3.
A Conway piacevano le auto. E aveva occhio. Nel garage andò dritta verso una MG nera vintage, un gioiello. Era l’orgoglio di un detective in pensione, ora morto, che l’aveva lasciata alla polizia nel testamento. Il tizio che gestisce il parcheggio non gliel’avrebbe nemmeno fatta toccare, se non fosse stato sicuro di lei. «Problemi all’albero di trasmissione, detective, mi dispiace. Ma ho quella bella Golf laggiú…» Invece lei gli fece un gesto e lui le lanciò le chiavi.
La guidava come se fosse il suo cavallo preferito. Andammo a sud, nella zona dei ricchi. Conway prendeva le curve strette rallentando il minimo, e suonando il clacson se qualcuno non si toglieva di mezzo abbastanza in fretta.
– Chiariamo una cosa, – disse. – Comando io. Ti crea problemi prendere ordini da una donna?
– No.
– È quello che dicono tutti.
– Ma io lo dico sul serio.
– Bene –. Inchiodò davanti a una caffetteria dall’aria naturista con le vetrine che avevano bisogno di una lavata. – Portami un caffè. Nero, senza zucchero.
Il mio ego non è cosí debole, per crollare mi ci vuole qualcosa di piú.
Andai a prendere due caffè da asporto, riuscendo persino a tirare fuori un sorriso alla cameriera depressa. – Ecco, – dissi, risalendo in macchina.
Conway bevve un sorso. – Fa schifo.
– Il posto l’hai scelto tu. È già una fortuna se non lo fanno con i germogli di soia o roba simile.
Per poco non sorrise. – Per me lo fanno proprio cosí. Buttali, tutti e due. Non voglio questa puzza nella mia macchina.
Il bidone era dall’altro lato della strada. Scesi, schivai le auto, risalii a bordo. Cominciavo a capire perché Conway non avesse ancora un partner. Schiacciò l’acceleratore prima che chiudessi la portiera.
– Allora, – disse, appena un po’ ammorbidita. – Conosci il caso? Almeno le basi?
– Sí –. Le basi di quel caso le conoscevano cani e porci.
– Allora sai che non abbiamo inchiodato nessuno. Il tamtam interno che cosa dice?
Diceva un sacco di cose. Io commentai solo: – Alcuni casi vanno cosí.
– Siamo andati a sbattere contro un muro, questo è il motivo. Sai come si gioca: hai la scena del crimine, hai i testimoni che riesci a trovare, e hai la vita della vittima. Una di queste opzioni deve darti una pista. E invece nessuna delle tre ci ha dato un cazzo di niente –. Individuò nel traffico uno spazio sufficiente per una moto e ci si infilò con un colpo di sterzo. – In pratica, non abbiamo trovato nessun motivo per cui qualcuno volesse uccidere Chris Harper. Era un bravo ragazzo, da ogni punto di vista. Lo dicono sempre di tutti, ma stavolta sembra vero. Sedicenne, quarto anno a St Colm, interno. In realtà abitava poco lontano da lí, ma suo padre pensava che solo stando in collegio avrebbe ricevuto «il pieno beneficio dell’esperienza a St Colm». In posti come quello i contatti sono tutto. Se ti fai gli amici giusti, dopo la scuola non avrai mai uno stipendio inferiore a centomila all’anno –. La piega delle labbra rendeva chiara la sua opinione al riguardo.
– Quando dei ragazzi sono costretti a vivere insieme, – dissi, – possono nascere brutte situazioni. Bullismo, per esempio. Non è emerso nulla del genere?
Oltre il canale, verso Rathmines. – Nada. Chris era popolare a scuola, tanti amici e niente nemici. Una scazzottata ogni tanto, ma a quell’età è normale. Nessuna ragazza ufficiale, tre ex (al giorno d’oggi cominciano presto), ma non si trattava di vero amore, un paio di pomiciate al cinema e poi ognuno per la sua strada. Con tutte e tre si era lasciato piú di un anno prima e senza rancore, almeno a quanto abbiamo saputo. Con i professori andava d’accordo; hanno detto che a volte faceva chiasso, ma per eccesso di energia, mai per cattiveria. Intelligenza media, non un genio ma nemmeno un idiota. Anche come capacità di lavoro era nella media. Buon rapporto con i genitori, per quel poco che li vedeva. Siamo andati a fondo con tutti, non perché credessimo che ci avessero nascosto qualcosa, ma perché non avevamo altro. E non abbiamo trovato nulla. Nemmeno l’odore di una pista.
– Qualche brutta abitudine?
Conway scosse la testa. – Macché. Gli amici hanno detto che si faceva qualche canna alle feste e ogni tanto si prendeva una sbronza, se riuscivano a mettere le mani su degli alcolici, ma quando è morto non aveva alcol in corpo. Né droghe. Non abbiamo trovato nulla neppure nella sua roba. Sul computer niente link a siti di gioco d’azzardo, solo qualche sito porno nella cronologia. Stessa cosa a casa dei genitori. Insomma, il peggio che ha fatto, per quanto siamo riusciti a scoprire, è qualche tiro a una canna e un po’ di fica online.
Il suo profilo era calmo. Sopracciglia lievemente abbassate, occhi concentrati sulla guida. Si sarebbe detto che non aver trovato «un cazzo di niente» la lasciasse indifferente. A volte va cosí, nulla di personale.
– Niente movente, niente piste, niente testimoni; dopo un po’ ci siamo trovati a morderci la coda, a parlare di nuovo con le stesse persone, ricevendo le stesse risposte. Avevamo altri casi da seguire, non potevamo passare ancora dei mesi a darci martellate in testa per Chris Harper. Alla fine ho mollato. Ho messo l’indagine in stand by, sperando che un giorno succedesse quello che è successo oggi.
Chiesi: – Come mai eri la detective principale?
Conway pesta sull’acceleratore. – Vuoi dire come mai una ragazza si è trovata tra le mani un caso di alto profilo, invece di dedicarsi alle liti domestiche?
– No. Voglio dire che eri una recluta.
– E allora? Secondo te è per quello che non abbiamo risolto il caso?
Altro che indifferente. Lo nascondeva bene per tenere a bada i ragazzi della squadra, ma non era affatto contenta del risultato.
– No, sto solo dicendo…
– Perché se è cosí vaffanculo. Scendi subito e prendi l’autobus per tornare ai Casi Freddi.
Non mi puntò l’indice in faccia solo perché stava guidando. – No! Voglio dire solo questo: un ragazzo ucciso, una scuola da ricchi; si capiva subito che sarebbe stato un caso grosso. Costello aveva piú anzianità di servizio. Come mai non ci ha messo il suo nome sopra?
– Perché io me l’ero guadagnato. Perché lui sapeva che sono una detective con i controcazzi. Hai capito?
La lancetta del tachimetro è oltre il limite. – Ho capito, – dissi.
Scese il silenzio. Conway rallentò, ma non molto. Eravamo in Terenure Road, e con un po’ di spazio a disposizione la MG cominciò a mostrare di cosa era capace. Quando il silenzio fu durato abbastanza, dissi: – Questa macchina è una bellezza.
– L’hai mai guidata?
– Non ancora.
Un cenno del capo, come se l’informazione quadrasse con ciò che lei pensava di me. – In un posto come St Kilda, devi mostrarti al loro livello –. Solleva una mano sopra la testa. – Farti rispettare.
Questo mi disse qualcosa su Antoinette Conway. Io al suo posto avrei scelto una vecchia Polo con troppi chilometri sul groppone e tante ammaccature che la vernice non bastava piú a nascondere. Se interpreti il ruolo dell’ultima ruota del carro, la gente abbassa la guardia.
– Quindi è quel tipo di posto, eh?
Conway fece una smorfia. – Gesú Cristo. Pensavo che mi avrebbero messo in una camera di decontaminazione, per non parlare del mio accento. O che mi mettessero in mano un’uniforme da donna delle pulizie spiegandomi che dovevo entrare dalla porta di servizio. Sai quanto si paga, lí? La tariffa di partenza è ottomila all’anno. Escluso il collegio e le attività extrascolastiche. Tipo canto corale, pianoforte, recitazione. Tu avevi cose del genere, a scuola?
– Noi avevamo un pallone da calcio in cortile.
La risposta le piacque. – Entro in sala, chiamo un nome, e salta su una stronzetta pompinara: «Ehm, io adesso non posso, ho la lezione di clarinetto tra cinque minuti» –. Sollevò di nuovo un angolo della bocca. Si vedeva che con quella ragazza si era tolta uno sfizio. – Il suo colloquio è durato un’ora intera. Che peccato.
– La scuola, – chiedo. – Snob e buona o snob e basta?
– Anche se vincessi al lotto non ci manderei i miei figli. Ma… – Scrolla una spalla. – Classi poco numerose. Le alunne vincono premi di scienza ovunque. Tutte con i denti perfetti, nessuna resta incinta e vengono tutte ammesse all’università. Direi che è buona, se il fatto che tua figlia diventi una snob di merda non ti preoccupa.
– Il padre di Holly è un poliziotto. Di Dublino, quartiere Liberties.
– Lo so. Credevi mi fosse sfuggito?
– Non l’avrebbe mandata lí se pensasse che gliel’avrebbero trasformata in una snob di merda.
La MG scalpitava a un semaforo rosso. Scattò il verde e partí a razzo. – Tu le piacevi?
Repressi una risata. – Era una bambina. Nove anni quando l’ho conosciuta, dieci quando c’è stato il processo. E non l’avevo piú rivista, fino a oggi.
Conway mi scoccò un’occhiata come se il bambino fossi io. – Potresti avere delle sorprese. È bugiarda?
Ci pensai su. – Con me non lo è stata. O almeno, non me ne sono accorto. All’epoca era una brava bambina.
– È una bugiarda, – disse Conway.
– Su cosa ha mentito?
– Non lo so. Neanch’io l’ho beccata. Forse non ha mentito nemmeno con me. Ma le ragazze di quell’età mentono sempre. Tutte.
Pensai: «La prossima volta che hai una domanda trabocchetto, risparmiala per un indiziato». – A me non importa se uno è un bugiardo, – dissi invece. – Basta che non menta con me.
Conway ingranò una marcia piú alta e la MG ne fu felice. – Vediamo un po’, – disse. – Cos’ha detto di Chris Harper la tua amichetta Holly?
– Non molto. Lo conosceva solo di vista o poco piú.
– E pensi che sia la verità?
– Non lo so ancora.
– Quando lo sai fammi un fischio. Sai perché abbiamo dedicato un’attenzione speciale a Holly e alle sue amiche? È un gruppo di quattro, stanno sempre insieme, se le cose non sono cambiate: Holly Mackey, Selena Wynne, Julia Harte e Rebecca O’Mara. Sono cosí –. Incrocia un dito sopra l’altro. – Una loro compagna di classe, Joanne Heffernan, ha detto che la vittima usciva con Selena Wynne.
– Quindi pensi che lui si fosse introdotto a St Kilda di nascosto per vedersi con lei.
– Già. Un dettaglio che non abbiamo divulgato, quindi non fartelo scappare durante i colloqui, è che aveva un preservativo in tasca. Nient’altro. Niente portafogli o cellulare, quelli li abbiamo trovati nella sua stanza: solo un preservativo –. Conway sporse il collo di lato e sorpassò un vecchio camper Volkswagen, togliendosi dalla traiettoria di un tir appena in tempo. Il tir lasciò trapelare la sua irritazione. – Ma vaffanculo, che cazzo vuoi?... E sul corpo c’erano dei fiori, nemmeno questo è stato divulgato. Giacinti, di quelli blu un po’ arricciati con un profumo intenso, hai presente? Quattro giacinti, raccolti in un’aiuola non lontano da lí, quindi può averli lasciati l’assassino, ma… – scrollata di spalle. – Un ragazzo nella scuola della sua ragazza dopo mezzanotte, con un preservativo e dei fiori? Secondo me gli era stata fatta una promessa.
– La scuola era di sicuro la scena primaria, vero? Non è stato lasciato lí dopo morto.
– No, la botta gli ha spaccato la testa e c’era un sacco di sangue. Da com’è uscito la Scientifica ha determinato che Chris dopo essere stato colpito è rimasto immobile. Non è stato spostato da altri, non ha tentato di strisciare via per cercare aiuto, non ha nemmeno provato a toccare la ferita, perché non c’era sangue sulle mani. Una botta in testa… – schioccò le dita, – ed è andato giú.
– Selena Wynne avrà detto di non aver avuto nessun appuntamento con lui quella notte, immagino.
– Già. E le sue tre amiche hanno detto la stessa cosa. Niente appuntamento, Selena non ci usciva nemmeno con lui, lo conosceva appena. Tutte scioccate che io avessi suggerito una cosa del genere.
– E gli amici di Chris Harper cos’hanno detto?
Una risata sbuffante. – Una serie di «Ah, boh, non lo so». Ragazzi di sedici anni. Intervistare gli scimpanzé dello zoo sarebbe stato piú appagante. Ce n’era uno in grado di esprimersi con frasi compiute, Finn Carroll, ma non aveva comunque molto da dire. I maschi non stanno alzati la notte a confidarsi i loro segreti, come le femmine. In pratica è emerso che a Chris piaceva Selena, ma gli piacevano un mucchio di ragazze, e di solito era ricambiato. A quanto ne sapevano loro, Chris e Selena non erano mai andati oltre le chiacchiere occasionali.
– Qualcosa contraddiceva quell’idea? Contatti sui cellulari, post su Facebook…
Conway scosse la testa. – Niente telefonate o messaggi tra i due, zero su Facebook. Tutti i ragazzi hanno degli account social, ma gli interni li usano quasi solo durante le vacanze: sui computer di entrambe le scuole tutti i social network sono bloccati e gli smartphone sono proibiti. Dio non voglia che la piccola Philippa scappi con un pervertito conosciuto su internet durante le ore di scuola. Peggio ancora se a scappare con un pervertito è un piccolo Philip. Immagina le querele.
– Quindi si tratta solo delle prove fornite da Joanne Heffernan.
– Non ha fornito nessuna prova. Praticamente si è limitata a dire: «E poi ho visto che lui la guardava, e lei ha guardato lui, e un’altra volta lui le ha detto qualcosa, perciò è chiaro che scopavano». Le sue amiche hanno confermato la sua versione, ma non mi sorprende. Heffernan è veleno puro. Il suo è il gruppo «in» e lei è l’ape regina. Le altre sono terrorizzate da Joanne. Se dicono o fanno qualcosa senza il suo beneplacito, si trovano fuori e prendono palate di merda da lei e dal resto del gruppo fino alla fine della scuola. Perciò dicono quello che gli è stato detto di dire.
Chiesi: – Holly e il suo gruppo sono «in» o no?
Conway fissò un altro semaforo rosso, tamburellando sul volante al ritmo della freccia. – Loro sono strane, – disse alla fine. – Non comandano e non fanno parte della gang di Heffernan. Ma lei le lascia stare. Ha buttato Selena nella merda non appena ne ha avuto l’occasione e per la gioia si è bagnata le mutandine, ma non le affronta faccia a faccia. Loro non sono in cima al totem, ma abbastanza in alto.
Sulla mia faccia si formò un sorriso.
– Cosa c’è?
– Ne parli come se fossero gang femminili di East Los Angeles, con lamette da barba nascoste tra i capelli.
– Ci vanno vicino, – rispose Conway, uscendo dalla strada principale. – Abbastanza vicino.
Le case divennero piú grandi e piú arretrate rispetto alla via. Le automobili imponenti e nuove fiammanti, come di recente se ne vedevano poche. Cancelli elettrici dappertutto. In un giardino c’era una statua in cemento lisciato che sembrava il manico di una tazza.
– Quindi la tua idea è che sia stata Selena? O qualcuno geloso della storia tra lei e Chris, da un lato o dall’altro della barricata?
Conway rallentò, non abbastanza per un centro abitato, e ci pensò su.
– Non voglio dire che sia stata Selena. Quando la vedrai capirai: non credo sarebbe stata capace di fare il lavoro, non nel modo giusto. Heffernan era gelosa come una scimmia, perché Selena è il doppio piú bella di lei, ma non dico nemmeno che sia stata Heffernan. Sto semplicemente dicendo che c’era qualcosa. Solo qualcosa.
Quello doveva essere il motivo per cui mi aveva lasciato venire. Un riflesso catturato con la coda dell’occhio, che era sparito quando si era voltata a fissarlo. Nemmeno Costello era riuscito a trovarlo, e Conway aveva pensato che forse poteva essere utile un occhio diverso. Il mio.
– Una adolescente avrebbe potuto farlo? – chiesi. – Fisicamente, voglio dire.
– Sí, senza problemi. L’arma (nemmeno questo è stato divulgato) era una zappa presa dal capanno del giardiniere. Un colpo solo gli ha sfondato il cranio e il cervello. Tra il manico lungo e la zappa affilata, la Scientifica ha detto che non ci voleva una grande forza. Una ragazza avrebbe potuto farlo benissimo.
Stavo per chiederle un’altra cosa, ma lei svoltò all’improvviso, senza nemmeno mettere la freccia, e attraversammo un alto cancello nero, con una guardiola in pietra e un arco in ferro battuto con la scritta in oro «St Kilda’s College». Conway rallentò, per lasciarmi dare una buona occhiata.
Il vialetto d’ingresso in ciottoli bianchi girava a semicerchio intorno a un pendio gentile e lunghissimo di erba verde ben tosata. In cima al pendio c’era la scuola.
Doveva essere stata la magione avita di qualcuno, duecento e piú anni prima. Una villa con cocchieri e carrozze, signore dalla vita sottile che passeggiavano sottobraccio sull’erba. Un lungo edificio in pietra grigia, tre piani con almeno una dozzina di alte finestre ciascuno. Un portico sostenuto da colonne con i capitelli a volute, una balaustra sul tetto con colonnine dalle curve delicate come vasi. Era perfetta: tutto, ogni centimetro quadrato, era in perfetto equilibrio, sotto un sole che sembrava sciogliersi lentamente come burro su un toast.
Forse avrei dovuto odiarlo, quel posto. La mia era una scuola pubblica, un prefabbricato quasi in rovina, dove tenevamo addosso il cappotto quando si guastava il riscaldamento, attaccavamo carte geografiche per coprire le macchie di umidità e ci sfidavamo a toccare i topi morti nei bagni. Forse guardando quella scuola avrei dovuto provare una voglia pazza di lasciare una merda sotto il portico.
Ma era bella, e a me è sempre piaciuta la bellezza. Non ho mai capito perché odiare quello che ti piacerebbe avere. Al contrario, lo ami di piú. Cerchi di avvicinarti. Lo stringi tra le mani. Finché non trovi un modo di farlo tuo.
– Guarda qua, – disse Conway, stringendo gli occhi. – Le uniche volte che mi dispiace di essere una poliziotta è quando vedo un posto di merda come questo e non posso cospargerlo di benzina e dargli fuoco.
Mi osservò per vedere la mia reazione. Un altro test.
Avrei potuto superarlo facilmente, con una battuta sui ragazzi ricchi e viziati e la mia vita nelle case popolari. E perché no? Desideravo da tanto la squadra Omicidi. Cercare di avvicinarsi fino a far tuo ciò che desideri.
Ma non desideravo l’approvazione di Conway.
– È un posto bellissimo, – dissi.
Gettò la testa all’indietro, torcendo la bocca in quello che sembrava un sorriso ma doveva essere altro. Delusione?
– Lí dentro ti vorranno un gran bene, – disse. – Dài, andiamo a vedere se trovi qualche culo alto borghese da leccare.
Schiacciò l’acceleratore e partí a razzo sul vialetto, facendo schizzare i ciottoli sotto le ruote.
Il parcheggio era sulla destra, coperto da alti alberi verde scuro; cipressi, mi sembrava, ma non conosco bene gli alberi. Non c’erano Mercedes scintillanti, ma nemmeno catorci. I professori potevano permettersi auto decenti. Conway parcheggiò in uno spazio con la scritta «Riservato».
Era piuttosto probabile che nessuno a St Kilda vedesse la MG, a meno che non stessero guardando da una finestra mentre noi entravamo dal cancello. Conway l’aveva scelta per sé, per come voleva sentirsi andando in quella scuola, non per come voleva essere vista da loro. Corressi ancora una volta l’opinione che mi ero fatto di lei.
Scese dall’auto e si gettò la borsa su una spalla (niente di femminile, una cartella in pelle nera piú virile di quelle di molti suoi colleghi maschi). – Ti porto prima sulla scena, cosí ti fai un’idea. Vieni.
Sotto la fresca cortina ombrosa degli alberi. Un suono sopra di noi, come un sospiro. Conway alzò la testa di scatto, ma era solo il vento tra i rami. Alla nostra sinistra, quando uscimmo di nuovo al sole, vidi il lato posteriore della scuola. A destra c’era un altro lungo pendio erboso, stavolta in discesa, costeggiato da una siepe bassa.
L’edificio principale aveva due ali, che si estendevano sul retro da una parte e dall’altra. Forse costruite dopo, ma nello stesso stile: stessa pietra grigia, stessa mano leggera per gli ornamenti. Una ricerca di linearità, non di svolazzi.
Conway disse: – Le aule, l’atrio, gli uffici e tutta la scuola vera e propria sono nell’edificio principale. Lí, – indicò l’ala piú vicina, – è dove stanno le suore. Ingresso separato, senza una porta comunicante con la scuola. L’ala è chiusa a chiave di notte, ma le suore hanno le chiavi e hanno ciascuna la sua stanza. Una di loro potrebbe essere uscita per spaccare la testa a Chris Harper. Sono circa una dozzina, alcune hanno almeno un secolo e nessuna è sotto i cinquanta, ma come ho detto prima non ci voleva un culturista.
– Qualche movente?
Conway guardò le finestre, stringendo gli occhi contro il riflesso del sole sui vetri. – Le suore hanno il cervello bacato. Magari una di loro ha visto Chris infilare la mano sotto il golf di una ragazza e ha pensato che fosse un emissario di Satana, inviato a corrompere le anime innocenti.
Si avviò sul prato in diagonale, allontanandosi dall’edificio. Non c’erano cartelli con scritto «Vietato calpestare l’erba», ma il divieto era nell’aria. Mi aspettavo di veder spuntare dagli alberi un guardiacaccia con una muta di cani, e di dover tagliare la corda con il culo dei pantaloni strappato a morsi.
– L’altra ala è quella del collegio. La notte è chiusa a doppia mandata come la fica di una suora, e le ragazze non hanno le chiavi. Alle finestre del pianterreno ci sono le sbarre. C’è una porta sul retro, ma di notte c’è un allarme. C’è anche una porta di comunicazione con la scuola, e qui la cosa si fa interessante: lí le finestre non hanno le sbarre, e nemmeno un allarme.
– Ma la porta di comunicazione non è chiusa a chiave?
– Certo. Giorno e notte. Ma se c’è un motivo importante, se per esempio una ragazza ha dimenticato i compiti in stanza, o deve andare a prendere un libro in biblioteca per un progetto scolastico a cui sta lavorando, può chiedere la chiave. La segretaria della scuola, l’infermiera e la matrona… non sto facendo dell’ironia, la chiamano proprio matrona, hanno ciascuna la propria chiave. E a gennaio dell’anno scorso, quattro mesi prima dell’omicidio di Chris Harper, la chiave dell’infermiera è scomparsa.
– Non hanno cambiato la serratura?
Conway alzò gli occhi al cielo. Tutto in lei aveva tratti non completamente autoctoni, non solo il viso, ma anche il modo di muoversi, con la schiena dritta e le spalle dondolanti, e il modo di parlare a raffica. – Logico, vero? Invece no. L’infermiera teneva la chiave su una mensola e sotto c’era il cestino della carta straccia. Ha pensato che la chiave fosse caduta nel cestino e fosse stata buttata via con la spazzatura. Se n’è fatta fare una copia e fine della storia, trallallero, un sistema perfetto. Finché siamo arrivati noi a fare domande. Sul serio, non so chi sia piú ingenuo qui dentro, se le ragazze o il personale. Se la chiave ce l’aveva un’interna, poteva entrare nella scuola di notte, uscire da una finestra e fare quello che le pareva fino all’ora di colazione.
– Non c’è una guardia giurata?
– C’è. Loro lo chiamano sorvegliante notturno, forse perché suona piú di classe. Se ne sta seduto nella guardiola che hai visto vicino al cancello e fa un giro d’ispezione ogni due ore. Evitarlo è facilissimo, lo capirai quando avrai visto l’estensione del parco. Da questa parte.
Un cancello nella siepe, riccioli di ferro battuto, un cigolio lamentoso quando Conway lo aprí. Oltre il cancello un campo da tennis, uno di gioco e altro verde, attentamente sistemato per sembrare un po’ selvaggio. Un guazzabuglio di alberi secolari: betulle, querce, platani. Sentierini ghiaiati tra aiuole fiorite in tonalità gialle e lavanda. Tutto il verde consisteva in germogli primaverili, cosí morbidi che potevi passarci la mano attraverso.
Conway mi schioccò le dita in faccia. – Concentrati.
Chiesi: – Le interne alloggiano in stanze singole o in dormitori?
– Quelle del primo e secondo anno in camerate da sei letti. Quelle del terzo e quarto in stanze da quattro. Al quinto e sesto sono due per stanza. Quindi sí, se vuoi uscire di nascosto di notte hai almeno una compagna di stanza di cui preoccuparti. Ma ecco il punto: dal terzo anno in avanti, puoi scegliere con chi stare. Perciò è molto facile che la tua compagna di stanza sia una tua amica, e quindi non sia disposta a tradirti.
Lungo un lato del campo da tennis c’erano reti ammucchiate e alcune palle in un angolo. Mi sentivo ancora osservato dalle finestre della scuola.
– Quante interne ci sono?
– Una sessantina. Ma abbiamo ridotto le possibilità. L’infermiera ha dato la chiave a una ragazza un martedí e l’ha riavuta indietro. Il venerdí a pranzo voleva darla a un’altra ma era sparita. L’infermeria è chiusa a chiave quando lei non c’è. Giura che almeno a quello è sempre stata attenta, per evitare che qualcuno si sparasse in vena della codeina o altro. Quindi, se qualcuno si è fregato la chiave, quella persona è stata in infermeria tra martedí e venerdí.
Conway spinse via un ramo e imboccò uno dei sentieri che si inoltravano nel parco. Le api succhiavano i fiori di melo. In alto non gazze rumorose, ma solo uccellini felici e cinguettanti.
– Secondo il registro, in infermeria in quei giorni si sono presentate quattro ragazze. Emmeline Locke Blaney, primo anno, interna, era tanto spaventata da noi che per poco non si è pisciata addosso. Non la credo capace di mentirci. Catriona Morgan, quinto anno, non dorme qui ma questo non la scagiona, perché potrebbe aver passato la chiave a un’amica interna, anche se i due gruppi sono piuttosto chiusi. «Le esterne e le interne non si mescolano, sul serio non lo sapete?» – Era passato un anno ma ricordava ancora tutti i nomi a memoria. Chris Harper le era proprio rimasto sul gozzo, altroché. – Alison Muldoon, terzo anno, interna, una delle stronzette amiche di Joanne Heffernan. E Rebecca O’Mara.
– Di nuovo la banda di Holly Mackey.
– Esatto. Vedi perché sono convinta che la tua amichetta non ti abbia detto tutto?
– I motivi per andare in infermeria, erano solidi?
– Emmeline era l’unica con un motivo verificabile: una storta alla caviglia giocando a hockey, a polo o a quello che diavolo era. Aveva bisogno di una fasciatura. Le altre tre avevano emicranie, dolori mestruali, vertigini e stronzate del genere. Forse era vero, forse volevano solo uscire da una lezione noiosa, oppure… – Conway inarca un sopracciglio. – L’infermiera gli ha dato un paio di analgesici e le ha lasciate riposare un po’ sul lettino, proprio accanto alla mensola con la chiave.
– E tutte hanno detto di non averla toccata.
– L’hanno giurato su Dio. Come ho detto, ho creduto a Emmeline, ma le altre… – Di nuovo il sopracciglio. Il sole tra le foglie le macchiava le guance come colori di guerra. – La preside ha giurato a sua volta che nessuna delle sue ragazze farebbe mai e bla, bla, bla, lei è certa che la chiave fosse caduta nel cestino della spazzatura. Ma almeno ha cambiato la serratura della porta di comunicazione. Meglio tardi che mai –. A un tratto indicò: – Lo vedi, quello?
Una costruzione lunga e bassa, alla nostra destra tra gli alberi, con un po’ di spazio aperto davanti. Graziosa, vecchia, ma i muri in mattoni erano pulitissimi.
– Era la scuderia. Per i cavalli dei lord che abitavano qui. Ora è il capanno dei giardinieri, ce ne vogliono tre per tenere in ordine tutto questo terreno. La zappa era lí dentro.
Nel cortile davanti al capanno non c’era nessun movimento. Era da un po’ che mi chiedevo dove fossero tutti. In quella scuola doveva esserci qualche centinaio di persone, eppure non si vedeva né sentiva nulla. Solo un leggero tintinnio di metallo su metallo in lontananza. Nient’altro.
– Il capanno è chiuso a chiave? – chiesi.
– No. Dentro c’è un armadio con il diserbante, il veleno per le vespe e altro, e quello è chiuso con un lucchetto. Ma il capanno in sé? Nooo. Entra e serviti da solo. A nessuno qui è mai passato per la mente che quasi ogni cosa lí dentro è un’arma. Badili, zappe, cesoie, forbicioni da siepe. C’è abbastanza roba per ammazzare mezza scuola; o in alternativa per farsi dare un bel po’ di soldi da un ricettatore –. Allontanò la testa con uno scatto da uno sciame di moscerini e riprese a muoversi sul sentiero. – L’ho detto alla preside, e sai cos’ha risposto? «Detective, questa scuola non attrae il tipo di ragazze che possono avere pensieri del genere». L’ha detto con una faccia come se avessi cacato sulla sua moquette. Idiota del cazzo. In giardino c’era un ragazzo con la testa spaccata da una zappa e lei mi parlava di un mondo di frappuccini e lezioni di violoncello, dove nessuno mai ha un pensiero cattivo. Capisci cosa intendo per ingenuo?
– Non è ingenuità, lo fanno apposta. E in un posto come questo la gerarchia viene presa sul serio. Se la preside dice che tutto è perfetto e a nessuno è permesso di dire il contrario… non è un bene.
Conway voltò la testa a guardarmi, curiosa, come vedendo qualcosa che non si aspettava. Mi piaceva camminare fianco a fianco con una donna i cui occhi erano al livello dei miei, il cui passo era lungo quanto il mio. Era facile. Per un attimo desiderai che potessimo piacerci.
– Stai dicendo che non è un bene per l’indagine, – volle sapere, – o in generale?
– Tutti e due. È pericoloso.
Pensavo che mi avrebbe sfottuto per il tono drammatico, invece annuí. – Sí, sono d’accordo.
Oltre una curva del sentiero, fuori dagli alberi e dentro una chiazza di sole. – I fiori venivano da lí, – disse Conway.
Azzurro, un azzurro che ti cambiava gli occhi come se non avessi mai visto prima nulla di quel colore. Migliaia di giacinti, giú da un morbido pendio sotto altri alberi, come caduti da un cesto enorme senza fondo. Il profumo era quasi allucinogeno.
– Ho messo due agenti a controllare ogni stelo, in cerca di quelli spezzati. Due ore intere, gli ci sono volute, e devono avermi odiato. Ma non me ne frega un cazzo, perché gli steli li hanno trovati. Quattro, proprio lí, verso il bordo. La Scientifica ha confermato che corrispondono a quelli trovati sul corpo di Chris. Non è una certezza al cento per cento, ma ci va abbastanza vicino.
Quella distesa di fiori mi fece entrare nell’evento. Lí, in quel posto dove sembrava che non potesse mai accadere nulla di male, Chris Harper era venuto a cercare qualcosa, l’ultima volta che i giacinti erano fioriti. Doveva aver sentito il profumo, la cosa piú chiara nel buio intorno a lui. E forse l’ultima che aveva avvertito, quando tutto il resto si era dissolto nel nulla.
– Dov’era il corpo? – chiesi.
Conway indicò: – Là.
A una decina di metri dal sentiero, su per il pendio, tra l’erba verde e bassa, oltre alcuni cespugli potati a forma di palla, c’era una macchia di quegli stessi alberi, che forse erano cipressi: fitti, scuri, disposti a cerchio intorno a una piccola radura. L’erba nel mezzo era stata lasciata crescere, era lunga e selvatica, con steli di soffioni che si ergevano qua e là.
Conway girò intorno ai fiori e cominciò a salire. Sentii lo sforzo nelle cosce. Poi l’aria nella radura. Fresca. Comunicava un senso di profondità.
– Quanto era buio? – chiesi.
– Non molto. Cooper… Lo conosci, vero? Il patologo. Ha detto che la morte risaliva circa all’una del mattino. Il cielo era sereno, la luna al culmine. La visibilità era la migliore possibile, in piena notte.
Qualcosa si mosse nella mia testa. Chris si rialza con le mani piene di azzurro. Nota una forma che si muove rapida alla luce della luna. È la sua ragazza, o… Ma c’è anche qualcuno immobile nell’ombra, che lo osserva aggirarsi tra i cipressi della radura, e quel qualcuno aspetta solo che smetta di aggirarsi, che smetta di osservare.
Nel frattempo, Conway osservava me. Mi ricordava Holly, anche se il paragone non sarebbe piaciuto a nessuna delle due. Ma gli occhi socchiusi, come se fosse un test o un gioco di società tipo Scale e serpenti: la mossa giusta, e puoi avanzare un altro po’. Un errore, e torni al punto di partenza.
– Con quale angolazione lo ha colpito la zappa? – chiesi.
Era la domanda giusta. Conway mi prese per un braccio e mi fece spostare di un paio di metri verso il centro della radura. Non era una stretta da «ora ti arresto» e nemmeno da «mi piaci», era solo che aveva le mani forti. Mani capaci di aggiustare un’automobile o di prendere a pugni qualcuno. Mi fece girare in modo da guardare i fiori e il sentiero, con la schiena verso gli alberi.
– Lui era qui.
Un ronzio, forse un calabrone, o una falciatrice lontana: non riuscii a capirlo, perché l’acustica era tutta un rimbalzare di echi. Gli stami ondeggiavano intorno ai miei polpacci.
– Il suo assassino gli è arrivato alle spalle, o ha approfittato di un momento in cui era voltato. Ha vibrato il colpo piú o meno da qui.
Alle mie spalle. Girai la testa, e lei sollevò una zappa immaginaria sopra la spalla sinistra, a due mani. Poi vibrò il colpo con la forza di tutto il corpo. Riuscii quasi a udire il sibilo e il tonfo, come un brivido nell’aria tra i cinguettii primaverili. Anche se non c’era nessuna zappa, sobbalzai.
Conway sollevò l’angolo della bocca e mostrò le mani vuote.
– Ed è andato giú subito, – dissi.
– Lo ha preso qui –. Posò il taglio della mano dietro la mia testa, in alto e un po’ a sinistra, con un’angolazione da sinistra a destra. – Chris era circa cinque centimetri piú basso di te, uno e settantacinque. L’assassino era alto piú di un metro e mezzo e meno di uno e ottanta. Probabilmente destrorso. È stato il meglio che Cooper è riuscito a dire, dall’angolazione della ferita.
Si allontanò da me in un fruscio di steli.
– L’erba, – dissi. – Era come adesso?
Altra domanda giusta, bravo. – No. l’hanno lasciata crescere solo dopo, non so se come una specie di memoriale o perché questo posto spaventava i giardinieri. È un punto nascosto, quindi non rovina l’immagine della scuola. Ma all’epoca l’erba era come dappertutto: bassa. Con un paio di scarpe morbide potevi attraversarla senza essere udito.
E senza lasciare impronte, o almeno non delle impronte utili per la Scientifica. I sentieri erano acciottolati, quindi niente impronte nemmeno lí.
– Dove avete trovato la zappa?
– Nel capanno, al suo posto. L’abbiamo notata perché corrispondeva alla descrizione dell’arma del delitto fatta da Cooper. La Scientifica ci ha messo cinque secondi per confermarlo. La donna, la ragazza, l’uomo o quello che è aveva tentato di pulire la lama piantandola un paio di volte nel terreno, – indicò sotto un cipresso, – e sfregandola sull’erba. Bella mossa, piú intelligente che pulirla con uno straccio e poi doversi disfare anche dello straccio. Ma era rimasto ancora parecchio sangue.
– Impronte digitali?
Conway scosse la testa. – Solo quelle dei giardinieri. E nemmeno tracce di tessuto epiteliale, quindi niente Dna. Lei doveva avere i guanti.
Lei, – ripetei.
– È una questione di probabilità, – disse Conway. – Qui abbiamo un sacco di lei e pochi lui. L’anno scorso girava la teoria del pervertito che si era introdotto nel parco per farsi una sega spiando le ragazze dalle finestre, per giocare con le loro racchette da tennis, o che ne so. Chris era venuto per vedersi con qualcuno e l’aveva sorpreso sul fatto. Naturalmente non quadra con le tracce che abbiamo trovato: che ci faceva il pervertito con l’uccello in una mano e la zappa nell’altra? Ma era una teoria che piaceva a molti, per non dover pensare che fosse stata una ragazzina ricca. In un «posto bellissimo» come questo.
Di nuovo quello sguardo a occhi socchiusi. Un altro test. Un raggio di sole le diede uno sguardo ambrato, da lupo.
– Non è stato uno di fuori, – dissi. – È chiaro, dopo il biglietto di oggi. Altrimenti, perché tanta segretezza? La ragazza avrebbe potuto semplicemente chiamarti e dire ciò che sapeva. Se non si è inventata tutto, sa qualcosa su qualcuno all’interno della scuola. E ha paura.
Conway disse: – E la prima volta ce la siamo lasciata sfuggire.
Una sfumatura severa nella voce. Non era dura solo con gli altri, Conway.
– Forse non è cosí, – dissi. – Sono ragazzine. Se una di loro ha visto o sentito qualcosa, all’epoca può non averne compreso il significato. Soprattutto se aveva a che fare con il sesso o l’amore. Questa generazione conosce tutti i fatti, guardano i siti porno e conoscono piú posizioni di me e te insieme. Ma quando si tratta della cosa reale, sono pesci fuor d’acqua. Una ragazza può aver visto qualcosa di strano, ma senza sapere esattamente perché fosse importante. Ora è un anno piú grande e sa piú cose. Un giorno per qualche motivo ripensa al passato e all’improvviso tutti i pezzi vanno a posto.
Conway ci pensò su. – Può darsi, – disse alla fine. Ma la sfumatura severa non era scomparsa: non si assolveva facilmente. – Ma anche se lei non sapeva di avere delle informazioni utili, il nostro lavoro è saperlo al suo posto. Lei era lí, – un rapido scatto della testa verso la scuola. – Noi ci siamo seduti con lei, le abbiamo fatto delle domande e l’abbiamo lasciata andare. E non mi piace proprio per niente.
Fine della conversazione. Visto che non diceva altro, feci per avviarmi verso il sentiero, ma lei non si mosse. Piedi piantati a terra, mani in tasca, mento sollevato, fissava gli alberi come fossero il nemico.
Disse, senza guardarmi: – Ho avuto io l’indagine perché pensavamo fosse un caso facile. Il primo giorno, quando i ragazzi dell’obitorio non avevano ancora portato via il cadavere, abbiamo trovato mezzo chilo di ecstasy nella scuderia, in fondo all’armadio dei veleni. Uno dei giardinieri aveva precedenti per spaccio. E a St Colm, al ballo di Natale della scuola, avevano beccato un paio di ragazzi con l’ecstasy. Ma non eravamo riusciti a fargli confessare chi era lo spacciatore. Chris non era tra quelli che avevano la droga, però… Insomma, il caso sembrava chiaro: pensavamo di averne risolti due al prezzo di uno, nello stesso giorno. Chris era venuto a comprare la roba dal giardiniere spacciatore, c’era stata una lite per i soldi, e sbang.
Di nuovo quel lungo sospiro sopra le nostre teste. Stavolta mi sembrò di vederlo muoversi tra i rami. Come se gli alberi ci ascoltassero, come se fossero tristi per noi, ma stanchi a furia di udire le stesse cose, nel corso degli anni.
– Costello… era solido. In squadra lo sfottevano, dicevano che era deprimente, ma era una brava persona. Mi disse: «Su questo mettici il tuo nome. Comincia a farti strada». Doveva aver già deciso di andare in pensione quest’anno, e non aveva piú bisogno di risolvere un grosso caso, mentre io sí.
Parlava a basso volume, come se fossimo in una stanzetta, e la sua voce si disperdeva nel sole. Avvertii le dimensioni del verde immobile tutto intorno a noi. La sua vastità. Gli alberi piú alti della scuola. Piú vecchi.
– Poi è venuto fuori che il giardiniere aveva un alibi. Aveva invitato degli amici a casa per un poker e qualche birra; due di loro avevano dormito sul divano. L’abbiamo arrestato per possesso di stupefacenti a scopo di spaccio, ma l’omicidio… – Conway scosse la testa. – Avrei dovuto saperlo, – concluse, senza altre spiegazioni. – Avrei dovuto sapere che non sarebbe stato cosí semplice.
Un’ape andò a schiantarsi sul petto bianco della sua camicetta e restò lí attaccata, confusa. Conway chinò la testa di scatto, mentre il resto del corpo restava immobile. L’ape si spostò oltre il bottone piú alto, cercando la pelle. Conway respirava piano. Tolse di tasca una mano e la sollevò lentamente.
L’ape si riprese e decollò nel sole. Conway spazzò via qualcosa dalla camicetta nel punto in cui l’ape era atterrata. Poi si girò e si avviò giú dal pendio, oltre i giacinti, verso il sentiero.