3.
A Conway piacevano le auto. E aveva occhio.
Nel garage andò dritta verso una MG nera vintage, un gioiello. Era
l’orgoglio di un detective in pensione, ora morto, che l’aveva
lasciata alla polizia nel testamento. Il tizio che gestisce il
parcheggio non gliel’avrebbe nemmeno fatta toccare, se non fosse
stato sicuro di lei. «Problemi all’albero di trasmissione,
detective, mi dispiace. Ma ho quella bella Golf laggiú…» Invece lei
gli fece un gesto e lui le lanciò le chiavi.
La guidava come se fosse il suo cavallo
preferito. Andammo a sud, nella zona dei ricchi. Conway prendeva le
curve strette rallentando il minimo, e suonando il clacson se
qualcuno non si toglieva di mezzo abbastanza in fretta.
– Chiariamo una cosa, – disse. – Comando io.
Ti crea problemi prendere ordini da una donna?
– No.
– È quello che dicono tutti.
– Ma io lo dico sul serio.
– Bene –. Inchiodò davanti a una caffetteria
dall’aria naturista con le vetrine che avevano bisogno di una
lavata. – Portami un caffè. Nero, senza zucchero.
Il mio ego non è cosí debole, per crollare mi
ci vuole qualcosa di piú.
Andai a prendere due caffè da asporto,
riuscendo persino a tirare fuori un sorriso alla cameriera
depressa. – Ecco, – dissi, risalendo in macchina.
Conway bevve un sorso. – Fa schifo.
– Il posto l’hai scelto tu. È già una fortuna
se non lo fanno con i germogli di soia o roba simile.
Per poco non sorrise. – Per me lo fanno
proprio cosí. Buttali, tutti e due. Non voglio questa puzza nella
mia macchina.
Il bidone era dall’altro lato della strada.
Scesi, schivai le auto, risalii a bordo. Cominciavo a capire perché
Conway non avesse ancora un partner. Schiacciò l’acceleratore prima
che chiudessi la portiera.
– Allora, – disse, appena un po’ ammorbidita.
– Conosci il caso? Almeno le basi?
– Sí –. Le basi di quel caso le conoscevano
cani e porci.
– Allora sai che non abbiamo inchiodato
nessuno. Il tamtam interno che cosa dice?
Diceva un sacco di cose. Io commentai solo: –
Alcuni casi vanno cosí.
– Siamo andati a sbattere contro un muro,
questo è il motivo. Sai come si gioca: hai la scena del crimine,
hai i testimoni che riesci a trovare, e hai la vita della vittima.
Una di queste opzioni deve darti una pista. E invece nessuna delle
tre ci ha dato un cazzo di niente –. Individuò nel traffico uno
spazio sufficiente per una moto e ci si infilò con un colpo di
sterzo. – In pratica, non abbiamo trovato nessun motivo per cui
qualcuno volesse uccidere Chris Harper. Era un bravo ragazzo, da
ogni punto di vista. Lo dicono sempre di tutti, ma stavolta sembra
vero. Sedicenne, quarto anno a St Colm, interno. In realtà abitava
poco lontano da lí, ma suo padre pensava che solo stando in
collegio avrebbe ricevuto «il pieno beneficio dell’esperienza a St
Colm». In posti come quello i contatti sono tutto. Se ti fai gli
amici giusti, dopo la scuola non avrai mai uno stipendio inferiore
a centomila all’anno –. La piega delle labbra rendeva chiara la sua
opinione al riguardo.
– Quando dei ragazzi sono costretti a vivere
insieme, – dissi, – possono nascere brutte situazioni. Bullismo,
per esempio. Non è emerso nulla del genere?
Oltre il canale, verso Rathmines. –
Nada. Chris era popolare a scuola,
tanti amici e niente nemici. Una scazzottata ogni tanto, ma a
quell’età è normale. Nessuna ragazza ufficiale, tre ex (al giorno
d’oggi cominciano presto), ma non si trattava di vero amore, un
paio di pomiciate al cinema e poi ognuno per la sua strada. Con
tutte e tre si era lasciato piú di un anno prima e senza rancore,
almeno a quanto abbiamo saputo. Con i professori andava d’accordo;
hanno detto che a volte faceva chiasso, ma per eccesso di energia,
mai per cattiveria. Intelligenza media, non un genio ma nemmeno un
idiota. Anche come capacità di lavoro era nella media. Buon
rapporto con i genitori, per quel poco che li vedeva. Siamo andati
a fondo con tutti, non perché credessimo che ci avessero nascosto
qualcosa, ma perché non avevamo altro. E non abbiamo trovato nulla.
Nemmeno l’odore di una pista.
– Qualche brutta abitudine?
Conway scosse la testa. – Macché. Gli amici
hanno detto che si faceva qualche canna alle feste e ogni tanto si
prendeva una sbronza, se riuscivano a mettere le mani su degli
alcolici, ma quando è morto non aveva alcol in corpo. Né droghe.
Non abbiamo trovato nulla neppure nella sua roba. Sul computer
niente link a siti di gioco d’azzardo, solo qualche sito porno
nella cronologia. Stessa cosa a casa dei genitori. Insomma, il
peggio che ha fatto, per quanto siamo riusciti a scoprire, è
qualche tiro a una canna e un po’ di fica online.
Il suo profilo era calmo. Sopracciglia
lievemente abbassate, occhi concentrati sulla guida. Si sarebbe
detto che non aver trovato «un cazzo di niente» la lasciasse
indifferente. A volte va cosí, nulla di personale.
– Niente movente, niente piste, niente
testimoni; dopo un po’ ci siamo trovati a morderci la coda, a
parlare di nuovo con le stesse persone, ricevendo le stesse
risposte. Avevamo altri casi da seguire, non potevamo passare
ancora dei mesi a darci martellate in testa per Chris Harper. Alla
fine ho mollato. Ho messo l’indagine in stand by, sperando che un
giorno succedesse quello che è successo oggi.
Chiesi: – Come mai eri la detective
principale?
Conway pesta sull’acceleratore. – Vuoi dire
come mai una ragazza si è trovata tra le mani un caso di alto
profilo, invece di dedicarsi alle liti domestiche?
– No. Voglio dire che eri una recluta.
– E allora? Secondo te è per quello che non
abbiamo risolto il caso?
Altro che indifferente. Lo nascondeva bene per
tenere a bada i ragazzi della squadra, ma non era affatto contenta
del risultato.
– No, sto solo dicendo…
– Perché se è cosí vaffanculo. Scendi subito e
prendi l’autobus per tornare ai Casi Freddi.
Non mi puntò l’indice in faccia solo perché
stava guidando. – No! Voglio dire solo
questo: un ragazzo ucciso, una scuola da ricchi; si capiva subito
che sarebbe stato un caso grosso. Costello aveva piú anzianità di
servizio. Come mai non ci ha messo il suo nome sopra?
– Perché io me l’ero guadagnato. Perché lui
sapeva che sono una detective con i controcazzi. Hai capito?
La lancetta del tachimetro è oltre il limite.
– Ho capito, – dissi.
Scese il silenzio. Conway rallentò, ma non
molto. Eravamo in Terenure Road, e con un po’ di spazio a
disposizione la MG cominciò a mostrare di cosa era capace. Quando
il silenzio fu durato abbastanza, dissi: – Questa macchina è una
bellezza.
– L’hai mai guidata?
– Non ancora.
Un cenno del capo, come se l’informazione
quadrasse con ciò che lei pensava di me. – In un posto come St
Kilda, devi mostrarti al loro livello –. Solleva una mano sopra la
testa. – Farti rispettare.
Questo mi disse qualcosa su Antoinette Conway.
Io al suo posto avrei scelto una vecchia Polo con troppi chilometri
sul groppone e tante ammaccature che la vernice non bastava piú a
nascondere. Se interpreti il ruolo dell’ultima ruota del carro, la
gente abbassa la guardia.
– Quindi è quel tipo di posto, eh?
Conway fece una smorfia. – Gesú Cristo.
Pensavo che mi avrebbero messo in una camera di decontaminazione,
per non parlare del mio accento. O che mi mettessero in mano
un’uniforme da donna delle pulizie spiegandomi che dovevo entrare
dalla porta di servizio. Sai quanto si paga, lí? La tariffa
di partenza è ottomila all’anno.
Escluso il collegio e le attività
extrascolastiche. Tipo canto corale, pianoforte,
recitazione. Tu avevi cose del genere, a scuola?
– Noi avevamo un pallone da calcio in
cortile.
La risposta le piacque. – Entro in sala,
chiamo un nome, e salta su una stronzetta pompinara: «Ehm, io
adesso non posso, ho la lezione di
clarinetto tra cinque minuti» –. Sollevò di nuovo un angolo della
bocca. Si vedeva che con quella ragazza si era tolta uno sfizio. –
Il suo colloquio è durato un’ora intera. Che peccato.
– La scuola, – chiedo. – Snob e buona o snob e
basta?
– Anche se vincessi al lotto non ci manderei i
miei figli. Ma… – Scrolla una spalla. – Classi poco numerose. Le
alunne vincono premi di scienza ovunque. Tutte con i denti
perfetti, nessuna resta incinta e vengono tutte ammesse
all’università. Direi che è buona, se il fatto che tua figlia
diventi una snob di merda non ti preoccupa.
– Il padre di Holly è un poliziotto. Di
Dublino, quartiere Liberties.
– Lo so. Credevi mi fosse sfuggito?
– Non l’avrebbe mandata lí se pensasse che
gliel’avrebbero trasformata in una snob di merda.
La MG scalpitava a un semaforo rosso. Scattò
il verde e partí a razzo. – Tu le piacevi?
Repressi una risata. – Era una bambina. Nove
anni quando l’ho conosciuta, dieci quando c’è stato il processo. E
non l’avevo piú rivista, fino a oggi.
Conway mi scoccò un’occhiata come se il
bambino fossi io. – Potresti avere delle sorprese. È
bugiarda?
Ci pensai su. – Con me non lo è stata. O
almeno, non me ne sono accorto. All’epoca era una brava
bambina.
– È una bugiarda, – disse Conway.
– Su cosa ha mentito?
– Non lo so. Neanch’io l’ho beccata. Forse non
ha mentito nemmeno con me. Ma le ragazze di quell’età mentono
sempre. Tutte.
Pensai: «La prossima volta che hai una domanda
trabocchetto, risparmiala per un indiziato». – A me non importa se
uno è un bugiardo, – dissi invece. – Basta che non menta con
me.
Conway ingranò una marcia piú alta e la MG ne
fu felice. – Vediamo un po’, – disse. – Cos’ha detto di Chris
Harper la tua amichetta Holly?
– Non molto. Lo conosceva solo di vista o poco
piú.
– E pensi che sia la verità?
– Non lo so ancora.
– Quando lo sai fammi un fischio. Sai perché
abbiamo dedicato un’attenzione speciale a Holly e alle sue amiche?
È un gruppo di quattro, stanno sempre insieme, se le cose non sono
cambiate: Holly Mackey, Selena Wynne, Julia Harte e Rebecca O’Mara.
Sono cosí –. Incrocia un dito sopra l’altro. – Una loro compagna di
classe, Joanne Heffernan, ha detto che la vittima usciva con Selena
Wynne.
– Quindi pensi che lui si fosse introdotto a
St Kilda di nascosto per vedersi con lei.
– Già. Un dettaglio che non abbiamo divulgato,
quindi non fartelo scappare durante i colloqui, è che aveva un
preservativo in tasca. Nient’altro. Niente portafogli o cellulare,
quelli li abbiamo trovati nella sua stanza: solo un preservativo –.
Conway sporse il collo di lato e sorpassò un vecchio camper
Volkswagen, togliendosi dalla traiettoria di un tir appena in
tempo. Il tir lasciò trapelare la sua irritazione. – Ma vaffanculo,
che cazzo vuoi?... E sul corpo c’erano dei fiori, nemmeno questo è
stato divulgato. Giacinti, di quelli blu un po’ arricciati con un
profumo intenso, hai presente? Quattro giacinti, raccolti in
un’aiuola non lontano da lí, quindi può averli lasciati
l’assassino, ma… – scrollata di spalle. – Un ragazzo nella scuola
della sua ragazza dopo mezzanotte, con un preservativo e dei fiori?
Secondo me gli era stata fatta una promessa.
– La scuola era di sicuro la scena primaria,
vero? Non è stato lasciato lí dopo morto.
– No, la botta gli ha spaccato la testa e
c’era un sacco di sangue. Da com’è uscito la Scientifica ha
determinato che Chris dopo essere stato colpito è rimasto immobile.
Non è stato spostato da altri, non ha tentato di strisciare via per
cercare aiuto, non ha nemmeno provato a toccare la ferita, perché
non c’era sangue sulle mani. Una botta in testa… – schioccò le
dita, – ed è andato giú.
– Selena Wynne avrà detto di non aver avuto
nessun appuntamento con lui quella notte, immagino.
– Già. E le sue tre amiche hanno detto la
stessa cosa. Niente appuntamento, Selena non ci usciva nemmeno con
lui, lo conosceva appena. Tutte scioccate che io avessi suggerito
una cosa del genere.
– E gli amici di Chris Harper cos’hanno
detto?
Una risata sbuffante. – Una serie di «Ah, boh,
non lo so». Ragazzi di sedici anni. Intervistare gli scimpanzé
dello zoo sarebbe stato piú appagante. Ce n’era uno in grado di
esprimersi con frasi compiute, Finn Carroll, ma non aveva comunque
molto da dire. I maschi non stanno alzati la notte a confidarsi i
loro segreti, come le femmine. In pratica è emerso che a Chris
piaceva Selena, ma gli piacevano un mucchio di ragazze, e di solito
era ricambiato. A quanto ne sapevano loro, Chris e Selena non erano
mai andati oltre le chiacchiere occasionali.
– Qualcosa contraddiceva quell’idea? Contatti
sui cellulari, post su Facebook…
Conway scosse la testa. – Niente telefonate o
messaggi tra i due, zero su Facebook. Tutti i ragazzi hanno degli
account social, ma gli interni li usano quasi solo durante le
vacanze: sui computer di entrambe le scuole tutti i social network
sono bloccati e gli smartphone sono proibiti. Dio non voglia che la
piccola Philippa scappi con un pervertito conosciuto su internet
durante le ore di scuola. Peggio ancora se a scappare con un
pervertito è un piccolo Philip. Immagina le querele.
– Quindi si tratta solo delle prove fornite da
Joanne Heffernan.
– Non ha fornito nessuna prova. Praticamente
si è limitata a dire: «E poi ho visto che lui la guardava, e lei ha
guardato lui, e un’altra volta lui le ha detto qualcosa, perciò è
chiaro che scopavano». Le sue amiche hanno confermato la sua
versione, ma non mi sorprende. Heffernan è veleno puro. Il suo è il
gruppo «in» e lei è l’ape regina. Le altre sono terrorizzate da
Joanne. Se dicono o fanno qualcosa senza il suo beneplacito, si
trovano fuori e prendono palate di merda da lei e dal resto del
gruppo fino alla fine della scuola. Perciò dicono quello che gli è
stato detto di dire.
Chiesi: – Holly e il suo gruppo sono «in» o
no?
Conway fissò un altro semaforo rosso,
tamburellando sul volante al ritmo della freccia. – Loro sono
strane, – disse alla fine. – Non comandano e non fanno parte della
gang di Heffernan. Ma lei le lascia stare. Ha buttato Selena nella
merda non appena ne ha avuto l’occasione e per la gioia si è
bagnata le mutandine, ma non le affronta faccia a faccia. Loro non
sono in cima al totem, ma abbastanza in alto.
Sulla mia faccia si formò un sorriso.
– Cosa c’è?
– Ne parli come se fossero gang femminili di
East Los Angeles, con lamette da barba nascoste tra i
capelli.
– Ci vanno vicino, – rispose Conway, uscendo
dalla strada principale. – Abbastanza vicino.
Le case divennero piú grandi e piú arretrate
rispetto alla via. Le automobili imponenti e nuove fiammanti, come
di recente se ne vedevano poche. Cancelli elettrici dappertutto. In
un giardino c’era una statua in cemento lisciato che sembrava il
manico di una tazza.
– Quindi la tua idea è che sia stata Selena? O
qualcuno geloso della storia tra lei e Chris, da un lato o
dall’altro della barricata?
Conway rallentò, non abbastanza per un centro
abitato, e ci pensò su.
– Non voglio dire che sia stata Selena. Quando
la vedrai capirai: non credo sarebbe stata capace di fare il
lavoro, non nel modo giusto. Heffernan era gelosa come una scimmia,
perché Selena è il doppio piú bella di lei, ma non dico nemmeno che
sia stata Heffernan. Sto semplicemente dicendo che c’era qualcosa.
Solo qualcosa.
Quello doveva essere il motivo per cui mi
aveva lasciato venire. Un riflesso catturato con la coda
dell’occhio, che era sparito quando si era voltata a fissarlo.
Nemmeno Costello era riuscito a trovarlo, e Conway aveva pensato
che forse poteva essere utile un occhio diverso. Il mio.
– Una adolescente avrebbe potuto farlo? –
chiesi. – Fisicamente, voglio dire.
– Sí, senza problemi. L’arma (nemmeno questo è
stato divulgato) era una zappa presa dal capanno del giardiniere.
Un colpo solo gli ha sfondato il cranio e il cervello. Tra il
manico lungo e la zappa affilata, la Scientifica ha detto che non
ci voleva una grande forza. Una ragazza avrebbe potuto farlo
benissimo.
Stavo per chiederle un’altra cosa, ma lei
svoltò all’improvviso, senza nemmeno mettere la freccia, e
attraversammo un alto cancello nero, con una guardiola in pietra e
un arco in ferro battuto con la scritta in oro «St Kilda’s
College». Conway rallentò, per lasciarmi dare una buona
occhiata.
Il vialetto d’ingresso in ciottoli bianchi
girava a semicerchio intorno a un pendio gentile e lunghissimo di
erba verde ben tosata. In cima al pendio c’era la scuola.
Doveva essere stata la magione avita di
qualcuno, duecento e piú anni prima. Una villa con cocchieri e
carrozze, signore dalla vita sottile che passeggiavano sottobraccio
sull’erba. Un lungo edificio in pietra grigia, tre piani con almeno
una dozzina di alte finestre ciascuno. Un portico sostenuto da
colonne con i capitelli a volute, una balaustra sul tetto con
colonnine dalle curve delicate come vasi. Era perfetta: tutto, ogni
centimetro quadrato, era in perfetto equilibrio, sotto un sole che
sembrava sciogliersi lentamente come burro su un toast.
Forse avrei dovuto odiarlo, quel posto. La mia
era una scuola pubblica, un prefabbricato quasi in rovina, dove
tenevamo addosso il cappotto quando si guastava il riscaldamento,
attaccavamo carte geografiche per coprire le macchie di umidità e
ci sfidavamo a toccare i topi morti nei bagni. Forse guardando
quella scuola avrei dovuto provare una voglia pazza di lasciare una
merda sotto il portico.
Ma era bella, e a me è sempre piaciuta la
bellezza. Non ho mai capito perché odiare quello che ti piacerebbe
avere. Al contrario, lo ami di piú. Cerchi di avvicinarti. Lo
stringi tra le mani. Finché non trovi un modo di farlo tuo.
– Guarda qua, – disse Conway, stringendo gli
occhi. – Le uniche volte che mi dispiace di essere una poliziotta è
quando vedo un posto di merda come questo e non posso cospargerlo
di benzina e dargli fuoco.
Mi osservò per vedere la mia reazione. Un
altro test.
Avrei potuto superarlo facilmente, con una
battuta sui ragazzi ricchi e viziati e la mia vita nelle case
popolari. E perché no? Desideravo da tanto la squadra Omicidi.
Cercare di avvicinarsi fino a far tuo ciò che desideri.
Ma non desideravo l’approvazione di
Conway.
– È un posto bellissimo, – dissi.
Gettò la testa all’indietro, torcendo la bocca
in quello che sembrava un sorriso ma doveva essere altro.
Delusione?
– Lí dentro ti vorranno un gran bene, – disse.
– Dài, andiamo a vedere se trovi qualche culo alto borghese da
leccare.
Schiacciò l’acceleratore e partí a razzo sul
vialetto, facendo schizzare i ciottoli sotto le ruote.
Il parcheggio era sulla destra, coperto da
alti alberi verde scuro; cipressi, mi sembrava, ma non conosco bene
gli alberi. Non c’erano Mercedes scintillanti, ma nemmeno catorci.
I professori potevano permettersi auto decenti. Conway parcheggiò
in uno spazio con la scritta «Riservato».
Era piuttosto probabile che nessuno a St Kilda
vedesse la MG, a meno che non stessero guardando da una finestra
mentre noi entravamo dal cancello. Conway l’aveva scelta per sé,
per come voleva sentirsi andando in quella scuola, non per come
voleva essere vista da loro. Corressi ancora una volta l’opinione
che mi ero fatto di lei.
Scese dall’auto e si gettò la borsa su una
spalla (niente di femminile, una cartella in pelle nera piú virile
di quelle di molti suoi colleghi maschi). – Ti porto prima sulla
scena, cosí ti fai un’idea. Vieni.
Sotto la fresca cortina ombrosa degli alberi.
Un suono sopra di noi, come un sospiro. Conway alzò la testa di
scatto, ma era solo il vento tra i rami. Alla nostra sinistra,
quando uscimmo di nuovo al sole, vidi il lato posteriore della
scuola. A destra c’era un altro lungo pendio erboso, stavolta in
discesa, costeggiato da una siepe bassa.
L’edificio principale aveva due ali, che si
estendevano sul retro da una parte e dall’altra. Forse costruite
dopo, ma nello stesso stile: stessa pietra grigia, stessa mano
leggera per gli ornamenti. Una ricerca di linearità, non di
svolazzi.
Conway disse: – Le aule, l’atrio, gli uffici e
tutta la scuola vera e propria sono nell’edificio principale. Lí, –
indicò l’ala piú vicina, – è dove stanno le suore. Ingresso
separato, senza una porta comunicante con la scuola. L’ala è chiusa
a chiave di notte, ma le suore hanno le chiavi e hanno ciascuna la
sua stanza. Una di loro potrebbe essere uscita per spaccare la
testa a Chris Harper. Sono circa una dozzina, alcune hanno almeno
un secolo e nessuna è sotto i cinquanta, ma come ho detto prima non
ci voleva un culturista.
– Qualche movente?
Conway guardò le finestre, stringendo gli
occhi contro il riflesso del sole sui vetri. – Le suore hanno il
cervello bacato. Magari una di loro ha visto Chris infilare la mano
sotto il golf di una ragazza e ha pensato che fosse un emissario di
Satana, inviato a corrompere le anime innocenti.
Si avviò sul prato in diagonale,
allontanandosi dall’edificio. Non c’erano cartelli con scritto
«Vietato calpestare l’erba», ma il divieto era nell’aria. Mi
aspettavo di veder spuntare dagli alberi un guardiacaccia con una
muta di cani, e di dover tagliare la corda con il culo dei
pantaloni strappato a morsi.
– L’altra ala è quella del collegio. La notte
è chiusa a doppia mandata come la fica di una suora, e le ragazze
non hanno le chiavi. Alle finestre del pianterreno ci sono le
sbarre. C’è una porta sul retro, ma di notte c’è un allarme. C’è
anche una porta di comunicazione con la scuola, e qui la cosa si fa
interessante: lí le finestre non hanno le sbarre, e nemmeno un
allarme.
– Ma la porta di comunicazione non è chiusa a
chiave?
– Certo. Giorno e notte. Ma se c’è un motivo
importante, se per esempio una ragazza ha dimenticato i compiti in
stanza, o deve andare a prendere un libro in biblioteca per un
progetto scolastico a cui sta lavorando, può chiedere la chiave. La
segretaria della scuola, l’infermiera e la matrona… non sto facendo
dell’ironia, la chiamano proprio matrona, hanno ciascuna la propria chiave. E a
gennaio dell’anno scorso, quattro mesi prima dell’omicidio di Chris
Harper, la chiave dell’infermiera è scomparsa.
– Non hanno cambiato la serratura?
Conway alzò gli occhi al cielo. Tutto in lei
aveva tratti non completamente autoctoni, non solo il viso, ma
anche il modo di muoversi, con la schiena dritta e le spalle
dondolanti, e il modo di parlare a raffica. – Logico, vero? Invece
no. L’infermiera teneva la chiave su una mensola e sotto c’era il
cestino della carta straccia. Ha pensato che la chiave fosse caduta
nel cestino e fosse stata buttata via con la spazzatura. Se n’è
fatta fare una copia e fine della storia, trallallero, un sistema
perfetto. Finché siamo arrivati noi a fare domande. Sul serio, non
so chi sia piú ingenuo qui dentro, se le ragazze o il personale. Se
la chiave ce l’aveva un’interna, poteva entrare nella scuola di
notte, uscire da una finestra e fare quello che le pareva fino
all’ora di colazione.
– Non c’è una guardia giurata?
– C’è. Loro lo chiamano sorvegliante notturno,
forse perché suona piú di classe. Se ne sta seduto nella guardiola
che hai visto vicino al cancello e fa un giro d’ispezione ogni due
ore. Evitarlo è facilissimo, lo capirai quando avrai visto
l’estensione del parco. Da questa parte.
Un cancello nella siepe, riccioli di ferro
battuto, un cigolio lamentoso quando Conway lo aprí. Oltre il
cancello un campo da tennis, uno di gioco e altro verde,
attentamente sistemato per sembrare un po’ selvaggio. Un
guazzabuglio di alberi secolari: betulle, querce, platani.
Sentierini ghiaiati tra aiuole fiorite in tonalità gialle e
lavanda. Tutto il verde consisteva in germogli primaverili, cosí
morbidi che potevi passarci la mano attraverso.
Conway mi schioccò le dita in faccia. –
Concentrati.
Chiesi: – Le interne alloggiano in stanze
singole o in dormitori?
– Quelle del primo e secondo anno in camerate
da sei letti. Quelle del terzo e quarto in stanze da quattro. Al
quinto e sesto sono due per stanza. Quindi sí, se vuoi uscire di
nascosto di notte hai almeno una compagna di stanza di cui
preoccuparti. Ma ecco il punto: dal terzo anno in avanti, puoi
scegliere con chi stare. Perciò è molto facile che la tua compagna
di stanza sia una tua amica, e quindi non sia disposta a
tradirti.
Lungo un lato del campo da tennis c’erano reti
ammucchiate e alcune palle in un angolo. Mi sentivo ancora
osservato dalle finestre della scuola.
– Quante interne ci sono?
– Una sessantina. Ma abbiamo ridotto le
possibilità. L’infermiera ha dato la chiave a una ragazza un
martedí e l’ha riavuta indietro. Il venerdí a pranzo voleva darla a
un’altra ma era sparita. L’infermeria è chiusa a chiave quando lei
non c’è. Giura che almeno a quello è sempre stata attenta, per
evitare che qualcuno si sparasse in vena della codeina o altro.
Quindi, se qualcuno si è fregato la chiave, quella persona è stata
in infermeria tra martedí e venerdí.
Conway spinse via un ramo e imboccò uno dei
sentieri che si inoltravano nel parco. Le api succhiavano i fiori
di melo. In alto non gazze rumorose, ma solo uccellini felici e
cinguettanti.
– Secondo il registro, in infermeria in quei
giorni si sono presentate quattro ragazze. Emmeline Locke Blaney,
primo anno, interna, era tanto spaventata da noi che per poco non
si è pisciata addosso. Non la credo capace di mentirci. Catriona
Morgan, quinto anno, non dorme qui ma questo non la scagiona,
perché potrebbe aver passato la chiave a un’amica interna, anche se
i due gruppi sono piuttosto chiusi. «Le esterne e le interne non si
mescolano, sul serio non lo sapete?» – Era passato un anno ma
ricordava ancora tutti i nomi a memoria. Chris Harper le era
proprio rimasto sul gozzo, altroché. – Alison Muldoon, terzo anno,
interna, una delle stronzette amiche di Joanne Heffernan. E Rebecca
O’Mara.
– Di nuovo la banda di Holly Mackey.
– Esatto. Vedi perché sono convinta che la tua
amichetta non ti abbia detto tutto?
– I motivi per andare in infermeria, erano
solidi?
– Emmeline era l’unica con un motivo
verificabile: una storta alla caviglia giocando a hockey, a polo o
a quello che diavolo era. Aveva bisogno di una fasciatura. Le altre
tre avevano emicranie, dolori mestruali, vertigini e stronzate del
genere. Forse era vero, forse volevano solo uscire da una lezione
noiosa, oppure… – Conway inarca un sopracciglio. – L’infermiera gli
ha dato un paio di analgesici e le ha lasciate riposare un po’ sul
lettino, proprio accanto alla mensola con la chiave.
– E tutte hanno detto di non averla
toccata.
– L’hanno giurato su Dio. Come ho detto, ho
creduto a Emmeline, ma le altre… – Di nuovo il sopracciglio. Il
sole tra le foglie le macchiava le guance come colori di guerra. –
La preside ha giurato a sua volta che nessuna delle sue ragazze
farebbe mai e bla, bla, bla, lei è certa che la chiave fosse caduta
nel cestino della spazzatura. Ma almeno ha cambiato la serratura
della porta di comunicazione. Meglio tardi che mai –. A un tratto
indicò: – Lo vedi, quello?
Una costruzione lunga e bassa, alla nostra
destra tra gli alberi, con un po’ di spazio aperto davanti.
Graziosa, vecchia, ma i muri in mattoni erano pulitissimi.
– Era la scuderia. Per i cavalli dei lord che
abitavano qui. Ora è il capanno dei giardinieri, ce ne vogliono tre
per tenere in ordine tutto questo terreno. La zappa era lí
dentro.
Nel cortile davanti al capanno non c’era
nessun movimento. Era da un po’ che mi chiedevo dove fossero tutti.
In quella scuola doveva esserci qualche centinaio di persone,
eppure non si vedeva né sentiva nulla. Solo un leggero tintinnio di
metallo su metallo in lontananza. Nient’altro.
– Il capanno è chiuso a chiave? –
chiesi.
– No. Dentro c’è un armadio con il diserbante,
il veleno per le vespe e altro, e quello è chiuso con un lucchetto.
Ma il capanno in sé? Nooo. Entra e serviti da solo. A nessuno qui è
mai passato per la mente che quasi ogni cosa lí dentro è un’arma.
Badili, zappe, cesoie, forbicioni da siepe. C’è abbastanza roba per
ammazzare mezza scuola; o in alternativa per farsi dare un bel po’
di soldi da un ricettatore –. Allontanò la testa con uno scatto da
uno sciame di moscerini e riprese a muoversi sul sentiero. – L’ho
detto alla preside, e sai cos’ha risposto? «Detective, questa
scuola non attrae il tipo di ragazze che possono avere pensieri del
genere». L’ha detto con una faccia come se avessi cacato sulla sua
moquette. Idiota del cazzo. In giardino c’era un ragazzo con la
testa spaccata da una zappa e lei mi parlava di un mondo di
frappuccini e lezioni di violoncello, dove nessuno mai ha un
pensiero cattivo. Capisci cosa intendo per ingenuo?
– Non è ingenuità, lo fanno apposta. E in un
posto come questo la gerarchia viene presa sul serio. Se la preside
dice che tutto è perfetto e a nessuno è permesso di dire il
contrario… non è un bene.
Conway voltò la testa a guardarmi, curiosa,
come vedendo qualcosa che non si aspettava. Mi piaceva camminare
fianco a fianco con una donna i cui occhi erano al livello dei
miei, il cui passo era lungo quanto il mio. Era facile. Per un
attimo desiderai che potessimo piacerci.
– Stai dicendo che non è un bene per
l’indagine, – volle sapere, – o in generale?
– Tutti e due. È pericoloso.
Pensavo che mi avrebbe sfottuto per il tono
drammatico, invece annuí. – Sí, sono d’accordo.
Oltre una curva del sentiero, fuori dagli
alberi e dentro una chiazza di sole. – I fiori venivano da lí, –
disse Conway.
Azzurro, un azzurro che ti cambiava gli occhi
come se non avessi mai visto prima nulla di quel colore. Migliaia
di giacinti, giú da un morbido pendio sotto altri alberi, come
caduti da un cesto enorme senza fondo. Il profumo era quasi
allucinogeno.
– Ho messo due agenti a controllare ogni
stelo, in cerca di quelli spezzati. Due ore intere, gli ci sono
volute, e devono avermi odiato. Ma non me ne frega un cazzo, perché
gli steli li hanno trovati. Quattro, proprio lí, verso il bordo. La
Scientifica ha confermato che corrispondono a quelli trovati sul
corpo di Chris. Non è una certezza al cento per cento, ma ci va
abbastanza vicino.
Quella distesa di fiori mi fece entrare
nell’evento. Lí, in quel posto dove sembrava che non potesse mai
accadere nulla di male, Chris Harper era venuto a cercare qualcosa,
l’ultima volta che i giacinti erano fioriti. Doveva aver sentito il
profumo, la cosa piú chiara nel buio intorno a lui. E forse
l’ultima che aveva avvertito, quando tutto il resto si era dissolto
nel nulla.
– Dov’era il corpo? – chiesi.
Conway indicò: – Là.
A una decina di metri dal sentiero, su per il
pendio, tra l’erba verde e bassa, oltre alcuni cespugli potati a
forma di palla, c’era una macchia di quegli stessi alberi, che
forse erano cipressi: fitti, scuri, disposti a cerchio intorno a
una piccola radura. L’erba nel mezzo era stata lasciata crescere,
era lunga e selvatica, con steli di soffioni che si ergevano qua e
là.
Conway girò intorno ai fiori e cominciò a
salire. Sentii lo sforzo nelle cosce. Poi l’aria nella radura.
Fresca. Comunicava un senso di profondità.
– Quanto era buio? – chiesi.
– Non molto. Cooper… Lo conosci, vero? Il
patologo. Ha detto che la morte risaliva circa all’una del mattino.
Il cielo era sereno, la luna al culmine. La visibilità era la
migliore possibile, in piena notte.
Qualcosa si mosse nella mia testa. Chris si
rialza con le mani piene di azzurro. Nota una forma che si muove
rapida alla luce della luna. È la sua ragazza, o… Ma c’è anche
qualcuno immobile nell’ombra, che lo osserva aggirarsi tra i
cipressi della radura, e quel qualcuno aspetta solo che smetta di
aggirarsi, che smetta di osservare.
Nel frattempo, Conway osservava me. Mi
ricordava Holly, anche se il paragone non sarebbe piaciuto a
nessuna delle due. Ma gli occhi socchiusi, come se fosse un test o
un gioco di società tipo Scale e serpenti: la mossa giusta, e puoi
avanzare un altro po’. Un errore, e torni al punto di
partenza.
– Con quale angolazione lo ha colpito la
zappa? – chiesi.
Era la domanda giusta. Conway mi prese per un
braccio e mi fece spostare di un paio di metri verso il centro
della radura. Non era una stretta da «ora ti arresto» e nemmeno da
«mi piaci», era solo che aveva le mani forti. Mani capaci di
aggiustare un’automobile o di prendere a pugni qualcuno. Mi fece
girare in modo da guardare i fiori e il sentiero, con la schiena
verso gli alberi.
– Lui era qui.
Un ronzio, forse un calabrone, o una
falciatrice lontana: non riuscii a capirlo, perché l’acustica era
tutta un rimbalzare di echi. Gli stami ondeggiavano intorno ai miei
polpacci.
– Il suo assassino gli è arrivato alle spalle,
o ha approfittato di un momento in cui era voltato. Ha vibrato il
colpo piú o meno da qui.
Alle mie spalle. Girai la testa, e lei sollevò
una zappa immaginaria sopra la spalla sinistra, a due mani. Poi
vibrò il colpo con la forza di tutto il corpo. Riuscii quasi a
udire il sibilo e il tonfo, come un brivido nell’aria tra i
cinguettii primaverili. Anche se non c’era nessuna zappa,
sobbalzai.
Conway sollevò l’angolo della bocca e mostrò
le mani vuote.
– Ed è andato giú subito, – dissi.
– Lo ha preso qui –. Posò il taglio della mano
dietro la mia testa, in alto e un po’ a sinistra, con
un’angolazione da sinistra a destra. – Chris era circa cinque
centimetri piú basso di te, uno e settantacinque. L’assassino era
alto piú di un metro e mezzo e meno di uno e ottanta. Probabilmente
destrorso. È stato il meglio che Cooper è riuscito a dire,
dall’angolazione della ferita.
Si allontanò da me in un fruscio di
steli.
– L’erba, – dissi. – Era come adesso?
Altra domanda giusta, bravo. – No. l’hanno
lasciata crescere solo dopo, non so se come una specie di memoriale
o perché questo posto spaventava i giardinieri. È un punto
nascosto, quindi non rovina l’immagine della scuola. Ma all’epoca
l’erba era come dappertutto: bassa. Con un paio di scarpe morbide
potevi attraversarla senza essere udito.
E senza lasciare impronte, o almeno non delle
impronte utili per la Scientifica. I sentieri erano acciottolati,
quindi niente impronte nemmeno lí.
– Dove avete trovato la zappa?
– Nel capanno, al suo posto. L’abbiamo notata
perché corrispondeva alla descrizione dell’arma del delitto fatta
da Cooper. La Scientifica ci ha messo cinque secondi per
confermarlo. La donna, la ragazza, l’uomo o quello che è aveva
tentato di pulire la lama piantandola un paio di volte nel terreno,
– indicò sotto un cipresso, – e sfregandola sull’erba. Bella mossa,
piú intelligente che pulirla con uno straccio e poi doversi disfare
anche dello straccio. Ma era rimasto ancora parecchio sangue.
– Impronte digitali?
Conway scosse la testa. – Solo quelle dei
giardinieri. E nemmeno tracce di tessuto epiteliale, quindi niente
Dna. Lei doveva avere i guanti.
– Lei, –
ripetei.
– È una questione di probabilità, – disse
Conway. – Qui abbiamo un sacco di lei e pochi lui. L’anno scorso
girava la teoria del pervertito che si era introdotto nel parco per
farsi una sega spiando le ragazze dalle finestre, per giocare con
le loro racchette da tennis, o che ne so. Chris era venuto per
vedersi con qualcuno e l’aveva sorpreso sul fatto. Naturalmente non
quadra con le tracce che abbiamo trovato: che ci faceva il
pervertito con l’uccello in una mano e la zappa nell’altra? Ma era
una teoria che piaceva a molti, per non dover pensare che fosse
stata una ragazzina ricca. In un «posto bellissimo» come
questo.
Di nuovo quello sguardo a occhi socchiusi. Un
altro test. Un raggio di sole le diede uno sguardo ambrato, da
lupo.
– Non è stato uno di fuori, – dissi. – È
chiaro, dopo il biglietto di oggi. Altrimenti, perché tanta
segretezza? La ragazza avrebbe potuto semplicemente chiamarti e
dire ciò che sapeva. Se non si è inventata tutto, sa qualcosa su
qualcuno all’interno della scuola. E ha paura.
Conway disse: – E la prima volta ce la siamo
lasciata sfuggire.
Una sfumatura severa nella voce. Non era dura
solo con gli altri, Conway.
– Forse non è cosí, – dissi. – Sono ragazzine.
Se una di loro ha visto o sentito qualcosa, all’epoca può non
averne compreso il significato. Soprattutto se aveva a che fare con
il sesso o l’amore. Questa generazione conosce tutti i fatti,
guardano i siti porno e conoscono piú posizioni di me e te insieme.
Ma quando si tratta della cosa reale, sono pesci fuor d’acqua. Una
ragazza può aver visto qualcosa di strano, ma senza sapere
esattamente perché fosse importante. Ora è un anno piú grande e sa
piú cose. Un giorno per qualche motivo ripensa al passato e
all’improvviso tutti i pezzi vanno a posto.
Conway ci pensò su. – Può darsi, – disse alla
fine. Ma la sfumatura severa non era scomparsa: non si assolveva
facilmente. – Ma anche se lei non sapeva di avere delle
informazioni utili, il nostro lavoro è saperlo al suo posto. Lei
era lí, – un rapido scatto della testa verso la scuola. – Noi ci
siamo seduti con lei, le abbiamo fatto delle domande e l’abbiamo
lasciata andare. E non mi piace proprio per niente.
Fine della conversazione. Visto che non diceva
altro, feci per avviarmi verso il sentiero, ma lei non si mosse.
Piedi piantati a terra, mani in tasca, mento sollevato, fissava gli
alberi come fossero il nemico.
Disse, senza guardarmi: – Ho avuto io
l’indagine perché pensavamo fosse un caso facile. Il primo giorno,
quando i ragazzi dell’obitorio non avevano ancora portato via il
cadavere, abbiamo trovato mezzo chilo di ecstasy nella scuderia, in
fondo all’armadio dei veleni. Uno dei giardinieri aveva precedenti
per spaccio. E a St Colm, al ballo di Natale della scuola, avevano
beccato un paio di ragazzi con l’ecstasy. Ma non eravamo riusciti a
fargli confessare chi era lo spacciatore. Chris non era tra quelli
che avevano la droga, però… Insomma, il caso sembrava chiaro:
pensavamo di averne risolti due al prezzo di uno, nello stesso
giorno. Chris era venuto a comprare la roba dal giardiniere
spacciatore, c’era stata una lite per i soldi, e sbang.
Di nuovo quel lungo sospiro sopra le nostre
teste. Stavolta mi sembrò di vederlo muoversi tra i rami. Come se
gli alberi ci ascoltassero, come se fossero tristi per noi, ma
stanchi a furia di udire le stesse cose, nel corso degli
anni.
– Costello… era solido. In squadra lo
sfottevano, dicevano che era deprimente, ma era una brava persona.
Mi disse: «Su questo mettici il tuo nome. Comincia a farti strada».
Doveva aver già deciso di andare in pensione quest’anno, e non
aveva piú bisogno di risolvere un grosso caso, mentre io sí.
Parlava a basso volume, come se fossimo in una
stanzetta, e la sua voce si disperdeva nel sole. Avvertii le
dimensioni del verde immobile tutto intorno a noi. La sua vastità.
Gli alberi piú alti della scuola. Piú vecchi.
– Poi è venuto fuori che il giardiniere aveva
un alibi. Aveva invitato degli amici a casa per un poker e qualche
birra; due di loro avevano dormito sul divano. L’abbiamo arrestato
per possesso di stupefacenti a scopo di spaccio, ma l’omicidio… –
Conway scosse la testa. – Avrei dovuto saperlo, – concluse, senza
altre spiegazioni. – Avrei dovuto sapere che non sarebbe stato cosí
semplice.
Un’ape andò a schiantarsi sul petto bianco
della sua camicetta e restò lí attaccata, confusa. Conway chinò la
testa di scatto, mentre il resto del corpo restava immobile. L’ape
si spostò oltre il bottone piú alto, cercando la pelle. Conway
respirava piano. Tolse di tasca una mano e la sollevò
lentamente.
L’ape si riprese e decollò nel sole. Conway
spazzò via qualcosa dalla camicetta nel punto in cui l’ape era
atterrata. Poi si girò e si avviò giú dal pendio, oltre i giacinti,
verso il sentiero.