30.
Tornano a scuola per il quarto anno sotto la
pioggia, una pioggia spessa che ti lascia addosso un residuo
appiccicoso. L’estate è stata strana, disarticolata: una era in
vacanza con i genitori, un’altra aveva un barbecue in famiglia, o
un appuntamento dal dentista, c’era sempre qualcosa. E in qualche
modo è da giugno che quasi non si vedono. La mamma di Selena l’ha
portata dal parrucchiere e i suoi capelli corti ora hanno un taglio
come si deve, che le dà un’aria piú adulta e sofisticata, finché
non la guardi in faccia con attenzione. Julia ha un succhiotto sul
collo. Non ne parla e le altre non chiedono. Becca è cresciuta di
quasi dieci centimetri e non porta piú l’apparecchio dei denti.
Holly si sente l’unica rimasta uguale: un po’ piú alta, le forme un
po’ piú piene, ma sempre lei. Per un attimo, con il borsone a
tracolla sulla soglia della stanza che condivideranno quest’anno,
si sente quasi intimidita da loro.
Nessuna parla del voto che hanno fatto.
Nessuna parla di uscite notturne, né per dire com’era bello, né per
suggerire di trovare un modo per farlo ancora. In un angolo della
mente, Holly si chiede se per le altre sia stato solo uno scherzo,
un modo di rendere piú interessante la scuola o sé stesse. Si
chiede se lei sia l’unica ad averci creduto davvero, facendo la
figura della stupida.
Chris Harper è morto da tre mesi e mezzo.
Nessuno parla di lui, né loro, né le altre. Nessuno vuol essere il
primo, e dopo qualche giorno è troppo tardi.
Dopo un paio di settimane finalmente smette di
piovere; in un pomeriggio inquieto, non ce la fanno a passare
un’altra ora dentro il Court. Fanno le loro facce innocenti, escono
sul retro e scivolano dentro il Campo.
Le erbacce sono piú alte e forti dell’anno
scorso; le cataste di blocchi sulle quali si sedevano sono franate,
e ora sono soltanto mucchi di detriti inutili, alti meno di mezzo
metro. La rete metallica scossa dal vento raschia contro il
cemento.
Non c’è nessuno, nemmeno gli emo. Julia si fa
strada a calci tra le erbacce e si siede con la schiena contro uno
di quei mucchietti. Le altre la seguono.
Julia prende il telefono e si mette a
messaggiare; Becca crea spirali di sassolini su un piccolo spiazzo
di terra libera. Selena guarda il cielo come ipnotizzata. Uno
spruzzo di pioggia randagio la colpisce sulla guancia, ma non batte
nemmeno le palpebre.
Lí fa piú freddo che sul davanti del centro
commerciale, un freddo di campagna capace di ricordarti che le
montagne non sono molto lontane. Holly affonda le mani nelle tasche
del giubbotto. Si sente irrequieta.
– Qual era quella canzone? – dice
all’improvviso. – La passavano in radio di continuo, l’anno scorso.
Una cantante giovane.
– Come faceva? – chiede Becca.
Holly prova a cantarla, ma sono passati mesi
dall’ultima volta che l’ha sentita e non ricorda piú le parole.
Riesce a trovare solo Remember oh remember
back when… Allora prova a canticchiare la melodia, ma senza
il suo ritmo rapido e gli arpeggi di chitarra non è niente di che.
Julia scrolla le spalle.
– Lana Del Rey? – dice Becca.
– No –. È cosí diversa dallo stile di Lana Del
Rey che Holly si deprime. – Lenie? Tu lo sai.
Selena alza gli occhi, con un vago sorriso. –
Eh?
– Quella canzone. Una volta, nella nostra
stanza, la canticchiavi. E io sono entrata dopo la doccia e ti ho
chiesto il titolo ma non lo sapevi. Ricordi?
Selena ci pensa su, poi se ne dimentica e si
mette a pensare ad altro.
– Dio, – dice Julia spostando il sedere sui
sassi. – Dove sono tutti? Questo posto una volta non era
interessante?
– È colpa del tempo, – risponde Holly. La sua
inquietudine è peggiorata. Trova in tasca la carta di una barretta
di cioccolato e l’appallottola.
– A me piace cosí, – dice Becca. – Senza
ragazzi scemi in cerca di qualcuno da tormentare.
– Almeno non era noioso. Tanto valeva restare
al Court.
Holly capisce come mai è irrequieta e
vagamente irritata: si sente sola. E averlo capito la fa stare
peggio. – Allora torniamo dentro, – dice. All’improvviso vuole il
Court, vuole riempirsi di musica sintetica e zucchero rosa.
– No, che senso ha? Ormai è quasi ora di
tornare in collegio.
Holly pensa di avviarsi comunque, ma non sa se
almeno una delle altre la seguirà e il pensiero di trascinarsi
nell’aria grigia di pioggia da sola gonfia ancora di piú il senso
di solitudine. Lancia la carta appallottolata, la fa ruotare un
paio di volte e la lascia ferma in aria.
Nessuno fa nulla. Holly dirige la carta verso
Julia, che la scaccia come una mosca. – Smettila.
– Ehi. Lenie.
Holly praticamente la fa rimbalzare sulla
fronte di Selena, la quale per un attimo sembra sbigottita, poi
afferra la carta in aria e se la mette in tasca. – Non facciamo piú
queste cose, – dice.
I motivi palpitano nell’aria. – Ehi, – sbotta
Holly, a voce troppo alta in questo silenzio grigio e umido. –
Quella era mia.
Nessuno risponde. Le viene in mente, per la
prima volta, che un giorno crederà, ma sul serio, al cento per
cento, che era solo la loro immaginazione.
Julia riprende a messaggiare. Selena riprende
il suo sogno a occhi aperti. Holly prova per le sue amiche un amore
cosí forte e feroce e ferito che potrebbe urlare.
Becca incrocia il suo sguardo e indica il
terreno. Quando Holly abbassa gli occhi, Becca fa volare un
sassolino tra l’erba e glielo manda ad atterrare sulla punta di uno
stivale. Holly fa appena in tempo a sentirsi un po’ meglio, che
Becca le regala un sorriso da adulta che ha dato una caramella a
una bambina.
Al quarto anno è tutto diverso di per sé. Loro
quattro fanno le settimane di esperienza lavorativa in posti
diversi con orari diversi; quando gli insegnanti dividono la classe
in gruppi che si dedicano a progetti sulla pubblicità online o sul
volontariato con i bambini disabili, dividono di proposito le
amiche, perché questo anno scolastico è tutto basato sul fare nuove
esperienze. È quello che si racconta Holly, nei giorni in cui sente
ridere Julia in mezzo a un crocchio dal lato opposto dell’aula, o
quando loro quattro finalmente hanno qualche minuto da passare
insieme prima di andare a letto e nessuna dice una parola: è solo
il quarto anno. Sarebbe successo comunque. L’anno prossimo tornerà
tutto normale.
Stavolta, quando Becca annuncia che non andrà
al ballo di San Valentino, nessuna prova a farle cambiare idea.
Quando suor Cornelius sorprende Julia a pomiciare con François Levy
sulla pista da ballo, Holly e Selena non dicono una parola. Selena
ondeggia con le braccia aperte, fuori ritmo, e probabilmente non se
n’è accorta.
Quando alla fine tornano in camera, Becca è a
letto con gli auricolari nelle orecchie e dà loro le spalle. La
luce da lettura indica che ha gli occhi aperti, ma non dice nulla,
e nemmeno loro.
La settimana dopo, quando la signorina Graham
le invita a formare dei gruppi per il grande progetto artistico
finale, Holly afferra le altre tre cosí in fretta che quasi cade
dalla sedia.
– Ahi, – dice Julia, divincolandosi. – Ma che
cazzo?
– Gesú, calmati. È solo che non voglio
ritrovarmi insieme a delle deficienti che vogliono fare un grande
ritratto di Kanye tutto coi baci di rossetto.
– Calmati tu, – ribatte Julia, ma sorride. –
Niente Kanye fatto coi baci. Noi faremo una Lady Gaga con gli
assorbenti. Sarà una dichiarazione sul posto delle donne nella
società –. Le risatine si estendono da loro due fino a Becca e
persino Selena sorride, e Holly sente le spalle rilassarsi per la
prima volta da mesi.
– Ciao, – grida Holly, chiudendosi la porta
alle spalle.
– Sono qui! – grida suo padre dalla cucina.
Holly lascia cadere a terra il borsone del weekend e va da lui,
scuotendosi un residuo di pioggia dai capelli.
Il padre sta pelando patate, le maniche della
maglietta grigia tirate su fino ai gomiti. Da dietro sembra piú
giovane: capelli ancora quasi tutti castani, spalle larghe, braccia
muscolose. Il forno acceso riempie la cucina di un calore
accogliente. Fuori dalla finestra, la pioggia di febbraio è come
una nebbiolina sottile.
Chris Harper è morto da nove mesi, una
settimana e cinque giorni.
Suo padre l’abbraccia senza toccarla con le
mani e si china per farsi dare un bacio sulla guancia ruvida di
barba che sa di sigarette. – Fammelo vedere, – dice.
– Papà.
– Avanti.
– Sei proprio paranoico.
Lui le fa cenno di ubbidire. Holly alza gli
occhi al soffitto e gli tende il portachiavi. Si tratta di un
allarme personale a forma di goccia, nero con fiorellini bianchi. A
suo padre ci è voluto molto tempo per trovarne uno che somigliasse
a un normale portachiavi, in modo da non metterla in imbarazzo a
scuola, ma ogni settimana controlla che lo porti ancora.
– Ecco una vista che mi piace, – dice,
tornando alle sue patate. – Io la adoro, la mia paranoia.
– Nessuno a scuola ne ha uno.
– Cosí tu sarai l’unica a sfuggire al
rapimento di massa da parte degli alieni. Congratulazioni. Vuoi
fare merenda?
– No, sono a posto –. Il venerdí usano i soldi
rimasti dalla paghetta per comprare dolci che poi mangiano sedute
sul muretto alla fermata dell’autobus.
– Perfetto. Allora puoi darmi una mano con la
cena.
La cena la prepara sempre sua madre. – Mamma
dov’è? – Holly appende il cappotto ma osserva di soppiatto il
padre. Quando era piccola, i suoi si erano separati. Suo padre è
tornato a casa quando lei aveva undici anni, ma Holly continua a
tenerli d’occhio entrambi. E diffida di ogni cosa insolita.
– È uscita con una vecchia amica. Prendi –. Le
getta una testa d’aglio. – Tre spicchi, finemente tritati. Cosí
dice la ricetta.
Holly non capisce se suo padre sappia che lei
voleva sentire la parola amica. Con
lui non si è mai sicuri di nulla.
– Quale amica?
– Una certa Deirdre, un’ex compagna di scuola.
Tritali finemente, capito?
Holly prende un coltello e si siede su uno
sgabello alla penisola della colazione. – Torna a casa, dopo?
– Ovvio. Ma non so a che ora. Perciò le ho
detto che non l’aspettiamo per cena. Se arriva in tempo, bene, se
vuole continuare con le chiacchiere tra donne, noi non moriremo di
fame.
– Prendiamo una pizza, – dice Holly, con un
accenno di sorriso. Quando lo raggiungeva per il fine settimana nel
suo appartamento da single, ordinavano una pizza e la mangiavano
sul balconcino, guardando il fiume con le gambe penzoloni oltre la
ringhiera, perché non c’era abbastanza spazio per le sedie. Dal
modo in cui s’illuminano gli occhi del padre, capisce che anche per
lui è un bel ricordo.
– Io qui a sudare per dare il meglio con le
mie grandi capacità di chef, e tu vuoi una pizza? Che ingrata. E
comunque tua madre ha detto che bisogna usare il pollo se no
scade.
– Quindi cosa si mangia?
– Pollo in umido. Mi ha lasciato la ricetta –.
Indica un pezzo di carta che sporge da sotto il tagliere. – Com’è
andata la settimana?
– Bene. Suor Ignatius ci ha tenuto un gran
discorso sulla necessità di decidere cosa faremo all’università,
spiegando che tutta la nostra vita dipende dal prendere la
decisione giusta. Alla fine era cosí esaltata che ci ha fatto
scendere nella cappella a chiedere ai santi di guidarci.
Con questo racconto riesce a farlo
ridere.
– E cos’ha detto la tua santa patrona?
– Che devo dare il massimo per superare gli
esami, altrimenti mi tocca sopportare suor Ignatius per un altro
anno intero.
– Ottimo consiglio –. Suo padre getta le bucce
nel secchio dell’organico e comincia a tagliare le patate. – Non è
che sei un po’ stufa delle suore? Perché puoi mollare il collegio
quando vuoi, lo sai. Basta dirlo.
– No, no, – replica Holly in fretta. Non sa
come mai suo padre abbia accettato di lasciarla in collegio dopo la
faccenda di Chris, e teme sempre che cambi idea. – Suor Ignatius è
a posto, alla fine ci fa solo fare quattro risate. Julia la imita
benissimo. Una volta ha imitato la sua voce per tutta la lezione di
Orientamento e suor Ignatius non se n’è accorta. Non riusciva a
capire perché ridevamo.
– Quella piccola peste, – dice lui, con un
sorriso. Julia gli piace. – Comunque la suora non ha tutti i torti.
Tu hai cominciato a pensare a cosa farai dopo la scuola?
Negli ultimi due mesi, sembra che gli adulti
riescano a parlare solo di quello. – Forse Sociologia. La settimana
scorsa è venuto da noi un sociologo a spiegarci di cosa si tratta,
e non è male. O forse Giurisprudenza.
È concentrata sull’aglio, ma sente che il
ritmo del coltello di suo padre non cambia; certo non vuol dire
nulla, lui a queste cose ci sta attento. La madre di Holly è
avvocato, e papà non ha un altro figlio che possa seguire le sue
orme.
Quando Holly lo guarda, vede solo
un’espressione attenta e interessata. – Sí? E che tipo di carriera
legale ti attrae?
– L’avvocato. Forse. Non lo so, ci sto ancora
pensando.
– Le capacità argomentative non ti mancano. Ma
pubblico ministero o difensore?
– Difensore, forse.
– Come mai?
Il tono è ancora piacevole e interessato, ma
con una sfumatura appena piú fredda che a Holly non piace. Scrolla
le spalle. – Boh, mi sembra interessante. Cosí è tritato abbastanza
fine?
Holly ogni tanto cerca di ricordare quante
volte suo padre ha voluto o non voluto che lei facesse una cosa e
lei è riuscita a imporsi. Il suo unico successo è stato andare in
collegio. A volte lui dice di no, punto e basta. Altre volte la
cosa che lei vuole semplicemente non accade. E in alcuni casi Holly
finisce addirittura per convincersi che abbia ragione lui. Ora non
aveva nessuna intenzione di parlargli di Giurisprudenza, ma a meno
di essere sempre concentrati, tutti finiscono per dirgli quello che
vuole sapere.
– Ottimo lavoro, – risponde lui. – Mettilo qui
–. Holly lo raggiunge con il tagliere e getta l’aglio nella
casseruola. – Puoi tagliare anche quel porro? Perché avvocato
difensore?
Holly prende il porro e torna al suo sgabello.
– La magistratura è troppo affollata.
Suo padre aspetta che continui, con le
sopracciglia alzate in atteggiamento interrogativo. Holly si
stringe di nuovo nelle spalle. – Non lo so… I detective, le divise,
la Scientifica e i pubblici ministeri. Invece nella difesa ci sono
solo l’imputato e il suo avvocato.
– Capisco, – dice suo padre, esaminando i
cubetti di patata. Holly lo vede riflettere, scegliere con cura le
parole. – Sai, tesoro, non è cosí ingiusto come sembra. Al
contrario, se il sistema pende da una parte, è quella della difesa.
L’accusa deve costruire un caso che possa resistere a ogni
ragionevole dubbio. La difesa deve solo costruire quell’unico
dubbio. Ti posso giurare con la mano sul cuore che ci sono molti
piú colpevoli assolti che innocenti condannati.
Non era ciò che Holly voleva dire, e non sa se
il fatto che lui non l’abbia capito sia piú un sollievo o un
fastidio. – Sí, – replica. – Hai ragione.
Suo padre getta le patate nella casseruola. –
È un bell’impulso, comunque. Solo, prenditi tutto il tempo che ti
serve, prima di decidere. Non fissarti su un’idea finché non sei
sicura al cento per cento, va bene?
– Come mai non vuoi che diventi un avvocato
difensore?
– Ne sarei felice. È lí che si guadagna di
piú, cosí potrai finanziare il tenore di vita che desidero
mantenere.
Sta evitando di rispondere, nel suo classico
stile. – Papà, ti ho fatto una domanda.
– Gli avvocati difensori mi odiano. Io speravo
che tu mi odiassi solo ora, e che una volta passata l’adolescenza
avremmo ripreso ad andare d’accordo. Non pensavo che questo fosse
solo l’inizio –. Apre il frigorifero e si mette a frugare. – Tua
madre ha detto di aggiungere anche le carote. Quante ne servono,
secondo te?
– Papà.
Lui si volta e la guarda. – Facciamo un
esempio, – dice. – Un cliente viene nel tuo studio chiedendoti di
difenderlo. E non parliamo di reati minori, ma di qualcosa di
brutto. Piú parli con lui, piú ti convinci che sia colpevole. Ma i
soldi non gli mancano e tu devi pagare a tua figlia l’apparecchio
per i denti e le tasse scolastiche. Cosa fai?
Holly scrolla le spalle. – Ci penserò al
momento.
Non sa come dirglielo. Solo una parte di lei
vuole spiegargli quello che pensa. I pubblici ministeri hanno il
supporto dell’intero sistema, hanno tutte le risorse, hanno la
certezza di essere dalla parte del bene: è proprio quello che non
le piace, perché puzza di vigliaccheria. Holly vuole essere un
mondo a sé, vuole poter decidere da sola cosa è giusto e cosa no,
vuol essere la persona che trova il modo di pilotare ogni storia
fino alla conclusione piú giusta. Le sembra piú pulito, piú
coraggioso.
– Sí, immagino si possa fare anche cosí –. Suo
padre prende una busta di carote. – Una? Due?
– Due –. Lui ha la ricetta lí accanto, non ha
bisogno di chiedere.
– E le tue amiche? Qualcuna di loro pensa di
fare Legge?
Holly prova una scarica d’irritazione. – No. A
volte posso perfino pensare da sola. Non è incredibile?
Lui sorride e torna al piano di lavoro.
Passandole accanto le posa una mano sulla testa, calda e forte. Ha
deciso di lasciar perdere, o di fingere di averlo fatto. – Sarai in
gamba. Da qualsiasi parte dell’aula deciderai di stare –. Le
accarezza i capelli e si mette a pelare le carote. – Non pensarci
troppo, pulcino. Sono certo che prenderai la strada giusta.
L’argomento è chiuso. Tutto quel tastare il
terreno, tutto quel discorso serio, e non è riuscito a capire cosa
pensa lei davvero. Holly prova trionfo e vergogna allo stesso
tempo.
– E le tue amiche cos’hanno in mente?
– Julia vuol fare giornalismo. Becca non lo sa
ancora. Selena vuole andare all’Accademia di Belle Arti.
– Sarà ammessa di sicuro, i suoi lavori sono
buoni. È da un po’ che volevo chiedertelo: sta bene?
Holly alza gli occhi, ma suo padre sta pelando
una carota e guarda fuori per vedere se la mamma sta arrivando. –
In che senso?
– Niente, è solo che le ultime volte che l’hai
portata qui mi sembrava un po’… persa. Non so se è la parola
giusta.
– Selena è fatta cosí, devi solo imparare a
conoscerla.
– La conosco da un pezzo, e prima non era
cosí. C’è qualcosa che la preoccupa?
Holly si stringe nelle spalle. – Le cose
normali. La scuola e il resto –. Holly sa che suo padre non ha
finito. – Cosa faccio ora?
– Prendi –. Le getta una cipolla. – So che tu
e le tue amiche la conoscete benissimo, ma a volte piú sei vicino a
una persona, meno capisci se c’è qualcosa che non va. Durante
l’adolescenza possono manifestarsi tanti problemi: depressione,
schizofrenia, eccetera. Non sto dicendo che Selena soffra di nulla
del genere, – aggiunge alzando una mano per non essere interrotto.
– Voglio solo dire che se c’è qualcosa, anche qualcosa di poca
importanza, il momento per provare a risolverlo è adesso.
Holly pianta i piedi sul pavimento. – Selena
non è schizofrenica. Tende a sognare a
occhi aperti, questo è tutto. Siccome non è una di quelle ragazzine
stupide fanatiche dei Jedward, non significa che sia anormale.
Gli occhi di suo padre sono azzurri e calmi.
Proprio quella calma fa venire a Holly il cuore in gola. Secondo
lui è un problema serio.
– Dài che mi conosci, tesoro, – protesta. –
Non dico che Selena dovrebbe comportarsi da ragazza pompon. È solo
che mi sembra molto meno sul pezzo dell’anno scorso. E se ha un
problema e non viene affrontato subito, potrebbe diventare qualcosa
di serio. Prima di quanto crediate, vi troverete fuori da St Kilda,
nel vasto mondo. E se ci arrivi con un problema mentale che è stato
sottovalutato, puoi rovinarti la vita.
Holly avverte tutto intorno la pressione di
una nuova realtà, che le stringe il petto e le rende difficile
respirare.
– Selena sta bene. Ha solo bisogno che la
gente la lasci in pace senza tormentarla, capito? Puoi farlo anche
tu?
Dopo un attimo, suo padre risponde: – Va bene.
Come ho detto, tu la conosci meglio di me, e so che voi quattro vi
prendete cura l’una dell’altra. Tienila d’occhio, chiedo solo
questo.
Il rumore impaziente di una chiave nella
serratura, poi una corrente d’aria che sa di pioggia. – Frank?
Holly?
– Ciao, – rispondono tutti e due.
Si sente sbattere la porta e sua madre entra
in cucina. – Mio Dio, – dice, appoggiandosi al muro. Ciocche di
capelli biondi sono uscite dalla crocchia, e ha un’aria sciolta,
diversa dal solito atteggiamento composto. – È stato davvero
strano.
– Sei brilla? –chiede Frank, sorridendo. – E
io qui a occuparmi di tua figlia e a preparare un pasto
caldo…
– No, assolutamente. Be’, forse appena un po’,
ma non è questo. È… Dio, Frank, ti rendi conto che non vedevo
Deirdre da quasi trent’anni? Com’è potuto succedere?
– È andata bene, mi sembra di capire.
Lei ride, senza fiato. Sotto il cappotto
aperto indossa il suo vestito attillato blu con finiture bianche e
la catenina d’oro che il marito le ha regalato per Natale. È ancora
poggiata al muro, la borsa a terra ai suoi piedi. Holly prova di
nuovo quel lampo di diffidenza. Sua madre le dà sempre un bacio,
per prima cosa, non appena la vede.
– È stato meraviglioso. Ero terrorizzata,
giuro. Sulla porta del bar per poco non ho girato i tacchi. Se non
avesse funzionato, se ci fossimo trovate lí a parlare di
sciocchezze come due semplici conoscenti… Non sarei riuscita a
sopportarlo. Dee e io e Miriam, ai tempi della scuola, eravamo come
tu e le tue amiche, Holly. Inseparabili.
Ha una caviglia incrociata sull’altra, in una
posa adolescenziale. Trent’anni? pensa
Holly. A noi non succederà mai. – Come
mai vi siete perse di vista, allora?
– Dopo le scuole la famiglia di Deirdre è
emigrata in America. Lei ha fatto l’università lí, e allora era
tutto diverso: l’e-mail non esisteva, le chiamate internazionali
costavano un occhio, le lettere ci mettevano settimane ad arrivare.
Ci abbiamo provato. Lei conserva ancora tutte le mie lettere,
pensa. Le ha portate stasera. Parlano di tante cose che avevo
dimenticato: ragazzi, serate fuori, liti con i genitori… Anch’io
devo avere le sue, da qualche parte. Forse in soffitta dai miei.
Non posso averle buttate. In ogni modo, con l’università c’era
tanto da fare e alla fine abbiamo perso i contatti.
Il suo bel viso lungo è trasparente,
attraversato da emozioni rapide e luminose come foglie soffiate dal
vento. Non sembra piú sua madre, né la madre di nessuno. Per la
prima volta nella sua vita, Holly la guarda e pensa:
«Olivia».
– Ma oggi… Dio, è stato come se non fosse
passato nemmeno un mese. Abbiamo riso tanto, non riesco a ricordare
l’ultima volta che ho riso cosí. In classe ridevamo sempre. Avevamo
un inno della scuola alternativo, fatto di stupidaggini e battute
sconce, e l’abbiamo cantato lí al bar. Lo sapevamo ancora parola
per parola. Io non ci pensavo da trent’anni, non ricordavo neppure
che esistesse, ma è bastato uno sguardo a Dee e mi è tornato tutto
in mente.
– Atteggiamenti sconvenienti in un bar, alla
tua età, – dice suo padre. – Sarai espulsa dall’ordine –. Ha un
ampio sorriso e anche lui sembra piú giovane. Gli piace vedere
Olivia cosí.
– Dio, devono averci sentite tutti, eh? Pensa
che non ci ho nemmeno fatto caso. Sai, Frank, a un certo punto lei
ha detto: «Non devi tornare a casa?» E io ho risposto, giuro:
«Perché?» Quando ha detto casa ho
pensato a quella dei miei genitori, chiedendomi per quale motivo
dovevo avere fretta di tornarci. Ero cosí immersa nel 1982 che
avevo dimenticato persino l’esistenza
di tutto questo.
Ride con una mano sopra la bocca. Un po’ si
vergogna, un po’ è felice.
– Abbandono di minore, – dice suo padre, a
Holly. – Prendi appunti, se un giorno vorrai ricattarla.
Holly rivede la faccia di Julia nella radura,
tanto tempo fa: «Comunque non è per sempre». Resta senza fiato.
Julia si sbagliava, loro sono per
sempre, un sempre breve e mortale, un sempre che penetra fino alle
ossa e resta lí anche dopo che tutto è finito, intatto,
indistruttibile.
– Mi ha dato questa, – dice sua madre,
frugando in borsa. Tira fuori una foto dai bordi ingialliti e la
posa sulla penisola. – Guarda: io, Deirdre e Miriam. Siamo
noi.
La voce le si blocca in gola e per un secondo
Holly ha il terrore che stia per piangere, ma quando la guarda la
vede che si morde un labbro e sorride.
Tre ragazze in uniforme scolastica, con lo
stemma di St Kilda sul bavero della giacca. La gonna un po’ piú
lunga, la giacca brutta e squadrata, ma a parte quello e le
pettinature passate di moda potrebbero essere tre studentesse
dell’anno dopo quello di Holly. È una foto ironica, labbra in
fuori, posa provocante, davanti a un cancello in ferro battuto che
solo a una seconda occhiata Holly riconosce come quello in fondo al
prato posteriore. Deirdre è quella in mezzo, scuote in avanti i
capelli con la permanente, tutta curve e ciglia e sguardo
malizioso. Miriam, piccola e bionda, dai capelli sottili, schiocca
le dita e ride mostrando l’apparecchio per i denti. E a destra
Olivia, gambe lunghe, testa riversa indietro e mani nei capelli: la
parodia di una posa da modella. Ha un lucidalabbra rosa che non
avrebbe mai approvato se l’avesse visto sulle labbra di Holly. È
molto bella.
– Stavamo fingendo di essere le Bananarama, –
spiega. – O un gruppo del genere, non lo sapevamo nemmeno noi. In
quel periodo avevamo una band.
– Tu eri in una band? – dice Frank. – Ero un tuo fan di
sicuro.
– Ci chiamavamo Sweet and Sour –. Nella risata
di Olivia c’è un piccolo tremito. – Io suonavo le tastiere, per
modo di dire. Poiché studiavo pianoforte, avevamo pensato che me la
sarei cavata bene con organi elettrici e simili, ma ero negata. Dee
sapeva suonare solo la chitarra folk e nessuna di noi tre sapeva
cantare, perciò quell’idea era un disastro, ma ci divertivamo un
mondo.
Holly non riesce a smettere di guardare la
foto. La ragazza che vede non è una donna solida, con i piedi
piantati in una vita irrevocabile. È un fuoco d’artificio, fatto di
luci che riflettono milioni di possibilità. Non è un avvocato,
moglie di Frank Mackey e madre di una figlia unica, con una casa a
Dalkey, affezionata ai colori neutri, al cachemire e allo Chanel n.
5. Tutte quelle cose sono implicite in lei, fra le tante altre vite
possibili che poi non ha scelto, facendole svanire come lampi di
luce. Un brivido sale lungo la schiena di Holly e non la lascia
andare.
– Dov’è Miriam? – chiede.
– Non lo so. Una volta partita Dee non era piú
la stessa cosa, e negli anni dell’università ci siamo allontanate.
Io ero diventata molto seria, ambiziosa, studiavo sempre; Miriam
voleva solo uscire a bere e flirtare, e cosí… – Anche sua madre non
smette di guardare la foto. – Qualcuno mi ha detto che si è sposata
e che dopo l’università si è trasferita a Belfast. Non ho mai
saputo altro di lei.
– Se vuoi, – dice Holly, – posso cercare in
internet. È facile trovare le persone su Facebook.
– Tesoro, sei molto cara. Ma non so se è una
buona idea… Non so se potrei sopportarlo. Mi capisci?
– Credo di sí.
Frank le posa una mano sulla schiena, tra le
scapole. – Vuoi un altro bicchiere di vino?
– Oh, Dio, no. O forse sí. Non lo so.
Lui le fa una carezza leggera sul collo e va
ad aprire il frigo.
– Quanto tempo è passato, – dice sua madre,
sfiorando la foto con le dita. L’eccitazione è scomparsa dalla sua
voce. – Com’è possibile?
Holly torna al suo sgabello. Sposta pezzetti
di cipolla con la punta del coltello.
Olivia dice: – Dee non è felice, Frank. Era
quella piú estroversa, sicura di sé, come la tua amica Julia,
Holly, sempre con la risposta pronta. Pensavamo che sarebbe
diventata una politica, o una conduttrice televisiva di quelle che
fanno le domande difficili ai politici. Ma si è sposata giovane, il
marito non voleva che lavorasse fino a quando i bambini non fossero
andati a scuola, e cosí ora trova solo lavori saltuari come
segretaria. Il marito sembra proprio un tipaccio, lei vorrebbe
lasciarlo, ma stanno insieme da tanto tempo che non sa come
farebbe, senza di lui…
Frank le porge un bicchiere. Lei lo prende
automaticamente, senza guardare. – La sua vita, Frank, non è per
niente quella che desiderava. Tutti i nostri progetti… credevamo di
conquistare il mondo… non avrebbe mai immaginato di finire
cosí.
Sua madre di solito non parla in questo modo
davanti a lei. Ha una mano sul mento e lo sguardo distante; sembra
aver dimenticato la sua presenza.
Suo padre chiede: – Vi rivedrete? – Holly
capisce che vorrebbe toccarla, abbracciarla, è la stessa cosa che
vorrebbe fare anche lei, ma non lo fa perché non lo fa nemmeno suo
padre.
– Forse, non lo so. Lei torna in America la
settimana prossima, dal marito e dal lavoro precario. Non può
restare oltre, e prima di partire deve andare a trovare tutti i
cugini. Ci siamo giurate di tenerci in contatto via e-mail… – Sua
madre si passa le dita sul viso, come se sentisse per la prima
volta le rughe intorno alla bocca.
– L’estate prossima potremmo andare in vacanza
da quelle parti. Se vuoi.
– Oh, Frank, sei un tesoro. Ma lei non sta a
New York, o a San Francisco, o posti simili… – Olivia guarda il
bicchiere di vino che ha in mano, perplessa, e lo posa sul tavolo.
– Vive nella città del marito, un posto sperduto nel Minnesota. Non
so se…
– Possiamo andare a New York e lei può
raggiungerci. Pensaci.
– Lo farò. Grazie –. Sua madre respira a
fondo, raccoglie la borsa da terra e ci mette dentro la foto. –
Holly, – dice con un sorriso, tendendo un braccio. – Vieni qui e
dammi un bacio. Com’è andata la tua settimana?
La notte Holly non riesce a dormire. La casa è
surriscaldata, eppure quando scosta il piumone le viene subito un
gelo alla schiena. Ascolta i genitori che vanno a letto: la voce
ancora eccitata e felice della madre, che ogni tanto cala di tono
quando si ricorda che c’è Holly; suo padre a un tratto dice
qualcosa che la fa ridere forte. Quando le loro voci tacciono,
Holly resta stesa al buio, sveglia. Pensa di mandare un messaggio a
una delle altre, ma non sa a chi o cosa dire.
– Lenie, – dice Holly.
Sembrano passare ore, poi Selena, che sta
leggendo a pancia in giú sul letto, risponde: – Eh?
– L’anno prossimo, come decidiamo chi
condivide la stanza con chi?
– Cosa?
– Al quinto le stanze sono per due. Sai già
con chi vuoi stare?
Una spessa pellicola di pioggia copre la
finestra. Non si può uscire. Nella sala comune, le altre ragazze
giocano a una versione di Trivial Pursuit degli anni Novanta,
provano cosmetici, messaggiano. L’odore dello stufato di manzo che
sale dalla mensa dà a Holly una leggera nausea.
– Ma che cazzo, – dice Julia, voltando una
pagina. – Siamo in febbraio. Se vuoi
qualcosa di cui preoccuparti, perché non pensi a quello stupido
progetto di Studi di coscienza sociale?
– Lenie?
Le stanze doppie sono una preoccupazione per
tutto il quarto anno. Ci sono amicizie che finiscono in lacrime e
fiamme perché c’è chi sceglie la persona sbagliata. Le interne
passano buona parte dell’anno a pensare alla scelta e a trovare un
modo di uscirne senza danni.
Selena la fissa con le labbra socchiuse, come
se le avesse appena chiesto di pilotare un’astronave. – Con una di
voi.
Holly prova una fitta di paura. – Sí, ma
chi?
Da Selena arrivano solo echi di spazio vuoto.
Becca ha sentito qualcosa nell’aria e si è tolta gli
auricolari.
– Vuoi sapere la mia scelta? – insiste Julia.
– Se intendi cominciare ad agitarti per cose che non esistono
ancora, di sicuro non sarai tu.
– Non l’ho chiesto a te, – ribatte Holly. –
Cosa faremo, Lenie? – Vuole che si alzi a sedere e ci pensi, e tiri
fuori un’idea che non ferirà i sentimenti di nessuno, lei è brava
in questo; che so, estrarre a sorte. Dài,
Lenie, per favore… – Lenie?
– Fate voi, – risponde Selena. – Per me è
uguale. Sto leggendo.
Holly sente la voce uscirle troppo forte,
troppo dura. – Dobbiamo decidere insieme, è cosí che funziona. Non
esiste che scarichi tutto su di noi.
Selena abbassa la testa sul libro. Becca
osserva, mordicchiando il cavetto degli auricolari.
– Hol, – dice Julia, con il suo sorriso che
preannuncia guai. – Mi serve una cosa nella sala comune.
Accompagnami.
Holly non è dell’umore di prendere ordini da
lei. – Cosa ti serve?
– Vieni –. Julia scende dal letto.
– Non ce la fai da sola perché è troppo
pesante?
– Ah ah ah, che simpatica. Muoviti.
La sua energia fa sentire meglio Holly. Forse
avrebbe davvero dovuto chiederlo a lei; forse loro due riusciranno
a trovare una risposta. Scende dal letto ed esce con lei. Becca le
segue con lo sguardo, Selena no.
Il buio precoce fuori dà alle luci del
corridoio un tono giallastro. Julia si appoggia al muro e incrocia
le braccia. – Che cazzo stai facendo?
Non c’è bisogno di parlare piano, perché la
pioggia che batte sui vetri copre le loro voci.
– Le ho solo fatto una domanda, – risponde
Holly. – Qual è il…
– La stavi tormentando. Non farlo.
– Tormentando? Ma è una decisione che dobbiamo
prendere.
– Se continui a chiederglielo, riuscirai solo
a farla star male. Noi tre troviamo una soluzione, e qualsiasi cosa
decidiamo le andrà bene.
Holly incrocia le braccia a sua volta e
ricambia lo sguardo duro. – Io invece penso che Lenie abbia il
diritto di scegliere.
Julia alza gli occhi al cielo. – Ma fammi il
piacere.
– Cosa? Perché?
– Hai mangiato pane e lobotomia, a pranzo? Lo
sai benissimo, il perché.
– Vuoi dire perché non sta bene.
Il viso di Julia s’irrigidisce. – Sta
benissimo. Deve solo mettere a posto delle cose dentro di sé. Come
tutte noi.
– Non è lo stesso. Lenie non ce la fa. Non
riesce piú a stare dietro nemmeno alle cose normali. Cosa succederà
quando non saremo con lei ogni minuto di ogni…
– Vuoi dire quando saremo all’università?
Mancano anni. Scusami se non mi faccio
venire un attacco isterico al pensiero. Quando arriverà quel
momento, lei starà bene.
– Non sta migliorando, e lo sai.
Gira tra loro come una lama rotante: non sta
bene da allora, da quando, sai di cosa parlo. Nessuna delle due si
azzarda a toccarne i bordi taglienti.
– Secondo me dobbiamo mandarla a parlare con
qualcuno, – aggiunge Holly.
Julia ride forte. – Con suor Ignatius? Come no, questo sí che risolverà tutto.
Suor Ignatius non distingue un’unghia spezzata da…
– Non con lei. Con un medico, uno specialista,
qualcosa del genere.
– Gesú Cristo! – Julia scatta verso di lei con
tutti e due gli indici puntati. È a un pelo dal saltarle addosso. –
Non pensarci nemmeno, capito? Parlo sul serio.
Holly si trattiene a stento. La scarica di
furia le dà una bella sensazione. – Da quando sei il mio capo? Io
non prendo ordini da te. Mai.
Nessuna delle due fa a botte da quando era
piccola, ma ora, occhi negli occhi, sono pronte a scattare; le mani
cercano qualcosa di morbido da colpire e torcere. Alla fine è Julia
a cedere. Le dà le spalle e affonda contro il muro.
– Senti, – dice, voltata verso la finestra
striata di pioggia. – Se ti importa davvero di Lenie, non provare a
farla parlare con uno psicologo. Devi credermi sulla parola, è la
cosa peggiore in assoluto per lei. Va bene?
Dentro quelle parole è compresso qualcosa di
immenso che Holly non sente, nel brusio continuo di tutti i loro
segreti; non riesce a capire che cosa Julia sappia o supponga. Non
è da lei tirarsi indietro come ha fatto ora.
– Te lo chiedo come un favore personale.
Fidati di me. Per piacere.
Holly vorrebbe con tutta sé stessa che fosse
ancora cosí semplice. – Come vuoi, – dice. – Va bene.
Julia si volta a guardarla. Il sospetto sul
suo viso fa venire voglia a Holly di urlare, o di mostrarle il dito
medio e andarsene e non tornare mai piú
– Sul serio? – chiede Julia. – Non cercherai
di farla parlare con nessuno?
– Se sei davvero sicura che sia la cosa
migliore.
– Ne sono sicurissima.
– Allora va bene. Non farò nulla.
– Grazie, – dice Julia. – Ora andiamo a
prendere qualcosa nella sala comune prima che Becs esca a
cercarci.
Si avviano in corridoio, fianco a fianco,
perplesse, sole.
Holly non ha deciso di lasciar perdere solo
perché lo dice Julia. Lo ha deciso perché ha un’idea.
L’altra volta, quando era piccola, l’avevano
mandata da uno psicologo. Era un cretino con il naso sudato e
continuava a chiedere cose che non erano affari suoi, perciò lei lo
aveva ignorato e aveva continuato a giocare con i puzzle che le
erano stati messi davanti. Ma lui non smetteva lo stesso di
parlare, e alla fine tra tante sciocchezze una cosa si era
dimostrata vera. Aveva detto che sarebbe diventato tutto piú facile
quando fosse finito il processo e lei avesse saputo esattamente
cos’era accaduto. Sapere la verità avrebbe reso piú semplice
togliersi dalla testa tutta quella storia e concentrarsi su altre
cose. E cosí era stato.
Ci vuole qualche giorno prima che Julia
abbandoni la diffidenza e la lasci sola con Selena. Ma un
pomeriggio al Court, Julia deve comprare un biglietto d’auguri per
il compleanno del padre e Becca si ricorda che deve mandare un
biglietto di ringraziamento al nonno. Selena, con la borsa degli
acquisti fatti nel negozio di belle arti, si avvia verso la fontana
e quando Holly la segue è troppo tardi perché Julia possa cambiare
qualcosa.
Selena dispone a ventaglio i tubetti di colori
sul marmo nero della fontana e li sfiora con un dito. Dall’altro
lato, alcuni ragazzi di St Colm si voltano a guardare lei e Holly,
ma non si avvicinano. Sanno che qualcosa non va.
– Lenie, – dice Holly, e aspetta paziente che
Selena decida di alzare lo sguardo. – Sai una cosa che ti
aiuterebbe a star meglio?
Selena la osserva come se fosse una nuvola
dalla forma strana alla deriva nel cielo. – Eh?
– Se sapessi esattamente cos’è successo, –
dice Holly. Avvicinarsi all’argomento proibito le accelera le
pulsazioni, il cuore slitta come copertoni sul fango. – L’anno
scorso. E se il colpevole fosse arrestato. Questo ti aiuterebbe,
giusto? Non credi?
– Ssst, – risponde Selena. Le prende la mano,
la sua è fredda e morbida, e anche se Holly la stringe forte non
sembra solida. Dopodiché Selena torna a esaminare i suoi
colori.
Holly ha imparato da suo padre, già da molto
tempo, che la differenza tra essere scoperti e passarla liscia sta
nel fare le cose con calma. Per prima cosa compra il libro, in un
grande negozio di libri usati in città, un sabato. Tra un paio di
mesi sua madre se ne sarà dimenticata. «Mi serve un libro per la
scuola, mi dài dieci euro, ci metto un secondo». E nemmeno alla
cassa si ricorderanno di una ragazza bionda con un polveroso tomo
di mitologia. Trova sul cellulare una foto in cui c’è anche Chris e
qualche settimana dopo va a stamparla in sala computer durante la
pausa pranzo, fingendo di andare in bagno. Le altre dimenticano in
un secondo che ci ha messo un po’ troppo a tornare. Nel fine
settimana, sul pavimento della sua stanza, si dedica a ritagliare e
incollare, indossando un paio di guanti di lattice che ha rubato
nel laboratorio di Chimica, ed è pronta a coprire tutto con il
piumone se uno dei genitori dovesse bussare. Dopo un altro po’ di
tempo, dimenticheranno l’odore di colla. Poi getta il libro in un
cassonetto, nel giardino pubblico vicino a casa: tra qualche giorno
sarà scomparso del tutto. Infine nasconde il biglietto nella fodera
del cappotto, e lascia passare ancora un po’ di tempo prima di fare
la sua mossa.
Vorrebbe un segno che le indicasse il momento
giusto, ma sa che non lo riceverà, non per questo. E forse non ne
riceverà mai piú un altro, dopo.
Decide di crearselo da sola. Quando durante
una lezione di Educazione artistica sente le dalek lamentarsi che
devono salire di nuovo in aula il prossimo martedí sera, per quello
stupido progetto che non finisce mai, dice alle altre: – Martedí
anche noi?
Loro annuiscono, mentre gettano gesso in
polvere nella spazzatura e ripongono matasse di filo di rame.
È meticolosa. Quando arriva il momento, si
mette a chiacchierare prima di entrare in aula e al momento di
uscire, cosí le altre non fanno caso a quello che c’è o non c’è in
bacheca. Lascia il cellulare fuori vista, su una sedia, e infatti
nessuno lo vede. Al momento di spegnere le luci dice ad alta voce:
– Oh, cazzo, ho dimenticato il telefono! – La mattina dopo sale di
corsa a prenderlo, e nel corridoio deserto attacca il biglietto,
poi fa finta di trovarlo, coprendosi la bocca con una mano come se
qualcuno la stesse osservando. Va in aula a prendere la busta e il
tagliabalsa, stacca la puntina da disegno con delicatezza, come se
davvero ci fosse un’impronta digitale. Quando riprende di corsa il
corridoio, il rumore dei suoi passi rimbalza sui muri come una
serie di schiaffi.
Le altre le credono quando dice di avere
un’emicrania, perché ha fatto in modo di averne altre nei mesi
scorsi, raccontando gli stessi sintomi di sua madre. Julia le
presta il suo iPod perché non si annoi. Holly resta a letto e
mentre loro vanno a scuola le osserva come se fosse l’ultima volta
che le vede: Becca cammina controllando i compiti di Sociologia dei
media, Julia si tira su un calzino. Selena le rivolge un sorriso e
un cenno di saluto. Quando la porta si chiude alle loro spalle,
trascorre un minuto in cui pensa che non ce la farà mai ad alzarsi
dal letto.
L’infermiera passa a darle un analgesico, le
rimbocca le coperte e la lascia dormire. Holly si muove in fretta
per prendere il primo autobus diretto in città.
Alla fermata, nell’aria mattutina con refoli
di freddo, le arriva addosso qualcosa che all’inizio non capisce:
pensa di essersi ammalata sul serio, che per una specie di
maledizione le sue menzogne si siano avverate. È una cosa che non
prova da tanto tempo e ora ha un sapore diverso: prima era denso e
scuro, ora è metallico, alcalino, come una polvere corrosiva che
penetra tutti i suoi strati, uno dopo l’altro. Si tratta di paura.
Holly è spaventata.
L’autobus arriva come una carica di bisonti,
il conducente guarda la sua uniforme e la lascia salire, i gradini
le ondeggiano sotto i piedi mentre sale al piano superiore. In
fondo ci sono dei tizi in felpa con i cappucci alzati che ascoltano
hip-hop alla radio e la spogliano con gli occhi, ma Holly non ce la
fa a scendere di nuovo la scala. Si siede davanti, fissa la strada
che scompare sotto le ruote e ascolta le risate alle sue spalle,
attenta a individuare il primo segno di una possibile aggressione.
In tal caso premerà l’allarme, il conducente fermerà l’autobus e
l’aiuterà a scendere e lei prenderà un altro autobus per tornare a
scuola e rimettersi a letto. Il cuore le batte cosí forte in gola
che le viene da vomitare. Vuole suo padre. E sua madre.
La canzone comincia piano, dopo un pezzo
hip-hop, e ci mette un po’ ad arrivare al suo cervello. Poi la
riconosce come un colpo nel petto, come un’aria diversa che le
entra nei polmoni.
Remember oh remember back when we were so
young, so young…
Ogni parola è cosí chiara. Il rumore del
motore e le grida dei giovani spariscono e la canzone l’accompagna
oltre il canale e fino in città. Fa volare l’autobus attraverso
un’onda di semafori verdi, oltre i rallentatori di velocità, in
mezzo alle biciclette e intorno a pedoni distratti. Never thought I’d lose you and I never thought I’d find
you here, never thought that everything we’d lost could feel so
near…
Holly ascolta ogni parola, fino alla fine. Il
ritornello, alcuni versi, di nuovo il ritornello. Pensa che sia
finita, invece continua ancora: I’ve got so
far, I’ve got so far left to travel…
L’autobus arriva alla sua fermata. Holly fa un
gesto di saluto ai giovani in felpa, i quali la fissano a bocca
aperta, come cercando di capire dov’è l’insulto, e scende i gradini
a precipizio.
In strada, la canzone va ancora avanti, debole
e coperta qua e là dai rumori del traffico, ma ora lei è attenta e
non la lascia andare. Si distende davanti a lei come un sottile
filo d’oro, la guida agilmente tra uomini frettolosi in completo
scuro, lampioni, donne che chiedono l’elemosina, lungo la strada
che la porta verso Stephen.