoli. Per di più Vassilli Boldviski aveva troppe donne attorno a sé, perché non si dovesse collegare la sua morte a un dramma d'amore o di gelosia o di vendetta. Sembrava proprio che il movente denaro esulasse da quei delitti.
Oltre le quattro donne, nel salone si trovavano D'Angelo e gli agenti. Il vicecommissario sonnecchiava sopra un materasso arrotolato, sorretto alle spalle e ai fianchi da mucchi di tappeti. Aveva scovato quell'angolino riposante e si era affrettato a cacciarvisi. Quanto agli agenti, bevevano a un tavolo del bar-cantina, in compagnia dei loro colleghi di Cinecittà.
De Vincenzi notò che le donne erano affrante. Blanca Vertua non s'era mossa dalla poltrona e, dopo aver pianto, adesso aveva un volto asciutto e arso che era l'immagine stessa del dolore.
Gita Garena le stava accanto, seduta in quel suo modo contorto, con le gambe ripiegate sotto il corpo.
Impassibile, Sibylle Wirtz aveva seguito lo svolgersi degli avvenimenti e adesso attendeva, appoggiata alla cabina del sonoro. Impassibile, ma evidentemente stanchissima, per quanto il suo bel volto conservasse, con l'aiuto del belletto, tutta la freschezza dei suoi colori: soltanto gli occhi la tradivano, con le pupille troppo brillanti e le palpebre peste.
In quanto a Telma Zinger, recava sul volto tracce non soltanto di stanchezza. Era chiaramente in preda a una agitazione angosciosa, che se a momenti la galvanizzava, agiva anche in modo deprimente sul suo fisico.
Da quale avrebbe cominciato? Interrogarle subito, dopo tutte quelle ore di tensione, poteva sembrare abile. Avrebbero mentito meno facilmente.
Stava per avvicinarsi a Sibylle Wirtz, quando improvvisamente cambiò idea. Non sarebbe stato caritatevole, né fruttuoso. E in quanto alle altre, perché non abbordarle a mente riposata, nel loro ambiente? Cercò con lo sguardo D'Angelo e lo vide col capo piegato sopra una spalla, che dormiva tenendo la bocca semiaperta. Da quel suo faccione roseo emanava una placida innocente beatitudine. Non poté trattenere un sorriso. Ma rivide col pensiero, in un lampo, i suoi collaboratori di Milano; il vicecommissario Sani, pronto, devoto e sicuro, e il maresciallo Cruni, fedele come un mastino e come un mastino attaccato al dovere e a lui. Ah! Come avrebbe voluto averli con sé in quel momento...
Sospirò e andò a battere sulla spalla dell'addormentato, che balzò in piedi esclamando, "Cavalié, ai vostri ordini..." Si fregò gli occhi. "Scusatemi, cavalié. M'ero addormentato. Che volete? No poco 'e stanchezza..."
"Adesso andrete a dormire nel vostro letto. Lasciate due uomini di guardia al cadavere. Dovranno attendere il giudice istruttore e rimaner qui, anche dopo che il corpo sia stato portato via. Penserò io a far dare loro il cambio. Alle undici vi attendo in ufficio."
Ritornò verso le quattro donne. "Potete andare anche voi, signorine. Ci rivedremo più tardi, nel pomeriggio. Abbiate soltanto la cortesia di lasciare il vostro indirizzo al vicecommissario."
Prese il cappello e i guanti, si abbottonò il pastrano e uscì dal teatro 5. Sul viale illuminato e deserto sentì anche lui, col freddo umido della notte, la stanchezza. Pensò che erano le cinque e che prima di arrivare in città, col tranvai notturno, sarebbe passata un'altra ora. Invece, in portineria trovò l'autista di Sangalli che lo attendeva. "Il commendatore mi ha ordinato di mettermi a vostra disposizione..."
Sangalli! Cercava di propiziarselo, naturalmente... Ma di rifiutare quell'automobile provvidenziale De Vincenzi non ebbe il coraggio.