29.
La notte si era fatta piú densa, traboccante
di movimenti furtivi e ondate di profumi che non riuscivamo a
identificare. La luna sembrava inzupparci nella sua luce.
– Ti rendi conto della portata di cosa ci ha
detto Julia? – chiesi.
Conway camminava in fretta, la mente già
proiettata verso Rebecca, in cima al pendio. – Sí. Selena e Rebecca
salgono in camera per prendere i loro strumenti. O Rebecca ce l’ha
tanto con l’amica che nasconde quel telefono nel suo letto, per
incastrarla, o invece glielo consegna: «Ecco il cellulare del tuo
ragazzo morto, ciò che hai sempre desiderato». E Selena lo mette
via per guardarlo in un altro momento.
Parlavamo a bassa voce, nel caso che le
ragazze ci spiassero da dietro gli alberi, come cacciatori in
agguato. – Se è cosí, – dissi, – Holly è fuori. Rebecca ha fatto
tutto da sola.
– No. Holly può sempre aver lasciato lí il
cellulare di Chris quando ha preso quello di Selena.
– Sí, ma perché? Mettiamo che avesse lei il
telefono di Chris: perché non gettarlo tra gli oggetti smarriti
insieme a quello di Selena, se voleva allontanare i sospetti dal
suo gruppo? Se invece voleva incastrare Selena, perché non lasciare
nel suo letto tutti e due i telefoni? Non c’era un motivo valido
per lasciare i telefoni in due posti diversi. Holly è fuori –. Ma
ormai era troppo tardi: Mackey adesso era un nostro nemico, non un
alleato.
Conway fece altri due passi, poi annuí. –
Rebecca. Da sola.
Pensai alla creatura a tre teste che ci aveva
osservato avvicinarci, immobile. «Da sola» sembrava l’espressione
sbagliata.
– Comunque su di lei abbiamo ancora troppo
poco, – proseguí Conway. – Tutte prove circostanziali, e ai
magistrati questo non piace. Specialmente se si tratta di
minorenni. E iper super specialmente se sono minorenni
ricchi.
– Sono circostanziali, ma sono tante. Rebecca
aveva un bel po’ di motivi per essere arrabbiatissima con Chris.
Aveva la possibilità di uscire di notte. È stata vista il giorno
prima dell’omicidio con in mano l’arma del delitto. È una delle
uniche due persone che possono aver lasciato il telefono di Chris
dove è stato trovato…
– Se credi a
tutte le storie che ci hanno raccontato certe amiche che ci hanno
solo e sempre mentito fin dall’inizio. Un avvocato appena decente
riuscirà a ottenere l’insufficienza di prove in cinque minuti.
Tante ragazze avevano motivi piú forti di rancore verso Chris.
Sette altre studentesse potevano uscire di notte, e magari non sono
le uniche: come possiamo provare che nessun altro aveva scoperto
dove teneva la chiave Joanne? E il telefono di Chris: Rebecca o
Selena possono averlo trovato dove l’aveva lasciato l’assassino e
averlo nascosto nel letto mentre pensavano a cosa farne.
– E cosa ci faceva Rebecca con l’arma del
delitto in mano?
– Gemma si è inventata tutto. O Rebecca era lí
per comprare droga. O aveva deciso di occuparsi di giardinaggio.
Scegli tu –. Aveva allungato il passo, frustrata. – O era andata in
esplorazione per conto di Julia, Selena o Holly. Noi sappiamo che
loro non sono piú sospettate, ma non ne abbiamo prove certe. Il che
significa che non abbiamo nulla di solido nemmeno su Rebecca.
– Ci serve una confessione.
– Sí, sarebbe fantastico. Va’ a procurartene
una, e già che ci sei fatti dare anche i numeri del lotto della
prossima settimana.
Ignorai la battuta. – Una cosa che ho notato,
di Rebecca, è che non ha paura. Invece dovrebbe averne. Nella sua
situazione, solo un completo idiota non sarebbe terrorizzato. Lei
non è idiota, eppure non ci teme.
– E allora?
– Allora vuol dire che pensa di essere al
sicuro.
Conway allontanò un ramo dal viso. – E ha
ragione, cazzo. A meno che non ci inventiamo qualcosa di
stupefacente.
– Sai quand’è stata l’unica volta che l’ho
vista impaurita? Nella sala comune, quando tutte strillavano per
via del fantasma di Chris. Noi eravamo troppo occupati con Alison
per far caso a Rebecca, ma lei era terrorizzata. Il punto è: noi
non le facciamo paura, qualsiasi cosa le mettiamo davanti; prove,
testimoni, non riescono a scuoterla. Il fantasma di Chris invece
sí.
– E con ciò? Vuoi coprirti con un lenzuolo e
sbucarle davanti da dietro un albero? Guarda, sono cosí disperata
che per me andrebbe anche bene.
– Voglio solo parlare con lei del fantasma, –
spiegai. – Solo parlare, e vediamo cosa succede.
Era una cosa di cui mi ero reso conto mentre
stavo sull’erba con Joanne e le sue amiche: ciascuna ragazza in
quella sala comune pensava che Chris fosse apparso specificamente
per lei. Rebecca ne era sicura.
Conway si voltò a guardarmi. – Sul filo del
rasoio.
Se avesse confessato per paura del fantasma,
il processo sarebbe stato una lotta continua. La difesa avrebbe
gridato all’intimidazione, alla costrizione, tuonando che non c’era
nessun adulto appropriato presente e chiedendo l’inammissibilità di
qualsiasi cosa Rebecca avesse detto. Noi avremmo sostenuto le
circostanze urgenti, la necessità di portare via Rebecca quella
notte stessa. Poteva funzionare oppure no.
Del resto, se volevamo ottenere qualcosa, era
adesso o mai piú.
– Starò molto attento, – dissi.
– Certo.
Dietro la curva, sotto gli alberi, era cosí
buio che sembrava un salto nel vuoto. Sentii odore di fumo. Poteva
trattarsi di una studentessa sfacciata, ma sapevo che non era
cosí.
Mackey, appoggiato a un albero, spalle curve e
caviglie incrociate. – Bella serata, eh?
Ci bloccammo come ragazzini scoperti a
pomiciare. Arrossii. Lui se ne rese conto anche al buio e sembrò
divertito.
– È bello vedere che voi ragazzi avete
appianato i vostri problemi. Me lo stavo appunto chiedendo. Vi
siete divertiti?
Alle sue spalle, i giacinti splendevano di un
blu biancastro come se fossero illuminati dall’interno. Oltre i
fiori, in cima al pendio, Selena e Rebecca ci osservavano, le teste
accostate. Mackey faceva la guardia.
– Vorremmo che tornasse dentro a tenere
compagnia a sua figlia, – disse Conway. – Saremo da voi appena
possibile.
La sigaretta stretta fra le nocche dava
l’impressione che la brace gli bruciasse dentro il pugno. – È stata
una giornata lunga, – rispose. – E queste ragazze alla fine sono
solo ragazze. Sono distrutte, stressate e tutto il resto. Lungi da
me l’idea di spiegarvi come fare il vostro lavoro, ma dico solo
questo: non darei molto credito a niente di quello che potreste
ottenere a questo punto. E non lo farebbe nemmeno una giuria.
– Non sospettiamo Holly dell’omicidio, – gli
dissi.
– No? È bello saperlo.
Il fumo della sigaretta saliva tra i raggi di
luna. Non mi credeva.
– Abbiamo nuove informazioni, – disse Conway.
– Holly non c’entra.
– Ottimo. E domattina potrete seguire al
galoppo la pista aperta da queste nuove informazioni. Adesso è ora
di andare a casa, magari facendo tappa al pub per festeggiare con
una pinta la nascita di una bella amicizia.
Alle sue spalle, un’ombra uscí dagli alberi e
prese posto accanto a Selena: Julia.
– Non abbiamo ancora finito, – disse
Conway.
– Invece sí, detective.
Voce gentile, sguardo duro. Mackey faceva sul
serio. – Ho raccolto anch’io qualche informazione. Tre ragazze mi
hanno visto andare in giro a cercarvi e mi hanno chiamato –. La
mano scura con il centro di brace mi indicò. – Detective Moran, ti
sei comportato male.
– Se qualcuno ha un problema con Moran, deve
andare dal suo sovrintendente, non da lei.
– Ah, ma loro sono venute da me. Penso di
poterle convincere che il detective Moran non stava cercando di
sedurle, e che una di loro, una bionda magra senza sopracciglia,
non corresse davvero il pericolo di perdere la propria virtú. Ma
dovete togliervi dalle palle e lasciarmi fare. È chiaro?
– So badare a me stesso da solo, ma grazie
comunque.
– Mi piacerebbe essere d’accordo con te,
ragazzo. Dico sul serio.
– Se mi sbaglio, non è un tuo problema. E non
puoi decidere con chi dobbiamo parlare.
Le parole mi uscirono strane, forti come
alberi. La spalla di Conway era accanto alla mia, solida e alla
stessa altezza.
Notai il sopracciglio alzato di Mackey, in una
striscia di luce lunare. – Oooh, questi attributi sono tuoi o li
hai presi in prestito dalla tua nuova amica?
– Signor Mackey, – disse Conway. – Ora le
spiego la nostra prossima mossa. Il detective Moran andrà a parlare
con quelle tre ragazze. Io intendo solo osservare a bocca chiusa.
Se vuole farlo anche lei, si accomodi. Se no, vada pure affanculo e
ci lasci lavorare.
Il sopracciglio restò sollevato. Mackey disse,
rivolto a me: – Poi non dire che non ti avevo avvertito.
Su Conway, su quello che poteva fare Joanne,
su quello che poteva fare lui. Aveva ragione su tutto, e da vero
amico voleva darmi un’ultima chance, in nome dei vecchi
tempi.
– Non lo dirò mai, – risposi. – Parola
d’onore.
Risata rapida di Conway, poi gli voltammo le
spalle e ci avviammo nel mare di giacinti.
Arrivati sotto i cipressi, Conway si fermò e
udii il passo tranquillo di Mackey alle nostre spalle. Lei tese un
braccio, indicandogli di non avvicinarsi oltre.
Mackey si fermò perché voleva farlo. Perché
sentiva che Holly era fuori pericolo. Altrimenti Conway non sarebbe
riuscita a trattenerlo.
Io entrai nella radura e mi fermai davanti
alle tre ragazze.
La luna mi illuminava in pieno, mentre loro
erano quasi invisibili. Il contorno del gruppo in controluce era
come una runa scritta nell’aria. Joanne e le sue amiche erano
pericolose, molto. Ma non erano nulla in confronto a quelle
tre.
Mi schiarii la gola. Loro non si
mossero.
– Non dovete tornare dentro perché è l’ora del
coprifuoco? – chiesi. La voce mi uscí debole e sfilacciata.
Una di loro rispose: – Tra un minuto
andiamo.
– Bene. Volevo solo dirvi… – I piedi
frusciavano nell’erba alta. – Grazie del vostro aiuto. È stato
utilissimo, ha davvero fatto la differenza.
– Dov’è Holly? – chiese una voce.
– Dentro.
– Perché?
Mi mossi, a disagio. – È un po’ scossa. Voglio
dire, è in gamba, ma quell’episodio nella sala comune, con il…
fantasma di Chris…
– Non c’era nessun fantasma, – sbottò Julia. –
Solo ragazze che volevano attenzione.
Il contorno della runa si mosse. Selena disse:
– Io l’ho visto.
Un altro movimento, rapido e secco. Julia
doveva averle dato un calcio o una gomitata.
– Rebecca? – chiesi. – Tu l’hai visto?
Un attimo dopo, dal buio: – Sí.
– Davvero? E cosa faceva?
Un nuovo guizzo cambiò il significato della
runa, in un modo sottile che non riuscii a interpretare.
– Parlava. Rapidamente, senza mai fermarsi a
prendere fiato. Del resto, immagino che non ne abbia bisogno.
– Cosa diceva?
– Non l’ho capito. Tentavo di leggergli le
labbra, ma si muovevano troppo in fretta. A un certo punto… – Le si
incrinò la voce. – Ha riso.
– Hai capito a chi si rivolgeva?
Silenzio. Poi, pianissimo: – A me –. Udii
quelle due parole solo perché avevo le orecchie tese come un
animale.
In quel grumo di tenebra qualcuno
ansimò.
– Perché a te?
– Non lo so. Ripeto, non riuscivo a
capirlo.
– Stamattina mi hai detto che voi due non vi
conoscevate bene.
– È cosí.
– Quindi non è tornato per dirti che gli
mancavi.
Silenzio.
– Rebecca?
– Immagino di no. Non lo so.
– Non è che era segretamente innamorato di
te?
– No!
– Sai che faccia avevi, là dentro? Spaventata.
Ma molto spaventata.
– Ho visto un fantasma. Si sarebbe spaventato anche lei.
Tono di sfida. Rebecca non sembrava un
mistero, adesso, né un pericolo, ma solo un’adolescente. Il potere
la stava abbandonando e la paura cominciava a prenderne il
posto.
– Non dire piú niente, – intervenne
Julia.
– Pensavi volesse farti del male? –
chiesi.
– Come potevo sapere cosa voleva fare?
– Becs. Chiudi la bocca.
Non sapevo se Julia fosse solo diffidente o se
avesse cominciato a capire. – Ma, Rebecca, – dissi in fretta. – Io
pensavo che Chris ti piacesse. Ci hai raccontato che era un tipo a
posto. Era una menzogna e invece era una testa di cazzo?
– No. Era gentile.
Di nuovo il tono di sfida, piú pronunciato.
Quello era un punto importante, per lei.
Scrollai le spalle. – Da tutto ciò che abbiamo
sentito, si direbbe che fosse una testa di cazzo. Usava le ragazze
per ciò che potevano dargli, poi non appena si stufava le gettava
via. Un gran bel personaggio.
– No. St Colm è pieno di ragazzi a cui non
importa quanto male fanno, pur di ottenere quello che vogliono.
Conosco la differenza, e Chris non era cosí.
Il contorno della runa si mosse ancora.
Qualcosa lottava per salire in superficie. Rebecca se ne accorse. –
So che cosa faceva Chris, – disse. – Ovviamente so che non era perfetto. Ma non era
come gli altri.
Julia emise un suono strozzato che poteva
essere una risata.
– Lenie, è vero che lui non era cosí?
Selena si mosse. – Era tante cose.
– Lenie!
Sembravano essersi dimenticate di me. Selena
disse: – Non voleva essere come loro.
Ci provava con tutto sé stesso. Ma non so quanto ci fosse
riuscito.
– Ci era riuscito –. Nella voce di Rebecca si
era insinuata una nota di panico. – Ne sono sicura.
Di nuovo quel brutto suono strozzato da
Julia.
– Dico sul serio.
Sentii crocchiare qualcosa alle mie spalle, e
il fruscio di un ramo spostato. Stava succedendo qualcosa, ma non
potevo permettermi di voltarmi. Dovevo fidarmi di Conway e andare
avanti.
– Allora come mai avevi paura del suo
fantasma? Perché avrebbe voluto farti del male, se da vivo non
l’avrebbe mai fatto?
– Soprattutto perché non
esiste nessun fantasma. Becca? Stanno cercando di fartelo
immaginare come se fosse uscito da un film, tipo Il presagio. Ma se decidi di immaginarlo come una
tartaruga viola, allora vedrai una tartaruga viola. Pronto? Mi
senti?
– Io l’ho visto.
– Rebecca, – intervenni. – Perché avrebbe
voluto farti del male?
– Perché i fantasmi sono pieni di rabbia.
L’avete detto proprio voi detective, questo pomeriggio –. Il panico
prendeva sempre piú piede nella sua voce. – E comunque non mi ha
fatto nulla.
– Stavolta. E la prossima?
– Chi dice che ci sarà una prossima
volta?
– Lo dico io. Chris aveva bisogno di parlarti,
c’è qualcosa che vuole da te, e non è riuscito a darti il
messaggio. Tornerà. Tutte le volte che serve, finché non avrà ciò
che desidera.
– Non è vero. È apparso perché c’eravate voi,
siete stati voi ad agitarlo…
– Selena, – chiamai. – L’hai visto anche tu.
Vuoi dirci se pensi che tornerà?
Nel silenzio che seguí, udii qualcosa, voci
basse alla base del pendio. Un uomo e una ragazza.
Piú vicino, alle mie spalle, un rumore di rami
spostati: Conway, che si muoveva tra i cipressi per coprire le
voci. – Selena, – ripetei. – Chris tornerà?
– È sempre qui, – disse lei. – Anche quando
non lo vedo, avverto la sua presenza. E sento un ronzio nelle
orecchie, come quando la tivú ha il volume al minimo. Sempre.
Le credevo. Credevo a ogni parola. Chiesi, e
la voce mi uscí rauca: – Cosa vuole?
– All’inizio ero sicura che cercasse me. Ci ho
provato in tutti i modi, ma lui non mi vedeva, non mi sentiva. Io
gli dicevo: «Chris, sono qui, proprio qui», ma lui guardava oltre e
continuava a fare le sue cose. Io tentavo di trattenerlo, ma si
dissolveva prima che potessi…
Un lamento acuto da Rebecca.
– Pensavo che fosse perché non ci era permesso
stare insieme, come una specie di castigo, e continuavamo a
cercarci a vicenda senza mai trovarci. Poi ho capito che non è me
che vuole. Per tutto quel tempo…
– Sta’ zitta, – intimò Julia.
– Per tutto quel tempo, non aveva mai cercato
me…
– Cristo in croce, vuoi chiudere il
becco?
Da Selena salí una specie di singhiozzo. Poi
piú nulla. Il rumore tra i cipressi tacque, e scoprii che le voci
giú dal pendio tacevano, affondate come un sasso nell’acqua.
In quello spazio vuoto, Rebecca disse: –
Lenie. Cosa vuole?
– Possiamo per favore, cazzo, parlarne
piú tardi?
– Perché? – ribatté lei. – Io non ho paura di
lui –. Indicando me.
– Stammi a sentire. Lui è l’unico di cui dobbiamo aver paura. Altro
che queste stronzate sui fantasmi.
– Lenie, cosa vuole Chris?
– Oh, Cristo, ma non esiste! Quante cazzo di volte lo devo
ripetere…
Una lite tra ragazze, nient’altro. Non le
frasi fatte, gli atteggiamenti triti del gruppo di Joanne, ma
nemmeno l’incanto dorato tra cascate di arpeggi che ero venuto a
cercare quella mattina. Il potere a tre teste che avevo visto prima
era stato l’ultimo bagliore di qualcosa che si era perduto da
tempo. La luce di una stella morta.
– Lenie. Lenie. È me che vuole?
Un frammento si staccò dalla massa solida
della runa e prese una forma propria: Rebecca. Magra e sottile, in
ginocchio sull’erba. Si rivolse a me. – Non sapevo che si trattava
di Chris.
– Il fantasma, dici? – le chiesi.
Rebecca scosse la testa. – No, – disse,
semplicemente. – Quando gli ho mandato quel messaggio per
chiedergli di incontrarci qui, non sapevo chi sarebbe arrivato. Ma
avrei scommesso qualsiasi cosa che non si trattava di lui.
– Oh, Becs, – disse Julia, senza fiato, come
se le avessero dato un pugno nello stomaco. – Oh, Becs.
Dall’ombra dei cipressi alle mie spalle,
Conway disse: – Non sei obbligata a dire nulla, ma qualsiasi cosa
dirai sarà messa per iscritto e potrà essere usata come prova. Mi
hai capito?
Rebecca annuí. Sembrava congelata fino alle
ossa, come se avesse tanto freddo da non riuscire neppure a
rabbrividire.
– Perciò quando sei arrivata qui, quella
notte, – dissi, – ti aspettavi di incontrare una testa di
cazzo.
– Sí. Andrew Moore, pensavo.
– E quando hai visto Chris, non hai avuto un
ripensamento?
– Non si tratta di questo. Non cercavo di
capire se avessi ragione o torto, o cosa dovessi fare. Io lo
sapevo.
Ecco perché non aveva avuto paura, né di
Conway e Costello, né di Conway e me. Mai. Da quella notte fino a
stasera. Sapeva di essere al sicuro, perché sapeva di aver fatto la
cosa giusta. Ma oggi era cambiato qualcosa.
– Anche quando hai visto Chris? Eri ancora
sicura?
– Specialmente
allora. È stato allora che è diventato chiaro. Fino a quel momento
avevo capito tutto al contrario. Tutti quegli stupidi bastardi,
James Gillen, Marcus Wiley: non poteva trattarsi di loro. Sono
inutili, non valgono nulla. E non puoi fare un sacrificio senza
valore. Devi sacrificare qualcosa di buono.
Anche in quella luce, vidi Julia chiudere gli
occhi. E vidi il sorriso tristissimo di Selena.
– Come Chris, – dissi.
– Sí. E non m’importa cosa pensate voi, –
disse girandosi nel buio verso Julia e Selena. – Lui valeva. Era
speciale. Perciò solo quando l’ho visto ho capito davvero. E ho
fatto ciò che dovevo.
Di nuovo le voci, alla base del pendio. Piú
forti.
Alzai anch’io la voce. – Non ti dispiaceva? Un
pezzo di merda che se lo meritava era una cosa. Ma un ragazzo che
ti piaceva, un ragazzo buono? Non sei rimasta sconvolta?
– Sí. Certo. Se avessi potuto scegliere avrei
scelto un altro. Ma sarebbe stato un errore.
Si stava preparando a chiedere la seminfermità
mentale, avrei pensato se si fosse trattato di una persona piú
grande o piú scafata. Se fossimo stati al chiuso, avrei pensato che
non c’era altro che follia, in quella storia. Ma lí, nel momento in
cui tutto il suo mondo stava franando, nell’aria stellata e ricca
di profumi, mi sembrò di capire cosa intendeva. Fu un attimo, poi
persi la presa e la comprensione mi sfuggí di nuovo.
– Per questo gli ho lasciato i fiori, – disse
Rebecca.
– I fiori, – ripetei in tono neutro, come se
l’aria non si fosse messa a vibrare intorno a me.
– Quelli –. Il suo braccio salí, sottile come
una pennellata scura, indicando i giacinti. – Ne ho raccolti
quattro, uno per ciascuna di noi, e glieli ho lasciati sul petto.
Non per dire che mi dispiaceva, no. Era per dirgli addio. Per
dirgli che noi sapevamo che lui valeva.
Solo chi aveva ucciso Chris poteva sapere dei
fiori. Alle mie spalle, un lungo sospiro uscí dalla bocca di Conway
e si perse nella radura.
– Rebecca, – dissi, gentile. – Sai che
dobbiamo arrestarti, vero?
Lei mi fissava a occhi spalancati. – Non so
cosa devo fare.
– Non preoccuparti, ti daremo una mano noi. E
troveremo qualcuno che si occupi di te fino all’arrivo dei tuoi
genitori.
– Non credevo che sarebbe successo.
– Lo so. Ora alzati e vieni qui. Torniamo
dentro.
– Non posso.
Selena disse: – Ci dia un minuto. Un minuto
solo.
Avvertii il no che si preparava a uscire dalla
gola di Conway e l’anticipai: – Va bene. Ma davvero solo un
minuto.
– Becs, – disse Selena, piano. – Vieni
qui.
Rebecca si voltò verso la voce, allungò le
mani, la sua testa scomparve contro la forma scura. Le braccia
dell’una si avvilupparono intorno all’altra come ali, e si tennero
strette come se tentassero di fondersi in qualcosa che non potesse
piú essere separato. Non riuscii a capire quale delle due
singhiozzava.
Passi alle mie spalle, di corsa. Ora potevo
voltarmi, e vidi Holly, la coda di cavallo scomposta, che risaliva
il pendio a balzi disperati.
Dietro di lei, a passo tranquillo, saliva
Mackey. L’aveva vista venire ed era sceso a intercettarla,
trattenendola il piú possibile. Aveva lasciato me e Conway liberi
di fare quello che volevamo. Alla fine, per ragioni sue, aveva
deciso di fidarsi di me.
Holly superò Conway senza nemmeno guardarla,
arrivò ai limiti della radura e vide le amiche. Si bloccò come se
avesse sbattuto contro un muro. – Cos’è successo?
Conway restò in silenzio. Toccava a me. –
Rebecca ha confessato di aver ucciso Chris Harper, – dissi.
Holly voltò la testa di scatto. – Chiunque può
confessare qualsiasi cosa. L’ha fatto solo perché temeva che
altrimenti avreste arrestato me.
– Sapevi già che era stata lei.
Non negò. Non chiese cosa ne sarebbe stato di
Rebecca. Non ce n’era bisogno. Non si gettò tra le braccia delle
altre e nemmeno in quelle di suo padre, il quale riuscí a
trattenersi e non si avvicinò alla figlia. Restò immobile a
guardare le amiche immobili sull’erba, con una mano contro un
albero come per sostenersi.
– Se stamattina l’avessi saputo, – dissi, –
non mi avresti mai portato quel biglietto. Chi credevi che
fosse?
Con una voce troppo stanca e cavernosa per una
ragazza di sedici anni, rispose: – Ho sempre pensato a Joanne. Non
lei di persona, pensavo che avesse incaricato qualcuno di farlo,
forse Orla; fa sempre fare a lei il lavoro sporco. Ma ero convinta
che fosse un’idea sua. Perché Chris l’aveva lasciata.
– E hai pensato che Gemma o Alison l’avessero
scoperto, non ce la facessero piú a tacere e avessero attaccato
quel biglietto in bacheca.
– Sí, all’incirca. Gemma non l’avrebbe mai
fatto, ma è proprio il tipo di cretinata di cui è capace
Alison.
– Perché non l’hai detto subito al detective
Moran stamattina? – chiese Conway. – Perché farci correre qua e là
per tutto il giorno?
Holly la guardò come se il pensiero di tanta
stupidità le fosse insopportabile, poggiò la schiena contro il
tronco e chiuse gli occhi.
– Non volevi essere un’infame.
Un fruscio alle sue spalle. Un movimento di
Mackey.
– Di nuovo, – disse Holly. – Non volevo essere
un’infame di nuovo.
– Se mi avessi detto ciò che sapevi,
probabilmente ti sarebbe toccato testimoniare in tribunale, e il
resto della scuola avrebbe saputo che eri stata tu a parlare. Ma
volevi che l’assassina venisse presa, e quel biglietto era
l’occasione perfetta. Non era necessario dirmi nulla, bastava
indicarmi la direzione giusta e tenere le dita incrociate.
– L’altra volta non ti sei dimostrato stupido,
– disse Holly. – E non ti comportavi come se chiunque avesse meno
di vent’anni dovesse essere stupido per forza. Ho pensato che se
fossi riuscita a farti venire qui…
– E hai avuto ragione, – disse Conway.
– Già –. I tratti del suo viso alzato verso il
cielo erano da spezzare il cuore. Non riuscii a guardare Mackey. –
Che brava che sono.
– Quando hai capito che non si trattava di
Joanne? – le chiesi. – Quando siamo venuti a prenderti per andare
nell’aula di Disegno, lo sapevi già. Cos’è successo?
Il petto di Holly si sollevò e ricadde. –
Quando è scoppiata quella lampadina. È stato allora che l’ho
capito.
– Sí? Come?
Non rispose. Aveva finito.
– Pulcino, – disse Mackey, con una gentilezza
nella voce di cui non lo credevo capace. – È stata una giornata
lunga. Andiamo a casa.
Holly aprí gli occhi e lo guardò come se non
esistesse nessun altro. – Tu pensavi che fossi stata io. Che avessi
ucciso Chris.
Il viso di Mackey si chiuse. – Ne parliamo in
macchina.
– Cosa ho fatto, in tutta la vita, per farti
pensare che potrei uccidere qualcuno?
– In macchina, pulcino. Adesso.
– Hai pensato che se qualcuno mi dava fastidio
gli avrei spaccato la testa, perché sono tua figlia e noi ce
l’abbiamo nel sangue. Ma io non sono soltanto tua figlia. Sono una persona a parte.
– Lo so.
– E mi hai tenuta laggiú per permettere a loro
di far confessare Becca. Sapevi che se fossi salita l’avrei fatta
tacere. Mi hai costretto a lasciarla sola finché… – Non riuscí a
finire la frase.
– Te lo chiedo per favore, – disse Mackey. –
Andiamo a casa. Ti prego.
– Con te non vado da nessuna parte –. Holly si
raddrizzò, un pezzo alla volta, e uscí da sotto i cipressi. Mackey
prese fiato per chiamarla, ma non lo fece. Conway e io avemmo il
buon senso di non guardare dalla sua parte.
Al centro della radura, Holly cadde in
ginocchio sull’erba. Per un attimo pensai che le altre l’avrebbero
esclusa, ma si aprirono come un fiore, le loro braccia si tesero
verso di lei, la inglobarono e si chiusero intorno a lei.
Un uccello notturno passò sulla radura, con un
richiamo acuto e forte, proiettando un’ombra rapida sulle nostre
teste. Da qualche parte suonò la campanella che segnalava il
momento di spegnere le luci. Le ragazze non si mossero, e noi le
lasciammo lí tutto il tempo possibile.
Aspettammo nell’ufficio di McKenna l’arrivo
dell’assistente sociale che avrebbe portato via Rebecca. Per un
altro reato, avremmo potuto affidarla a McKenna e lasciarle
trascorrere un’ultima notte a St Kilda. Ma non per un omicidio.
Sarebbe stata portata in un istituto correzionale per minori.
Sarebbero girate voci su di lei, le altre avrebbero osservato la
ragazza nuova per capire come inquadrarla e cosa farne: alla fine,
a parte le lenzuola ruvide e l’odore forte di disinfettante
industriale, non sarebbe stato molto diverso da ciò a cui era
abituata.
McKenna era alla scrivania, con Rebecca seduta
di fronte. Conway e io stavamo in piedi. Nessuno parlava. Noi due
non potevamo, per evitare parole interpretabili come un
interrogatorio. McKenna e Rebecca per prudenza, o perché non
avevano nulla da dirci. Rebecca se ne stava con le mani in grembo
come una suora e guardava fuori dalla finestra. Era cosí impegnata
a pensare che a volte dimenticava di respirare. A un tratto ebbe un
lungo brivido.
McKenna non sapeva che faccia fare, perciò si
limitava a fissarsi le mani intrecciate sulla scrivania. Si era
rinfrescata il trucco, ma dimostrava lo stesso dieci anni piú di
quelli che aveva al mattino. Anche l’ufficio era come piú vecchio:
il sole gli dava un suo splendore, ogni ombra pareva nascondere un
segreto, il pulviscolo vibrava di ricordi. Nella luce cruda del
lampadario, la stanza sembrava soltanto logora.
L’assistente sociale – una donna grassa a
strati, come una pila di ciambelle – non era la stessa della
mattina. Lanciava qua e là occhiate furtive da cui si capiva che
nel suo lavoro vedeva molte piú case popolari con gli androni che
puzzavano di piscio che posti come St Kilda, ma disse solo: – Bene!
È ora di farci una bella dormita, eh? Noi ce ne andiamo.
– Io non sono «noi», – disse Rebecca. Si alzò
e si avviò verso la porta senza nemmeno guardarla. L’assistente
sociale schioccò la lingua e scosse il doppio o triplo mento.
Sulla soglia, Rebecca si voltò verso Conway. –
Sarà in tutti i notiziari, vero?
– Non so se l’avete già avvertita, – disse
l’assistente sociale, agitando un dito. – Non potete usare nulla di
ciò che dirà –. E a Rebecca: – Ora noi ce ne stiamo zitte come due
topolini, eh?
– I media non faranno il tuo nome, – disse
Conway. – Sei minorenne.
Rebecca sorrise come se i bambini fossimo noi.
– Su internet la mia età non importa a nessuno, – replicò. – Joanne
posterà questa storia dalla A alla Z non appena riesce a
collegarsi.
McKenna disse, rivolta a tutti i presenti, a
voce un po’ troppo alta: – Ogni studente o membro del personale di
questa scuola riceverà ordini strettissimi affinché gli eventi di
oggi non diventino di pubblico dominio. Internet o non
internet.
Seguí un secondo di silenzio. poi Rebecca
disse: – Se qualcuno mi cercherà online, anche tra cent’anni,
troverà il mio nome e quello di Chris, insieme.
Di nuovo un brivido profondo, come uno
spasmo.
– Sarà sulle prime pagine per qualche giorno,
– disse Conway, – e ci tornerà in seguito per qualche giorno ancora
–. Cioè durante il processo, ma non lo disse. – Poi scomparirà,
anche da internet. Basta la prima celebrità beccata a scopare con
la persona sbagliata, e questo caso sarà una notizia vecchia.
Rebecca riuscí ad accennare un sorriso. – Non
importa. Non m’interessa ciò che pensa la gente.
– Allora cosa volevi dire?
– Rebecca, – intervenne McKenna. – Potrai
parlare con i detective domani. Quando i tuoi genitori ti avranno
procurato un bravo avvocato.
Rebecca era una forma sottile nella cornice
della porta. Non appena si fosse voltata, sarebbe stata inghiottita
dal buio immenso del corridoio. – Io pensavo di allontanarlo da
noi, – disse. – Di allontanarlo da Lenie, cosí lei non gli sarebbe
rimasta attaccata per sempre. E ora lui è attaccato a me. Quando
l’ho visto nella sala comune…
– Io l’ho avvertita, – disse l’assistente
sociale, a denti stretti. – Mi avete sentito tutti.
– Questo significa, – proseguí Rebecca, – che
ho fatto la cosa sbagliata. Non capisco come mai, perché ero cosí
sicura…
– Io non posso costringerla a tacere, – disse
l’assistente sociale, come se qualcuno l’ascoltasse. – Non posso
certo imbavagliarla. Non è compito
mio.
– Quindi o ho capito male, oppure ho capito
bene e non fa differenza perché devo essere punita lo stesso –. Il
suo viso pallido era confuso ai bordi, come un acquerello. – Può
essere, secondo lei?
Conway alzò le mani. – Troppo difficile, per
me.
Pur innanzi a un nugolo
di pericoli, l’amicizia resta serena. Nel pomeriggio, avevo
letto quella frase nello stesso modo in cui l’aveva interpretata
lei. Ma adesso era cambiato qualcosa.
– Sí, – risposi. – Può essere.
Rebecca si voltò a guardarmi, con una luce
nello sguardo. Un sollievo profondo. – Sul serio?
– Sí. Quella poesia che hai sopra il letto,
non significa che se hai gli amici giusti non può accaderti nulla
di male. Significa che puoi sopportare qualsiasi cosa, finché hai i
tuoi amici, perché loro sono piú importanti.
Rebecca ci pensò su, senza far caso
all’assistente sociale che cercava di tirarla via. Annuí. – L’anno
scorso non l’avevo capito. Ero ancora una bambina.
– Lo rifaresti, ora, sapendo quello che sai? –
chiesi.
Rebecca rise, una risata chiara che dava i
brividi, che dissolveva quei muri stanchi e mandava la mente a
vagare nella notte. Il suo corpo non era piú indistinto, era la
cosa piú solida in quell’ufficio. – Certo, – disse. – Certo che lo
rifarei.
– Va bene, –
disse l’assistente sociale. – Adesso basta. Ora ce ne andiamo –. Afferrò Rebecca per un
braccio, affondando le dita tozze nel bicipite, e la spinse fuori.
Lei non fece una piega. I loro passi risuonarono in corridoio,
quelli affrettati dell’assistente sociale e quelli leggeri di
Rebecca, poi tornò il silenzio.
– Andiamo via anche noi, – disse Conway. –
Torneremo domani.
McKenna si voltò a guardarci come se le
facesse male il collo. – Non dubitavo che sareste tornati.
– Se i genitori di Rebecca la contattano, ci
chiami. Se Holly, Julia e Selena hanno bisogno di qualcosa che è in
camera loro, lei ha la chiave. Se qualcuno ha bisogno di parlarci,
a qualsiasi ora della notte, faccia in modo di renderlo
possibile.
– Siete stati fin troppo chiari, – disse
McKenna. – Ora andate pure.
Conway si era già avviata. Io fui piú lento.
McKenna era diventata una donna ordinaria, come una delle amiche di
mia madre, esausta per via di un marito alcolizzato o di un figlio
nei guai, che voleva solo superare la nottata.
– Come ha detto oggi, – le dissi, – questa
scuola ne ha passate tante.
– Infatti –. Chiamò a raccolta le ultime forze
per squadrarmi dall’alto in basso, nello stesso modo in cui metteva
in riga le alunne. – Apprezzo la sua tardiva preoccupazione,
detective, e sono certa che St Kilda riuscirà a superare anche la
minaccia piú grande: quella rappresentata da voi.
– Ti ha detto il fatto tuo, – commentò Conway
quando fummo abbastanza lontani. – Cosí impari a fare il leccaculo
–. Nel buio del corridoio, che avvolgeva anche la sua voce, non
solo il suo viso, non capii fino a che punto stesse
scherzando.
Uscimmo da St Kilda. La ringhiera calda sotto
la mano, l’atrio con strisce di luce bianca che entravano dalle
lunette e illuminavano le piastrelle a scacchi. I nostri passi, il
tintinnio delle chiavi della macchina di Conway, i rintocchi di un
orologio a pendolo che da qualche parte suonava la mezzanotte,
tutto si perdeva in alto, verso il soffitto invisibile. Per un
secondo, dal buio si materializzò un’ultima volta il posto che
avevo visto quella mattina: bello e irraggiungibile, tra volute di
nebbia madreperlacea.
La camminata fino alla macchina fu eterna. La
notte era aperta e ricca, odorosa di fiori tropicali ed escrementi
animali e acqua di fonte. Il parco era diventato selvaggio: ogni
raggio di luna su una foglia sembrava un digrignare di denti,
l’albero sotto il quale avevamo parcheggiato sembrava pieno di
ombre dense pronte a caderci addosso. Ogni rumore mi faceva
sussultare, ma non vedevo mai nulla. Quel luogo ci prendeva in
giro, ci avvertiva, per farci capire chi comandava.
Quando finalmente mi sedetti in macchina e
chiusi la portiera, sudavo. Pensai che Conway non avesse notato le
stesse cose, ma disse: – Sono solo stracontenta di andarmene.
– Io uguale.
Avremmo dovuto fare i salti di gioia, battere
un cinque, cose cosí. Ma non ne trovavo la voglia. Vedevo solo gli
sguardi di Holly e Julia, che seguivano l’ultima ombra di qualcosa
di bello che svaniva per sempre. Vedevo l’azzurro distante degli
occhi di Selena, fissi su qualcosa che io non potevo vedere.
Sentivo la risata di Rebecca, troppo cristallina per essere umana.
Dentro l’auto si gelava.
Conway mise in moto, fece manovra in fretta,
facendo schizzare la ghiaia da sotto le ruote, e tornò sul
vialetto.
– Il colloquio è domani alle nove, alla
Omicidi. Preferirei avere te come partner, piuttosto che qualche
testa di cazzo della squadra.
Roche e gli altri, ancora piú acidi ora che
Conway alla fine aveva risolto il suo caso di alto profilo. In
genere erano pacche sulle spalle, pinte di birra e benvenuto nel
club, ma stavolta sarebbe stato diverso. Se volevo entrare nel club
dei ragazzi della Omicidi, un giorno, la cosa migliore era
tornarmene ai Casi Freddi in fretta e furia.
– Ci sarò, – dissi.
– Te lo sei guadagnato.
– Grazie.
– Sei riuscito a superare un’intera giornata
senza combinare un casino. Cosa vuoi, una medaglia?
– Ho detto grazie, no? Cosa vuoi, un mazzo di
fiori?
Il cancello era chiuso. Il guardiano notturno
non aveva visto i nostri fari, eppure il viale d’ingresso era
lungo. Quando Conway diede un colpo di clacson, lui alzò dal laptop
uno sguardo sbigottito.
– Deficiente, – dicemmo entrambi,
all’unisono.
Il cancello si aprí adagio, con un lungo
cigolio. Non appena ci fu un varco sufficiente, Conway partí a
razzo, e per poco non ci lasciò lo specchietto laterale della MG. E
St Kilda scomparve alle nostre spalle.
Conway mise una mano nella tasca della giacca
e mi gettò qualcosa in grembo. Era la foto del biglietto. Chris
sorridente tra foglie dorate. Io so chi l’ha
ucciso.
– Su chi punteresti i tuoi soldi? –
chiese.
Anche nella penombra dell’abitacolo, i
lineamenti del ragazzo erano pieni di vita, sembrava pronto a
saltare fuori dall’immagine. Inclinai la foto verso la luce del
cruscotto, osservandolo, cercando di capire se quel sorriso
splendeva di riflesso davanti alla ragazza che stava guardando; se
diceva amore, nuovo, fresco,
infuocato. Non ci riuscii, ma dissi: – Selena.
– Anch’io.
– Sapeva che era stata Rebecca, da quando lei
gli aveva portato il telefono di Chris. Se l’è tenuto dentro per un
anno intero, ma alla fine il peso è diventato troppo e ha dovuto
dirlo.
Conway annuí. – Ma non voleva tradire l’amica,
cosí ha pensato al Posto Segreto. Era il modo perfetto per tirarlo
fuori, per far scendere la pressione, ma senza dire nulla. Selena è
abbastanza persa da non rendersi conto che dopo quel biglietto
saremmo arrivati noi. Pensava che ci sarebbero stati dei
pettegolezzi, e che dopo un paio di giorni si sarebbero
calmati.
Alla luce intermittente dei lampioni, Chris
appariva e spariva. – Ora forse smetterà di vederlo, – dissi.
Avrei voluto che Conway ribattesse con
qualcosa tipo: «È andato via, si è dissolto dalla sua mente, grazie
a noi ora sono tutti e due liberi».
– No, – disse lei. – Hai visto in che stato è?
Ormai ce l’avrà in testa per sempre.
I giardini che avevamo visto la mattina erano
deserti e silenziosi. Eravamo a pochi metri da una grande arteria,
ma tra tutto quel fogliame eravamo l’unica cosa in movimento. Il
motore della MG sembrava osceno come una pernacchia.
– Costello, – disse Conway, senza aggiungere
altro, come se non fosse sicura di cosa dire. La statua di cemento
che sembrava il manico di una tazza era illuminata da un
riflettore: i proprietari della casa volevano che tutti potessimo
apprezzarla anche di notte. O forse volevano evitare che qualcuno
la rubasse per abbinarla a una tazza alta due metri.
– Non l’hanno ancora sostituito, – disse
Conway.
– Lo so.
– O’Kelly parlava di luglio, dopo
l’approvazione del bilancio semestrale. A meno che questo caso vada
a puttane, io dovrei ancora essere nelle sue grazie. Se pensi di
fare domanda, posso metterci una buona parola.
Significava diventare partner. Io e
Conway.
Vidi tutto chiaro come il giorno. Le prese per
il culo dei ragazzi, le risatine quando avrei trovato la maschera
da schiavo sadomaso sulla scrivania. I documenti e i testimoni che
ci mettevano sempre troppo tempo ad arrivare; le serate al pub con
la squadra di cui venivamo informati solo il giorno dopo. Io che
provavo ad andare d’accordo e riuscivo solo a fare la figura
dell’idiota. Conway che non ci provava neppure.
«Significa che puoi sopportare qualsiasi cosa,
– avevo detto a Rebecca, – finché hai i tuoi amici».
– Sarebbe fantastico, – dissi. – Grazie.
Nel bagliore del cruscotto, vidi sollevarsi un
angolo della bocca di Conway. Era lo stesso accenno di sorriso che
aveva quando parlava al telefono con Sophie. – Fantastico non lo
so, – disse. – Ma dovrebbe essere divertente.
– Hai una strana idea del divertimento.
– Ringrazia che ce l’ho, perché altrimenti
resteresti impantanato ai Casi Freddi ad aspettare un’altra
occasione.
– Non mi stavo lamentando, – dissi. Anche un
angolo della mia bocca si sollevò.
– Meglio cosí –. Conway svoltò sulla strada
principale e schiacciò l’acceleratore a tavoletta. Qualcuno pestò
sul clacson, lei rispose con il dito medio e la città esplose
intorno a noi come fuochi d’artificio: insegne al neon, luci rosse
e oro, motociclette, stereo a tutto volume, vento caldo dai
finestrini aperti. La strada ci pulsava dentro e si srotolava
davanti a noi, cosí lunga e forte da bastarci per sempre.