11. MISS LLEWELLYN

 

Era venuto il dottore, avevano portato via il cadavere, e per quasi un'ora De Vincenzi aveva interrogato Cobina, alla presenza muta di Vergolli.

Adesso, sapeva che Boldviski era stato il marito di Cobina de Kergorlay, e che era il padre di Assia: attraverso le parole di lei, aveva conosciuto l'uomo.

(Questa donna non mente! Le sofferenze le hanno troppo profondamente avvelenato l'anima. Tutto il suo corpo e il suo spirito si sono irrigiditi nello spasimo. Se lo avesse ucciso, come certamente avrebbe potuto fare un giorno o l'altro, me lo avrebbe gridato senza paura. Quel che lei racconta è la verità. Ma non mi fa fare un sol passo verso la soluzione del mistero. Un uomo amato da molte donne! Che ne aveva prese quante ne aveva volute; sposandole, all'occorrenza, senza preoccuparsi di farsi bigamo; eliminandole dalla sua esistenza, appena sopraggiunta la stanchezza. Un essere complesso: un impasto di tutti i vizi. Appetiti formidabili. Niente coscienza e nessuna debolezza. Sarebbe passato sul cadavere di sua moglie, di sua figlia... E qualcuno ha fatto cadavere lui. Naturale. Portava in sé il suo destino. Un uomo come Boldviski ha tanti nemici, anche mortali, quante sono le persone che avvicina, comprese le donne che ama o che lo amano... Come trovare l'assassino fra tutti coloro che possono avere avuto il desiderio di vederlo scomparire? Non si era sbagliato il Questore – un tipo notevole quello lì, con la sua aria di sconfinata tristezza – a dirmi che per sbrogliare questa matassa occorreva qualcuno col cervello. Ma io, pover'uomo, come me la caverò?)

"Siete sicura di aver lasciato la porta chiusa?"

Cobina ne era sicura.

"Proprio non potete esservi sbagliata?"

Confessargli anche che aveva pensato di far scomparire il cadavere per non compromettere Assia, e che non aveva messo in esecuzione il progetto a causa di quella porta aperta le sembrava troppo. E inutile, per di più. Che importanza poteva avere per la polizia che qualcuno fosse entrato e avesse visto il cadavere?

"Poiché, riflettete, il particolare è di quelli che non vanno dimenticati. A tornare può esser stato l'assassino... e in tal caso, se la serratura non è stata forzata, aveva la chiave."

Vergolli sussultò. "Credete? E perché mai avrebbe affrontato un tale rischio?"

"Potrebbe averlo fatto per impadronirsi di qualcosa che il morto aveva, e di cui l'assassino non si era potuto impadronire, subito dopo averlo ucciso, perché la signora e sua figlia erano accorse."

Cobina alzò le spalle. "Non credo che Vassilli portasse con sé valori tali da indurre qualcuno ad assassinarlo!"

"Un documento?"

"Quale? Tutto può darsi. Ma non è un'ipotesi che io avrei fatto."

"Era ricco, Boldviski?"

"Ricco?" La donna corrugò la fronte e un lampo le illuminò lo sguardo. "Dipende da quel che voi intendete per ricco. Ha sempre guadagnato molto. Si faceva pagare caro."

De Vincenzi aveva notato il lampo. Un'idea nuova e improvvisa aveva dovuto attraversare lo spirito della donna. Ma quale? La osservò: il volto di Cobina era tornato impassibile. "Credete ch'egli potesse avere altri eredi, oltre voi e vostra figlia?"

Un sorriso amaro apparve sulle labbra sottili di Cobina. "Chi potrà dimostrare che noi siamo le sue eredi? In ogni caso, non sarò io a provarmici. Il nostro matrimonio risale a oltre vent'anni fa, e Boldviski aveva moglie, quando io lo sposai. Fu la scoperta d'avere sposato un bigamo che mi indusse a fuggire da lui."

Aveva parlato con la più perfetta calma, con indifferenza, anzi. Sempre più complicato quel mistero, che aveva le sue radici tanto lontane nel tempo, e nello spazio. De Vincenzi cominciava a sentire la stanchezza, quasi la nausea, di quella indagine spietata sull'anima di una donna.

"Adesso vi lascerò libera, signora. Vado a occuparmi della vostra vicina e degli altri inquilini. Non spero di scoprire gran cosa, ma il nostro mestiere ha un numero assai limitato di mezzi, non posso permettermi di trascurarne troppi... Avrei dovuto perquisire il vostro appartamento e non l'ho fatto. Dovrei pregarvi di seguirmi in Questura, per raccogliere la vostra deposizione, e non lo faccio. Vi prego soltanto di non allontanarvi per questa notte da qui: il giudice istruttore vorrà vedervi. Tornerò domattina."

"E mia figlia?"

"Non mi avete detto che si trova a Cinecittà?"

"La interrogherete?"

"Sarà necessario, evidentemente... Sono molte le persone che dovrò interrogare! Come potrei farlo in una sola notte?" (Dentro di sé pensava: a che scopo dirle che lascerò questa casa per recarmi a Cinecittà? In fondo non è la deposizione di sua figlia quel che più m'interessa, e non è per lei che io andrò laggiù.)

Si diresse alla porta. Aveva preso il cappello e i guanti dalla seggiola su cui li aveva deposti, entrando.

"E io, commissario?" Vergolli si era alzato, e nella sua domanda c'era qualche preoccupazione e un po' di stupore.

"Voi, che cosa?"

"Sono libero d'andarmene?"

"Naturalmente." Un breve sorriso. "Credo che farete bene a raggiungere la signorina Paris a Cinecittà. Non era questo il vostro proposito?"

"Sì... ma..." Non gli fu necessario continuare, perché il commissario era uscito e stava già attraversando l'anticamera. Lo sentirono scambiare qualche parola con l'agente di guardia.

Cobina afferrò Vergolli per un braccio. "Correte laggiù, e riconducete Assia in albergo. Tranquillizzatela."

"E voi?"

"Io rimango qui. Che cosa volete che faccia?" Paolo la fissò. "Perché mi avete detto che anche la vostra vita era in pericolo, adesso che hanno ucciso Boldviski?"

Una breve risata. "Vi ho detto questo? Oh, quando ve l'ho detto non sapevo che subito sarei stata così ben protetta!" Indicò con un cenno del capo l'altra stanza. "Credete davvero che io potrei andarmene, se volessi, o che qualcuno potrebbe arrivare fin qui?"

De Vincenzi, intanto, aveva attraversato il pianerottolo e premeva il campanello dell'altro uscio.

Che cosa si riprometteva da quella visita? Forse, nulla. Se non avesse udito le note del minuetto, assai probabilmente avrebbe mandato il serafico D'Angelo a chiedere, per pura forma, se quella signorina aveva sentito o visto qualcosa che potesse avere attinenza col delitto. Ma c'era stato il minuetto di Scarlatti a colpire la sensibilità e la fantasia di De Vincenzi! Una sensazione imprecisa, di sorpresa e quasi di malessere si era prodotta in lui a quella saltellante caduta ritmica di note, che lo aveva avvolto proprio nel momento in cui stava contemplando il cadavere.

L'uscio si aprì.

La donna che aveva davanti era giovane, bella e manifestamente americana. Aveva i capelli color dell'arancio dorato, le labbra rosse e le palpebre pesantemente azzurrate.

"Scegliete un'ora ben strana per recarvi a far visita alle donne, voi! Che volete?" Così dicendo, si ritrasse dalla porta, rassegnata a vederlo entrare. Col movimento che fece la vestaglia giapponese, fiorita di enormi loti multicolori, le si aprì scoprendo una gamba nuda, sottile e nervosa, color del caffellatte.

De Vincenzi si tolse il cappello, vi mise dentro i guanti e avanzò. L'anticamera non conteneva che un tavolo di legno lucido come vetro e un enorme vaso panciuto, alto da terra oltre un metro. Sul pavimento, davanti al tavolo, un breve tappeto quadrato, di soffice lana bianca, stava lì quasi in attesa di un'offerta votiva, talmente candido e immacolato che De Vincenzi ebbe cura di non mettervi il piede sopra.

La ragazza lo guardava fare, con un sorriso ironico agli angoli delle labbra carnose. "Non perdete tempo a far cerimonie! Entrate pure in salotto..." Aveva la voce rauca e una strana cantilena. L'italiano che parlava era di accento marcatamente inglese.

De Vincenzi entrò nell'altra stanza. Un tappeto grigio, i muri tappezzati di stoffa tortora. Contro la parete di fronte, un grande divano coperto di seta nera, luminosa. Qualche poltrona, un pianoforte e un paio di piccoli tavoli. Un'altra porta conduceva evidentemente nella stanza da letto, a meno che non si fosse trattato addirittura della stanza da bagno: attraverso la porta semiaperta si vedeva il pavimento coperto da un tappeto bianco come quello dell'ingresso.

"Mettetevi a sedere. Ne avrete per un pezzo?"

"Oh no... credo che in cinque minuti ce la sbrigheremo." Sedette sul divano.

Aveva dato un'occhiata al pianoforte; il minuetto di Scarlatti era sul leggio. Ma aveva visto pure molta musica jazz sparpagliata sul coperchio del mobile: Tiger Rag, Some of these days, After you're gone, Sipper scrippers... E sulla copertina colorata d'ogni canzone o c'era la faccia camusa di un negro o le gambe d'una ragazza.

"Suonavate Scarlatti?"

La ragazza appoggiò un'anca al tavolo più alto e fissò il commissario. Aveva socchiuso gli occhi e sul volto pallido il trucco delle palpebre faceva due grandi macchie di color scuro, che sembravano buchi. "Non sapevo che ci fosse un morto. Ma cos'è questa storia?"

"Studiate musica?"

Macchinalmente rispose: "L'ho studiata. Adesso suono per esercizio."

"Ah, sì. Scarlatti è ottimo per questo."

"Mi prendete in giro?" fece aggressivamente miss Mary.

"Ma no... Non è forse vero? È stato Scarlatti a dare sviluppo alla tecnica coll'impiego delle note ribattute, cambiando dito sul medesimo tasto, passando il pollice sotto le altre dita e incrociando le mani..."

La ragazza fischiò monellescamente. Gli occhi le si spalancarono. Erano verdi e arroganti; ma questa volta scrutavano l'uomo seduto sul divano con stupore e con una certa diffidenza. "Sapete queste cose e fate il detective? Ma, senza scherzi, è per parlare di quel che faccio io che siete venuto?"

"Potrebbe essere interessante, non credete?"

"Siete davvero un detective?"

"Se volete..."

"Un tipo di quelli che vi cucinano col sorriso e con le belle parole?"

De Vincenzi rise. "Perché dovrei cucinarvi, come dite voi?"

"Non si sa mai!" Afferrò una poltrona e se la tirò accanto; vi sedette, accavallando le gambe e mostrando una pantofola carica di piume rosse sul piede nudo. "Ebbene, fate in fretta."

"Volete riprendere a suonare?"

"Sono le undici, a momenti! Debbo vestirmi per uscire. A mezzanotte, ho da fare un numero alla Taverna di Costantino. La conoscete?"

"E suonate il minuetto di Scarlatti?"

Gli era sfuggito. Veramente, a sentir dal di fuori quella musica, non avrebbe immaginato di trovarsi davanti a miss Mary e alla sua vestaglia!

"Che c'è di male? Mi riposa dal ragtime... La musica italiana è melodiosa."

"Siete stata tutto il pomeriggio in casa, miss..."

"Mary, Mary Llewellyn. Sì, sono rimasta in casa."

"Sola?"

Un lampo passò negli occhi verdi. "Perché volete sapere se ero sola?"

"Per chiedervi se avete sentito qualche rumore o qualche grido provenire dall'appartamento attiguo al vostro. I muri sono sottili in questa casa... E per chiederlo anche a chi era con voi. Due testimonianze valgono più di una."

"A chi volete chiederlo, se ero sola? Non vorrete insinuare che mento?"

"Il cielo me ne guardi! Non avreste alcuna ragione per mentire, non vi pare?"

"Ero sola!" E strinse le labbra con una mossa caparbia da bambina imbronciata.

"E non avete udito nulla?"

"No!"

"Ma io non vi ho detto a che ora! Sapete a che ora hanno ucciso Boldviski?"

"Chi?"

Fu quasi un grido. A De Vincenzi sembrò anche che fosse impallidita.

"Vassilli Boldviski. Lo conoscevate?"

Assunse un'aria candida. Gli occhi verdi erano assolutamente innocenti, quando rispose: "Di nome. In America era molto noto come regista... a Hollywood. Per questo, a sentirlo nominare, ho avuto un colpo. Boldviski... E chi lo ha ucciso?"

"Siete stata a Hollywood, voi?"

"Sì, certo."

"E dove avete imparato l'italiano, miss Llewellyn?"

"In America." Rise, scoprendo i denti che erano perfetti. "Proprio a Hollywood. Un mio amico era italiano. Non vi mettete in testa che fosse Al Capone... Al non sa parlare l'italiano." Si alzò di scatto. "Volete bere qualcosa? Io non ho che gin... Non ditemi che è buono solo per gli ammalati. Per me il whisky è troppo forte, da quando sto in Italia." Parlava in fretta, nervosamente. Si diresse all'altra stanza. De Vincenzi sentì che muoveva bicchieri, faceva scorrere acqua, apriva un armadio. Era evidente che quell'interrogatorio cominciava a renderla inquieta, e che aveva sentito il bisogno di bere, per trovare un diversivo che le permettesse di allontanarsi qualche istante. Ma perché le domande di De Vincenzi l'avevano turbata? Soprattutto al nome di Boldviski... Hollywood... Boldviski... Un uomo amato da molte donne... Miss Llewellyn però era una... una ragazza di lusso e nient'altro. Non doveva essere il genere del regista. Ma qual era il genere di Boldviski? Per quel che ne sapeva De Vincenzi...

Miss Mary tornò con due bicchieri colmi, sopra un vassoio di vetro. De Vincenzi mise le labbra al bicchiere che la ragazza gli porgeva. Miss Llewellyn aveva fatto un intruglio intelligente di gin, sugo di limone e acqua di seltz. Lo bevve e si alzò per deporre il bicchiere sul tavolo più vicino. Miss Mary vuotò il suo di un fiato, mandando un grosso sospiro di soddisfazione. Le gote le si arrossarono un poco; diede una scrollata alla zazzeretta rossa, che mandò scintille. Fissò il commissario, mettendosi le mani alle anche. "Non è vero che fa bene?"

De Vincenzi annuì. "Adesso, vi lascio libera, miss Llewellyn. La Taverna di Costantino è lontana."

Alzò le spalle. "Mi viene a prendere in auto."

"Chi?"

"Il mio fidanzato, o il suo autista."

"Capisco..." Si diresse verso l'anticamera. "Tornerò domani... Oh, soltanto per procurarmi il piacere di rivedervi, dal momento che non conoscevate Boldviski e che non avete udito nulla." Si fermò, voltandosi. "Poiché dalle quattro alle cinque, nel pomeriggio di oggi, voi non avete udito nulla, vero?"

"No."

"Ed eravate sola?"

"Che ve ne importa? Ero sola... A ogni modo la porta del mio appartamento era chiusa, e io non so nulla di quel che è accaduto dall'altra parte."

"Naturalmente."

Per raggiungere l'uscio, evitò di camminare sul tappeto bianco. Aveva la mano sulla molla della serratura, quando il campanello dell'ingresso squillò.

La ragazza ebbe un sussulto. "Chi è, adesso?"

"Non mi avete detto che il vostro fidanzato doveva venire a prendervi?"

"Non sale mai," mormorò, e poi con voce agitata: "Ma aprite, dunque!"

De Vincenzi aprì e si trovò dinanzi l'agente che aveva lasciato di guardia sul pianerottolo.

"Che c'è?"

"Vi hanno chiamato dalla Questura Centrale, cavaliere. Al telefono ha risposto quella signora..." indicò dietro di sé. "Le ho detto che vi sarei venuto ad avvertire, che tenesse la comunicazione..."