30.
Tornano a scuola per il quarto anno sotto la pioggia, una pioggia spessa che ti lascia addosso un residuo appiccicoso. L’estate è stata strana, disarticolata: una era in vacanza con i genitori, un’altra aveva un barbecue in famiglia, o un appuntamento dal dentista, c’era sempre qualcosa. E in qualche modo è da giugno che quasi non si vedono. La mamma di Selena l’ha portata dal parrucchiere e i suoi capelli corti ora hanno un taglio come si deve, che le dà un’aria piú adulta e sofisticata, finché non la guardi in faccia con attenzione. Julia ha un succhiotto sul collo. Non ne parla e le altre non chiedono. Becca è cresciuta di quasi dieci centimetri e non porta piú l’apparecchio dei denti. Holly si sente l’unica rimasta uguale: un po’ piú alta, le forme un po’ piú piene, ma sempre lei. Per un attimo, con il borsone a tracolla sulla soglia della stanza che condivideranno quest’anno, si sente quasi intimidita da loro.
Nessuna parla del voto che hanno fatto. Nessuna parla di uscite notturne, né per dire com’era bello, né per suggerire di trovare un modo per farlo ancora. In un angolo della mente, Holly si chiede se per le altre sia stato solo uno scherzo, un modo di rendere piú interessante la scuola o sé stesse. Si chiede se lei sia l’unica ad averci creduto davvero, facendo la figura della stupida.
Chris Harper è morto da tre mesi e mezzo. Nessuno parla di lui, né loro, né le altre. Nessuno vuol essere il primo, e dopo qualche giorno è troppo tardi.
Dopo un paio di settimane finalmente smette di piovere; in un pomeriggio inquieto, non ce la fanno a passare un’altra ora dentro il Court. Fanno le loro facce innocenti, escono sul retro e scivolano dentro il Campo.
Le erbacce sono piú alte e forti dell’anno scorso; le cataste di blocchi sulle quali si sedevano sono franate, e ora sono soltanto mucchi di detriti inutili, alti meno di mezzo metro. La rete metallica scossa dal vento raschia contro il cemento.
Non c’è nessuno, nemmeno gli emo. Julia si fa strada a calci tra le erbacce e si siede con la schiena contro uno di quei mucchietti. Le altre la seguono.
Julia prende il telefono e si mette a messaggiare; Becca crea spirali di sassolini su un piccolo spiazzo di terra libera. Selena guarda il cielo come ipnotizzata. Uno spruzzo di pioggia randagio la colpisce sulla guancia, ma non batte nemmeno le palpebre.
Lí fa piú freddo che sul davanti del centro commerciale, un freddo di campagna capace di ricordarti che le montagne non sono molto lontane. Holly affonda le mani nelle tasche del giubbotto. Si sente irrequieta.
– Qual era quella canzone? – dice all’improvviso. – La passavano in radio di continuo, l’anno scorso. Una cantante giovane.
– Come faceva? – chiede Becca.
Holly prova a cantarla, ma sono passati mesi dall’ultima volta che l’ha sentita e non ricorda piú le parole. Riesce a trovare solo Remember oh remember back when… Allora prova a canticchiare la melodia, ma senza il suo ritmo rapido e gli arpeggi di chitarra non è niente di che. Julia scrolla le spalle.
– Lana Del Rey? – dice Becca.
– No –. È cosí diversa dallo stile di Lana Del Rey che Holly si deprime. – Lenie? Tu lo sai.
Selena alza gli occhi, con un vago sorriso. – Eh?
– Quella canzone. Una volta, nella nostra stanza, la canticchiavi. E io sono entrata dopo la doccia e ti ho chiesto il titolo ma non lo sapevi. Ricordi?
Selena ci pensa su, poi se ne dimentica e si mette a pensare ad altro.
– Dio, – dice Julia spostando il sedere sui sassi. – Dove sono tutti? Questo posto una volta non era interessante?
– È colpa del tempo, – risponde Holly. La sua inquietudine è peggiorata. Trova in tasca la carta di una barretta di cioccolato e l’appallottola.
– A me piace cosí, – dice Becca. – Senza ragazzi scemi in cerca di qualcuno da tormentare.
– Almeno non era noioso. Tanto valeva restare al Court.
Holly capisce come mai è irrequieta e vagamente irritata: si sente sola. E averlo capito la fa stare peggio. – Allora torniamo dentro, – dice. All’improvviso vuole il Court, vuole riempirsi di musica sintetica e zucchero rosa.
– No, che senso ha? Ormai è quasi ora di tornare in collegio.
Holly pensa di avviarsi comunque, ma non sa se almeno una delle altre la seguirà e il pensiero di trascinarsi nell’aria grigia di pioggia da sola gonfia ancora di piú il senso di solitudine. Lancia la carta appallottolata, la fa ruotare un paio di volte e la lascia ferma in aria.
Nessuno fa nulla. Holly dirige la carta verso Julia, che la scaccia come una mosca. – Smettila.
– Ehi. Lenie.
Holly praticamente la fa rimbalzare sulla fronte di Selena, la quale per un attimo sembra sbigottita, poi afferra la carta in aria e se la mette in tasca. – Non facciamo piú queste cose, – dice.
I motivi palpitano nell’aria. – Ehi, – sbotta Holly, a voce troppo alta in questo silenzio grigio e umido. – Quella era mia.
Nessuno risponde. Le viene in mente, per la prima volta, che un giorno crederà, ma sul serio, al cento per cento, che era solo la loro immaginazione.
Julia riprende a messaggiare. Selena riprende il suo sogno a occhi aperti. Holly prova per le sue amiche un amore cosí forte e feroce e ferito che potrebbe urlare.
Becca incrocia il suo sguardo e indica il terreno. Quando Holly abbassa gli occhi, Becca fa volare un sassolino tra l’erba e glielo manda ad atterrare sulla punta di uno stivale. Holly fa appena in tempo a sentirsi un po’ meglio, che Becca le regala un sorriso da adulta che ha dato una caramella a una bambina.
Al quarto anno è tutto diverso di per sé. Loro quattro fanno le settimane di esperienza lavorativa in posti diversi con orari diversi; quando gli insegnanti dividono la classe in gruppi che si dedicano a progetti sulla pubblicità online o sul volontariato con i bambini disabili, dividono di proposito le amiche, perché questo anno scolastico è tutto basato sul fare nuove esperienze. È quello che si racconta Holly, nei giorni in cui sente ridere Julia in mezzo a un crocchio dal lato opposto dell’aula, o quando loro quattro finalmente hanno qualche minuto da passare insieme prima di andare a letto e nessuna dice una parola: è solo il quarto anno. Sarebbe successo comunque. L’anno prossimo tornerà tutto normale.
Stavolta, quando Becca annuncia che non andrà al ballo di San Valentino, nessuna prova a farle cambiare idea. Quando suor Cornelius sorprende Julia a pomiciare con François Levy sulla pista da ballo, Holly e Selena non dicono una parola. Selena ondeggia con le braccia aperte, fuori ritmo, e probabilmente non se n’è accorta.
Quando alla fine tornano in camera, Becca è a letto con gli auricolari nelle orecchie e dà loro le spalle. La luce da lettura indica che ha gli occhi aperti, ma non dice nulla, e nemmeno loro.
La settimana dopo, quando la signorina Graham le invita a formare dei gruppi per il grande progetto artistico finale, Holly afferra le altre tre cosí in fretta che quasi cade dalla sedia.
– Ahi, – dice Julia, divincolandosi. – Ma che cazzo?
– Gesú, calmati. È solo che non voglio ritrovarmi insieme a delle deficienti che vogliono fare un grande ritratto di Kanye tutto coi baci di rossetto.
– Calmati tu, – ribatte Julia, ma sorride. – Niente Kanye fatto coi baci. Noi faremo una Lady Gaga con gli assorbenti. Sarà una dichiarazione sul posto delle donne nella società –. Le risatine si estendono da loro due fino a Becca e persino Selena sorride, e Holly sente le spalle rilassarsi per la prima volta da mesi.
– Ciao, – grida Holly, chiudendosi la porta alle spalle.
– Sono qui! – grida suo padre dalla cucina. Holly lascia cadere a terra il borsone del weekend e va da lui, scuotendosi un residuo di pioggia dai capelli.
Il padre sta pelando patate, le maniche della maglietta grigia tirate su fino ai gomiti. Da dietro sembra piú giovane: capelli ancora quasi tutti castani, spalle larghe, braccia muscolose. Il forno acceso riempie la cucina di un calore accogliente. Fuori dalla finestra, la pioggia di febbraio è come una nebbiolina sottile.
Chris Harper è morto da nove mesi, una settimana e cinque giorni.
Suo padre l’abbraccia senza toccarla con le mani e si china per farsi dare un bacio sulla guancia ruvida di barba che sa di sigarette. – Fammelo vedere, – dice.
Papà.
– Avanti.
– Sei proprio paranoico.
Lui le fa cenno di ubbidire. Holly alza gli occhi al soffitto e gli tende il portachiavi. Si tratta di un allarme personale a forma di goccia, nero con fiorellini bianchi. A suo padre ci è voluto molto tempo per trovarne uno che somigliasse a un normale portachiavi, in modo da non metterla in imbarazzo a scuola, ma ogni settimana controlla che lo porti ancora.
– Ecco una vista che mi piace, – dice, tornando alle sue patate. – Io la adoro, la mia paranoia.
– Nessuno a scuola ne ha uno.
– Cosí tu sarai l’unica a sfuggire al rapimento di massa da parte degli alieni. Congratulazioni. Vuoi fare merenda?
– No, sono a posto –. Il venerdí usano i soldi rimasti dalla paghetta per comprare dolci che poi mangiano sedute sul muretto alla fermata dell’autobus.
– Perfetto. Allora puoi darmi una mano con la cena.
La cena la prepara sempre sua madre. – Mamma dov’è? – Holly appende il cappotto ma osserva di soppiatto il padre. Quando era piccola, i suoi si erano separati. Suo padre è tornato a casa quando lei aveva undici anni, ma Holly continua a tenerli d’occhio entrambi. E diffida di ogni cosa insolita.
– È uscita con una vecchia amica. Prendi –. Le getta una testa d’aglio. – Tre spicchi, finemente tritati. Cosí dice la ricetta.
Holly non capisce se suo padre sappia che lei voleva sentire la parola amica. Con lui non si è mai sicuri di nulla.
– Quale amica?
– Una certa Deirdre, un’ex compagna di scuola. Tritali finemente, capito?
Holly prende un coltello e si siede su uno sgabello alla penisola della colazione. – Torna a casa, dopo?
– Ovvio. Ma non so a che ora. Perciò le ho detto che non l’aspettiamo per cena. Se arriva in tempo, bene, se vuole continuare con le chiacchiere tra donne, noi non moriremo di fame.
– Prendiamo una pizza, – dice Holly, con un accenno di sorriso. Quando lo raggiungeva per il fine settimana nel suo appartamento da single, ordinavano una pizza e la mangiavano sul balconcino, guardando il fiume con le gambe penzoloni oltre la ringhiera, perché non c’era abbastanza spazio per le sedie. Dal modo in cui s’illuminano gli occhi del padre, capisce che anche per lui è un bel ricordo.
– Io qui a sudare per dare il meglio con le mie grandi capacità di chef, e tu vuoi una pizza? Che ingrata. E comunque tua madre ha detto che bisogna usare il pollo se no scade.
– Quindi cosa si mangia?
– Pollo in umido. Mi ha lasciato la ricetta –. Indica un pezzo di carta che sporge da sotto il tagliere. – Com’è andata la settimana?
– Bene. Suor Ignatius ci ha tenuto un gran discorso sulla necessità di decidere cosa faremo all’università, spiegando che tutta la nostra vita dipende dal prendere la decisione giusta. Alla fine era cosí esaltata che ci ha fatto scendere nella cappella a chiedere ai santi di guidarci.
Con questo racconto riesce a farlo ridere.
– E cos’ha detto la tua santa patrona?
– Che devo dare il massimo per superare gli esami, altrimenti mi tocca sopportare suor Ignatius per un altro anno intero.
– Ottimo consiglio –. Suo padre getta le bucce nel secchio dell’organico e comincia a tagliare le patate. – Non è che sei un po’ stufa delle suore? Perché puoi mollare il collegio quando vuoi, lo sai. Basta dirlo.
– No, no, – replica Holly in fretta. Non sa come mai suo padre abbia accettato di lasciarla in collegio dopo la faccenda di Chris, e teme sempre che cambi idea. – Suor Ignatius è a posto, alla fine ci fa solo fare quattro risate. Julia la imita benissimo. Una volta ha imitato la sua voce per tutta la lezione di Orientamento e suor Ignatius non se n’è accorta. Non riusciva a capire perché ridevamo.
– Quella piccola peste, – dice lui, con un sorriso. Julia gli piace. – Comunque la suora non ha tutti i torti. Tu hai cominciato a pensare a cosa farai dopo la scuola?
Negli ultimi due mesi, sembra che gli adulti riescano a parlare solo di quello. – Forse Sociologia. La settimana scorsa è venuto da noi un sociologo a spiegarci di cosa si tratta, e non è male. O forse Giurisprudenza.
È concentrata sull’aglio, ma sente che il ritmo del coltello di suo padre non cambia; certo non vuol dire nulla, lui a queste cose ci sta attento. La madre di Holly è avvocato, e papà non ha un altro figlio che possa seguire le sue orme.
Quando Holly lo guarda, vede solo un’espressione attenta e interessata. – Sí? E che tipo di carriera legale ti attrae?
– L’avvocato. Forse. Non lo so, ci sto ancora pensando.
– Le capacità argomentative non ti mancano. Ma pubblico ministero o difensore?
– Difensore, forse.
– Come mai?
Il tono è ancora piacevole e interessato, ma con una sfumatura appena piú fredda che a Holly non piace. Scrolla le spalle. – Boh, mi sembra interessante. Cosí è tritato abbastanza fine?
Holly ogni tanto cerca di ricordare quante volte suo padre ha voluto o non voluto che lei facesse una cosa e lei è riuscita a imporsi. Il suo unico successo è stato andare in collegio. A volte lui dice di no, punto e basta. Altre volte la cosa che lei vuole semplicemente non accade. E in alcuni casi Holly finisce addirittura per convincersi che abbia ragione lui. Ora non aveva nessuna intenzione di parlargli di Giurisprudenza, ma a meno di essere sempre concentrati, tutti finiscono per dirgli quello che vuole sapere.
– Ottimo lavoro, – risponde lui. – Mettilo qui –. Holly lo raggiunge con il tagliere e getta l’aglio nella casseruola. – Puoi tagliare anche quel porro? Perché avvocato difensore?
Holly prende il porro e torna al suo sgabello. – La magistratura è troppo affollata.
Suo padre aspetta che continui, con le sopracciglia alzate in atteggiamento interrogativo. Holly si stringe di nuovo nelle spalle. – Non lo so… I detective, le divise, la Scientifica e i pubblici ministeri. Invece nella difesa ci sono solo l’imputato e il suo avvocato.
– Capisco, – dice suo padre, esaminando i cubetti di patata. Holly lo vede riflettere, scegliere con cura le parole. – Sai, tesoro, non è cosí ingiusto come sembra. Al contrario, se il sistema pende da una parte, è quella della difesa. L’accusa deve costruire un caso che possa resistere a ogni ragionevole dubbio. La difesa deve solo costruire quell’unico dubbio. Ti posso giurare con la mano sul cuore che ci sono molti piú colpevoli assolti che innocenti condannati.
Non era ciò che Holly voleva dire, e non sa se il fatto che lui non l’abbia capito sia piú un sollievo o un fastidio. – Sí, – replica. – Hai ragione.
Suo padre getta le patate nella casseruola. – È un bell’impulso, comunque. Solo, prenditi tutto il tempo che ti serve, prima di decidere. Non fissarti su un’idea finché non sei sicura al cento per cento, va bene?
– Come mai non vuoi che diventi un avvocato difensore?
– Ne sarei felice. È lí che si guadagna di piú, cosí potrai finanziare il tenore di vita che desidero mantenere.
Sta evitando di rispondere, nel suo classico stile. – Papà, ti ho fatto una domanda.
– Gli avvocati difensori mi odiano. Io speravo che tu mi odiassi solo ora, e che una volta passata l’adolescenza avremmo ripreso ad andare d’accordo. Non pensavo che questo fosse solo l’inizio –. Apre il frigorifero e si mette a frugare. – Tua madre ha detto di aggiungere anche le carote. Quante ne servono, secondo te?
Papà.
Lui si volta e la guarda. – Facciamo un esempio, – dice. – Un cliente viene nel tuo studio chiedendoti di difenderlo. E non parliamo di reati minori, ma di qualcosa di brutto. Piú parli con lui, piú ti convinci che sia colpevole. Ma i soldi non gli mancano e tu devi pagare a tua figlia l’apparecchio per i denti e le tasse scolastiche. Cosa fai?
Holly scrolla le spalle. – Ci penserò al momento.
Non sa come dirglielo. Solo una parte di lei vuole spiegargli quello che pensa. I pubblici ministeri hanno il supporto dell’intero sistema, hanno tutte le risorse, hanno la certezza di essere dalla parte del bene: è proprio quello che non le piace, perché puzza di vigliaccheria. Holly vuole essere un mondo a sé, vuole poter decidere da sola cosa è giusto e cosa no, vuol essere la persona che trova il modo di pilotare ogni storia fino alla conclusione piú giusta. Le sembra piú pulito, piú coraggioso.
– Sí, immagino si possa fare anche cosí –. Suo padre prende una busta di carote. – Una? Due?
– Due –. Lui ha la ricetta lí accanto, non ha bisogno di chiedere.
– E le tue amiche? Qualcuna di loro pensa di fare Legge?
Holly prova una scarica d’irritazione. – No. A volte posso perfino pensare da sola. Non è incredibile?
Lui sorride e torna al piano di lavoro. Passandole accanto le posa una mano sulla testa, calda e forte. Ha deciso di lasciar perdere, o di fingere di averlo fatto. – Sarai in gamba. Da qualsiasi parte dell’aula deciderai di stare –. Le accarezza i capelli e si mette a pelare le carote. – Non pensarci troppo, pulcino. Sono certo che prenderai la strada giusta.
L’argomento è chiuso. Tutto quel tastare il terreno, tutto quel discorso serio, e non è riuscito a capire cosa pensa lei davvero. Holly prova trionfo e vergogna allo stesso tempo.
– E le tue amiche cos’hanno in mente?
– Julia vuol fare giornalismo. Becca non lo sa ancora. Selena vuole andare all’Accademia di Belle Arti.
– Sarà ammessa di sicuro, i suoi lavori sono buoni. È da un po’ che volevo chiedertelo: sta bene?
Holly alza gli occhi, ma suo padre sta pelando una carota e guarda fuori per vedere se la mamma sta arrivando. – In che senso?
– Niente, è solo che le ultime volte che l’hai portata qui mi sembrava un po’… persa. Non so se è la parola giusta.
– Selena è fatta cosí, devi solo imparare a conoscerla.
– La conosco da un pezzo, e prima non era cosí. C’è qualcosa che la preoccupa?
Holly si stringe nelle spalle. – Le cose normali. La scuola e il resto –. Holly sa che suo padre non ha finito. – Cosa faccio ora?
– Prendi –. Le getta una cipolla. – So che tu e le tue amiche la conoscete benissimo, ma a volte piú sei vicino a una persona, meno capisci se c’è qualcosa che non va. Durante l’adolescenza possono manifestarsi tanti problemi: depressione, schizofrenia, eccetera. Non sto dicendo che Selena soffra di nulla del genere, – aggiunge alzando una mano per non essere interrotto. – Voglio solo dire che se c’è qualcosa, anche qualcosa di poca importanza, il momento per provare a risolverlo è adesso.
Holly pianta i piedi sul pavimento. – Selena non è schizofrenica. Tende a sognare a occhi aperti, questo è tutto. Siccome non è una di quelle ragazzine stupide fanatiche dei Jedward, non significa che sia anormale.
Gli occhi di suo padre sono azzurri e calmi. Proprio quella calma fa venire a Holly il cuore in gola. Secondo lui è un problema serio.
– Dài che mi conosci, tesoro, – protesta. – Non dico che Selena dovrebbe comportarsi da ragazza pompon. È solo che mi sembra molto meno sul pezzo dell’anno scorso. E se ha un problema e non viene affrontato subito, potrebbe diventare qualcosa di serio. Prima di quanto crediate, vi troverete fuori da St Kilda, nel vasto mondo. E se ci arrivi con un problema mentale che è stato sottovalutato, puoi rovinarti la vita.
Holly avverte tutto intorno la pressione di una nuova realtà, che le stringe il petto e le rende difficile respirare.
– Selena sta bene. Ha solo bisogno che la gente la lasci in pace senza tormentarla, capito? Puoi farlo anche tu?
Dopo un attimo, suo padre risponde: – Va bene. Come ho detto, tu la conosci meglio di me, e so che voi quattro vi prendete cura l’una dell’altra. Tienila d’occhio, chiedo solo questo.
Il rumore impaziente di una chiave nella serratura, poi una corrente d’aria che sa di pioggia. – Frank? Holly?
– Ciao, – rispondono tutti e due.
Si sente sbattere la porta e sua madre entra in cucina. – Mio Dio, – dice, appoggiandosi al muro. Ciocche di capelli biondi sono uscite dalla crocchia, e ha un’aria sciolta, diversa dal solito atteggiamento composto. – È stato davvero strano.
– Sei brilla? –chiede Frank, sorridendo. – E io qui a occuparmi di tua figlia e a preparare un pasto caldo…
– No, assolutamente. Be’, forse appena un po’, ma non è questo. È… Dio, Frank, ti rendi conto che non vedevo Deirdre da quasi trent’anni? Com’è potuto succedere?
– È andata bene, mi sembra di capire.
Lei ride, senza fiato. Sotto il cappotto aperto indossa il suo vestito attillato blu con finiture bianche e la catenina d’oro che il marito le ha regalato per Natale. È ancora poggiata al muro, la borsa a terra ai suoi piedi. Holly prova di nuovo quel lampo di diffidenza. Sua madre le dà sempre un bacio, per prima cosa, non appena la vede.
– È stato meraviglioso. Ero terrorizzata, giuro. Sulla porta del bar per poco non ho girato i tacchi. Se non avesse funzionato, se ci fossimo trovate lí a parlare di sciocchezze come due semplici conoscenti… Non sarei riuscita a sopportarlo. Dee e io e Miriam, ai tempi della scuola, eravamo come tu e le tue amiche, Holly. Inseparabili.
Ha una caviglia incrociata sull’altra, in una posa adolescenziale. Trent’anni? pensa Holly. A noi non succederà mai. – Come mai vi siete perse di vista, allora?
– Dopo le scuole la famiglia di Deirdre è emigrata in America. Lei ha fatto l’università lí, e allora era tutto diverso: l’e-mail non esisteva, le chiamate internazionali costavano un occhio, le lettere ci mettevano settimane ad arrivare. Ci abbiamo provato. Lei conserva ancora tutte le mie lettere, pensa. Le ha portate stasera. Parlano di tante cose che avevo dimenticato: ragazzi, serate fuori, liti con i genitori… Anch’io devo avere le sue, da qualche parte. Forse in soffitta dai miei. Non posso averle buttate. In ogni modo, con l’università c’era tanto da fare e alla fine abbiamo perso i contatti.
Il suo bel viso lungo è trasparente, attraversato da emozioni rapide e luminose come foglie soffiate dal vento. Non sembra piú sua madre, né la madre di nessuno. Per la prima volta nella sua vita, Holly la guarda e pensa: «Olivia».
– Ma oggi… Dio, è stato come se non fosse passato nemmeno un mese. Abbiamo riso tanto, non riesco a ricordare l’ultima volta che ho riso cosí. In classe ridevamo sempre. Avevamo un inno della scuola alternativo, fatto di stupidaggini e battute sconce, e l’abbiamo cantato lí al bar. Lo sapevamo ancora parola per parola. Io non ci pensavo da trent’anni, non ricordavo neppure che esistesse, ma è bastato uno sguardo a Dee e mi è tornato tutto in mente.
– Atteggiamenti sconvenienti in un bar, alla tua età, – dice suo padre. – Sarai espulsa dall’ordine –. Ha un ampio sorriso e anche lui sembra piú giovane. Gli piace vedere Olivia cosí.
– Dio, devono averci sentite tutti, eh? Pensa che non ci ho nemmeno fatto caso. Sai, Frank, a un certo punto lei ha detto: «Non devi tornare a casa?» E io ho risposto, giuro: «Perché?» Quando ha detto casa ho pensato a quella dei miei genitori, chiedendomi per quale motivo dovevo avere fretta di tornarci. Ero cosí immersa nel 1982 che avevo dimenticato persino l’esistenza di tutto questo.
Ride con una mano sopra la bocca. Un po’ si vergogna, un po’ è felice.
– Abbandono di minore, – dice suo padre, a Holly. – Prendi appunti, se un giorno vorrai ricattarla.
Holly rivede la faccia di Julia nella radura, tanto tempo fa: «Comunque non è per sempre». Resta senza fiato. Julia si sbagliava, loro sono per sempre, un sempre breve e mortale, un sempre che penetra fino alle ossa e resta lí anche dopo che tutto è finito, intatto, indistruttibile.
– Mi ha dato questa, – dice sua madre, frugando in borsa. Tira fuori una foto dai bordi ingialliti e la posa sulla penisola. – Guarda: io, Deirdre e Miriam. Siamo noi.
La voce le si blocca in gola e per un secondo Holly ha il terrore che stia per piangere, ma quando la guarda la vede che si morde un labbro e sorride.
Tre ragazze in uniforme scolastica, con lo stemma di St Kilda sul bavero della giacca. La gonna un po’ piú lunga, la giacca brutta e squadrata, ma a parte quello e le pettinature passate di moda potrebbero essere tre studentesse dell’anno dopo quello di Holly. È una foto ironica, labbra in fuori, posa provocante, davanti a un cancello in ferro battuto che solo a una seconda occhiata Holly riconosce come quello in fondo al prato posteriore. Deirdre è quella in mezzo, scuote in avanti i capelli con la permanente, tutta curve e ciglia e sguardo malizioso. Miriam, piccola e bionda, dai capelli sottili, schiocca le dita e ride mostrando l’apparecchio per i denti. E a destra Olivia, gambe lunghe, testa riversa indietro e mani nei capelli: la parodia di una posa da modella. Ha un lucidalabbra rosa che non avrebbe mai approvato se l’avesse visto sulle labbra di Holly. È molto bella.
– Stavamo fingendo di essere le Bananarama, – spiega. – O un gruppo del genere, non lo sapevamo nemmeno noi. In quel periodo avevamo una band.
– Tu eri in una band? – dice Frank. – Ero un tuo fan di sicuro.
– Ci chiamavamo Sweet and Sour –. Nella risata di Olivia c’è un piccolo tremito. – Io suonavo le tastiere, per modo di dire. Poiché studiavo pianoforte, avevamo pensato che me la sarei cavata bene con organi elettrici e simili, ma ero negata. Dee sapeva suonare solo la chitarra folk e nessuna di noi tre sapeva cantare, perciò quell’idea era un disastro, ma ci divertivamo un mondo.
Holly non riesce a smettere di guardare la foto. La ragazza che vede non è una donna solida, con i piedi piantati in una vita irrevocabile. È un fuoco d’artificio, fatto di luci che riflettono milioni di possibilità. Non è un avvocato, moglie di Frank Mackey e madre di una figlia unica, con una casa a Dalkey, affezionata ai colori neutri, al cachemire e allo Chanel n. 5. Tutte quelle cose sono implicite in lei, fra le tante altre vite possibili che poi non ha scelto, facendole svanire come lampi di luce. Un brivido sale lungo la schiena di Holly e non la lascia andare.
– Dov’è Miriam? – chiede.
– Non lo so. Una volta partita Dee non era piú la stessa cosa, e negli anni dell’università ci siamo allontanate. Io ero diventata molto seria, ambiziosa, studiavo sempre; Miriam voleva solo uscire a bere e flirtare, e cosí… – Anche sua madre non smette di guardare la foto. – Qualcuno mi ha detto che si è sposata e che dopo l’università si è trasferita a Belfast. Non ho mai saputo altro di lei.
– Se vuoi, – dice Holly, – posso cercare in internet. È facile trovare le persone su Facebook.
– Tesoro, sei molto cara. Ma non so se è una buona idea… Non so se potrei sopportarlo. Mi capisci?
– Credo di sí.
Frank le posa una mano sulla schiena, tra le scapole. – Vuoi un altro bicchiere di vino?
– Oh, Dio, no. O forse sí. Non lo so.
Lui le fa una carezza leggera sul collo e va ad aprire il frigo.
– Quanto tempo è passato, – dice sua madre, sfiorando la foto con le dita. L’eccitazione è scomparsa dalla sua voce. – Com’è possibile?
Holly torna al suo sgabello. Sposta pezzetti di cipolla con la punta del coltello.
Olivia dice: – Dee non è felice, Frank. Era quella piú estroversa, sicura di sé, come la tua amica Julia, Holly, sempre con la risposta pronta. Pensavamo che sarebbe diventata una politica, o una conduttrice televisiva di quelle che fanno le domande difficili ai politici. Ma si è sposata giovane, il marito non voleva che lavorasse fino a quando i bambini non fossero andati a scuola, e cosí ora trova solo lavori saltuari come segretaria. Il marito sembra proprio un tipaccio, lei vorrebbe lasciarlo, ma stanno insieme da tanto tempo che non sa come farebbe, senza di lui…
Frank le porge un bicchiere. Lei lo prende automaticamente, senza guardare. – La sua vita, Frank, non è per niente quella che desiderava. Tutti i nostri progetti… credevamo di conquistare il mondo… non avrebbe mai immaginato di finire cosí.
Sua madre di solito non parla in questo modo davanti a lei. Ha una mano sul mento e lo sguardo distante; sembra aver dimenticato la sua presenza.
Suo padre chiede: – Vi rivedrete? – Holly capisce che vorrebbe toccarla, abbracciarla, è la stessa cosa che vorrebbe fare anche lei, ma non lo fa perché non lo fa nemmeno suo padre.
– Forse, non lo so. Lei torna in America la settimana prossima, dal marito e dal lavoro precario. Non può restare oltre, e prima di partire deve andare a trovare tutti i cugini. Ci siamo giurate di tenerci in contatto via e-mail… – Sua madre si passa le dita sul viso, come se sentisse per la prima volta le rughe intorno alla bocca.
– L’estate prossima potremmo andare in vacanza da quelle parti. Se vuoi.
– Oh, Frank, sei un tesoro. Ma lei non sta a New York, o a San Francisco, o posti simili… – Olivia guarda il bicchiere di vino che ha in mano, perplessa, e lo posa sul tavolo. – Vive nella città del marito, un posto sperduto nel Minnesota. Non so se…
– Possiamo andare a New York e lei può raggiungerci. Pensaci.
– Lo farò. Grazie –. Sua madre respira a fondo, raccoglie la borsa da terra e ci mette dentro la foto. – Holly, – dice con un sorriso, tendendo un braccio. – Vieni qui e dammi un bacio. Com’è andata la tua settimana?
La notte Holly non riesce a dormire. La casa è surriscaldata, eppure quando scosta il piumone le viene subito un gelo alla schiena. Ascolta i genitori che vanno a letto: la voce ancora eccitata e felice della madre, che ogni tanto cala di tono quando si ricorda che c’è Holly; suo padre a un tratto dice qualcosa che la fa ridere forte. Quando le loro voci tacciono, Holly resta stesa al buio, sveglia. Pensa di mandare un messaggio a una delle altre, ma non sa a chi o cosa dire.
– Lenie, – dice Holly.
Sembrano passare ore, poi Selena, che sta leggendo a pancia in giú sul letto, risponde: – Eh?
– L’anno prossimo, come decidiamo chi condivide la stanza con chi?
– Cosa?
– Al quinto le stanze sono per due. Sai già con chi vuoi stare?
Una spessa pellicola di pioggia copre la finestra. Non si può uscire. Nella sala comune, le altre ragazze giocano a una versione di Trivial Pursuit degli anni Novanta, provano cosmetici, messaggiano. L’odore dello stufato di manzo che sale dalla mensa dà a Holly una leggera nausea.
– Ma che cazzo, – dice Julia, voltando una pagina. – Siamo in febbraio. Se vuoi qualcosa di cui preoccuparti, perché non pensi a quello stupido progetto di Studi di coscienza sociale?
– Lenie?
Le stanze doppie sono una preoccupazione per tutto il quarto anno. Ci sono amicizie che finiscono in lacrime e fiamme perché c’è chi sceglie la persona sbagliata. Le interne passano buona parte dell’anno a pensare alla scelta e a trovare un modo di uscirne senza danni.
Selena la fissa con le labbra socchiuse, come se le avesse appena chiesto di pilotare un’astronave. – Con una di voi.
Holly prova una fitta di paura. – Sí, ma chi?
Da Selena arrivano solo echi di spazio vuoto. Becca ha sentito qualcosa nell’aria e si è tolta gli auricolari.
– Vuoi sapere la mia scelta? – insiste Julia. – Se intendi cominciare ad agitarti per cose che non esistono ancora, di sicuro non sarai tu.
– Non l’ho chiesto a te, – ribatte Holly. – Cosa faremo, Lenie? – Vuole che si alzi a sedere e ci pensi, e tiri fuori un’idea che non ferirà i sentimenti di nessuno, lei è brava in questo; che so, estrarre a sorte. Dài, Lenie, per favore… – Lenie?
– Fate voi, – risponde Selena. – Per me è uguale. Sto leggendo.
Holly sente la voce uscirle troppo forte, troppo dura. – Dobbiamo decidere insieme, è cosí che funziona. Non esiste che scarichi tutto su di noi.
Selena abbassa la testa sul libro. Becca osserva, mordicchiando il cavetto degli auricolari.
– Hol, – dice Julia, con il suo sorriso che preannuncia guai. – Mi serve una cosa nella sala comune. Accompagnami.
Holly non è dell’umore di prendere ordini da lei. – Cosa ti serve?
– Vieni –. Julia scende dal letto.
– Non ce la fai da sola perché è troppo pesante?
– Ah ah ah, che simpatica. Muoviti.
La sua energia fa sentire meglio Holly. Forse avrebbe davvero dovuto chiederlo a lei; forse loro due riusciranno a trovare una risposta. Scende dal letto ed esce con lei. Becca le segue con lo sguardo, Selena no.
Il buio precoce fuori dà alle luci del corridoio un tono giallastro. Julia si appoggia al muro e incrocia le braccia. – Che cazzo stai facendo?
Non c’è bisogno di parlare piano, perché la pioggia che batte sui vetri copre le loro voci.
– Le ho solo fatto una domanda, – risponde Holly. – Qual è il…
– La stavi tormentando. Non farlo.
– Tormentando? Ma è una decisione che dobbiamo prendere.
– Se continui a chiederglielo, riuscirai solo a farla star male. Noi tre troviamo una soluzione, e qualsiasi cosa decidiamo le andrà bene.
Holly incrocia le braccia a sua volta e ricambia lo sguardo duro. – Io invece penso che Lenie abbia il diritto di scegliere.
Julia alza gli occhi al cielo. – Ma fammi il piacere.
– Cosa? Perché?
– Hai mangiato pane e lobotomia, a pranzo? Lo sai benissimo, il perché.
– Vuoi dire perché non sta bene.
Il viso di Julia s’irrigidisce. – Sta benissimo. Deve solo mettere a posto delle cose dentro di sé. Come tutte noi.
– Non è lo stesso. Lenie non ce la fa. Non riesce piú a stare dietro nemmeno alle cose normali. Cosa succederà quando non saremo con lei ogni minuto di ogni…
– Vuoi dire quando saremo all’università? Mancano anni. Scusami se non mi faccio venire un attacco isterico al pensiero. Quando arriverà quel momento, lei starà bene.
– Non sta migliorando, e lo sai.
Gira tra loro come una lama rotante: non sta bene da allora, da quando, sai di cosa parlo. Nessuna delle due si azzarda a toccarne i bordi taglienti.
– Secondo me dobbiamo mandarla a parlare con qualcuno, – aggiunge Holly.
Julia ride forte. – Con suor Ignatius? Come no, questo sí che risolverà tutto. Suor Ignatius non distingue un’unghia spezzata da…
– Non con lei. Con un medico, uno specialista, qualcosa del genere.
– Gesú Cristo! – Julia scatta verso di lei con tutti e due gli indici puntati. È a un pelo dal saltarle addosso. – Non pensarci nemmeno, capito? Parlo sul serio.
Holly si trattiene a stento. La scarica di furia le dà una bella sensazione. – Da quando sei il mio capo? Io non prendo ordini da te. Mai.
Nessuna delle due fa a botte da quando era piccola, ma ora, occhi negli occhi, sono pronte a scattare; le mani cercano qualcosa di morbido da colpire e torcere. Alla fine è Julia a cedere. Le dà le spalle e affonda contro il muro.
– Senti, – dice, voltata verso la finestra striata di pioggia. – Se ti importa davvero di Lenie, non provare a farla parlare con uno psicologo. Devi credermi sulla parola, è la cosa peggiore in assoluto per lei. Va bene?
Dentro quelle parole è compresso qualcosa di immenso che Holly non sente, nel brusio continuo di tutti i loro segreti; non riesce a capire che cosa Julia sappia o supponga. Non è da lei tirarsi indietro come ha fatto ora.
– Te lo chiedo come un favore personale. Fidati di me. Per piacere.
Holly vorrebbe con tutta sé stessa che fosse ancora cosí semplice. – Come vuoi, – dice. – Va bene.
Julia si volta a guardarla. Il sospetto sul suo viso fa venire voglia a Holly di urlare, o di mostrarle il dito medio e andarsene e non tornare mai piú
– Sul serio? – chiede Julia. – Non cercherai di farla parlare con nessuno?
– Se sei davvero sicura che sia la cosa migliore.
– Ne sono sicurissima.
– Allora va bene. Non farò nulla.
– Grazie, – dice Julia. – Ora andiamo a prendere qualcosa nella sala comune prima che Becs esca a cercarci.
Si avviano in corridoio, fianco a fianco, perplesse, sole.
Holly non ha deciso di lasciar perdere solo perché lo dice Julia. Lo ha deciso perché ha un’idea.
L’altra volta, quando era piccola, l’avevano mandata da uno psicologo. Era un cretino con il naso sudato e continuava a chiedere cose che non erano affari suoi, perciò lei lo aveva ignorato e aveva continuato a giocare con i puzzle che le erano stati messi davanti. Ma lui non smetteva lo stesso di parlare, e alla fine tra tante sciocchezze una cosa si era dimostrata vera. Aveva detto che sarebbe diventato tutto piú facile quando fosse finito il processo e lei avesse saputo esattamente cos’era accaduto. Sapere la verità avrebbe reso piú semplice togliersi dalla testa tutta quella storia e concentrarsi su altre cose. E cosí era stato.
Ci vuole qualche giorno prima che Julia abbandoni la diffidenza e la lasci sola con Selena. Ma un pomeriggio al Court, Julia deve comprare un biglietto d’auguri per il compleanno del padre e Becca si ricorda che deve mandare un biglietto di ringraziamento al nonno. Selena, con la borsa degli acquisti fatti nel negozio di belle arti, si avvia verso la fontana e quando Holly la segue è troppo tardi perché Julia possa cambiare qualcosa.
Selena dispone a ventaglio i tubetti di colori sul marmo nero della fontana e li sfiora con un dito. Dall’altro lato, alcuni ragazzi di St Colm si voltano a guardare lei e Holly, ma non si avvicinano. Sanno che qualcosa non va.
– Lenie, – dice Holly, e aspetta paziente che Selena decida di alzare lo sguardo. – Sai una cosa che ti aiuterebbe a star meglio?
Selena la osserva come se fosse una nuvola dalla forma strana alla deriva nel cielo. – Eh?
– Se sapessi esattamente cos’è successo, – dice Holly. Avvicinarsi all’argomento proibito le accelera le pulsazioni, il cuore slitta come copertoni sul fango. – L’anno scorso. E se il colpevole fosse arrestato. Questo ti aiuterebbe, giusto? Non credi?
– Ssst, – risponde Selena. Le prende la mano, la sua è fredda e morbida, e anche se Holly la stringe forte non sembra solida. Dopodiché Selena torna a esaminare i suoi colori.
Holly ha imparato da suo padre, già da molto tempo, che la differenza tra essere scoperti e passarla liscia sta nel fare le cose con calma. Per prima cosa compra il libro, in un grande negozio di libri usati in città, un sabato. Tra un paio di mesi sua madre se ne sarà dimenticata. «Mi serve un libro per la scuola, mi dài dieci euro, ci metto un secondo». E nemmeno alla cassa si ricorderanno di una ragazza bionda con un polveroso tomo di mitologia. Trova sul cellulare una foto in cui c’è anche Chris e qualche settimana dopo va a stamparla in sala computer durante la pausa pranzo, fingendo di andare in bagno. Le altre dimenticano in un secondo che ci ha messo un po’ troppo a tornare. Nel fine settimana, sul pavimento della sua stanza, si dedica a ritagliare e incollare, indossando un paio di guanti di lattice che ha rubato nel laboratorio di Chimica, ed è pronta a coprire tutto con il piumone se uno dei genitori dovesse bussare. Dopo un altro po’ di tempo, dimenticheranno l’odore di colla. Poi getta il libro in un cassonetto, nel giardino pubblico vicino a casa: tra qualche giorno sarà scomparso del tutto. Infine nasconde il biglietto nella fodera del cappotto, e lascia passare ancora un po’ di tempo prima di fare la sua mossa.
Vorrebbe un segno che le indicasse il momento giusto, ma sa che non lo riceverà, non per questo. E forse non ne riceverà mai piú un altro, dopo.
Decide di crearselo da sola. Quando durante una lezione di Educazione artistica sente le dalek lamentarsi che devono salire di nuovo in aula il prossimo martedí sera, per quello stupido progetto che non finisce mai, dice alle altre: – Martedí anche noi?
Loro annuiscono, mentre gettano gesso in polvere nella spazzatura e ripongono matasse di filo di rame.
È meticolosa. Quando arriva il momento, si mette a chiacchierare prima di entrare in aula e al momento di uscire, cosí le altre non fanno caso a quello che c’è o non c’è in bacheca. Lascia il cellulare fuori vista, su una sedia, e infatti nessuno lo vede. Al momento di spegnere le luci dice ad alta voce: – Oh, cazzo, ho dimenticato il telefono! – La mattina dopo sale di corsa a prenderlo, e nel corridoio deserto attacca il biglietto, poi fa finta di trovarlo, coprendosi la bocca con una mano come se qualcuno la stesse osservando. Va in aula a prendere la busta e il tagliabalsa, stacca la puntina da disegno con delicatezza, come se davvero ci fosse un’impronta digitale. Quando riprende di corsa il corridoio, il rumore dei suoi passi rimbalza sui muri come una serie di schiaffi.
Le altre le credono quando dice di avere un’emicrania, perché ha fatto in modo di averne altre nei mesi scorsi, raccontando gli stessi sintomi di sua madre. Julia le presta il suo iPod perché non si annoi. Holly resta a letto e mentre loro vanno a scuola le osserva come se fosse l’ultima volta che le vede: Becca cammina controllando i compiti di Sociologia dei media, Julia si tira su un calzino. Selena le rivolge un sorriso e un cenno di saluto. Quando la porta si chiude alle loro spalle, trascorre un minuto in cui pensa che non ce la farà mai ad alzarsi dal letto.
L’infermiera passa a darle un analgesico, le rimbocca le coperte e la lascia dormire. Holly si muove in fretta per prendere il primo autobus diretto in città.
Alla fermata, nell’aria mattutina con refoli di freddo, le arriva addosso qualcosa che all’inizio non capisce: pensa di essersi ammalata sul serio, che per una specie di maledizione le sue menzogne si siano avverate. È una cosa che non prova da tanto tempo e ora ha un sapore diverso: prima era denso e scuro, ora è metallico, alcalino, come una polvere corrosiva che penetra tutti i suoi strati, uno dopo l’altro. Si tratta di paura. Holly è spaventata.
L’autobus arriva come una carica di bisonti, il conducente guarda la sua uniforme e la lascia salire, i gradini le ondeggiano sotto i piedi mentre sale al piano superiore. In fondo ci sono dei tizi in felpa con i cappucci alzati che ascoltano hip-hop alla radio e la spogliano con gli occhi, ma Holly non ce la fa a scendere di nuovo la scala. Si siede davanti, fissa la strada che scompare sotto le ruote e ascolta le risate alle sue spalle, attenta a individuare il primo segno di una possibile aggressione. In tal caso premerà l’allarme, il conducente fermerà l’autobus e l’aiuterà a scendere e lei prenderà un altro autobus per tornare a scuola e rimettersi a letto. Il cuore le batte cosí forte in gola che le viene da vomitare. Vuole suo padre. E sua madre.
La canzone comincia piano, dopo un pezzo hip-hop, e ci mette un po’ ad arrivare al suo cervello. Poi la riconosce come un colpo nel petto, come un’aria diversa che le entra nei polmoni.
Remember oh remember back when we were so young, so young…
Ogni parola è cosí chiara. Il rumore del motore e le grida dei giovani spariscono e la canzone l’accompagna oltre il canale e fino in città. Fa volare l’autobus attraverso un’onda di semafori verdi, oltre i rallentatori di velocità, in mezzo alle biciclette e intorno a pedoni distratti. Never thought I’d lose you and I never thought I’d find you here, never thought that everything we’d lost could feel so near…
Holly ascolta ogni parola, fino alla fine. Il ritornello, alcuni versi, di nuovo il ritornello. Pensa che sia finita, invece continua ancora: I’ve got so far, I’ve got so far left to travel…
L’autobus arriva alla sua fermata. Holly fa un gesto di saluto ai giovani in felpa, i quali la fissano a bocca aperta, come cercando di capire dov’è l’insulto, e scende i gradini a precipizio.
In strada, la canzone va ancora avanti, debole e coperta qua e là dai rumori del traffico, ma ora lei è attenta e non la lascia andare. Si distende davanti a lei come un sottile filo d’oro, la guida agilmente tra uomini frettolosi in completo scuro, lampioni, donne che chiedono l’elemosina, lungo la strada che la porta verso Stephen.