9.
Rebecca O’Mara sulla soglia dell’aula di Disegno, un piede a terra e l’altro intorno alla caviglia. Lunghi capelli castani legati in una coda, morbidi, non stirati. Un paio di centimetri piú alta di Holly. Magra, non a livelli allarmanti, ma una pizza le avrebbe fatto bene. Non bella, perché il suo viso stava ancora cercando dei lineamenti definiti, ma lo sarebbe diventata. Grandi occhi castani fissi su Conway, diffidenti. Nessuno sguardo al Posto Segreto.
Se le mancavano sicurezza di sé e autostima, potevo fornirgliele io. Sarei stato il fratello maggiore che ha bisogno d’aiuto in un’avventura importante, e la sorellina può essere quella che dà il contributo decisivo.
– Rebecca, giusto? – Con un sorriso naturale, non esagerato. – Grazie di essere venuta. Accomodati.
Non si mosse. Houlihan per entrare e zampettare verso il suo angolo dovette incunearsi dietro di lei. – Si tratta di Chris Harper, vero?
Niente rossore e balbettamenti, ma la voce era appena piú alta di un bisbiglio.
– Sono Stephen Moran, – dissi. – Holly forse ti ha parlato di me, del fatto che mi ha dato una mano in un’indagine qualche anno fa?
Rebecca mi guardò con attenzione per la prima volta. Annuí.
Indicai la sedia. Lei si staccò dalla porta e si avvicinò, con un passo dinoccolato da adolescente, come se fosse solo il peso delle scarpe a mantenere i piedi attaccati al suolo. Si sedette, piú che accavallare le gambe le annodò e nascose le mani nelle pieghe della gonna.
Provai una sensazione spiacevole nel petto: delusione. Non solo il fatto di conoscere Holly, ma Conway con il suo «C’era qualcosa. Solo qualcosa» e le stronzate che avevo sentito su streghe e stranezze varie, mi avevano portato ad aspettarmi qualcosa di piú. Invece Rebecca non era che un’altra Alison, un grumo di paure dentro una gonna troppo grande.
Rilassai la spina dorsale, assumendo una posa da adolescente, gambe e ginocchia dappertutto, e offrii a Rebecca un secondo sorriso. Triste, stavolta. – Anche ora ho bisogno di una mano. Sono bravo nel mio lavoro, giuro, ma ogni tanto o trovo qualcuno che mi aiuta, o non arrivo da nessuna parte. Ho la sensazione che tu potresti essere quel qualcuno. Vuoi provarci?
– Si tratta di Chris? – chiese di nuovo lei.
Non tanto timida da non saper puntare i piedi. Feci una smorfia. – Devo confessarti che sto ancora cercando di capire di cosa si tratta. Perché lo chiedi? È successo qualcosa che c’entra con Chris?
Scosse la testa. – È solo… – Col fagotto di mani e gonna indicò Conway. La quale si stava pulendo le unghie con il cappuccio della biro e non alzò gli occhi. – Perché c’è lei, voglio dire. Ho pensato…
– Adesso cerchiamo insieme di capire di cosa si tratta. Va bene?
Sparai il mio sorriso caldo, con le zampe di gallina intorno agli occhi. Ottenni in cambio uno sguardo inespressivo. – Dunque, cominciamo da ieri sera. Dov’eri durante il primo periodo di studio?
Un attimo di riflessione, poi: – Nella sala comune del quarto anno. È lí che dobbiamo stare.
– E dopo?
– Abbiamo una pausa. Io e le mie amiche siamo uscite a sederci sull’erba per un po’.
La voce era sempre poco piú di un sussurro, ma aveva preso forza dicendo «Io e le mie amiche».
– Quali amiche? Holly e Julia e Selena?
– Sí. E anche altre. Faceva caldo, siamo uscite in tante.
– Poi è arrivato il secondo periodo di studio. Eri qui nell’aula di Disegno?
– Sí. Con Holly e Julia e Selena.
– Come funziona il permesso per venire a studiare qui? Cioè, chi l’ha chiesto a chi, e quando? Scusa, sai, sono un po’… – Alzata di spalle, abbassando la testa con un sorriso imbarazzato. – Non ne so ancora molto di queste cose.
Altro sguardo inespressivo. Sono fantastico, io, con le adolescenti. Le faccio rilassare, le convinco a parlare. La performance da fratello maggiore stava riuscendo benissimo.
Conway si fissava un’unghia in controluce. Non le sfuggiva nulla.
– Chiediamo alla signorina Arnold, – rispose Rebecca. – La matrona. Julia è andata a chiedere il permesso l’altro ieri, all’ora del tè. Volevamo il primo periodo, ma l’aula era già occupata, cosí la Arnold ci ha dato il secondo. Non vogliono che ci siano troppe persone insieme nella scuola, dopo le lezioni.
– Quindi ieri sera dopo la pausa avete avuto la chiave della porta di comunicazione dalle altre ragazze che avevano appena liberato l’aula?
– No. È proibito. Chi firma per prendere la chiave deve firmare di nuovo quando la restituisce, all’ora prevista. Le altre ragazze l’hanno data alla matrona e noi poi l’abbiamo ricevuta da lei.
– Chi l’ha presa?
Notai un lampo di paura attraversarle il viso. Rebecca era sul punto di mentire. Non ce n’era motivo, era una cosa che non poteva crearle alcun problema, a quanto ne sapevo. Ma Conway aveva ragione, almeno su quella ragazza: era bugiarda. Almeno quando aveva paura, o quando qualcosa la separava dalle sue amiche e la lasciava tutta sola sotto la luce dei riflettori.
Ma paura o no, non era stupida. Ci mise mezzo secondo a capire che mentire non aveva senso. – Io, – rispose.
Annuii come se non mi fossi accorto di nulla. – Poi siete salite qui nell’aula di Disegno. Tutte e quattro insieme, giusto?
– Sí.
– E cosa avete fatto?
– Abbiamo lavorato a quel progetto –. Districò una mano dalla gonna, indicando un tavolo vicino alle finestre: una forma tozza sotto un telo macchiato di pittura. – Selena si è dedicata alla calligrafia, Holly ha macinato del gesso che ci serve per fare la neve, Julia e io abbiamo realizzato oggetti in filo di rame. Stiamo facendo la scuola com’era un secolo fa, un progetto che unisce arte e storia. È complicato.
– Eccome. Per questo avete pensato di chiedere del tempo extra, – dissi, in tono di approvazione. – Di chi è stata l’idea?
L’approvazione non serviva, con Rebecca. – Tutte noi abbiamo bisogno di tempo extra per i nostri progetti. Siamo state qui anche la settimana scorsa.
Forse era stato allora che nella testa di una di loro si era accesa una lampadina. – Capisco. Ma l’idea di venire qui ieri sera chi di voi l’ha avuta?
– Non me lo ricordo. Era necessario, lo sapevamo tutte.
– E tutte siete rimaste qui fino alle nove? Oppure una di voi è uscita dall’aula?
Rebecca tolse le mani dalla gonna e le infilò sotto le cosce. Io sparavo le domande una dopo l’altra e lei era tesa e sempre piú diffidente, ma la diffidenza era generale, non sapeva dove puntarla. A meno che fosse un genio dell’inganno o che io fossi un idiota, non sapeva del biglietto.
– Solo per un minuto, tipo.
– Chi è andato dove?
Sottili sopracciglia castane aggrottate. Occhi castani che si spostavano tra me e Conway.
Conway seguiva dei graffiti sul tavolo con la punta della penna. Io attesi.
– Perché? – sbottò Rebecca. – Perché volete saperlo?
Restai in silenzio. Lei pure. Ginocchia e gomiti sottili ora sembravano armi appuntite. Non era cosí fragile, dopotutto.
La mia collega si era sbagliata su di lei, oppure in un anno Rebecca era molto cambiata. Non cercava qualcosa che aumentasse la sua fiducia in sé, o qualcuno che la facesse sentire speciale. Non era Alison e non era Orla. Ero partito con il piede sbagliato.
Conway aveva alzato la testa e mi osservava.
Abbandonai la postura spaparanzata, drizzai la schiena e mi chinai in avanti, mani strette fra le ginocchia. Uno scambio di idee tra due adulti.
– Rebecca, – dissi. Voce diversa, diretta e seria. – Ci sono cose che non posso dirti. Ciò nonostante, sono qui a chiederti di dirmi tutto quello che sai. Non è giusto, me ne rendo conto. Ma se Holly ti ha parlato di me, spero ti abbia detto che io non tratto gli altri come idioti o bambini piccoli. Se potrò rispondere alle tue domande, lo farò. A te chiedo lo stesso rispetto. Siamo d’accordo?
Quando azzecchi la nota giusta lo capisci subito, la senti risuonare. Il mento di Rebecca perse la posa testarda, un po’ di diffidenza si sciolse. – Sí, – disse, dopo un attimo. – Siamo d’accordo.
Conway smise di giocare con la penna e restò immobile, pronta a scrivere.
– Ottimo, – dissi. – Allora, chi è uscito dall’aula?
– Julia è andata a prendere una vecchia foto che avevamo dimenticato nella nostra stanza. Io sono andata in bagno; e anche Selena, credo. Holly è andata a prendere altro gesso, perché avevamo finito il bianco. Credo l’abbia preso nel laboratorio di Scienze.
– Ricordi quando, e in che ordine?
– Siamo rimaste tutto il tempo dentro la scuola. Non siamo nemmeno scese da questo piano, a parte Julia, e lei ci ha messo tipo un minuto.
– Guarda, – dissi in tono gentile, – che nessuno vi sta accusando di niente. Sto solo cercando di capire se avete visto o sentito qualcosa.
– Non abbiamo visto né sentito niente. Nessuna di noi. C’era la radio accesa e abbiamo lavorato al nostro progetto e basta. Poi siamo tornate nel dormitorio. E siamo uscite di qui tutte insieme, se lo vuole sapere.
Un tono di sfida, alla fine, di nuovo con il mento alzato.
– E avete restituito la chiave alla signorina Arnold.
– Esatto. Alle nove. Può controllare –. L’avremmo fatto senz’altro, ma non lo dissi.
Tirai fuori la foto. Attrasse gli occhi di Rebecca come una calamita. La tenni rivolta verso di me, la sventolai contro la punta di un dito. Lei tentò di allungare il collo senza muoversi.
– Venendo qui ieri sera, – dissi, – siete passate dal Posto Segreto. Ci siete passate di nuovo andando e tornando dal bagno e infine quando siete uscite a fine studio. Giusto?
Gli occhi si staccarono dalla foto e fissarono i miei. Spalancati, attenti, pieni di supposizioni. – Sí.
– Vi siete fermate a guardare, una di quelle volte?
– No.
Feci un’espressione scettica.
– Andavamo di fretta. Prima perché volevamo metterci subito al lavoro sul progetto, poi perché dovevamo restituire la chiave in tempo. Non abbiamo proprio pensato al Posto Segreto. Perché? – Una mano uscí da sotto la gamba e si allungò verso la foto. Dita lunghe e sottili, Rebecca sarebbe diventata una donna alta. – Quella è…
– I segreti sulla bacheca. Ce n’è anche qualcuno tuo?
– No.
– Come mai? Non hai segreti? O preferisci tenerli per te?
– Io ho delle amiche. I miei segreti li dico a loro. Non ho bisogno di dirli a tutta la scuola, nemmeno in modo anonimo.
Aveva alzato la testa e la voce le si era fatta all’improvviso piú forte, orgogliosa, arrivando fino agli angoli della stanza.
– Credi che anche le tue amiche raccontino a te tutti i loro segreti?
Un attimo di pausa, un quarto di secondo in cui le sue labbra si aprirono ma non ne venne fuori nulla. Poi disse: – So tutto di loro.
Un suono quasi gioioso nella voce. Una curva sulla bocca che era quasi un sorriso.
Sentii che mi cambiava il respiro. Lí c’era un segnale, il qualcosa che cercavo. Caldo, scintillante di strani riflessi.
«Queste non sono come le altre», aveva detto Conway. Non come il gruppo di Joanne. Merda, se aveva ragione.
– E ciascuna di voi, – dissi, – mantiene i segreti delle altre. Non vi tradireste mai a vicenda.
– No. Nessuna di noi lo farebbe. Mai.
– Quindi, – dissi, – questa non è tua? – Le misi in mano la foto.
Le uscí una specie di gemito. Restò a bocca aperta.
– Qualcuno ha attaccato questo biglietto nel Posto Segreto, ieri sera. Sei stata tu?
Rebecca era stata risucchiata dalla foto. Ci mise un paio di secondi prima di registrare la domanda e rispondere. – No.
Non mentiva. Non le restava abbastanza attenzione per farlo. Un’altra eliminata dalla lista.
– Sai chi è stato?
Si staccò a fatica dalla foto, e disse: – Nessuna di noi. Io e le mie amiche, voglio dire.
– Come fai a saperlo?
– Perché nessuna di noi sa chi ha ucciso Chris.
Mi rimise in mano la foto e fine della storia. Schiena dritta e testa alta, mi fissò senza battere ciglio.
– Se dovessi tirare a indovinare, – dissi. – E dovessi farlo per forza. Cosa diresti?
– Tirare a indovinare cosa, chi ha messo il biglietto o… Chris?
– Tutti e due.
Mi fece quell’alzata di spalle da adolescente capace di mandare al manicomio un genitore.
– Da come parli delle tue amiche, – dissi, – significano molto per te.
– Sí. È cosí.
– La gente saprà che voi quattro potreste avere qualcosa a che vedere con questo biglietto. È un fatto, non c’è modo di girarci intorno. Se io avessi degli amici di cui m’importa molto, farei il possibile per evitare che un assassino, in giro chissà dove, si convincesse che uno di loro abbia informazioni su di lui. Anche se questo significasse dover rispondere a delle domande che non mi piacciono.
Rebecca ci pensò su. Con attenzione.
Indicò la foto con il mento. – Secondo me qualcuno se l’è inventato, quello che c’è scritto lí.
– Dici che non è stata nessuna di voi. Il che significa che deve essere stata Joanne Heffernan o una del suo gruppo. Erano le uniche altre persone che si trovavano dentro la scuola nel periodo giusto.
– Lo dice lei che sono state loro, non io. Io non so proprio chi può essere stato.
– Lo farebbero? Inventarsi tutto, voglio dire.
– Forse.
– Perché?
Scrollata di spalle. – Forse si annoiavano, loro. Volevano che succedesse qualcosa. E adesso siete arrivati voi.
Il disprezzo con cui aveva detto loro. Non aveva una grande opinione del gruppo di Joanne. Da fuori, sembrava tutta timida e umile. Dentro era molto diversa.
– E Chris? – chiesi. – Chi l’ha ucciso, secondo te?
Senza nemmeno pensarci, rispose: – Qualcuno di St Colm. Secondo me sono entrati di nascosto, in gruppo, forse per uno scherzo, tipo rubare qualcosa o fare un disegno; un paio di anni fa una notte sono venuti con le bombolette spray e hanno fatto un disegno su tutto il nostro campo da gioco –. Le guance si tinsero di rosso. Non ci avrebbe detto di che disegno si trattava. – Per me sono entrati con un’idea simile, ma poi hanno litigato e…
Allargò le mani, liberando l’immagine nell’aria.
– Chris era il tipo da fare una cosa del genere? Uscire di notte dalla sua scuola e introdursi qui per una burla di qualche tipo?
Nella mente di Rebecca si aprí un’altra immagine, che la portò lontano da noi. Dopo averla osservata, rispose: – Sí, era il tipo.
Nella sua voce si avvertiva come una lunga ombra. Rebecca provava qualcosa per Chris Harper. Non sapevo se fosse qualcosa di bello o di brutto, ma era forte.
– Se dovessi scegliere una sola cosa da dirmi su di lui, quale sarebbe?
Inaspettatamente, rispose: – Era gentile.
– Gentile? In che senso?
– Una volta, eravamo fuori dal centro commerciale e il mio cellulare faceva cose strane. Sembrava che avessi perso tutte le foto. Due ragazzi non facevano altro che dire un totale di cretinate, tipo: «Oooh, e cosa c’era su quel telefono, ci tenevi foto di…» – Di nuovo il rossore sulle guance. – Cretinate, appunto. Ma Chris disse: «Aspetta, fammi dare un’occhiata». Mi prese il telefono e provò a sistemarlo. Gli altri due idioti si ammazzavano dalle risate, ma a lui non importava niente. Mi rimise a posto il telefono e me lo restituí.
Un leggero sospiro. L’immagine nella sua mente tornò nel cassetto da cui era uscita. E Rebecca tornò a guardare noi.
– Quando penso a Chris, penso a quel giorno.
Per una ragazza come lei, quel giorno doveva aver significato molto. Forse aveva messo radici nella sua testa ed era cresciuto.
Conway si mosse e chiese: – Tu ce l’hai un ragazzo?
– No.
Istantaneo, quasi sprezzante, come fosse una domanda stupida: «Ce l’hai un’astronave?»
– Come mai?
– È obbligatorio avere un ragazzo?
– Molte ce l’hanno.
– Io no.
In tono piatto. Della nostra opinione non poteva fregargliene di meno. Niente affatto simile a Orla o Alison. L’esatto contrario.
– Va bene, forse ne riparleremo, – disse Conway.
Rebecca uscí ficcandosi in tasca il mio biglietto da visita, con l’aria di averlo già dimenticato.
Conway disse: – Non è lei.
– Già.
Non disse altro, quindi toccò a me dirlo: – Ci ho messo un pezzo a ingranare, stavolta.
– Sí. Ma non è colpa tua. Ti avevo indirizzato male.
Prese un’espressione assente. Occhi socchiusi, pensava a qualcosa.
– Comunque, – dissi, – alla fine ho trovato la strada, e non ci sono stati danni.
– Forse no, – disse Conway. – È questo cazzo di posto. Appena ti giri ti fa lo sgambetto. E qualunque cosa fai, poi scopri che era quella sbagliata.
Julia Harte. Conway non mi disse nulla di lei, visto com’era andata con Rebecca, ma appena la vidi entrare capii che era lei il capo del gruppo. Bassa, capelli corti e ricci che la coda di cavallo faticava a tenere a posto. Un po’ piú in carne delle altre, con piú curve e una camminata che le metteva in risalto. Non bella, con un viso tondeggiante e una gobba sul naso, ma aveva un bel mento, piccolo con una linea testarda, e begli occhi nocciola dalle ciglia lunghe, diretti e molto intelligenti. Niente occhiata al Posto Segreto, ma con lei non significava nulla. Non era il tipo da tradirsi cosí.
– Detective Conway, – disse. Bella voce, piú profonda delle altre, piú controllata. La faceva sembrare piú grande. – Le mancavamo cosí tanto?
Spavalda. Per noi andava benissimo. Le persone spavalde parlano quando dovrebbero tacere e dicono qualsiasi cosa, purché sia una buona battuta.
Conway le indicò la sedia e Julia si sedette. Accavallò le gambe e mi squadrò dal basso in alto.
– Sono Stephen Moran, – dissi. – Tu sei Julia Harte, giusto?
– Al suo servizio. Cosa posso fare per lei?
Gli spavaldi vogliono una possibilità di mettersi in luce. – Dimmelo tu. C’è qualcosa che dovrei sapere, secondo te?
– Riguardo a cosa?
– Scegli tu –. Le sorrisi, come se fossimo vecchi compagni di schermaglie che non si vedevano da tanto tempo.
Julia ricambiò il sorriso. – Non mangiare la neve gialla. Mai fare il salto della rana su un unicorno.
Erano passati solo dieci secondi ed era già una conversazione, non un colloquio con una testimone. Ero tornato me stesso. Sentii Conway rilassarsi sul tavolo alle mie spalle, e avvertii un brivido di sollievo.
– Prendo nota, – dissi. – Nel frattempo, perché non mi racconti cos’hai fatto ieri sera? Cominciamo dal primo periodo di studio.
Julia sospirò. – Speravo proprio che parlassimo di qualcosa di interessante. C’è un motivo per concentrarsi sulla cosa, tipo, piú noiosa del mondo?
– Avrai le tue informazioni quando io avrò avuto le mie. Forse. Fino ad allora, nisba.
Smorfia di apprezzamento. – Affare fatto. Arriva la storia noiosa.
La stessa versione di Rebecca. Il progetto artistico, la chiave, la foto dimenticata e le pause per andare in bagno, e no, aveva troppo da fare per guardare la bacheca.
Nessuna discrepanza. O era tutto vero, o erano molto in gamba.
Presi la foto, me la sventolai contro il dito. – Hai mai attaccato qualche biglietto nel Posto Segreto?
Una risata sbuffante. – Cristo, no. Non è il mio genere di passatempo.
– No?
Fissando la foto: – Realmente, sinceramente, profondamente no.
– Quindi questa non l’hai messa tu.
– Be’, visto che non ho mai attaccato nulla, direi che la risposta è no.
Le tesi la foto. Julia la prese. Viso inespressivo, pronta a non tradire nulla.
La voltò verso di sé e restò immobile. Tutta la stanza restò immobile.
Poi scrollò le spalle. Mi restituí la foto, quasi gettandomela in mano.
– Ha già conosciuto Joanne Heffernan, no? Se scoprirà una cosa qualsiasi che non farebbe per attirare l’attenzione, mi piacerebbe sapere qual è. Forse c’entrano YouTube e un pastore tedesco –. Urletto di Houlihan. Julia la guardò e distolse lo sguardo, annoiata all’istante.
– Julia, – dissi. – Lasciamo stare le battute per un secondo. Se sei stata tu, noi dobbiamo saperlo.
– Riconosco una cosa seria quando la vedo. E posso affermare che non sono stata io, al cento per cento.
Julia non era fuori dalla lista. Non ancora, almeno. – Credi che ci sia dietro Joanne?
Scrollata di spalle. – Le uniche persone che avete fatto aspettare fuori eravamo noi e i barboncini ammaestrati di Joanne. Le domande riguardano ieri sera, quindi deve trattarsi di qualcuno che era a scuola in quel momento. Non siamo state noi, quindi restano loro. E le altre tre non si grattano nemmeno il culo, senza il permesso di Joanne. Mi scuso per il linguaggio.
– Come mai sei cosí sicura che nessuna delle tue amiche abbia messo questo biglietto in bacheca?
– Perché le conosco.
Un’eco della stessa nota che era risuonata nella voce di Rebecca. Di nuovo quel lampo, cosí brillante da farmi quasi male agli occhi. Lí c’era qualcosa di diverso. Di raro.
Scossi la testa. – Non le conosci completamente. Credimi, non è mai cosí.
Julia mi guardò. Un sopracciglio alzato, come a chiedere: «È una domanda o cosa?»
Alle mie spalle sentivo Conway che faceva fatica a trattenersi.
– Dicci una cosa. Tu devi aver pensato a chi potrebbe aver ucciso Chris. Qual è la tua idea?
– I ragazzi di St Colm. I suoi amici. Sono di quei tipi convinti che sia divertente un totale scavalcare il muro di cinta, rubare qualcosa, scrivere TROIE su un muro o cose del genere. Sono anche i tipi da mettersi a giocare al buio con bastoni, sassi e oggetti pericolosi. Qualcuno si è eccitato troppo, e…
Allargò le mani. Lo stesso gesto di Rebecca, la stessa storia quasi parola per parola. Ne avevano parlato tra loro.
– Sí, – dissi. – Abbiamo sentito che i ragazzi di St Colm hanno fatto un disegno sull’erba, anni fa. Si trattava di Chris e dei suoi amici?
– Chi lo sa. Non si sono fatti beccare. Personalmente, direi di no. Noi eravamo al primo anno quando è successo, per cui Chris era al secondo. Non credo che dei ragazzi del secondo anno avrebbero avuto il fegato.
– Che disegno era?
Un altro urletto di Houlihan. Julia agitò un dito verso di lei. – Scientificamente parlando, un enorme pene con due testicoli. Sono pieni di immaginazione, quei ragazzi.
– C’è qualche motivo per cui pensi che sia stato questo a succedere a Chris?
– Chi, io? Sto solo tirando a indovinare. Il lavoro da detective lo lascio ai professionisti –. Sfarfallio di ciglia, mento basso, attenta alla mia reazione. Non faceva la sexy, come Gemma. Mi prendeva in giro. – Ora posso andare?
– Hai molta fretta di tornare a lezione. Sei un tipo studioso, eh?
– Non le sembro una brava scolaretta?
Labbra in fuori, la parodia di una smorfia provocante. Aspettava sempre la mia reazione.
– Senti, dimmi una cosa su Chris. Una cosa importante.
Lasciò perdere l’atteggiamento finto provocante e ci pensò, abbassando gli occhi. Pensava come un’adulta, si prendeva il suo tempo e non le importava farci aspettare.
Alla fine disse: – Il papà di Chris è un banchiere. È ricco. Molto, molto ricco.
– E?
– E questa è la cosa piú importante che mi viene in mente di lui.
– Esibiva la sua ricchezza? Aveva sempre la roba piú bella, la usava per fare il superiore?
Julia scosse lentamente la testa, schioccando la lingua. – Niente del genere. Era molto meno presuntuoso dei suoi amici. Ma la roba migliore sí. Sempre. E subito, senza dover aspettare Natale o il compleanno. Voleva qualcosa e l’aveva.
Conway si mosse e disse: – Mi sembra che conoscessi bene il suo gruppo.
– Non avevo molta scelta. St Colm è a due minuti di distanza e facciamo parecchie attività insieme. Quindi ci vediamo spesso.
– Sei mai uscita con qualcuno di loro?
– Dio, ma per chi mi prendete? No.
– Ce l’hai un ragazzo?
– No.
– Come mai?
Julia inarcò un sopracciglio. – Una ragazza carina come me, intende? Noi conosciamo solo quelli di St Colm, e io aspetto qualcuno con cui poter avere conversazioni che vadano oltre una sillaba. Sono schizzinosa, cosa posso farci?
– Va bene, puoi andare, – disse Conway. – Se ti viene in mente qualcosa, chiamaci.
Allungai a Julia il mio biglietto da visita. Lo prese, ma non si alzò.
– Ora posso chiedere di avere qualche informazione? Sono stata brava e vi ho dato tutte le mie.
– Spara, – dissi. – Non posso promettere di rispondere, ma tu prova a chiedere.
– Come avete saputo di quel biglietto?
– Secondo te?
– Ah, – disse Julia. – È vero, mi aveva avvertito. È stato bello, detective. Ci vediamo.
Si alzò, arrotolò con un gesto automatico il bordo superiore della gonna per farla risalire sopra le ginocchia e uscí senza aspettare Houlihan, la quale si affrettò a correrle dietro.
Quando furono uscite tutte e due, dissi: – Il biglietto è stato uno shock.
– Già, oppure è un’ottima attrice –. Conway stava ancora guardando la porta, tamburellando la penna sul taccuino. – E lo è.
Selena Wynne.
Tutta oro e femminilità in boccio. Occhi grandi, sonnolenti, viso in toni di bianco e rosa, bocca piena e morbida. Capelli biondi naturali, in corti boccoli come un ragazzino. Non era grassa per niente, Joanne l’aveva detto per invidia, ma le curve morbide la facevano sembrare piú grande dei suoi sedici anni. Molto bella, Selena, ma di quella bellezza che non può durare. Si capiva che presto, in estate o anche nel pomeriggio, sarebbe stata al massimo del suo splendore, per poi declinare.
Non vuoi davvero notare cose del genere in una ragazzina, la mente vuole allontanarsi di corsa. Ma sono cose importanti, proprio come in una donna adulta, perché cambiano ogni giorno della sua vita. Perciò le noti. E gratti via dalla mente la sensazione di disagio.
Scuola per ragazze ricche. Bella e sicura, avrei pensato, anzi, avevo pensato. Altro che un quartiere di case popolari dove gli autobus preferiscono non andare. Ma con la coda dell’occhio cominciavo a notare un brillio nell’aria che annunciava pericolo. Che non riguardava me personalmente, non piú che in quel quartiere popolare, ma c’era.
Selena era sulla soglia e muoveva la porta avanti e indietro come una ragazzina. E ci osservava.
Alle sue spalle, Houlihan mormorò qualcosa per spingerla a muoversi, ma lei non ci fece caso. Disse, a Conway: – Mi ricordo di lei.
– Anch’io di te, – rispose Conway. L’occhiata che mi rivolse tornando al suo posto diceva che Selena non aveva guardato verso il Posto Segreto. Zero su sette. La ragazza che aveva lasciato quel biglietto aveva un notevole autocontrollo. – Perché non ti siedi?
Selena venne avanti e si sedette, obbediente e niente affatto curiosa. Mi esaminò come se fossi un nuovo quadro su un cavalletto.
– Sono il detective Stephen Moran, – dissi. – Selena Wynne, giusto?
Annuí. Sempre quello sguardo, labbra socchiuse, niente domande, niente «Di cosa si tratta», niente diffidenza.
Cercare di stringere un legame con lei era inutile. Avrei potuto farmi scoppiare un testicolo per lo sforzo, e avrei ricevuto le stesse risposte che se le avessi inviato le domande per e-mail. Selena non voleva nulla da me. Si rendeva appena conto che ero una persona reale.
Lenta di comprendonio, pensai. O malata, o in condizioni difficili, non conosco di preciso l’ultima espressione politicamente corretta. Era il primo vero segno del motivo per cui il gruppo di Joanne le considerava «strane».
– Puoi dirmi cos’hai fatto ieri sera?
Stessa storia delle altre tre, solo meno precisa. Non sapeva bene chi avesse chiesto il permesso, chi fosse uscito dall’aula. Mi rivolse uno sguardo perplesso quando le chiesi se fosse andata in bagno. Rispose che poteva darsi, piú per farmi contento che altro, a giudicare dal tono. A lei non importava nulla.
Non aveva guardato il Posto Segreto neanche una volta in tutta la serata, disse.
– Hai mai attaccato lí qualcosa di tuo? – chiesi.
Selena scosse la testa.
– No? Mai?
– Io non lo capisco, il Posto Segreto. Non mi piace nemmeno leggerle, quelle cose.
– Come mai? Non ti piacciono i segreti, o pensi che debbano restare tali?
Intrecciò le dita e le osservò, affascinata, come fanno i bambini molto piccoli. Le sopracciglia morbide appena un po’ aggrottate. – Non mi piace, non so perché. Mi dà fastidio.
– Quindi questa non l’hai messa tu, – dissi, e le sbattei in mano la foto.
Le scivolò tra le dita e finí sul pavimento. Selena la osservò cadere. Dovetti raccoglierla.
Con lei non ottenemmo alcun risultato. La guardò a lungo, senza nessun movimento sul suo viso dolce e pacifico. Mi chiesi se avesse capito cosa significava.
– Chris, – disse alla fine. Sentii Conway muoversi alle mie spalle. «Complimenti, Sherlock».
– Qualcuno ha messo questa foto nel Posto Segreto. Sei stata tu?
Scosse la testa.
– Selena, se sei stata tu, non è un problema. Siamo felici di avere questo biglietto. Ma dobbiamo saperlo.
Scosse di nuovo la testa.
Sembrava fatta di nebbia, come se la mia mano potesse attraversarla senza toccarla. Niente crepe da allargare, o capi sciolti da tirare. Niente porta d’ingresso.
– Chi è stato, secondo te?
– Non lo so –. Sguardo perplesso, come se fosse una domanda assurda.
– Se dovessi tirare a indovinare?
Si sforzò di trovare qualcosa per farmi contento. – Magari era uno scherzo?
– Una delle tue amiche farebbe uno scherzo del genere?
– Julia e Holly e Becca? No.
– E Joanne Heffernan e il suo gruppo? Ne sarebbero capaci?
– Non lo so. Capisco poco di quello che fanno –. Pensare a loro le provocò una leggera ruga sulla fronte, che scomparve un attimo dopo.
– Chi ha ucciso Chris Harper, secondo te?
Ci pensò su a lungo. A volte muoveva le labbra, come se fosse sul punto di dire qualcosa, ma poi la frase le usciva di mente. Conway, dietro la mia spalla, friggeva d’impazienza.
Alla fine Selena disse: – Credo che nessuno lo saprà mai.
La sua voce si era fatta chiara e forte, e per la prima volta ci guardò come se ci vedesse davvero.
– Perché lo pensi? – chiese Conway.
– Ci sono cose cosí. Dove nessuno viene mai a sapere ciò che è successo.
– Non sottovalutarci, – disse Conway. – Noi pensiamo di scoprirlo.
Selena la fissò. – Va bene, – disse, in tono dolce. E mi restituí la foto.
Feci la mia domanda. – Se dovessi scegliere una cosa da dirmi di Chris, quale sarebbe?
Le tornò in viso l’espressione vaga. Restò lí illuminata da un raggio di sole, come pulviscolo, a labbra socchiuse. Attesi.
Molto tempo dopo, disse: – A volte lo vedo.
Sembrava triste. Non era spaventata e non voleva spaventare noi, o impressionarci. No, era solo triste.
Un soprassalto di Houlihan. Il suono di Conway che tratteneva una risata.
– Davvero? – chiesi. – Dove?
– In posti diversi. Sul pianerottolo del secondo piano, una volta: era seduto sul davanzale a messaggiare con qualcuno. A una partita, correva intorno al campo da gioco di St Colm. Una volta sull’erba sotto la nostra finestra, di notte, tirava in aria una palla. Sta sempre facendo qualcosa, come se volesse fare tutte le cose che non avrà piú la possibilità di fare, e farle il piú in fretta possibile. O forse vuole solo essere come tutti noi. Forse non si rende conto…
Un sospiro improvviso le sollevò il petto. – Oh, – disse piano. – Povero Chris.
Non era lenta e non era malata. Non lo pensavo piú. Selena faceva qualcosa all’atmosfera, la rallentava adattandola ai suoi ritmi, tingendola di colori perlacei. Ti portava con sé in luoghi strani.
– Come mai lo vedi? – chiesi. – Eravate molto vicini, vero?
Le passò un lampo sul viso. Scomparve in un attimo, troppo rapido per osservarlo e trattenerlo. Qualcosa di tagliente, che brillava nella nebbia come argento.
– No, – rispose.
In quell’attimo, avrei giurato due cose. Da qualche parte, lungo un filo contorto che forse non saremmo riusciti a seguire, Selena era al centro di quell’indagine. E io avrei avuto la sfida che mi serviva.
Feci una faccia perplessa. – Credevo che fossi la sua ragazza.
– No.
Nient’altro.
– Allora come mai ti appare? Se non eravate intimi, voglio dire.
– Non l’ho ancora capito, – rispose lei.
Conway si mosse di nuovo. – Quando lo capisci faccelo sapere, eh?
Selena spostò lo sguardo su di lei. – Va bene, – disse, pacifica.
– Ce l’hai un ragazzo? – chiese Conway.
Scosse la testa.
– Come mai?
– Perché non voglio.
– Ma perché non vuoi?
Nessuna risposta. Conway chiese: – Cosa ti è successo ai capelli?
Selena sollevò una mano a toccarsi la testa, perplessa. – Ah, questo, – disse. – Li ho tagliati.
– Come mai?
Ci pensò. – Sembrava la cosa giusta da fare.
– Come mai? – insisté Conway.
Silenzio. Selena aveva di nuovo le labbra socchiuse. Non ci ignorava, semplicemente si era distaccata da noi.
Avevamo finito. Le lasciammo i nostri biglietti da visita e la guardammo uscire con Houlihan, senza mai voltarsi.
– Un’altra che non possiamo eliminare, – disse Conway.
– Già.
– Il fantasma di Chris Harper –. Scosse la testa, disgustata. – Cazzo. E McKenna si dà le pacche sulla schiena perché l’idea del Posto Segreto ha permesso alle ragazze di liberarsi di tanti pesi. Mi piacerebbe dirle quanto ci è riuscita, solo per vedere che faccia fa.
Holly fu l’ultima.
Aveva cambiato immagine, non capii se per Conway o per Houlihan. Era la brava scolaretta, schiena dritta, mani giunte in grembo. Sulla porta fece addirittura una specie di riverenza.
Mi venne in mente, con un po’ di ritardo, che non avevo idea di cosa volesse Holly da me.
– Holly, – dissi. – Ti ricordi della detective Conway. Tutti e due ti ringraziamo di averci portato quel biglietto –. Lei annuí, solenne. – Abbiamo solo un altro paio di domande da farti.
– Certo. Non c’è problema –. Si sedette, incrociò le caviglie. Avrei giurato che i suoi occhi fossero diventati ancora piú grandi e piú azzurri.
– Puoi dirci cos’hai fatto ieri sera?
Stessa storia delle altre tre, solo senza interruzioni. Holly non ebbe bisogno di essere persuasa a parlare, non fece mai marcia indietro per correggersi. Recitò tutto come se avesse ripassato la lezione. E probabilmente era proprio cosí.
– Hai mai messo qualche tuo segreto in bacheca? – chiesi.
– No.
– Mai?
Un lampo impaziente, la Holly che conoscevo, dietro l’atteggiamento compassato.
– I segreti sono segreti. È questo il senso. E il Posto Segreto non è davvero anonimo, se qualcuno vuol risalire a te. La metà dei biglietti là sopra, sappiamo di chi sono.
Era la figlia di suo padre: coprirsi sempre le spalle. – E chi pensi che abbia attaccato questo?
Lei rispose: – Voi avete ristretto il campo a noi e al gruppo di Joanne.
– Esatto. Tu chi diresti?
Ci pensò, o fece finta di pensarci. – Bene, ovviamente non sono stata io e non è stata una delle mie amiche, altrimenti l’avrei già detto.
– Sei sicura che l’avresti saputo?
Di nuovo il lampo. – , ne sono sicura.
– Va bene. Riguardo alle altre, su chi scommetteresti?
– Non è Joanne, perché lei ne avrebbe fatto un dramma teatrale: tipo, sarebbe svenuta in mezzo a tutti e voi sareste dovuti andare a parlarle in ospedale. E Orla è troppo stupida per pensare a una cosa del genere. Restano Gemma e Alison. Se dovessi scommettere…
Piú parlavamo, piú si scioglieva. Conway se ne stava per i fatti suoi, a testa china.
– Vai, – dissi.
– Allora, Gemma pensa che lei e Joanne siano le regine dell’universo. Se sapesse qualcosa su Chris, forse non ve lo direbbe. Ma se pensasse di dirlo, sarebbe venuta lei da voi, accompagnata dal padre avvocato. Quindi direi Alison. Ha paura praticamente di tutto; se sapesse qualcosa, non avrebbe mai il fegato di venirvelo a dire direttamente.
Holly lanciò un’occhiata a Conway, assicurandosi che stesse scrivendo. – Oppure, – disse, – un’altra ragazza può aver chiesto a una del gruppo di Joanne di attaccare quel biglietto al suo posto. Di sicuro ci avete già pensato anche voi.
– Ma loro lo farebbero?
– Joanne e Gemma no. Orla sí, ma solo con il permesso di Joanne. Alison potrebbe, ma se si tratta di lei non ve lo dirà.
– Come mai?
– Perché Joanne si incazzerebbe come una iena se scoprisse che ha attaccato quel biglietto senza dirle nulla. Perciò Alison non aprirà bocca.
Cominciava a girarmi la testa, nello sforzo di tenere traccia di chi farebbe cosa a chi, ma solo se. Tanto di cappello alle adolescenti. Io non sarei mai stato capace di tutti quei giri.
Conway disse: – Se è stata lei, lo scopriremo.
Holly annuí, solenne, piena di fede nei grandi detective che erano venuti a rimettere le cose a posto.
– Sulla morte di Chris, invece, cosa puoi dirmi? – chiesi. – Chi è il responsabile, secondo te?
Mi aspettavo la storia della burla andata male, recitata d’un fiato con qualche aggiunta personale. Invece disse: – Non lo so.
L’espressione contrariata mi disse che era vero. – Non i ragazzi di St Colm che volevano fare uno scherzo ma qualcosa è andato storto?
– So che alcune di noi lo pensano. Ma significa che dovevano essere in gruppo. Ora, tre o quattro di loro che riescono a tenere la bocca chiusa e a evitare ogni discrepanza tra le rispettive versioni, senza sbagliarsi nemmeno una volta? Non credo proprio –. Holly guardò Conway. – Non se lei li ha interrogati come ha fatto con noi.
Sollevai la foto. – Però qualcuno è riuscito a tenere la bocca chiusa per tanto tempo.
Di nuovo il lampo irritato. – Si pensa che le ragazze non possano evitare il bla, bla, bla, che rivelino tutto quello che sanno come delle deficienti. Sono solo stronzate. Le ragazze mantengono i segreti, sono i ragazzi che non ne sono capaci.
– Ci sono tante ragazze che raccontano segreti su quella bacheca.
– Infatti, e senza il Posto Segreto non direbbero nulla. È a questo che serve, a farci tirare fuori i nostri segreti –. Occhiata a Houlihan. – Naturalmente, sono certa che sia molto utile.
– Scegli una cosa da dirmi su Chris. Una cosa importante.
Un respiro le sollevò il petto, come se si stesse preparando. Poi disse, chiaro e forte. – Era uno stronzo.
Un suono di protesta da Houlihan. Nessuno si prese nemmeno il disturbo di voltarsi.
– Sai che ho bisogno di maggiori particolari, su un’affermazione del genere, – dissi.
– Gli interessava solo quello che voleva lui. E in genere andava benissimo, perché voleva piacere a tutti e basta, quindi era sempre gentile. Ma qualche volta, quando per esempio poteva far ridere dando addosso a una persona di poca importanza? O quando voleva una cosa e non poteva averla? Allora non era gentile per niente.
– Fammi un esempio.
Rifletté, scegliendo quello piú appropriato. – Bene, – disse. Sempre calma, ma con un sottofondo di rabbia nella voce. – Un giorno eravamo al Court, noi e vari ragazzi di St Colm. Facevamo la fila a una caffetteria e una ragazza, Elaine, ordina l’ultimo muffin al cioccolato. Chris, alle sue spalle, dice: «Ehi, quello lo voglio io». E lei: «Mi dispiace, sei stato troppo lento». E Chris, a voce alta per farsi sentire da tutti: «Guarda che il tuo culo non ha bisogno di altri muffin». I ragazzi scoppiano a ridere. Elaine diventa rossa come un peperone e Chris le tocca il sedere con un dito e dice: «Qui dentro hai abbastanza muffin da aprire una panetteria. Posso dare un morso?» Elaine si volta e corre fuori come un fulmine, con i ragazzi che le urlano dietro: «Muovi quel culo, forza!» E tutti ridono.
Stando a ciò che mi aveva detto Conway, era la prima volta che qualcuno parlava di Chris Harper in quei termini. – Proprio gentile, – commentai.
– Vero? Elaine non si è avvicinata per settimane a qualsiasi posto dove c’era la possibilità di incontrare i ragazzi di St Colm. Credo sia ancora a dieta, e tanto per essere chiari, non era vero che era grassa. Il punto è che Chris non aveva bisogno di sparare quella cattiveria. Voglio dire, era solo un muffin, non l’ultimo biglietto per la finale della coppa del mondo. Ma poiché lo voleva lui, era convinto che Elaine avrebbe dovuto fare marcia indietro. E quando non è successo, – Holly fece una smorfia, – l’ha punita. Perché secondo lui se lo meritava.
– Elaine chi? – chiesi.
Un attimo di esitazione, ma era una cosa troppo facile da scoprire. – Heaney.
– Sai di qualcun altro con cui Chris ha fatto lo stronzo?
Alzata di spalle. – Non è che tenessi il conto. Probabilmente nessuno ci faceva caso, perché come ho detto si comportava cosí solo di rado e quando lo faceva tutti ridevano e pensavano che fosse uno scherzo innocente. Ma Elaine ci ha fatto caso, e anche le altre vittime di quegli scherzi se li ricordano di sicuro.
– L’anno scorso, – intervenne Conway, – non hai detto che Chris era uno stronzo. Hai detto che lo conoscevi appena ma ti sembrava a posto.
Holly rifletté sulla risposta, poi disse, scegliendo le parole: – Ero piú piccola. Tutti ritenevano Chris un bravo ragazzo, e io ho pensato che doveva essere vero. Solo tempo dopo mi sono resa conto di com’era sul serio.
Era una menzogna. Quella che Conway stava aspettando.
Conway indicò la foto che avevo in mano. – Allora perché ci hai portato questa? Se era un tale stronzo, come mai ti importa tanto che chi l’ha ucciso sia arrestato?
Occhiata da brava ragazza. – Mio padre è un detective. Vorrebbe cosí. Il fatto che Chris mi piacesse o no non ha importanza.
Altra menzogna. Conosco il padre di Holly. Fare una cosa solo perché è giusta non è il suo stile. Non ha mai fatto nulla nella sua vita senza un fine personale. «Non le ho cavato fuori un cazzo, – aveva detto Conway. – Tirarle fuori due parole era come strapparle i denti». L’anno prima, Holly non voleva che l’assassino venisse preso, o non le importava abbastanza da metterci la faccia. Quest’anno le cose erano cambiate. Dovevo scoprire perché.
– Holly, – dissi. Chino in avanti, occhi negli occhi, della serie «Sono io, di me puoi fidarti». – C’è un motivo per cui all’improvviso tu vuoi che il caso sia risolto. E devi dirmi qual è. Conosci il lavoro di tuo padre, e devi sapere che qualsiasi cosa può aiutarci, anche se a te non sembra importante.
Lei ribatté, diretta e senza esitare: – Non capisco. Non c’è nessun motivo. Sto solo cercando di fare la cosa giusta –. Poi, a Conway: – Posso andare?
– Ce l’hai un ragazzo? – chiese la mia collega.
– No.
– Come mai?
– Ho tanto da fare. Con la scuola e tutto il resto.
– Che brava studentessa, – disse Conway. – Puoi andare –. Poi a Houlihan: – Le faccia venire qui tutte e otto.
Quando fummo soli, mi chiese: – Se Holly sapesse chi ha ucciso Chris Harper, lo direbbe a te o a suo padre? Lo direbbe a qualcuno in modo diretto, senza sotterfugi?
Oppure avrebbe usato un biglietto come stratagemma per farmi intervenire? – Forse no, – risposi. – È già stata testimone in un’indagine e non è stata una bella esperienza. Forse non ha voglia di ripeterla. Ma se sa qualcosa e volesse farla sapere anche a noi, troverebbe un modo migliore. Una lettera anonima con dentro ogni minimo particolare, per esempio. Non un biglietto allusivo che significa tutto e niente.
Conway ci pensò su, giocherellando con la penna tra due dita. Annuí. – Ha senso. Comunque ti dico cosa ho notato. La tua Holly parla come se chi lo ha attaccato volesse che quel biglietto arrivasse a noi. Presume che non fosse solo una ragazza che voleva liberarsi di un peso; al contrario, voleva dire qualcosa proprio a noi, e questo è il modo migliore che ha trovato.
Lei non era la mia Holly, era sempre piú evidente, almeno per me. Ma non stetti a puntualizzare. – Forse si vergogna di essere venuta da me. A quell’età, rivolgersi a un adulto è una cosa grossa: ti rende un’infame, una traditrice, praticamente il peggio del peggio. Cosí forse si è convinta che chi ha messo il biglietto volesse che lei andasse alla polizia.
– Può darsi. O invece sa piú di quello che dice –. Si tamburellò la penna sui denti. – In tal caso, quante probabilità abbiamo di riuscire a farglielo dire?
Due: zero e meno di zero. Sempre che lei non volesse parlare e stesse aspettando il momento giusto, che però non capivo quale potesse essere.
– Glielo tirerò fuori, – dissi.
Conway inarcò un sopracciglio, come per dire «Vedremo», e concluse: – Ora osservale mentre sono tutte insieme. Stavolta parlo io, tu guarda e basta.
Mi appoggiai al davanzale di una finestra, con il sole che mi scaldava la schiena attraverso la giacca. Conway si mise a camminare avanti e indietro per l’aula, con il suo passo lungo, le mani in tasca, mentre entravano le ragazze.
Trovarono i loro posti come uccellini. Il gruppo di Holly accanto alle finestre, quello di Joanne vicino alla porta. Niente sguardi da un gruppo all’altro, ma erano tutte nervose sulle loro sedie. Occhiate perplesse, sopracciglia alzate, sussurri. Credevano che avessimo finito con loro, e non ci pensavano piú. Almeno alcune.
Conway disse a Houlihan, voltandosi solo a metà: – Lei può aspettare fuori. Grazie mille dell’aiuto –. Houlihan aprí e chiuse la bocca, fece un verso stridulo da animaletto, poi tagliò la corda. I bisbigli finirono. L’assenza di Houlihan significava l’assenza anche di una minima protezione da parte della scuola. Erano nelle nostre mani.
Sembravano diverse, ora, indistinte come un’occhiata d’insieme al Posto Segreto. Non riuscivo quasi a separarle l’una dall’altra, vedevo solo gli stemmi sulle giacche e tanti occhi. Mi sentivo in minoranza. Esterno.
– Allora, – esordí Conway. – Una di voi oggi ci ha mentito.
S’immobilizzarono.
Almeno una –. Conway si fermò, prese la foto e la sollevò in alto. – Ieri sera, una di voi ha attaccato questo biglietto sulla bacheca dei segreti. Poi, davanti a noi, ha detto: «Oh, mio Dio, no, non sono stata io, mai vista prima quella foto». Questi sono i fatti.
Alison batteva le palpebre come se avesse un tic. Joanne, braccia incrociate sul petto, dondolava un piede accavallato sull’altro. Una sola occhiata a Gemma, come per dire: «Dio, che palle dover perdere tempo a sentire questa roba». Orla si mordeva le labbra, tentando di sopprimere una risatina nervosa.
Il gruppo di Holly era immobile. Non si guardavano, ma era come se stessero comunicando tra loro, senza ascoltare noi. Sguardi sfocati, schiene inclinate verso il centro, come attratte da una forza magnetica tale che nemmeno Superman sarebbe riuscito a tirare via dal gruppo una di loro.
«Solo qualcosa».
– Sto parlando con te, – disse Conway. – Con la ragazza che ha attaccato questo biglietto. La ragazza che sostiene di sapere chi ha ucciso Chris Harper.
Un brivido attraversò l’aula.
Conway riprese a camminare su e giú, la foto tra le dita. – Credi che mentire a noi sia come dire a un insegnante che hai dimenticato i compiti sull’autobus, o dire ai tuoi genitori che in discoteca non hai bevuto nulla di alcolico. Sbagliato. Non è cosí. Questa non è una bugia qualsiasi, che esci da scuola e svanisce. Questo è un fatto reale.
Tutti i loro occhi la seguivano. Attratti da lei.
Conway era il loro mistero. Non come me, o come i maschi in generale, un mistero alieno con cui stavano imparando a trattare, qualcosa che desideravano senza sapere perché. Conway era una donna, come loro. Era un’adulta, sapeva delle cose. Sapeva vestirsi in un modo che le donava, sapeva fare sesso o rifiutarsi di farlo, pagare le bollette, muoversi nel mondo selvaggio fuori dal muro di cinta della scuola. Loro immergevano appena le dita dei piedi in quell’acqua, Conway nuotava dov’era profonda.
Volevano avvicinarsi a lei, toccarla. La giudicavano con severità, cercando di capire se fosse all’altezza, e se loro lo sarebbero state, un giorno. Tentavano di scorgere il sentiero precario che portava da loro a lei.
– Cara ragazza, te lo dico chiaro: se sai chi ha ucciso Chris, sei in grave pericolo. Nel senso che rischi di essere ammazzata –. Agitò la foto in aria, un rapido fruscio di carta. – Credi che questo biglietto resterà segreto? Se le tue amiche qui presenti non l’hanno ancora detto a tutta la scuola, lo faranno entro sera. Quanto ci vorrà prima che lo venga a sapere l’assassino? E quanto ci metterà, lui o lei, a capire chi è la ragazza in questione? E cosa credi che farà per risolvere il problema? Stiamo parlando di qualcuno che ha già ucciso.
Il tono era quello giusto. Diretto, asciutto, concentrato. Da adulta ad altri adulti: aveva osservato bene ciò che aveva funzionato per me. – Sei in pericolo. Stanotte. Domani. Ogni secondo. Finché non ci dirai che cosa sai. Se lo fai, l’assassino di Chris non avrà piú motivo di eliminarti. Ma fino ad allora…
Di nuovo un brivido collettivo, come un guizzo sull’acqua. Il gruppo di Joanne si scambiò le solite occhiate furtive. Julia si grattò una nocca, a occhi bassi.
Conway accelerò il ritmo. – Se hai attaccato questo biglietto per farti due risate, sei ugualmente in pericolo. L’assassino di Chris non sa che era solo uno scherzo. Lui, o lei, non può permettersi di correre rischi. E tu sei un rischio.
Agitò di nuovo in aria il foglio. – Se questo biglietto è uno scherzo, forse hai paura di confessarlo perché non vuoi finire nei guai, con la scuola o con la polizia. Non preoccuparti. Certo, io e il detective Moran ti faremo una bella predica per aver fatto sprecare tempo alla polizia. E molto probabilmente riceverai un castigo dalla preside. Ma è molto, molto meglio che morire.
Joanne si sporse verso Gemma e le sussurrò qualcosa all’orecchio, senza sforzarsi di nascondere un sorrisetto ironico.
Conway s’interruppe e la fissò.
Joanne continuò a sorridere. Gemma fece una faccia da pesce, indecisa se unirsi al sorriso di Joanne, cercando di capire chi la spaventava di piú.
Era necessario che fosse Conway.
Infatti lei si mosse in fretta, si chinò sopra la sedia di Joanne. Sembrava pronta a darle una testata.
– Sto parlando con te?
Joanne resse il suo sguardo, con una smorfia sprezzante. – Prego?
– Rispondi alla domanda.
Le altre alzarono la testa, con quegli sguardi che si vedono in classe quando scoppia una rissa: l’attesa ansiosa del sangue.
Joanne alzò un sopracciglio. – Ehm, non ho capito. Cosa significa?
– Io sto parlando a una sola persona, qui dentro. Se si tratta di te, chiudi la bocca e ascolta. Se invece non sei tu, chiudi la bocca perché nessuno sta parlando con te.
Nei posti dov’eravamo cresciuti io e Conway, se qualcuno ti manca di rispetto gli dài un pugno in faccia, subito, prima che veda una debolezza e ci affondi dentro i denti. Se l’altro abbassa la cresta, hai vinto.
Anche nel resto del mondo la gente si ritrae, dopo quel pugno. Ma non significa che hai vinto. Significa che ti hanno classificato alla voce «feccia», «animale da evitare».
Conway doveva saperlo, altrimenti non sarebbe arrivata lontano, nella vita. Quindi qualcosa, quella ragazza, quella scuola, quell’indagine, le aveva fatto perdere la bussola. E stava incasinando tutto.
Non era un problema mio. L’avevo giurato quando ero stato ammesso all’accademia di polizia: quei comportamenti sarebbero stati un problema mio solo nel senso di ammanettare chi li metteva in pratica e sbatterlo sul sedile posteriore della mia auto. Non un problema mio nel senso che me ne sarebbe fregato qualcosa. Conway voleva mandare tutto a puttane? Prego.
Joanne aveva ancora quella smorfia sprezzante. Le altre aspettavano il colpo di grazia. Il sole era come un ferro caldo premuto sulla schiena della mia giacca.
Mi mossi sul davanzale. Conway si voltò, un attimo prima di perdere le staffe. Incrociò il mio sguardo.
Inclinai appena il mento, per avvertirla.
Strinse gli occhi. Si voltò di nuovo verso Joanne, lentamente, rilassando le spalle.
Sorriso, voce dolciastra come quando si parla a un bambino di due anni. – Joanne, so che è difficile per te non essere al centro dell’attenzione. So che stai solo aspettando l’occasione per esplodere e metterti a strillare, cosí chiunque guarderà te. Ma sono sicura che se ti sforzi, puoi farcela a trattenerti ancora un minuto o due. Poi, quando avremo finito, potrai farti spiegare dalle tue amiche come mai tutto questo era importante. D’accordo?
Il viso di Joanne era puro veleno. Sembrava una quarantenne.
– Ce la fai? Fallo per me.
Joanne sospirò, alzò gli occhi al cielo. – Sí, sí, come le pare.
– Brava.
Gli occhi delle altre, il loro apprezzamento: avevamo un vincitore. Julia e Holly sogghignavano. Alison sembrava terrorizzata e contenta allo stesso tempo.
– Ora, – riprese Conway, dimenticando Joanne e rivolgendosi alle altre. – Tu, chiunque tu sia. So che te la sei goduta, ma il tuo problema rimane. Non stai prendendo sul serio l’assassino di Chris. Forse davvero non sai chi è, e quindi non ti sembra una persona reale. O forse sai chi è e non ti sembra una persona pericolosa.
Joanne fissava il muro, le braccia annodate. Le altre guardavano tutte Conway. Ce l’aveva fatta. Si era dimostrata all’altezza.
Lei alzò di nuovo la foto, in una striscia di sole. Chris sorridente, raggiante. – Probabile che Chris pensasse la stessa cosa. Ho visto tante persone che non hanno preso sul serio un assassino. La maggior parte le ho viste durante l’autopsia.
Voce ferma e grave. Quando fece una pausa, tutte trattennero il fiato. Una raffica di vento fece ondeggiare le veneziane.
– Io e il detective Moran ora andiamo a mangiare. Dopo saremo nell’ala del collegio per un paio d’ore –. Le sue parole provocarono una reazione: gomiti spostati sui banchi, schiene raddrizzate di colpo. – Poi ce ne andremo, perché abbiamo altre cose da fare. Quello che voglio dire alla ragazza a cui sto parlando è: hai circa tre ore in cui sei ancora al sicuro. Nessuno ti farà nulla finché noi saremo qui. Quando saremo andati via…
Silenzio. Orla era a bocca aperta.
– Se hai qualcosa da dirci, vieni da noi in qualsiasi momento, questo pomeriggio. Se hai paura che qualcuno ti veda, puoi telefonare, o mandarci un messaggio. Tutte voi avete i nostri biglietti da visita.
Le guardò in faccia una alla volta, come lasciando un timbro su ciascuna di loro.
– Tu, a cui sto parlando: questa è la tua occasione. Coglila. E fino a quel momento, guardati le spalle.
Rimise la foto in tasca, tirò la giacca, controllò che la linea fosse perfetta e disse: – A presto.
Poi uscí dall’aula senza voltarsi indietro. Non mi aveva avvertito in nessun modo, ma io fui subito dietro di lei.
Fuori, Conway inclinò la testa verso la porta, ma il brusio insistente nell’aula era troppo basso per distinguere qualcosa.
Houlihan era lí davanti, incerta. – Vada dentro, – disse Conway. – A fare da supervisore.
Quando la professoressa fu entrata, chiudendosi la porta alle spalle, disse: – Capito che cosa intendevo, sul gruppo di Holly? Lí c’è qualcosa.
Mi fissò. Risposi: – Sí, capito.
Annuí, brusca ma in qualche modo sollevata. – Allora dimmi. Di che si tratta?
– Non lo so ancora. Dovrei passare un altro po’ di tempo con loro.
Risata secca. – Ci avrei scommesso –. Si avviò giú per il corridoio con il suo passo lungo e rapido. – Andiamo a mangiare.
iTalia