Prologo
C’è questa canzone che continua a passare in
radio, ma Holly riesce ad ascoltarne sempre solo alcune frasi.
Remember oh remember back when we
were… Una voce di ragazza, chiara, urgente, il ritmo rapido
e leggero che ti solleva in aria e ti accelera le pulsazioni, poi
scompare. Lei vorrebbe chiedere alle altre se sanno come si chiama
e chi la canta, ma non ne ascolta mai abbastanza da poter formulare
una domanda precisa. È qualcosa di sfuggente che arriva sempre
mentre stanno parlando di un argomento importante, o mentre devono
correre a prendere l’autobus; quando poi tutto torna tranquillo,
c’è solo il silenzio, o Rihanna o Nicki Minaj.
Stavolta arriva da un’auto con la capote
abbassata per assorbire tutto il sole che può, in questa estate
improvvisa che potrebbe sparire domani. Arriva da oltre la siepe ed
entra nell’area giochi del parco, dove loro stanno attente a non
sgocciolare i gelati sugli acquisti appena fatti per il ritorno a
scuola. Holly, in altalena, il viso all’insú e gli occhi socchiusi
per osservare il sole che si sposta a pendolo dietro le ciglia, si
raddrizza per ascoltare meglio. – Questa canzone, – dice. – Come
si… – Ma in quel momento un pezzo di gelato mezzo sciolto cade sui
capelli di Julia, che scende di colpo dalla giostrina gridando: –
Merda! – e si fa dare un fazzoletto da Becca e lo bagna con l’acqua
minerale di Selena e si pulisce i capelli borbottando (piú che
altro per far arrossire Becca, dice l’occhiata maliziosa che
rivolge a Holly) che è conciata come se avesse fatto un pompino a
un uomo con poca mira. Intanto l’auto è scomparsa.
Holly finisce il suo gelato e si protende
all’indietro, tenendosi alle catene dell’altalena. I capelli
sfiorano il terreno e guarda il mondo alla rovescia. Julia è
tornata a sedersi sulla giostrina e la spinge piano con i piedi,
producendo un cigolio pigro e calmante. Accanto a lei, Selena fruga
svogliatamente nella borsa degli acquisti, lasciando che sia Julia
a fare tutto il lavoro di piedi. Becca è arrampicata sulla
spalliera e lecca il gelato con la punta della lingua, per farlo
durare di piú. Oltre la siepe filtrano i rumori del traffico e urla
maschili, addolciti dal sole e dalla distanza.
– Mancano solo dodici giorni, – dice Becca, e
si guarda intorno per capire se le altre ne siano contente. Julia
solleva il cono come per un brindisi; Selena fa cincin con il
quaderno di matematica.
L’enorme borsa di carta accanto all’altalena è
stata quasi dimenticata, ma per Holly è un piacere anche quando non
ci pensa. Non vede l’ora di metterci dentro le mani, toccare con i
polpastrelli gli oggetti intatti, aspirarne l’odore di nuovo: un
raccoglitore ad anelli patinato, con gli angoli ancora non
ammaccati; matite intonate con punte affilatissime, il set da
geometria con righe e squadre dalle linee precise. E quest’anno c’è
anche dell’altro: asciugamani gialli e morbidi, incartati con un
fiocco; un copripiumone a strisce gialle e bianche, lucente dentro
la plastica.
Cip, cip, churr,
cinguetta un uccellino. L’aria è bianca e brucia le cose dai bordi
verso il centro. Selena alza lo sguardo, un lento scatto di capelli
e un sorriso aperto.
– I sacchetti di rete! – dice Julia
all’improvviso, rivolta al cielo bollente.
– Eh? – chiede Selena, fissando i suoi
pennelli disposti a ventaglio.
– Erano sulla lista delle cose da portare in
collegio. «Due sacchetti di rete per il servizio di lavanderia». Ma
dove si comprano? E a cosa servono? Non credo di averne mai visto
uno.
– Servono a tenere separate le tue cose in
lavatrice, – spiega Becca. Lei e Selena sono in collegio fin
dall’inizio, da quando tutte loro avevano dodici anni. – Cosí non
ti ritrovi con le mutande di qualcun altro.
– Mia madre me le ha comprate la settimana
scorsa, – dice Holly, raddrizzandosi sull’altalena. – Posso
chiederle dove le ha prese –. Appena pronuncia quelle parole sente
l’odore del bucato caldo appena uscito dall’asciugatrice, lei e la
mamma che scuotono un lenzuolo e lo piegano insieme, con Vivaldi in
sottofondo. A un tratto, per un momento orribile, il pensiero del
collegio diventa un vuoto che le risucchia il petto in dentro.
Vorrebbe gridare, chiamare mamma e papà, gettarsi tra le loro
braccia e chiedere di restare a casa per sempre.
– Hol, – dice Selena con gentilezza,
sorridendo mentre le passa davanti sulla giostrina. – Sarà
bellissimo, vedrai.
– Sí, – risponde Holly. Anche Becca la sta
osservando con aria preoccupata, inerpicata sulla spalliera. – Lo
so.
E il momento è passato. Rimane solo un
residuo, come una polvere granulosa che brucia nel petto: sei
ancora in tempo per cambiare idea, corri, corri, corri a casa e
abbraccia mamma e papà. Cip, cip,
churr, cinguetta l’uccellino, canzonatorio e
invisibile.
– Io prendo il letto vicino alla finestra, –
dice Selena.
– Niente da fare, – risponde Julia. – Non si
può decidere adesso, quando io e Hol non sappiamo nemmeno com’è la
stanza. Dovrai aspettare che siamo lí.
Selena ride, e continuano a girare lentamente
tra ombre di foglie calde e indistinte. – Lo sai com’è fatta una
finestra, no?
– Io deciderò sul posto. Fattene una
ragione.
Becca osserva ancora Holly da sotto le
palpebre semichiuse, mordicchiando il suo cono con aria assente. –
Io voglio il letto piú lontano da Julia, – dice Holly. Le alunne al
terzo anno sono quattro per stanza, e loro quattro staranno
insieme. – Russa come un bufalo che sta annegando.
– Ciucciati questa, io non russo per niente.
Ho un sonno delicato come una principessa delle favole.
– Qualche volta russi, – dice Becca,
arrossendo per la propria audacia. – L’ultima volta che ho dormito
da te vibrava tutta la stanza.
E Julia le mostra il dito medio, e Selena
ride, e Holly sogghigna e di nuovo non vede l’ora che arrivi il
momento.
Cip, cip, churr,
cinguetta l’uccellino un’ultima volta, ma è un suono pigro,
impastato di sonno. E si spegne.