7.
L’uscita dalle aule alla fine dell’ora fu
diversa, stavolta. Capannelli contro i muri, teste di capelli
lucenti strette insieme, il brusio di centinaia di conversazioni
sussurrate e velocissime. Vedendoci arrivare, il brusio si
interruppe e le ragazze si voltarono. Si era sparsa la voce.
Trovammo un gruppo di insegnanti che
pranzavano in sala professori: bella stanza, con una macchina per
il caffè espresso e poster di Matisse, ben arredata per tenere
tutti di buonumore. L’insegnante di Educazione fisica era di turno
alla bacheca il giorno prima, e giurò di aver controllato appena
dopo le lezioni, e con la dovuta attenzione. Aveva visto due nuovi
biglietti, quello con il labrador nero e uno di una ragazza che
risparmiava i soldi della paghetta per potersi rifare le tette.
Tutto normale, disse: quando la bacheca era ancora una novità,
apparivano decine di nuovi biglietti ogni giorno, ma ora
l’eccitazione si era calmata. Se ci fosse stato un terzo biglietto,
disse, l’avrebbe notato di sicuro.
Sguardi attenti e un piacevole odore di
stufato di manzo ci seguirono mentre uscivamo dalla sala
professori; poi non appena fummo fuori portata d’orecchio, scoppiò
un brusio di parole a bassa voce.
– Grazie a Dio, – disse Conway. – Questo
restringe il campo.
– Potrebbe avercelo messo lei, il
biglietto.
Conway saliva le scale facendo i gradini due
alla volta, di nuovo verso l’ufficio di McKenna. – La
professoressa? No, se non è un’idiota. Perché ficcarsi da sola
sull’elenco degli interrogati? Basta attaccare il biglietto un
giorno che non è di turno lei ed è fuori da ogni problema, o
quasi.
La segretaria riccioluta di McKenna aveva la
lista già pronta e stampata per noi, servizio perfetto. «Orla
Burgess, Gemma Harding, Joanne Heffernan, Alison Muldoon hanno il
permesso di trascorrere il primo periodo di studio serale nell’aula
di Educazione artistica (18.00-19.15). Julia Harte, Holly Mackey,
Rebecca O’Mara, Selena Wynne hanno il permesso di trascorrere il
secondo periodo di studio serale nell’aula di Educazione artistica
(19.45-21.00)».
– Ma guarda, – fu il commento di Conway,
prendendomi di mano la lista e appoggiando una coscia alla
scrivania della segretaria per rileggerla. – Chi l’avrebbe mai
detto. Voglio parlare con tutte e otto, separatamente. E voglio che
le andiate a prendere in classe subito, e che siano sotto
supervisione continua finché non avrò finito –. Non dovevano avere
il tempo di accordarsi su cosa dire o di far sparire qualche prova,
sempre che non l’avessero già fatto. – Prenderò l’aula di Disegno e
voglio che sia presente un’insegnante. Quella di francese, come si
chiama… Houlihan.
L’aula di Educazione artistica era libera e ci
dissero che Houlihan sarebbe arrivata di lí a poco, non appena
avesse trovato un supplente per la sua lezione. McKenna aveva
ordinato di mettere a disposizione dei poliziotti tutto ciò di cui
avevano bisogno.
Noi non avevamo bisogno di Houlihan. Se vuoi
parlare con un indiziato minorenne, è necessaria la presenza di un
«adulto appropriato»; ma se vuoi parlare con un testimone minorenne, sei tu a decidere. E se puoi
evitare l’adulto in piú è meglio. Ci sono cose che i ragazzi non
dicono, in presenza della mamma o di un insegnante.
Perciò se richiedi la presenza di un adulto
appropriato è per altri motivi. Io per esempio avevo chiamato
l’assistente sociale con Holly perché ero solo con una adolescente,
e anche per via di suo padre. Conway doveva avere i suoi motivi per
aver chiesto di Houlihan.
E anche per aver scelto proprio quell’aula. –
La bacheca, – disse sulla porta, indicando il Posto Segreto con uno
scatto del mento. – Quando la nostra ragazza passerà di qui, si
volterà a dare un’occhiata.
– A meno che non abbia un notevole
autocontrollo, – osservai.
– Se lo avesse, non avrebbe attaccato il
biglietto.
– Ma ne ha avuto abbastanza per aspettare un
anno.
– Sí, e ora non ne può piú.
Conway aprí la porta. L’aula era stata pulita
da non molto. Le lavagne e i lunghi tavoli verdi erano stati
lavati, i lavandini brillavano, cosí come i torni per i vasi.
Cavalletti e cornici in legno ammucchiati in un angolo, odore di
pittura e argilla. In fondo, una serie di alte finestre si aprivano
sul prato e sul parco. Avevo l’impressione che Conway stesse
ricordando la sua aula di Disegno a scuola: un rotolo di carta e
barattoli di colore pieni di setole di pennelli.
Spostò tre sedie mettendole in cerchio. Poi
prese da un cassetto una manciata di pastelli e li sparse sui
tavoli, spostando le sedie con l’anca per creare un po’ di
disordine. Il sole fuori rendeva l’aria calda e immobile.
Restai sulla porta a guardarla. Lei disse,
rispondendo a una domanda inespressa: – L’altra volta ho sbagliato.
Abbiamo fatto i colloqui nell’ufficio di McKenna, con lei in
qualità di adulto appropriato. Tre adulti seduti come giudici
dietro la scrivania, a fissare una ragazzina davanti.
Un’ultima occhiata tra i banchi. Prese un
gessetto giallo e si mise a scarabocchiare sulla lavagna.
– Era stata un’idea di Costello. Un colloquio
formale, come essere chiamate nell’ufficio della preside, ma
peggio. «Falle tremare di paura», aveva detto. Sembrava giusto,
aveva senso: avevamo a che fare con ragazzine abituate a fare ciò
che gli veniva detto di fare. Bastava premere sul tasto
dell’autorità e ci avrebbero raccontato tutto.
Gettò il gessetto sulla scrivania
dell’insegnante e cancellò i propri scarabocchi lasciandone solo
qualche frammento fra le strisciate del cancellino. Un pulviscolo
di gesso le mulinò intorno nel sole. – Già allora sapevo che era un
errore. Seduta lí come se avessi ingoiato una scopa, sapevo che
ogni secondo che passava le nostre chance diminuivano. Ma non
sapevo esattamente in quale altro modo procedere, e a un tratto fu
troppo tardi. E Costello… anche se sul caso c’era il mio nome, non
è che potessi dirgli di ficcarsi nel culo le sue idee e fare a modo
mio.
Strappò dei pezzi di carta da un rotolo, li
appallottolò e li gettò a terra senza guardare dove atterravano. –
Qui, sono nel loro territorio. Nessuna formalità, nessun bisogno di
alzare la guardia. E Houlihan è il tipo di insegnante a cui gli
allievi chiedono continuamente come si dice in francese
«testicolo», per farla arrossire. Quando si degnano di notare la
sua presenza in classe. Non fa tremare di paura proprio
nessuno.
Aprí una finestra, lasciando entrare un soffio
d’aria che sapeva di erba falciata.
– Stavolta, – disse, – se faccio un casino
almeno lo faccio a modo mio.
Quella era la mia occasione, pronta per essere
colta. – Se le vuoi rilassate, lascia parlare me, – dissi.
Conway mi fissò. Non abbassai lo
sguardo.
Poggiò il sedere sul davanzale. Mosse la
bocca, mi squadrò dalle scarpe fino alla punta dei capelli. Dietro
di lei, si udirono grida smorzate che provenivano dal campo, mentre
un pallone da calcio volava alto.
– Va bene, – disse alla fine. – Conduci tu. Ma
se parlo io, tu ti tappi la bocca finché ho finito. Se ti dico di
chiudere la finestra significa che sei fuori gioco, che prendo in
mano io il colloquio. E non pronunci piú nemmeno una parola finché
non te lo dico io. Capito?
Prendi e porta a
casa. – Capito, – dissi. Avvertii l’aria morbida e dorata
sfiorarmi il collo e mi chiesi se fosse finalmente arrivato il
momento, lí, in una stanza piena di echi e legno vecchio, di
provare ad aprire di nuovo quella porta chiusa. Volevo imprimermi
nella mente l’aula, fare un saluto militare.
– Voglio sapere cos’hanno combinato ieri sera.
E voglio che tu tiri fuori il biglietto all’improvviso, per vedere
la loro reazione. Se dicono: «Non sono stata io», la domanda
successiva è chi può essere stato, secondo loro. Pensi di
farcela?
– Direi proprio di sí.
– Cristo, – disse Conway, scuotendo la testa
come se faticasse a credere a ciò che stava facendo. – Cerca solo
di non stenderti sul pavimento a leccargli i piedi.
– Se gli sbattiamo in faccia il biglietto, lo
saprà tutta la scuola prima della fine delle lezioni.
– Lo so. È proprio quello che voglio.
– Non ti preoccupa?
– Che l’assassino si spaventi e cerchi di
eliminare la ragazza che ha messo il biglietto, vuoi dire?
– Sí.
Conway tamburellò su un listello con un dito,
e la vibrazione si estese a tutta la veneziana. – Voglio che
qualcosa succeda, – disse. – E questo lo farà succedere –. Si
staccò dal davanzale. Andò verso le tre sedie e ne voltò una di
nuovo verso il banco. – Se ti preoccupi per la ragazza del
biglietto, scopri chi è prima che lo scopra qualcun altro.
Udii un bussare leggero alla porta. Una faccia
da coniglio ansioso che poteva solo appartenere a Houlihan chiese,
con una pronuncia blesa: – Detective, volevate vedermi?
Il gruppo di Joanne Heffernan era quello che
aveva ronzato per primo intorno alla bacheca, quindi cominciammo
con loro. Precisamente con Orla Burgess. – Joanne si piscerà nelle
mutandine firmate, per la rabbia di non essere la prima, – disse
Conway, dopo che Houlihan fu uscita per andare a prendere la
ragazza. – E Orla ha il cervello di un gatto investito in
autostrada. Se riusciamo a beccarla con la guardia abbassata,
diamoci dentro e dirà tutto quello che sa. Cosa c’è?
Aveva notato il sorriso che avevo ricacciato
indietro. – Non hai detto che stavolta è tutto rilassamento e
niente intimidazione?
– Ma vaffanculo, – sbottò, anche lei
ricacciando indietro un accenno di sorriso. – Sí, lo so, sono una
stronza di merda. Ma se non lo fossi, tu ora non saresti qui.
– Non mi lamento.
– E fai bene. Altrimenti sono sicura che deve
esserci qualche caso senza speranza degli anni Settanta, da
risolvere con le tue tecniche di rilassamento. Intanto accomodati.
Io osservo Orla quando entra, per vedere se si volta a cercare il
biglietto in bacheca.
Mi sedetti su una delle sedie, disinvolto e
tranquillo, mentre Conway andava alla porta.
I passi rapidi di due persone in corridoio,
poi Orla apparve sulla soglia, sforzandosi di non sbottare in una
risatina nervosa. Non era bella: bassina, senza collo, vita larga e
un gran nasone a completare il tutto, ma si sforzava di compensare:
capelli biondi lisci e stirati, che dovevano esserle costati ore di
lavoro, abbronzatura finta, e si era fatta qualcosa alle
sopracciglia.
Conway mi guardò, scuotendo appena la testa:
Orla non aveva lanciato nessuna occhiata al Posto Segreto. –
Grazie, – disse a Houlihan. – Perché non si siede lí? – E la
professoressa si ritrovò seduta in un angolo in fondo all’aula
senza nemmeno aver capito bene come.
– Orla, – esordii. – Sono il detective Stephen
Moran –. La risatina repressa emerse in superficie. Evidentemente
ero un grande comico. – Accomodati –. Indicai la sedia di fronte
alla mia.
Conway si appoggiò a un banco alle mie spalle,
non troppo vicino. Orla le rivolse uno sguardo vuoto. Conway è un
tipo che non si dimentica, eppure lei l’aveva riconosciuta a
fatica.
Orla si sedette, lisciandosi la gonna sulle
ginocchia. – Si tratta di nuovo di Chris Harper? Oh, mio Dio, avete
scoperto chi…? La persona che…?
Voce nasale, acuta, pronta all’urletto o alla
moina. Con quell’accento che si sente al giorno d’oggi, come una
cattiva attrice che volesse imitare gli americani.
– Perché lo chiedi? C’è qualcosa che vuoi
dirci su Chris Harper?
Orla fece quasi un salto sulla sedia. – Eh?
No! Niente!
– Se hai qualcosa da dire, questo è il
momento, – la incalzai. – Lo sai, vero?
– Sí, assolutamente. Se sapessi qualcosa ve lo
direi. Ma non so niente, lo giuro su Dio.
Un sorriso che era quasi un tic, pieno di
speranza e paura.
Se vuoi che un testimone si apra con te, devi
capire cosa desidera. E glielo dài a palate. È una cosa in cui sono
bravo.
Orla voleva piacere alla gente. Voleva
attenzione. E poi voleva piacere ancora.
Sembra stupido, e lo è. Mi sentii deluso e
anche un po’ schifato, come davanti a una macchia di vomito. In
quel posto mi aspettavo molto, sotto quei soffitti alti, in
quell’aria profumata di sole e giacinti. Mi aspettavo qualcosa di
speciale, di raro. Qualcosa di splendente, mai visto prima.
Quella ragazza invece era uguale a centinaia
di altre con cui ero cresciuto e da cui mi ero tenuto ben lontano.
Lo stesso materiale scadente, con l’aggiunta di un falso accento e
di piú soldi spesi dall’ortodontista. Non era proprio nulla di
speciale.
Dovetti fare uno sforzo per non voltarmi a
guardare Conway. Avevo la sensazione che sapesse esattamente cosa
mi stava passando per la mente e ridesse di me.
Rivolsi a Orla un gran sorriso e mi chinai
verso di lei. – Non preoccuparti, era solo una mia speranza. Poteva
sempre darsi che sapessi qualcosa, capisci?
Mantenni il sorriso finché lei sorrise a sua
volta. – Sí –. Con patetica gratitudine. Probabilmente Joanne la
prendeva a calci per sfogarsi quando il mondo la faceva
incazzare.
– Abbiamo solo qualche domanda per te, roba di
routine, niente di serio. Se ti va di rispondere, mi daresti
davvero una mano.
– Sí, certo.
Stava ancora sorridendo. Conway si fece
indietro sul banco e tirò fuori il taccuino.
– Fantastico, – dissi. – Allora parliamo di
ieri sera. Nel primo periodo di studio serale eri qui nell’aula di
Disegno?
Occhiata difensiva verso Houlihan. – Avevamo
il permesso.
– Lo so, lo so. A proposito, come si fa ad
averlo?
– Chiediamo alla signorina Arnold, la
matrona.
– Chi di voi è andata a chiederglielo? E
quando?
Sguardo perplesso. – Non sono stata io.
– Di chi è stata l’idea di venire a studiare
qui?
Altra occhiata vuota. – Non mia.
Le credetti. Ero sicuro che la maggior parte
delle idee non fossero sue.
– Non c’è problema, – dissi, con un altro
sorriso. – Possiamo ripercorrere tutto quel che è successo un passo
alla volta? Una di voi è andata a prendere dalla signorina Arnold
la chiave della porta di comunicazione…
– Ci sono andata io. Appena prima del periodo
di studio. Poi siamo salite qui, io, Joanne, Gemma e Alison.
– E cos’avete fatto?
– Abbiamo lavorato a un compito che ci è stato
assegnato. Si tratta di fare un progetto che includa l’arte e
un’altra materia. Misto, cioè. Il nostro è arte e informatica. È
quello lí.
Appoggiato in un angolo, c’era il ritratto
alto un metro e mezzo di una donna, un quadro preraffaellita che
avevo già visto da qualche parte, non ricordavo dove. Era a metà,
emergeva da quadratini di carta colorata; la metà ancora vuota era
una griglia di quadratini, ciascuno con un codice che diceva quale
colore incollarci sopra. Lo sguardo sognante del ritratto originale
era diventato duro e imprevedibile, pericoloso.
– Si tratta di… tipo di come le persone si
vedono in modo diverso a causa di internet e dei media. – spiegò
Orla. – O cose cosí. Non è stata un’idea mia. Abbiamo diviso il
dipinto in quadratini al computer e ora ritagliamo foto di riviste
e attacchiamo un pezzo su ciascun quadratino. È un lavoro infinito,
per questo ci serviva il periodo di studio serale. Poi quando è
suonata l’ora siamo tornate in collegio e abbiamo restituito la
chiave alla signorina Arnold.
– Una di voi per caso è uscita dall’aula,
mentre eravate qui?
Orla fece un serio sforzo mnemonico,
respirando a bocca aperta. – Io sono andata in bagno, – disse dopo
un po’. – E anche Joanne. Gemma è uscita in corridoio perché doveva
fare una telefonata in privato –.
Risatina. Significava che aveva chiamato un ragazzo. – E anche
Alison è uscita per rispondere al telefono. Era sua madre.
Insomma, erano uscite tutte. – In
quest’ordine?
Sguardo vuoto. – Cosa?
Gesú santo. – Ricordi chi è uscita per
prima?
Pensa e ripensa, respiri a bocca aperta,
dopodiché: – Forse Gemma? Poi io, poi Alison e per ultima Joanne.
Forse. Non ne sono sicura.
Conway si mosse e io chiusi la bocca, ma lei
non disse nulla. Prese di tasca una foto del biglietto e me la
diede. Si risedette sul banco, con un piede su una sedia, e riaprí
il taccuino.
Mi sventolai la foto contro un dito. – Mentre
venivi qui sei passata davanti al Posto Segreto. Poi ci sei passata
di nuovo andando in bagno e tornando, e infine quando sei andata
via dopo lo studio. Giusto?
Orla annuí. Aveva gettato solo un’occhiata
distratta alla foto, senza riconoscerla.
– Una di queste volte ti sei fermata a dare
un’occhiata?
– Sí, di ritorno dal bagno. Per vedere se
c’era qualcosa di nuovo. Non ho toccato nulla.
– E c’era? Qualcosa di nuovo, intendo.
– No. Niente.
C’erano il labrador e i risparmi per operarsi
le tette, secondo la professoressa di Educazione fisica. Se Orla
non ci aveva fatto caso, poteva non aver visto nemmeno l’altro
biglietto.
– Che mi dici di te? Hai mai attaccato un
biglietto in bacheca?
Orla ebbe un brividino e sorrise. –
Forse.
Sorrisi con lei. – So che sono storie private,
non voglio i particolari. Dimmi solo quando è stata l’ultima
volta.
– Tipo un mese fa?
– Quindi, questo non è tuo.
Si ritrovò in mano la foto
all’improvviso.
Pregai che non fosse stata lei.
Avevo bisogno di mostrare a Conway di cosa ero
capace. Cinque minuti e una risposta facile mi avrebbero procurato
solo un passaggio in macchina per tornare ai Casi Freddi. Avevo
bisogno di una sfida.
E da qualche parte, in un angolo della mente,
i detective hanno pensieri primordiali. Se abbatti un predatore,
assorbi le sue qualità. Colpisci un leopardo con la lancia e
diventi piú coraggioso, piú veloce. Tutta quella patina che
rivestiva St Kilda, camminare tra porte di quercia come se fossi a
casa tua, senza sforzo: volevo quello. Volevo leccarmelo dalle
nocche insieme al sangue del mio nemico.
Quella sciocca piena di deodorante e
pettegolezzi da quattro soldi non era ciò che avevo in mente.
Sarebbe stato come abbattere il criceto grasso di un bambino.
Orla fissò la foto, mentre la comprensione si
faceva strada in lei. Poi diede uno strillo acuto e monotono, come
quei giocattoli morbidi che emettono un suono quando li
stringi.
– Orla, – dissi prima che avesse il tempo di
riprendersi. – Sei stata tu a mettere quel biglietto nel Posto
Segreto?
– No! Oddio no, lo giuro su Dio. Non so nulla
di ciò che è successo a Chris. Lo giuro su Dio.
Le credevo. Teneva la foto a braccio teso,
come se potesse saltarle addosso. Il suo sguardo si spostò da me a
Conway e poi a Houlihan, in cerca d’aiuto. Non era la nostra
ragazza, era solo una preda facile che gli dèi mi avevano gettato
in grembo per scaldarmi i muscoli.
– Allora è stata una delle tue amiche, –
dissi. – Chi?
– Non lo so! Non
so niente di questo, lo giuro giurissimo!
– Una di loro ha mai detto di avere delle idee
su Chris?
– No, no. Tutte pensiamo che sia stato quel
giardiniere. Ci sorrideva sempre, era un tipo losco, e voi lo avete
arrestato per possesso di droga, no? Ma a parte questo non sappiamo
niente. O almeno io. Se le altre sanno
qualcosa, a me non l’hanno mai detto. Chiedetelo a loro.
– Lo faremo, – dissi. Tono simpatico,
calmante. Sorriso. – Non preoccuparti, non sei nei guai.
Orla si stava calmando. Fissava la foto a
bocca aperta, cominciava a piacerle. Avrei voluto strappargliela di
mano, invece gliela lasciai. Ricordai a me stesso una cosa: quelle
che non ti piacciono sono un dono, perché non possono fregarti
facilmente, mentre quelle che ti piacciono sí.
Sopra la testa di Orla si accese una
lampadina. – Non dev’essere stata nessuna di noi. Julia Harte e il
suo gruppo sono state qui dopo. Mi sa che sono state loro.
– Tu pensi che sappiano cosa è successo a
Chris?
– Non credo. Forse, ma penso di no. Voglio
dire, non è che se lo sono inventato?
– Perché l’avrebbero fatto?
– Perché sono… oddio, strane.
– Sí? – Chino in avanti, dita intrecciate,
confidenziale e pronto al pettegolezzo. – Sul serio?
– Be’ molto tempo
fa erano a posto. Ora noi non riusciamo piú a capirle, sa? – Agita
le mani.
– Strane in che senso?
Domanda troppo difficile. Sguardo da corto
circuito. – Strane e basta.
Attesi.
– Nel senso che pensano di essere speciali –.
Un’emozione le attraversò il viso, rendendolo vivo. Malizia. –
Pensano di poter fare quello che gli pare.
Le rivolsi uno sguardo intrigato e attesi
ancora.
– Voglio dire, solo per fare un esempio, il
ballo di San Valentino. Avrebbe dovuto vederle. Pazze un totale.
Rebecca in jeans e Selena indossava
non so nemmeno che cosa, sembrava un costume teatrale! – Di nuovo
la risatina acuta, come un dito nell’orecchio. – La gente aveva
delle facce tipo, «Ci siete o ci fate»? Voglio dire, c’erano
tutti i ragazzi di St Colm. E le
fissavano. E Julia e le altre si comportavano come se nulla fosse
–. Espressione sbigottita, a bocca aperta. – Allora abbiamo capito
chiaramente che erano strane.
Le rivolsi di nuovo il mio sorriso di
simpatia. – Era febbraio, giusto?
– Febbraio dell’anno scorso –. Prima di Chris,
quindi. – E giuro su Dio, sono peggiorate molto. Quest’anno Rebecca
non è nemmeno venuta al ballo di San
Valentino. Non si truccano. Cioè, a scuola non è permesso
truccarsi, – occhiata virtuosa a Houlihan. – Ma a volte non si
truccano nemmeno per andare al Court, il centro commerciale. E una
volta, poche settimane fa, eravamo lí in tanti, ha presente? E
Julia dice che se ne torna in collegio. E uno dei ragazzi le chiede
come mai. E lei dice che ha un mal di pancia tremendo,
perché…
Occhiata imbarazzata. Si mordicchia il labbro
inferiore, incassa il collo come se volesse affondare nel
pavimento.
– Aveva i crampi per le mestruazioni, –
intervenne Conway.
Orla si sciolse in risatine, rossa in faccia
come un peperone. Aspettammo che si riprendesse.
– Cioè, lei l’ha proprio detto. Cosí, in tono normale. Tutti i ragazzi
erano schifati, tipo «Bleah!» E lei ha fatto un gesto di saluto e
se n’è andata. Capisce? Si comportano come se potessero dire e fare
quello che gli pare. Nessuna di loro ha un ragazzo, che sorpresa,
eh? E fanno finta che non sia nemmeno un problema –. Orla stava
prendendo il ritmo. Il viso acceso, una smorfia sprezzante. – E
avete visto i capelli di Selena? Oh, mio Dio. Sapete quando se
li è tagliati? Subito dopo la morte di Chris. Voglio dire, ma
quanto vuoi attirare
l’attenzione?
– Aspetta un attimo. In che senso si è
tagliata i capelli per attirare l’attenzione?
Orla tirò indietro il mento, verso il collo.
Un’espressione astuta, prudente. – Vuole far capire che lei stava
con Chris, e ora è tipo in lutto. E
noi siamo tutte tipo, «Sai quanto ce ne frega?»
– Cosa vi fa pensare che uscisse con
Chris?
Piú astuta. Piú prudente. – Lo pensiamo e
basta.
– Li avete visti baciarsi? Tenersi per
mano?
– Ah, no. Quei due non sarebbero stati cosí
ovvi.
– Come mai?
Un lampo di qualcosa. Paura. Orla pensava di
aver commesso un errore. – Non lo so. Cioè, se per loro far sapere
a tutti che stavano insieme non era un problema, non lo avrebbero
tenuto segreto. Volevo dire solo questo.
– Sí, ma se lo tenevano cosí segreto che non
si comportavano mai come due che stanno insieme, come mai voi
sapevate che stavano insieme?
Di nuovo bocca aperta e faccia perplessa. –
Eh?
Cristo. Riavvolsi il nastro e ripartii,
lentamente. – Cosa ti spinge a pensare che Chris e Selena stavano
insieme?
Occhiata vuota. Scrollata di spalle. Orla non
aveva intenzione di correre altri rischi.
– Perché lo avrebbero tenuto segreto?
Occhiata vuota. Scrollata di spalle.
– E tu? – disse Conway. – Ce l’hai un
ragazzo?
Orla si mordicchiò il labbro e fece un
sorrisetto ritroso.
– Ce l’hai?
– Una specie. È… complicato.
– Chi è?
Risatina.
– Ti ho fatto una domanda.
– È uno di St Colm. Si chiama Graham. Graham
Quinn. Ma non è che stiamo proprio insieme. Oddio, non andate da lui a dirgli che è
il mio ragazzo, capito? Cioè, in un
certo senso lo è, ma…
– Chiaro, – disse Conway, in tono secco. –
Grazie.
Io dissi: – Se dovessi scegliere una sola cosa
da dirmi su Chris Harper, quale sarebbe?
Di nuovo l’occhiata vuota. Cominciava a darmi
sui nervi. – Tipo che cosa?
– Qualsiasi cosa. Quello che secondo te è piú
importante.
– Be’ tipo che era bello?
Risatina.
Le tolsi di mano la foto. – Grazie, – dissi. –
Sei stata fantastica.
Le lasciai qualche secondo. Orla non disse
nulla. Conway non disse nulla. Era seduta sul suo banco e scriveva
o forse solo scarabocchiava sul taccuino. La vedevo con la coda
dell’occhio. Non intendevo voltarmi a guardarla in cerca
d’aiuto.
Houlihan si schiarí la voce, un modo di
chiedere senza chiedere. Mi ero dimenticato di lei.
Conway chiuse il taccuino.
– Grazie, Orla, – dissi. – Forse dovremo
parlare di nuovo con te. Se nel frattempo ti viene in mente
qualcosa che possa aiutarci, qualsiasi cosa, ecco il mio biglietto
da visita. Puoi chiamarmi a qualsiasi ora.
Orla guardò il biglietto come se le avessi
chiesto di salire con me nel retro di un furgone. Conway disse: –
Grazie. Ci vedremo di nuovo –. Poi a Houlihan, facendola
sobbalzare: – La prossima è Gemma Harding.
Le accompagnai tutte e due alla porta, con
altri sorrisi a Orla.
Conway disse: – Tipo oddio un totale?
– Tipo oddio ma che cazzo, – risposi.
Sul punto di scambiarci un’occhiata. Sul punto
di ridere.
– Non è quella che cerchiamo, – disse
Conway.
– No.
Attesi senza chiedere, per non darle la
soddisfazione, ma volevo saperlo.
– È andata bene, – disse lei.
Per poco non feci un sospiro di sollievo, ma
mi trattenni in tempo. Nascosi la foto in tasca, pronto per il
prossimo round. – C’è qualcosa che devo sapere su Gemma?
Conway sogghignò. – Pensa di essere una bomba
sexy. Continuava a chinarsi in avanti per mostrare la scollatura a
Costello. Quel poveraccio non sapeva piú dove guardare –. Il
sorriso sparí. – Ma questa non è stupida. Per niente.
Gemma era come una versione allungata di Orla.
Alta, snella, si vedeva che avrebbe voluto essere piú magra ma non
aveva il fisico. Carina, molto, ma la mandibola squadrata le
avrebbe dato un viso maschile prima dei trent’anni. Capelli biondi
lisci e molto curati, abbronzatura da lampada o creme, sopracciglia
sottilissime. Nessuna occhiata al Posto Segreto, ma Conway aveva
detto che non era stupida.
La camminata dalla porta alla sedia fu come
una sfilata in passerella. Si sedette e accavallò le gambe lunghe,
lentamente. Poi inarcò la schiena.
Anche dopo l’avvertimento di Conway non lo
capii subito, confuso dall’uniforme scolastica e dall’età. Gemma
voleva attrarmi sessualmente. Non perché le piacessi, il pensiero
non la sfiorava neppure. Solo perché ero lí.
A scuola ne avevo conosciute a decine, come
lei. E avevo imparato a non cadere nella trappola.
Lo sguardo di Conway era come uno spillo
incandescente conficcato in una scapola. Mi ripetei che «nulla di
speciale» significava «nulla che non possa gestire».
Rivolsi a Gemma un lento sorriso di
apprezzamento. – Gemma, giusto? Io sono il detective Stephen Moran.
È un piacere conoscerti.
Lei assorbí l’insieme con un sorriso appena
accennato agli angoli della bocca.
– Devo farti solo alcune domande di
routine.
– Non c’è problema. Tutto quello che vuole.
Aveva calcato apposta su «tutto». Il sorriso
sbocciò in pieno. Facile.
La versione di Gemma era la stessa di Orla,
con lo stesso finto accento americano, strascicato, annoiato, di
una troppo in gamba per perdere tempo a scuola. Piede dondolante,
sguardo attento a controllare dove guardavo io. Se parlare della
sera prima la preoccupava, non si notava.
Conway disse: – Mentre eri qui, ieri, hai
fatto una telefonata.
– Sí, al mio ragazzo –. Sembrò leccare
l’ultima parola, poi lanciò un’occhiata a Houlihan, per vedere se
l’aveva scioccata. Le chiamate durante le ore di studio ovviamente
non erano permesse.
– Come si chiama? – chiese Conway.
– Phil McDowell. È a St Colm.
Ovvio. – E per chiamarlo sei uscita, – dissi
io.
– Sono andata in corridoio. Dovevamo parlare
di cose private –. Sorriso a labbra in fuori, occhiata di traverso,
come se io meritassi le sue confidenze. O potessi meritarle.
Ricambiai il sorriso. – Mentre eri fuori hai
dato un’occhiata al Posto Segreto?
– No.
– No? Non t’interessa?
Gemma fece un’alzata di spalle. – Mi sembra
una stupidaggine. In pratica è un continuo «Tutti mi trattano male,
eppure sono cosí unica». E ovviamente nessuna di loro lo è. Tanto,
se succede qualcosa di interessante, tutti ne parlano un totale e
non c’è bisogno della bacheca.
– Non hai mai incollato lí un biglietto
tuo?
Altra scrollata di spalle. – All’inizio. Per
ridere. Non me li ricordo nemmeno. La maggior parte li avevamo
inventati –. Occhiata verso l’angolo di Houlihan. Si diede un
buffetto sul polso. – Sono stata cattiva –. Detto in tono divertito.
– E questa? – dissi, passandole la foto.
Gemma smise di dondolare il piede, le
sopracciglia scattarono in alto.
Dopo un secondo, disse lentamente: – O. Mio.
Dio.
Vera sorpresa. Si notava dal respiro
accelerato, dallo sguardo incupito, che si fecero strada attraverso
la sua sensualità costruita: un’emozione reale. Neanche lei era la
ragazza che cercavamo. Meno due.
Ma chiesi lo stesso: – L’hai attaccato
tu?
Gemma scosse la testa. Guardava il biglietto
cercando di dargli un senso.
– Davvero? Magari solo per ridere?
– Non sono stupida. Mio padre è avvocato. So
che non è una cosa da ridere.
– Qualche idea su chi può essere stato?
Scosse di nuovo la testa.
– Se dovessi tirare a indovinare?
– Non lo so. Lo giuro su Dio. Mi
sorprenderebbe molto se fosse stata una delle altre, voglio dire
Joanne, Orla o Alison, ma non ci scommetterei. So solo che se è
stata una di loro, a me non l’ha detto.
Due su due che erano pronte a gettare le
amiche nella merda pur di evitare che schizzasse addosso a loro.
Bello.
– Ma ci sono state altre persone qui dopo di
noi, ieri sera, – disse Gemma.
– Holly Mackey e le sue amiche.
– Proprio loro.
– Che tipi sono?
Sguardo diffidente. Mi tese la foto. – Non lo
so. Non ci parliamo molto.
– Come mai?
Scrollata di spalle.
Sorrisi, allusivo. – Fammi indovinare. A
occhio, direi che il tuo gruppo deve essere molto popolare tra i
ragazzi. Holly e le altre vi rovinavano l’immagine?
– Nessuna di loro è il nostro tipo, tutto qua
–. Braccia conserte. Gemma non abboccava facilmente.
Lí c’era qualcosa. Orla forse credeva davvero
alla storia che aveva raccontato su Selena che si presentava al
ballo con i vestiti sbagliati, o forse no. Ma Gemma ne sapeva di
piú. Tra i due gruppi era successo qualcosa.
Se Conway voleva entrare a gamba tesa, ora
aveva l’opportunità di farlo, ma non era compito mio. Io ero quello
gentile, quello con cui puoi confidarti. Se buttavo via la mia
parte, non aveva motivo di tenermi.
Conway non disse nulla.
– Va bene, – dissi. – Parliamo di Chris
Harper. Hai qualche idea su ciò che gli è capitato?
Scrollata di spalle. – Uno psicopatico. Il
giardiniere, Comesichiama, il tipo che avete arrestato. O un altro
che passava di qui per caso. Come faccio a saperlo?
Braccia ancora incrociate sul petto. Mi sporsi
in avanti e le feci un sorriso da bar notturno. – Gemma, parla con
me. Proviamo cosí: scegli una cosa da dirmi su Chris Harper. Una
cosa che secondo te è importante.
Lei ci pensò su. Allungò le gambe, passandosi
una mano lungo il polpaccio; era ricominciato il gioco. Io guardai,
in modo che mi cogliesse sul fatto. Avevo voglia di spingere
indietro la sedia. Ero felice dell’avvertimento di Conway. Gemma
era pericolosa come non so che, e lo sapeva.
– Chris era l’ultima persona, ma l’ultimissima
proprio, che mi sarei aspettata di vedere ammazzata.
– Sí? Come mai?
– Perché piaceva a tutti. A tutta la nostra
scuola per esempio. Alcune ragazze facevano finta di no, ma solo
per sembrare speciali o perché sapevano che tanto non c’era storia
con lui. E tutti quelli di St Colm facevano a gara per essere suoi
amici. Per questo dico che dev’essere stato qualcuno di fuori.
Nessuno avrebbe aggredito Chris di proposito.
– A te piaceva?
Scrollata di spalle. – Come ho detto, piaceva
a tutti, anche a me. Del resto sono parecchi i maschi che mi
piacciono –. Sorriso accennato, intimo.
Ricambiai con uno uguale. – Sei mai uscita con
lui?
– No –. Secco, istantaneo.
– Come mai? Se a te piaceva… – Con l’accento sul «te». Per dire:
«Tu puoi avere chiunque, se ti va».
– Non c’è un motivo preciso. Non è successo,
punto.
Si stava chiudendo di nuovo. Anche lí c’era
qualcosa.
Conway non forzò la mano, e nemmeno io. «Ecco
il mio biglietto, se ti viene in mente qualcosa», eccetera. Conway
disse alla Houlihan di portare dentro Alison Muldoon. Rivolsi a
Gemma un sorriso che era quasi una strizzata d’occhio, quando si
voltò sulla porta per controllare che le stessi guardando il
sedere.
Sospirai e mi passai una mano sulla bocca per
cancellare il sorriso. – Non è la nostra ragazza, – dissi.
– Cos’è questa storia di dire una cosa su
Chris?
Lei aveva avuto un anno per conoscerlo. Io
solo poche ore. Tutto quello che riuscivo a sapere era tanto di
guadagnato.
Ma non c’era motivo perché dovessi
familiarizzare con lui. Il caso non era mio, ero lí solo per
sbattere le ciglia, sorridere e far parlare le ragazze.
Risposi: – Cos’è questa storia dei
boyfriend?
Conway scese dal tavolo e mi venne di fronte.
– Mi stai interrogando?
– È solo una domanda.
– Le domande le faccio io a te, non il
contrario. Se vai al cesso posso anche chiederti se ti sei lavato
le mani, se mi va. Ci siamo capiti?
Il quasi sorriso non c’era piú. Dissi: – Devo
sapere quali erano i loro sentimenti per Chris. Inutile blaterare
che era tanto dolce e che bisogna rendergli giustizia, se lo dico a
qualcuno che lo odiava.
Conway mi fissò per un altro minuto. Io non
abbassai lo sguardo, pensando alle sei ragazze rimaste e a dove
sarebbe arrivata lei senza di me. Sperai che pensasse la stessa
cosa.
Tornò a sedersi sul tavolo.
– Alison, – disse. – È terrorizzata
praticamente da tutto, me compresa. Perciò terrò la bocca chiusa, a
meno che tu non faccia qualche casino. Non farlo.
Alison era una Gemma ristretta. Piccolina,
magra, spalle curve. Dita nervose che tormentavano la gonna.
Dopodiché: capelli biondi e lisci curatissimi, abbronzatura finta,
sopracciglia sottilissime. Nemmeno un’occhiata al Posto
Segreto.
Lei almeno riconobbe subito Conway. Conway
fece il suo migliore sforzo per confondersi con la tappezzeria, ma
Alison appena entrata allargò il giro per passare il piú lontano
possibile da lei.
– Alison, – dissi, rapido e dolce per
distrarla. – Sono Stephen Moran. Grazie di essere venuta –. Sorriso
rassicurante, stavolta. – Accomodati.
Non ricambiò il sorriso. Poggiò il bordo del
sedere sul bordo della sedia e mi fissò. Lineamenti da topino
bianco, o da gerbillo. Mi venne voglia di tendere le dita e
schioccare leggermente la lingua.
Invece mi limitai a dirle, in tono gentile: –
Alcune domande di routine, ci vorrà solo qualche minuto. Puoi
parlarmi di ieri, cominciando dal periodo di studio serale?
– Eravamo qui. Ma non abbiamo fatto nulla di
male. Se è stato… non so… rubato o rotto qualche oggetto, non sono
stata io. Lo giuro.
Vocina sottile appropriata al personaggio,
quasi un piagnucolio. Aveva ragione Conway, Alison aveva paura: di
combinare un casino, di fare e dire soltanto cose sbagliate. Voleva
che le dicessi che aveva fatto tutto per bene. Atteggiamento visto
un milione di volte, a scuola e con i testimoni: buffetto sulla
testa e parole adeguate.
– Ah, lo so, – dissi, in tono rassicurante. –
Non è stato rubato nulla, e nessuno ha fatto niente di male. Vorrei
solo che tu ripercorressi la serata con me, nient’altro. Puoi,
vero?
Annuí. – Va bene.
– Perfetto. Sarà come un esame dove sai tutte
le risposte e non puoi sbagliare. Che ne dici?
Accenno di sorriso. Un passettino verso la
calma.
La volevo rilassata, finché non avessi tirato
fuori la foto. Era cosí che avevo avuto le risposte da Orla e
Gemma: prima mettendole a loro agio, poi dando uno spintone.
Alison raccontò la stessa storia delle altre
due, ma a pezzi e bocconi, facendosi tirare fuori le parole con le
pinze. Era tesa, ma non capivo se fosse per un motivo buono,
cattivo o semplicemente per nessun motivo.
Confermò la versione di Orla su chi era uscito
dall’aula e in quale ordine: Gemma, Orla, lei, Joanne, e lo disse
con maggior sicurezza dell’amica. – Ottima capacità di
osservazione, – commentai, con approvazione. – È proprio quello che
ci serve. Sono venuto qui pregando di trovare una come te, lo
sai?
Un altro piccolo sorriso. Un altro
passo.
– Vuoi fare l’en plein? – chiesi. – Dimmi che
hai dato un’occhiata al Posto Segreto, a un certo punto.
– Sí. Sono uscita per… E quando sono tornata
ho dato un’occhiata –. Sguardo a Houlihan. – Solo per un secondo,
voglio dire. Poi sono subito rientrata in aula per lavorare al
progetto.
– Fantastico, era proprio ciò che speravo. E
hai notato qualche biglietto nuovo, in bacheca?
– Sí. Ce n’era uno con un cane adorabile. E un
altro con… – Sorriso nervoso, mento abbassato. – Insomma, ha
capito, no?
Non dissi nulla. Alison si agitò sulla
sedia.
– Un… il petto di una donna. Ma coperto, voglio dire! Non… – risatina acuta,
imbarazzata. – E diceva: «Sto risparmiando e appena compio
diciott’anni me ne compro un paio come queste!»
Un’ottima osservatrice. Era un corollario
della paura, la preda che guarda ovunque per individuare possibili
minacce. – Questo è tutto? Non c’era nient’altro di nuovo?
Alison scosse la testa. – Solo quelli.
Se diceva la verità, confermava ciò che già
pensavamo: Orla e Gemma erano fuori gioco. – Ottimo lavoro, –
dissi. – Perfetto. Ora dimmi una cosa: tu ci hai mai attaccato
qualche biglietto? – Sguardo nervoso. – Non c’è nulla di male se
l’hai fatto. La bacheca è lí per quello, se nessuno la usasse
sarebbe uno spreco.
Riapparve l’accenno di sorriso. – Be’, sí.
Solo un paio di messaggi. Quando c’era qualcosa che mi turbava e
non potevo parlarne con nessuno, allora, una volta o due… Ma ho
smesso da un sacco di tempo. Dovevo stare attentissima, e poi
temevo sempre che qualcuna capisse che il biglietto era mio e se la
prendesse con me perché l’avevo scritto lí invece di dirlo a lei.
Cosí ho detto basta. E ho tolto quelli che avevo attaccato
prima.
Qualcuna. Cioè
una del suo gruppo di amiche, della quale aveva paura.
Ormai era il piú rilassata possibile per lei,
cioè quasi per niente. Dissi, in tono piacevole: – Questo è uno dei
tuoi biglietti?
La foto. Alison soffocò un grido. Si premette
una mano sulla bocca, emettendo una specie di lamento acuto e
indistinto.
Aveva paura, ma non si capiva di cosa: di
essere stata scoperta, di sapere che c’era un assassino in libertà,
che qualcuno sapeva di chi si trattava… o magari era la sua
reazione automatica a ogni sorpresa. «Terrorizzata praticamente da
tutto», aveva detto Conway. E questo la rendeva indistinta, opaca,
come un’immagine vista da dietro un parabrezza sotto la
pioggia.
Chiesi di nuovo: – L’hai attaccato tu?
– No! No, no, no… Non sono stata io. Lo giuro
su Dio…
– Alison, – dissi in tono calmo, ritmato. Mi
chinai a riprendere la foto e restai chino in avanti. – Alison,
guardami. Se sei stata tu, non c’è nulla di male, capisci? Al
contrario, siamo grati alla persona che l’ha fatto. Era la cosa
giusta. Vorremmo solo capire di chi si tratta e fare due
chiacchiere con quella persona.
– Non sono stata io. Non sono stata io. La
prego…
Da lei non avrei ottenuto altro. Forzare
ancora la mano avrebbe solo rovinato il resto del colloquio e anche
la mia prossima occasione con lei.
Conway, in un angolo, giocava ancora alla
donna invisibile e mi osservava.
Mi valutava.
– Alison, – dissi. – Ti credo. Sono domande
che devo fare, capisci? È solo routine, nient’altro.
Finalmente i suoi occhi tornarono a incrociare
i miei. Dissi: – Allora, è chiaro che non sei stata tu. Hai qualche
idea su chi può essere stato? Qualcuno ha mai detto di avere dei
sospetti su ciò che è successo a Chris?
Scosse la testa.
– È possibile che sia stata una delle tue
amiche?
– Non credo. Non lo so. Chiedetelo a
loro.
Stava scivolando di nuovo verso il panico. – È
tutto quello che volevo sapere, – dissi. – Ti ringrazio molto.
Dimmi solo un’altra cosa: conosci Holly Mackey e le sue amiche,
giusto?
– Sí.
– Parlami di loro.
– Sono strane. Parecchio.
Si strinse le braccia intorno al corpo.
Sorpresa: aveva paura del gruppo di Holly.
– L’ho già sentito dire. Ma nessuno è riuscito
a spiegarci in cosa sono strane. E penso che se c’è qualcuno in
grado di farlo, sei tu.
I suoi occhi su di me, indecisi.
– Alison, – dissi con gentilezza. Stimolai in
me pensieri di forza, protezione, tutto ciò che lei desiderava.
Sguardo diretto: – Qualsiasi cosa tu sappia, dimmela. Nessuno verrà
mai a sapere che sei stata tu. Te lo prometto.
Alison disse, china in avanti, in modo che il
suo sussurro non arrivasse alle orecchie di Houlihan. – Sono
streghe.
Quella era una novità.
Mi sembrò di udire il «Ma che cazzo?» dentro
la testa di Conway.
Annuii. – Come l’hai scoperto?
Con la coda dell’occhio, vidi Houlihan
sporgersi in avanti sulla sedia. Era fuori portata d’orecchio, e se
avesse provato ad avvicinarsi Conway l’avrebbe bloccata.
Alison respirava in fretta, per lo shock di
ciò che aveva osato dire. – Prima erano, tipo, normali. Poi sono
cambiate. L’hanno notato tutti.
– Sí? Quando?
– All’inizio dell’anno scorso? Un anno e mezzo
fa?
Quindi prima di Chris. Prima di quel ballo di
San Valentino dove persino Orla aveva notato qualcosa. – La gente
diceva un sacco di cose sul perché…
– Per esempio?
– Che erano lesbiche, o che avevano subito
abusi da bambine. L’ho sentito dire. Ma noi pensavamo che fossero
streghe.
Arrischiò uno sguardo timoroso verso di me.
Chiesi: – Come mai?
– Non lo so. Cosí. È quello che abbiamo
pensato –. Alison s’ingobbí ancora di piú, per proteggere ciò che
stava nascondendo. – Non avrei nemmeno dovuto parlarne.
Bisbigliava a voce talmente bassa che Conway
smise di scrivere, per evitare di coprire la sua voce. Ci misi
qualche secondo a capire: Alison pensava di essersi esposta a una
maledizione coi fiocchi.
– Alison, parlare con noi è la cosa piú
giusta, e questo ti proteggerà.
Lei non sembrava convinta.
Udii Conway cambiare posizione sul banco.
Teneva la bocca chiusa, come aveva promesso, ma faceva
fatica.
– Solo un altro paio di domande, – dissi. – Tu
esci con qualcuno?
Il rossore salí come un’onda improvvisa. Si
raggomitolò su sé stessa, sguardo a terra, preparata ad assorbire
il colpo. Pensava che avrei riso di lei perché non aveva un
ragazzo.
Sorrisi. – Non hai ancora incontrato quello
giusto, eh? Fai benissimo ad aspettare, hai un sacco di tempo
davanti.
Un borbottio indistinto. Pensai: Conway ha la
sua risposta, ora voglio la mia. – Se dovessi scegliere una cosa da
dirmi su Chris, quale sarebbe?
– Eh? Lo conoscevo appena. Non può chiederlo
alle altre?
– Lo farò certamente. Ma tu sei la mia
osservatrice. Vorrei tanto che mi dicessi la cosa di lui che ti
aveva colpito di piú.
Stavolta il sorriso fu automatico come uno
spasmo; un semplice riflesso e basta. Alison disse: – La gente lo
notava. Non solo io, tutti.
– Come mai?
– Era… Voglio dire… proprio bello. Ed era
bravo in qualsiasi cosa: rugby, basket, parlare con la gente…
Faceva ridere tutti. Una volta l’ho sentito cantare, era
bravissimo, e tutti gli dissero di presentarsi ai provini di
X Factor. Ma non era solo questo. Era…
aveva qualcosa in piú degli altri. Entravi in una stanza con dentro
cinquanta persone, e vedevi solo Chris.
Un sottofondo nostalgico nella voce, nelle
palpebre abbassate. Gemma aveva ragione: Chris piaceva proprio a
tutti.
– Cosa gli è accaduto, secondo te?
Alison si ritrasse. – Non lo so.
– Certo che non lo sai, è logico. Ti sto solo
chiedendo di fare una supposizione. Sei la mia osservatrice,
ricordi?
Tornò l’accenno di sorriso. – Tutti dicono che
è stato il giardiniere.
Non aveva un’idea sua, o voleva nasconderla. –
Lo pensi anche tu?
Scrollata di spalle senza guardarmi. – Credo
di sí.
Lasciai estendersi il silenzio, ma lei non lo
riempí. Non aveva intenzione di aggiungere altro.
Biglietto da visita, discorsetto, sorriso. Poi
Alison corse via dall’aula come se ci fosse un incendio. Houlihan
fece fatica a starle dietro.
Conway disse: – Questa è ancora in gara.
Lo disse guardando la porta, non me. Non capii
se significava: «Stavolta hai fatto un casino».
– Provare a forzare la mano non sarebbe
servito. Ho iniziato a costruire un rapporto. Se parlerò di nuovo
con lei, magari riuscirò a ottenere una risposta.
Conway mi guardò di traverso. – Se parlerai di
nuovo con lei.
Quell’accenno di sorriso sardonico. La mia
ovvietà la divertiva.
– Sí, – dissi. – Se.
Conway aprí una nuova pagina del taccuino. –
Joanne Heffernan, – disse. – Un’autentica stronza. È tutta
tua.
Joanne sembrava il minimo comun denominatore
delle altre tre. Mi aspettavo qualcosa di impressionante, di alto
livello. Invece: statura media, magrezza media. Bellezza media.
Capelli biondi lisci curatissimi, abbronzatura finta, sopracciglia
sottili. Niente occhiata al Posto Segreto.
Solo il modo in cui mi si presentò davanti,
fianco proteso, mento in dentro, sopracciglia alzate, sembrava
dire: «Sforzati di farmi una buona impressione. Sono io il capo».
Voleva convincermi di essere importante. No,
voleva che ammettessi la sua
importanza.
– Joanne, – dissi. Per lei mi alzai in piedi.
– Sono Stephen Moran. Grazie di essere venuta.
Il mio accento. Il sistema di schedatura
automatica nel suo cervello mi scaricò nel cassetto in fondo.
Sdegnoso battito di ciglia.
– Non ho avuto scelta. E tanto per essere
chiari, avevo delle cose da fare nell’ultima ora. Non era
necessario trascorrerla seduta senza far niente e senza poter
nemmeno parlare.
– Mi dispiace molto. Non era nostra intenzione
farti aspettare a lungo. Se avessi saputo che gli altri colloqui
sarebbero durati tanto… – Le offrii la sedia. – Accomodati, per
favore.
Sguardo sprezzante a Conway mentre si sedeva,
del tipo: «Ancora tu».
– Ora, – dissi quando fummo seduti entrambi, –
dobbiamo farti solo alcune domande di routine. Le faremo anche ad
altre persone, ma io personalmente ci terrei ad avere le tue
opinioni. Può fare una grossa differenza.
Rispettoso. Mani intrecciate davanti alla
principessa dell’universo che ci stava facendo un favore.
Joanne mi esaminò. Occhi celesti inespressivi,
appena un po’ troppo grandi. Quasi nessun battito di ciglia.
Alla fine annuí, degnandosi di concedermi il
suo assenso.
– Grazie, – dissi. Gran sorriso servile. Con
la coda dell’occhio catturai un sussulto di Conway. Probabilmente
si sforzava di non vomitare. – Se non ti spiace, possiamo partire
da ieri sera? Potresti dirmi cos’hai fatto mentre eri qui, in
quest’aula?
Joanne raccontò di nuovo la stessa storia.
Lenta e chiara, parole semplici per la plebe. A Conway che prendeva
appunti: – Ce la fa a scrivere o devo rallentare?
Conway fece un ampio sorriso. – Se ho bisogno
che tu faccia qualcosa lo saprai, credimi.
– Grazie, Joanne, – ripresi io. – Sei stata
gentile a pensarci. Dimmi una cosa: mentre eri qui hai dato
un’occhiata al Posto Segreto?
– Sí, di passaggio per andare al cesso. Solo
per vedere se c’era qualcosa di interessante.
– E c’era?
Scrollò le spalle. – Sempre la stessa roba.
Noiosa.
Niente labrador, niente tette. – E qualcuno di
quei biglietti è tuo?
Rapida occhiata a Houlihan. – No.
– Sicura?
– Ehm, sí?
– Te lo chiedo solo perché una delle tue
amiche ha detto en passant che ne avevi messo qualcuno inventato,
all’inizio.
Lo sguardo di Joanne si fece gelido. –
Chi?
Allargai le mani, umile. – Non posso darti
questa informazione. Mi dispiace.
Joanne si morse l’interno di una guancia, con
una brutta smorfia. Le altre l’avrebbero pagata cara. – Se ha detto
che sono stata solo io ha mentito. L’abbiamo fatto tutte insieme. E
dopo li abbiamo tolti. Insomma, non è il dramma che lo fa sembrare
lei, volevamo solo farci due risate.
Conway aveva ragione: oltre ai segreti, su
quella bacheca finivano anche menzogne. McKenna l’aveva messa su
per i suoi scopi, le ragazze la usavano per i loro.
– Che mi dici di questo? – Le misi in mano la
foto.
Restò a bocca aperta. Sobbalzò sulla sedia.
Strillò: – Oh, mio Dio, – e si coprí la bocca con una mano.
Una reazione che piú finta non si
poteva.
Ma non significava nulla. Alcune persone sono
cosí, ogni cosa che fanno o dicono viene fuori come una menzogna.
Non perché siano grandi mentitori, ma perché sono incapaci di dire
la verità. E tu non riesci a distinguere la vera menzogna dalla
falsa.
Aspettammo che finisse la recita. Notai la sua
rapida occhiata tra gli urletti per controllare se fossimo
debitamente impressionati.
– Sei stata tu ad attaccarlo nel Posto
Segreto?
– Ehm, no? Non si
vede che sono scioccata?
Con la mano premuta sul petto, si produsse in
un respiro ansimante. Conway e io la osservammo con
interesse.
Houlihan fece per alzarsi dalla sedia,
preoccupata.
– Si sieda, – disse Conway, senza guardarla. –
È tutta scena.
Joanne le lanciò un’occhiata velenosa e smise
di ansimare.
– Magari l’hai fatto solo per ridere, e non
c’è nulla di male. Non è che siate obbligate sotto giuramento a
mettere in bacheca esclusivamente segreti veri. È solo che dobbiamo
saperlo.
– Ho detto che non sono stata io. È
chiaro?
Fare marcia indietro a quel punto significava
dire addio alla possibilità di eliminare dalla lista tutti i nomi
tranne uno.
Joanne mi fissava con l’aria di chi ha appena
pestato una merda. Era sul punto di gettarmi nello stesso bidone
della spazzatura di Conway.
– Chiarissimo, – dissi. Mi ripresi la foto e
la misi via. – Volevo solo esserne certo. Allora quale delle tue
amiche pensi sia stata?
Negli occhi di Joanne si accese qualcosa di
reale: offesa, furia. Poi scomparve.
– Ah, no –. Agitando un dito, con un accenno
di sorriso. – Nessuna di loro può averlo fatto.
Sicura al cento per cento. Voleva dire: «Non
si sarebbero azzardate».
– Allora chi?
– Ehm, è un problema mio?
– No, ma è evidente che tu hai il controllo di
tutto ciò che succede in questa scuola. Se c’è un’opinione che vale
la pena di ascoltare, è la tua.
Sorriso soddisfatto, vedendo riconosciuta la
sua importanza. – Se si tratta di qualcuno che era a scuola ieri
sera, sono state le ragazze che hanno occupato l’aula dopo di noi.
Julia e Holly e Selena e Comesichiama.
– Sul serio? Credi che sappiano qualcosa su
ciò che è successo a Chris?
Scrollata di spalle. – Forse.
– Interessante, – dissi, annuendo piú volte,
solenne. – C’è qualcosa di particolare che te lo fa pensare?
– Non ho nessuna prova. Trovare le prove è compito vostro. Io ho
solo detto la mia opinione.
– Ho bisogno della tua opinione su un’ultima
cosa. Qualsiasi idea tu abbia può esserci utile: chi ha ucciso
Chris, secondo te?
– Perché, non è stato Willy, il giardiniere?
Cioè, non so il suo nome, eravamo noi a chiamarlo cosí. Si era
sparsa la voce che aveva offerto dell’ecstasy a una ragazza in
cambio di… – Occhiata a Houlihan, la quale aveva l’aria di star
scoprendo un mondo nuovo. E non molto bello. – Cioè, non so se era
un pervertito o solo uno spacciatore, ma insomma, bleah. Pensavo sapeste che il colpevole era lui ma
non aveste abbastanza prove.
Era come con Alison. Forse lo pensava davvero,
forse era fumo negli occhi. – E credi che Holly e le sue amiche
possano avere queste prove? Come mai?
Joanne tirò in avanti la coda di cavallo,
prese una ciocca e la scrutò in cerca di doppie punte. – Sí, voi
pensate che siano angeli, che non userebbero mai droghe. Rebecca,
lei è cosí innocente, vero?
– Non l’ho ancora conosciuta. Secondo te
invece fanno uso di droghe?
Altra rapida occhiata a Houlihan. Scrollata di
spalle. – Non ho detto questo. E non voglio dire che abbiano
fatto davvero qualcosa con Willy il
giardiniere –. Sorriso sarcastico. – Sto solo dicendo che sono
delle tipe molto strane, e non so cosa
sarebbero capaci di fare. Punto.
Si vedeva che il gioco le piaceva. Lanciare
allusioni come scoregge per poi allontanarsi dalla puzza.
Continuai: – Dimmi una cosa su Chris. Scegli quella che secondo te
è la piú importante.
Joanne rifletté, mentre una smorfia spiacevole
le arricciava il labbro superiore. Poi disse: – Non mi piace l’idea
di dire qualcosa di male su di lui.
Occhiata a me da sotto le ciglia.
Mi chinai in avanti. Grave, concentrato sulla
nobile ragazza che conosceva il segreto capace di salvare il mondo.
Voce profonda. – Joanne, so che non sei il tipo da parlar male dei
morti. Ma ci sono momenti in cui la verità è piú importante della
bontà d’animo. Capisci?
Mi sembrò quasi di udire la colonna sonora con
la musica in crescendo. Avvertii la voglia di ridere di Conway,
alle mie spalle.
Joanne fece un respiro profondo, raccogliendo
il coraggio di sacrificare le proprie convinzioni morali
sull’altare della giustizia. Tutta l’atmosfera era falsa, persino
Chris Harper sembrava un personaggio inventato.
– Chris, – disse. Un sospiro, tra compatimento
e tristezza. – Povero Chris. Cosí un bel ragazzo, ma con pessimi
gusti.
– Ti riferisci a Selena Wynne?
– Non avevo intenzione di fare nomi, ma visto
che lo sapete già…
– Il fatto è, – spiegai, – che nessuno sembra
aver mai visto Chris e Selena in atteggiamenti da coppia. Hai
presente, baci, tenersi per mano, appartarsi… niente di tutto
questo. Perciò, cosa ti fa pensare che stessero insieme?
Sfarfallio di ciglia. – Preferirei non
dirlo.
Joanne si stava divertendo a farmi faticare.
Le piaceva sapere che la sua informazione valeva i miei sforzi.
Finse di riflettere, passandosi la lingua sui denti, il che non la
rese piú attraente. – Va bene, – disse. – A Chris piaceva piacere.
Capisce cosa intendo? Voleva sempre che tutte le ragazze presenti
guardassero solo lui. Ma un giorno, all’improvviso, comincia a
ignorare chiunque a parte Selena Wynne. Ora, non lo dico per essere
str… ma solo perché sono una persona sincera: Selena non è
esattamente una ragazza speciale. Si comporta come se lo fosse, ma
alla maggior parte dei ragazzi non piacciono davvero quelle come
lei… mi capisce? – Con un sorrisetto ironico, fece un gesto per
indicare qualcosa di grosso, con
entrambe le mani. – All’inizio pensavo che fosse uno di quegli
stupidi scherzi per mettere qualcuno in imbarazzo. Perché se non lo
era, sarei morta io dall’imbarazzo per Chris.
– Ma questo ancora non prova che stessero
insieme. Forse lui era innamorato di Selena e lei non voleva
saperne di lui.
– Ehm, non credo proprio? Lei poteva solo baciarsi i gomiti per
aver avuto quella fortuna. E comunque Chris non era il tipo da
perdere tempo senza sperare in una ricompensa, se capisce cosa
intendo.
– Perché avrebbero tenuto segreto il loro
rapporto?
– Probabilmente lui non voleva far sapere che
stava con quella. E non lo
biasimo.
– È per questo che non vai d’accordo con il
gruppo di Selena? Perché lei e Chris stavano insieme?
Mossa sbagliata. Di nuovo quel lampo negli
occhi, cosí freddo e violento che quasi mi tirai indietro. – Mi
scusi, eh, ma a me non importava nulla se a Chris Harper piacevano
gli ippopotami. Certo, era divertente, ma a parte questo non era
affatto un problema mio.
Mi produssi in una serie di umili cenni
affermativi: ho capito, grazie di avermi messo in riga, non
succederà piú. – Certo, capisco benissimo. Allora qual è il motivo
del disaccordo?
– Non c’è una legge per cui bisogna andare
d’accordo con tutti, no? E io sono esigente un totale nella scelta
delle persone che frequento. Ippopotami e fuori di testa? Anche no,
grazie.
Una stronza come tante. Come quelle che si
trovavano nella mia e in qualunque scuola, a un penny la dozzina.
Merce comune. Non c’era motivo perché Joanne dovesse nausearmi piú
delle altre.
– Tu ce l’hai un ragazzo? – chiese
Conway.
Joanne aspettò un paio di secondi, con una
faccia tipo: «Ho sentito un rumore?» Poi voltò lentamente la testa
dalla sua parte.
Conway sorrise. Non in modo simpatico.
– Mi scusi, ma si tratta della mia vita
privata.
– Pensavo volessi fare uno sforzo per aiutare
l’indagine, – rispose Conway.
– È cosí. Ma non capisco in che modo la mia
vita privata c’entri con l’indagine.
Può spiegarmelo?
– Guarda, non ne ho proprio voglia. Tanto mi
basta andare a St Colm per saperlo.
Io mi spalmai in faccia un doppio strato di
preoccupazione. – Non credo proprio che Joanne voglia obbligarci a
farlo, detective. Perché sa benissimo che ogni informazione in suo
possesso può esserci di grande aiuto.
Joanne riprese la faccia virtuosa. Magnanima,
rivolta a me, disse: – Esco con Andrew Moore. Suo padre è Bill
Moore, forse ne avete sentito parlare –. Un immobiliarista, di
quelli che nei notiziari vengono descritti allo stesso tempo come
bancarottieri e miliardari. Mi mostrai dovutamente
impressionato.
Joanne guardò l’orologio. – Volete sapere
altro della mia vita amorosa? O abbiamo finito?
– Arrivederci, – disse Conway. Poi, a
Houlihan. – Rebecca O’Mara.
Accompagnai Joanne alla porta e gliela tenni
aperta. Houlihan sgattaiolò dietro di lei in corridoio, senza che
Joanne si degnasse di voltarsi a guardarla.
– Un’altra che resta ancora in gara, – disse
Conway. Nulla nel suo tono suggeriva che avrei fatto meglio a
ottenere di piú.
Chiusi la porta e commentai: – Ci sono cose
che sta pensando di dirci, ma per il momento le tiene per sé.
Corrisponde al profilo di quella che può aver attaccato il
biglietto.
– Oppure vuole solo farci credere che ha
qualcosa da rivelare. O che sa per certo di una relazione tra Chris
e Selena quando in realtà non sa niente.
– Possiamo richiamarla e provare a forzare di
piú.
– No. Non adesso –. Aspettò che tornassi alla
mia sedia, poi disse, brusca: – Sei stato bravo con lei. Piú bravo
di me.
– Si vede che leccare il culo a volte
serve.
Mi lanciò un’occhiata dura ma rapida. Joanne
era da rivedere, ma intanto bisognava andare avanti. – Rebecca è
l’anello debole del suo gruppo. Timidissima, parlava sussurrando e
bastava chiederle il nome per vederla arrossire come un peperone.
Mettiti pure i guanti, per trattare con lei.
Ci fu un altro campanello di fine ora, rumore
di passi e voci. L’ora di pranzo era passata, e avrei aggredito
volentieri un hamburger, o quello che servivano alla mensa della
scuola, probabilmente filetto di manzo a chilometro zero con
insalata biologica. Ma ero deciso a non menzionare il cibo finché
non l’avesse fatto Conway. E lei non sembrava averne alcuna
intenzione.
– Muoviti con prudenza con questo gruppo, –
disse, – finché non hai il polso della situazione. Queste non sono
come le altre.