12.
In un certo senso avevano ragione: la seconda volta che escono di notte, o la terza, non è la stessa cosa. Ma non importa. Dietro la radura dove vanno a stendersi sull’erba e a parlare c’è sempre l’altra, quella che hanno visto la prima volta, come una promessa che attende di essere mantenuta. E questo colora ogni cosa.
– Non avrei mai pensato di avere delle amiche come voi, – dice Becca, la terza notte. – Mai. Siete un miracolo.
Nemmeno Julia fa una battuta sarcastica. Le loro quattro mani sono intrecciate insieme sull’erba, morbide e calde.
Verso la fine di gennaio, le dieci e mezza di sera. Mancano quindici minuti al segnale di spegnere le luci per quelli del terzo e quarto anno, a St Kilda e a St Colm. Chris Harper si lava i denti nei bagni, avverte il freddo del pavimento che gli risale attraverso i piedi e sente due ragazzi grandi che stanno tormentando uno del primo anno, poco piú in là, e si chiede se ha voglia di andare a dirgli di smetterla. Gli restano meno di quattro mesi di vita.
Dall’altro lato della strada buia, a St Kilda, la neve scivola sulla finestra del dormitorio. Piccoli fiocchi che non attaccano. È pieno inverno: fa buio presto, nevica, fa un freddo cane. Per questo, è da una settimana che Julia e Holly e Selena e Becca non mettono il naso fuori neanche di giorno. Sono nervose per la reclusione forzata e per gli starnuti. Stanno parlando del ballo di San Valentino.
– Io non ci vado, – dice Becca.
Holly è stesa sul letto in pigiama, e copia in fretta il compito di matematica di Julia, aggiungendo un piccolo errore qua e là perché sembri piú autentico. – Per quale motivo?
– Guarda, mi brucio le unghie con un accendino, piuttosto che infilarmi in un vestitino cretino con una microgonna cretina e una scollatura ancora piú cretina. A parte che cose del genere non le ho e non le comprerò mai. Questo è il motivo.
– Ma devi andarci, – dice Julia dal suo letto, dove sta leggendo a pancia in giú.
– No.
– Se non vai al ballo, ti mandano da suor Ignatius, che ti chiederà se è perché hai subito abusi da piccola, e tu dirai di no e lei allora ti spiegherà che devi imparare l’autostima.
Becca è seduta sul letto con le braccia annodate intorno alle ginocchia. È furiosa. – Io ce l’ho, l’autostima. Proprio per questo non intendo vestirmi da stupida solo perché lo fanno tutti gli altri.
– Vaffanculo, eh? Il mio vestito non è stupido –. Julia ha un vestitino nero a pallini rossi, che le è costato mesi di risparmi. L’ha comprato in saldo un paio di settimane fa. È la cosa piú attillata che abbia mai posseduto e deve ammettere che le piace come le sta.
– Il tuo vestito va benissimo, sono io che mi sentirei stupida vestita cosí. Perché è una cosa che odio.
Selena si sta sfilando da sopra la testa la maglia del pigiama. – Perché non ti metti quello che preferisci?
– Quello che preferisco sono i jeans.
– Allora vai al ballo in jeans.
– Sí, certo. Tu lo faresti?
– Io mi metto il vestito blu di mia nonna. Quello che ti ho fatto vedere –. Si tratta di un abitino dalla gonna cortissima che sua nonna indossava negli anni Sessanta, quando faceva la commessa nei quartieri importanti di Londra. A Selena sta un po’ stretto di torace, ma ha deciso di metterlo ugualmente.
– Vedi? – replica Becca. – Hol, tu ci vai in jeans?
– Ah, merda, – dice Holly, cancellando un errore che si è rivelato piú grosso di quanto si aspettasse. – Mia madre mi ha comprato un vestito viola per Natale. Non è malaccio, forse metto quello.
– Quindi o io sarò l’unica sfigata in jeans, o devo andarmi a comprare un vestito cretino che odio, ed essere una vigliacca. No, grazie.
– Decidi per il vestito, – dice Julia, voltando una pagina. – Ci faremo delle belle risate.
Becca le mostra il dito medio, che Julia ricambia prontamente con un sorriso. Le piace la nuova Becca.
– Non è divertente. Volete davvero lasciarmi seduta da sola tutta la sera a fare gli esercizi di autostima di suor Ignatius, mentre voi vi infilate in qualche vestito cretino per…
– Allora vieni con noi, cazzo.
– Non voglio!
– E cos’è che vuoi? Che stiamo tutte a casa con te perché non te la senti di metterti un vestito? – Julia ha lasciato il libro e si siede sul letto. Al suono secco della sua voce, Holly e Selena interrompono quello che stavano facendo. – Perché, te lo dico chiaro, non ci penso proprio.
– Il punto non era quello di non fare qualcosa solo perché la fanno tutti?
– Io non vado al ballo perché ci vanno tutti, genio. Ci vado perché ci voglio andare. Perché è un divertimento, ne hai mai sentito parlare? Se tu preferisci startene qui a fare esercizi di autostima, fa’ pure. Ma io vado.
– Grazie, eh? Grazie mille. Credevo fossi mia amica.
– Amica è una cosa, serva è un’altra.
Becca è in ginocchio sul letto, pugni stretti e capelli crepitanti di furia. – Cazzo, ma chi ti ha mai chiesto di…
La lampadina emette uno sfrigolio e si spegne. Tutte lanciano un grido.
– Silenzio! – urlano allo stesso tempo le due ragazze prefetto in fondo al corridoio. – Gesú, – mormora Julia, spaventata. Si ode un tonfo e un – Ahi! – quando Selena sbatte uno stinco contro qualcosa. Poi la lampadina si riaccende da sola.
– Ma che cazzo è successo? – chiede Holly.
La lampadina splende innocente, senza nemmeno un tremolio.
– È un segno, Becs –. La nota spaventata nella voce di Julia è quasi sotto controllo. – L’universo vuole che la pianti di rompere il cazzo e ti sta dicendo di venire al ballo.
– Ah, ah, ah. Molto divertente, – ribatte Becca. La sua voce non è affatto controllata, sembra quella di una bambina, acuta e incerta. – O forse l’universo non vuole che voi andiate al ballo e si è irritato perché avete detto che ci andrete.
– Sei stata tu? – le chiede Selena.
– Vuoi scherzare, – dice Julia. – Vero?
– Becsie?
– Oh, per favore, – insiste Julia. – Non provarci nemmeno.
Selena guarda ancora Becca. Anche Holly la guarda. Alla fine lei dice: – Non lo so.
– Dio, – dice Julia. – Non riesco nemmeno… – Ricade a faccia in giú sul letto e si tira il cuscino sulla testa.
– Fallo di nuovo, – dice Selena.
– Come?
– Come hai fatto prima.
Becca fissa la lampadina come se stesse per saltarle addosso. – Guarda che non sono stata io. Non penso. Non lo so.
Julia geme sotto il cuscino. – Fa’ in fretta, – dice Holly. – Prima che soffochi, là sotto.
– Io… – Becca solleva il palmo sottile. – Ero arrabbiata. Per via del… E a un tratto… – Stringe il pugno. La luce si spegne.
Stavolta nessuna di loro grida.
– La riaccendi? – chiede la voce di Selena, tranquilla, dal buio.
La luce si riaccende. Julia si è tolta il cuscino da sopra la testa ed è di nuovo seduta.
– Oh, – dice Becca, con la schiena contro il muro e le nocche del pugno sulla bocca. – Sono stata io…?
– No, cazzo, – scatta Julia. – È un contatto. Probabilmente per via della neve.
Selena dice: – Fallo di nuovo.
Becca lo fa.
Stavolta Julia non dice nulla. Intorno a loro c’è un brivido nell’aria, che curva la luce.
– Ieri mattina, – dice Selena, – quando ci stavamo vestendo, dovevo prendere una cosa dal comodino. Ho toccato l’abat-jour e si è acceso. Ho smesso di toccarlo e si è spento.
– Un contatto, come ho detto, – dice Julia. – Che notizia.
– L’ho rifatto un sacco di volte. Per controllare.
Tutte ricordano di aver visto la lampada di Selena accendersi e spegnersi. Il maltempo stava arrivando, il cielo scuro in contrasto con le luci elettriche dava alla scuola l’aspetto di un posto chiuso e pieno di tensione. E non ci avevano piú pensato.
– Come mai non hai detto nulla?
– Avevamo fretta. Volevo pensarci su. E volevo vedere se…
Se succedeva a una delle altre. Becca si ricorda di respirare.
Holly dice, quasi controvoglia: – Questo pomeriggio, quando sono andata al cesso nell’ora di Matematica? Le luci del corridoio si spegnevano quando ci passavo sotto e si riaccendevano quando andavo oltre. Tipo, tutte. Ho pensato che fosse un guasto. La neve, o che so io.
Selena guarda Holly sollevando le sopracciglia e indica la lampadina.
– Oh, per l’amor di Dio, – dice Julia.
– Non funzionerà, – dice Holly.
Scende il silenzio. L’aria ha ancora quel tremolio da calore sulla sabbia, pronto a generare un miraggio.
Holly solleva il palmo e stringe il pugno, come ha fatto Becca. La luce si spegne. – Gesú! – strilla, e la luce si riaccende.
Silenzio, e aria pulsante. Non sanno come parlare di questo.
– Non sono una sensitiva, – protesta Holly. – O come si dice. Non lo sono. Ricordate quel test nell’aula di Scienze, dove bisognava indovinare le forme disegnate su delle schede? Sono andata da schifo.
– Anch’io, – dice Becca. – Questo è per via… lo sapete. La radura. È questa la cosa diversa –. Julia ricade sul letto e picchia varie volte la fronte sul cuscino. – Va bene, secondo te allora cos’è che è appena successo, genio?
– Te l’ho già detto. È entrata della neve in una cabina elettrica da qualche parte chissà dove. Ora possiamo riprendere a litigare sul fatto che io non sono una vera amica? Per favore?
Selena spegne e riaccende di nuovo la lampadina con il pugno. – Smettila! – sbotta Julia. – Sto cercando di leggere.
– Ma se è la neve, secondo te, – ride Selena, – perché dici a me di smettere?
– Basta. Sto leggendo.
– Prova anche tu.
– Sí, come no.
– Ti sfido a farlo.
Julia la fulmina con lo sguardo.
– Hai paura? – chiede Selena.
– Non c’è nulla di cui aver paura. È proprio questo il punto.
– Allora?
Julia non è il tipo da rifiutare una sfida. Si alza di nuovo a sedere, riluttante. – Non ci posso credere, – dice. Solleva la mano con un sospiro rumoroso e la chiude. Non succede nulla.
– Ta-da! – esclama. Con enorme irritazione, deve riconoscere che una parte di lei è dolorosamente delusa.
– Non conta, – dice Selena. – Non eri concentrata.
– Quando oggi pomeriggio è successo a me con le luci in corridoio, – interviene Holly, – Naughton mi aveva appena rimproverata, ricordi? Cliona disturbava e la prof ha pensato che fossi io. Ero incazzata nera. E…
– Ma che cazzo, – dice Julia. Si concentra su Becca che si oppone al ballo e ci riprova. Funziona.
Di nuovo silenzio. La realtà è una sensazione strana sulla pelle: guizza e ribolle intorno a loro, crea piccoli mulinelli e geyser solo per divertimento. Loro non si muovono, per evitare di provocare reazioni inaspettate.
– Peccato che non sia qualcosa di utile, – dice Holly, nel tono piú casuale possibile. Sente che è meglio non ingigantire la faccenda, per non attirare l’attenzione, non sa bene di chi. – Se avessimo la vista a raggi X potremmo leggere le domande d’esame la notte prima.
– O anche fregarcene, – dice Becca. Ha una voglia di ridere come se le stessero facendo il solletico. – Se potessimo cambiare i voti al momento buono, quello sí che sarebbe utile.
– Non credo funzioni cosí –. Selena si è accoccolata sul letto, con un gran sorriso soddisfatto. Vorrebbe abbracciare le sue amiche. – Non deve avere un’utilità. È una cosa che c’era anche prima, solo che non sapevamo come funzionava. Finora.
Julia non è contenta. Per qualche motivo le sembra che avrebbero dovuto opporsi con piú forza: correre via urlando, rifiutarsi di credere ai propri occhi, cambiare argomento… Tutto, meno comportarsi come se fosse qualcosa da liquidare con «Oh, che stranezza, eh?» e continuare come prima. Anche se alla fine non sarebbe cambiato niente, almeno non avrebbero fatto una figura da sceme.
– Se non altro, – dice, – la questione del ballo di San Valentino è risolta. Una ragazza con i superpoteri non deve farsela addosso all’idea di andarci in jeans.
Becca fa per rispondere ma le viene un attacco di risa. Cade di schiena sul letto, con tutto il corpo scosso da risatine come popcorn scoppiettanti.
– È bello vedere che hai smesso di rompere, – dice Julia. – Quindi vieni al ballo?
– Certo, – risponde Becca. – Vuoi che ci vada in costume da bagno? Perché lo faccio.
– Luci spente! – tuona un prefetto, sbattendo la mano contro la porta della stanza. Tutte spengono gli abat-jour all’istante.
Fanno pratica nella radura. Selena porta la sua lampada da lettura a batteria, Holly ha una torcia elettrica e Julia un accendino. La notte è fredda e nebbiosa, devono trovare quasi a senso la strada fino ai cipressi, sobbalzando a ogni fruscio. Anche quando arrivano alla radura vedono solo contorni distorti. Siedono in cerchio sull’erba, a gambe incrociate, e cominciano a scambiarsi le luci.
Funziona. All’inizio in modo incerto, solo tremolii e lampeggiamenti che scompaiono subito. Poi si fanno piú robusti e strappano i loro visi al buio come maschere d’oro. Qualcuna lancia un suono sorpreso, tra una risata e un sospiro, e la luce scompare. Un po’ alla volta, non sono piú tremolii ma raggi, frecce luminose tra gli alti cipressi, che svolazzano tra i rami come lucciole. Becca giurerebbe di vedere le loro scie, come scarabocchi sulle nuvole.
– E ora, per festeggiare… – Julia tira fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca del cappotto. Sono passati secoli dall’ultima volta che un tabaccaio le ha chiesto se avesse sedici anni. – Chi diceva che l’accendino non sarebbe tornato utile? – Lo solleva tra pollice e indice, fa scattare la fiamma e inclina la testa di lato per accendere la sigaretta senza bruciarsi le sopracciglia.
Si mettono comode e fumano, piú o meno. Selena ha lasciato accesa la lampada da lettura, che illumina un cerchio vivido di erba invernale nel buio, rimbalza su pezzi di jeans e schegge di facce. Holly finisce la sigaretta e si stende sulla pancia con un’altra sigaretta in mano, concentrata.
– Cosa fai? – chiede Becca, avvicinandosi per vedere meglio.
– Cerco di accenderla. Silenzio.
– Non funziona cosí, secondo me. Non è che possiamo dare fuoco a quello che ci pare, no?
– Chiudi la bocca o do fuoco a te. Mi sto concentrando.
Holly sente le parole uscirle di bocca e s’irrigidisce, pensando di aver esagerato. Ma Becca rotola di lato e le dà un calcetto nelle costole con la punta del piede. – Concentrati su questo.
Holly lascia cadere la sigaretta e le afferra il piede; lo stivale si sfila e lei salta in piedi e corre via tenendolo in mano. Becca la rincorre a saltelli, ridendo e facendo un urletto soffocato ogni volta che il piede coperto solo dal calzino tocca qualcosa di freddo.
Selena e Julia le osservano. Nel buio, sono soltanto una scia di fruscii e risate, che corre in cerchio lungo i bordi della radura. – Sei ancora preoccupata? – chiede Selena.
– No, – risponde Julia, soffiando una fila di anelli di fumo attraverso strisce di luce e ombra, che li fanno sparire e riapparire come strane creature notturne. Non ricorda nemmeno perché questa cosa le desse tanto fastidio, prima. – Volevo solo piagnucolare. Va tutto benissimo.
– Vero, – dice Selena. – Ma tu non sei una piagnucolona.
Julia volta la testa a guardare l’unica parte visibile del volto di Selena: un sopracciglio e una massa di capelli morbidi e un occhio sognante. – Credevo che lo pensassi, invece. Tipo, sta succedendo questa cosa fantastica e Julia fa i capricci e manda tutto a puttane.
– No, so perché lo facevi. Può sembrare pericoloso. A me no, in realtà, ma capisco la sensazione.
– Non avevo paura.
– Lo so.
– Dico sul serio.
– Anch’io, – ribatte Selena. – Sono felice che tu abbia deciso di provarci. Non so cosa avremmo fatto, se ti fossi rifiutata.
– Sareste andate avanti.
– No. Non senza di te. Non aveva senso.
Becca è riuscita a riprendersi lo stivale e saltella cercando di infilarlo al piede prima che Holly la spinga facendole perdere l’equilibrio. Ansimano e ridono. Julia poggia la spalla contro quella di Selena. Di solito non è il tipo da gesti sentimentali, ma di tanto in tanto poggia il gomito sulla spalla di Selena quando guardano qualcosa, o si siede schiena contro schiena con lei sul bordo della fontana, al Court. – Che sciocca che sei. Smettila –. Sente Selena spostarsi verso di lei, e restano spalla a spalla, una sensazione solida e calda.
Stanno tornando in silenzio verso la loro stanza, con le scarpe in mano, quando una voce cantilenante sorge dal buio:
– Ma guarda. Ora sí che siete nei guai.
Sussultano, si voltano, i cuori martellanti nei petti, ma la vedono solo quando esce in corridoio: Joanne Heffernan, monocromatica alla debole luce notturna, che resta sempre accesa nel caso qualcuno debba andare in bagno. Ha le braccia incrociate sul petto, un sorriso sarcastico e un babydoll con disegni di labbra dappertutto.
– Dio Cristo, – sibila Julia. Joanne fa una faccia pia per mostrare quanto disapprovi quel linguaggio. – Che cazzo, vuoi farci venire un infarto?
L’espressione da santa di Joanne si fa ancora piú intensa. – Ero preoccupata per voi. Orla è andata in bagno e vi ha viste scendere le scale. Ha pensato che andaste a fare qualcosa di pericoloso, tipo droga, alcol e simili.
Becca si lascia sfuggire una risatina. La faccia da santa di Joanne scivola via per un attimo ma torna subito a posto.
– Eravamo nella stanza del cucito a fare coperte per gli orfani in Africa, – spiega Holly.
Qualsiasi cosa dica, sembra sempre che sia la verità. Per un attimo Joanne strabuzza gli occhi. Julia dice: – Ho avuto una visione di san Fottardo, e ora so che quegli orfani hanno bisogno del nostro aiuto –. La bocca di Joanne prende una forma come se avesse morso un limone.
– Se non siete uscite, cos’è questo? – allunga una mano verso i capelli di Selena, la quale salta indietro. Joanne apre il palmo e mostra un rametto di cipresso, verde scuro, ancora freddo di aria notturna.
– Un miracolo! – dice Julia. – Sia lodato san Fottardo, patrono del giardinaggio indoor.
Joanne lascia cadere il rametto e si asciuga la mano sulla camicia da notte. – Che schifo, – dice, arricciando il naso. – Puzzate di sigarette.
– Sono i gas di scarico delle macchine per cucire, – ribatte Holly. – Letali.
Joanne la ignora. – Quindi avete la chiave della porta esterna.
– No. La porta esterna di notte ha l’allarme, genio.
Joanne forse non è un genio, ma non è nemmeno scema. – Allora è la chiave della porta di comunicazione con la scuola, e siete uscite da una finestra. Non cambia nulla.
– Se anche fosse, e non è, – dice Holly. – Tu che c’entri?
Joanne ha ancora la faccia pia, forse qualche suora le ha detto che somiglia a una santa. – È pericoloso. Potrebbe succedervi qualcosa. Potreste essere aggredite.
Altra risata soffocata di Becca. – Come se te ne fregasse qualcosa, – sbotta Julia. Sono tutte strette insieme per poter parlare a voce bassissima, ma quella vicinanza forzata le fa prudere le mani. – Vieni al punto e dicci cosa vuoi.
Joanne lascia cadere la maschera da santa. – Se vi fate beccare cosí facilmente, significa che siete troppo stupide per avere quella chiave. Datela a chi ha il cervello per usarla.
– Allora tu sei fuori concorso, – dice Becca.
Joanne la guarda come fosse un cane parlante. – E tu dovresti tornare a essere la ragazzina patetica che non riusciva ad aprire bocca. Almeno facevi compassione –. Poi, a Julia e Holly: – Spiegate alla racchiona che è meglio se sta attenta a come parla.
Julia si volta verso Becca. – Con lei ci parlo io.
– Ma chi te lo fa fare? – risponde Becca. – Andiamo a letto.
– Oh. Mio. Dio, – sbotta Joanne, battendosi una mano sulla fronte. – Come fai a non ucciderla? Il motivo per cui stiamo parlando è che se io chiamo la matrona e lei vi vede vestite cosí, saprà che siete state fuori. È questo che volete?
– No, – risponde Julia, pestando un piede a Becca. – Saremmo felici se tu tornassi a letto e dimenticassi di averci visto.
– Ovvio. Ma se vi faccio un favore cosí enorme, voi in cambio sarete gentili con me?
– Ce la possiamo fare.
– Fantastico. La chiave, prego –. Joanne tende la mano.
– Ti facciamo una copia domani.
Joanne non si prende il disturbo di rispondere. Resta lí con la mano tesa, senza guardare nessuna di loro.
– Dài, non fare la stronza.
Lei spalanca un po’ di piú gli occhi. Nient’altro.
Il silenzio cresce. Dopo un tempo lunghissimo, Julia dice: – E va bene.
Noi forse faremo una copia per voi, un giorno o l’altro, – dice Joanne, magnanima, mentre Selena allunga lentamente verso di lei la mano con la chiave. – Se ricorderete di essere gentili e se riuscirete a insegnare alla vostra stronzetta qui cosa vuol dire la parola gentilezza. Pensate di farcela?
Significa settimane, mesi, anni di sorrisi umili alle battutine cattive di Joanne, chiedendo con sottomissione se ora possono avere la loro chiave, con Joanne che inclina la testa e cerca di capire se se la sono meritata e poi, con dispiacere, decide di no. Significa la fine delle uscite notturne, la fine di tutto. Vorrebbero avvolgere l’aria buia intorno al collo di Joanne e tirare. Selena apre le dita.
Joanne allunga la mano e la tira indietro di scatto. La chiave cade a terra e rimbalza in corridoio. Lei starnazza, come se non avesse abbastanza fiato per strillare: – Ahi! Mi sono scottata. Omiodio, ahiahiahi, brucia! Cos’hai fatto…
Holly e Julia sibilano insieme: – Zitta, sta’ zitta, – ma ormai è tardi. In fondo al corridoio un prefetto si affaccia e chiede, con voce assonnata: – Cosa c’è?
Joanne si volta di scatto per gridare aiuto. – No! – sussurra Julia, prendendole un braccio. – Torna nella tua stanza. Domani avrai la chiave, te lo giuro.
– Lasciami, – ringhia Joanne, trasformando il terrore in furia. – Ve ne pentirete. Guarda la mia mano, guarda cos’avete…
La sua mano è perfetta, senza il minimo segno, ma la luce è troppo debole e Joanne non sta ferma un secondo, non ne hanno la certezza. In fondo al corridoio, la voce è meno assonnata e piú irritata. – Se mi fate venire lí, giuro su Dio…
Joanne apre di nuovo la bocca. – Se noi finiamo nei guai, – sibila Julia con quanta forza riesce, – la chiave non l’avrà nessuno. È chiaro? Va’ a letto, sistemiamo tutto domani. Vai.
– Voi siete pazze, – borbotta Joanne. – Non potete stare nella stessa scuola con la gente normale. Se ho una cicatrice sulla mano vi denuncio –. Si volta di scatto e torna in stanza. La sua camicia da notte scompare all’interno lasciandosi dietro l’immagine di una serie di labbra socchiuse.
Julia prende Becca per un braccio e corre verso la loro stanza. Le altre seguono rapide e silenziose, come lungo il sentiero che porta alla radura. Selena al passaggio raccoglie la chiave. Dentro. Porta chiusa. Holly tende l’orecchio, ma il prefetto vuole solo tornare a dormire, ora che il rumore è cessato. Sono al sicuro.
Selena e Becca ridacchiano, senza fiato, coprendosi la bocca con una manica. – La sua faccia, Dio, hai visto che faccia ha fatto? Per poco non morivo…
– Fammela toccare, – sussurra Becca. – Fammi toccare la chiave.
– Adesso non scotta, – dice Selena. – È tutto a posto.
Le altre si avvicinano al buio, allungano le dita per toccare la chiave che Selena tiene nel palmo aperto. Il calore è solo quello di un oggetto tenuto in mano, nulla di piú.
– Avete visto com’è saltata via, la chiave? – dice Becca, deliziata. – Poi è schizzata in corridoio, lontano da quella stronza.
– È rimbalzata, perché lei l’ha lasciata cadere, – dice Julia.
– È saltata. La faccia di Joanne, era fantastica. Darei qualsiasi cosa per una foto…
– Ma chi di voi è stata? – vuol sapere Holly. Accende la lampada da lettura, nascondendola in parte sotto il cuscino, cosí possono cambiarsi senza rovesciare nulla. – Sei stata tu, Becs?
– Sono stata io, credo, – dice Selena. Getta la chiave a Julia, una minuscola meteora nello spazio tra loro. – Ma non ha importanza. Se l’ho fatto io, potete farlo anche voi.
– Fantastico, – dice Becca, togliendosi tutti gli strati di vestiti in un colpo solo. Li spinge sotto il letto con un piede, infila il pigiama e si butta sul materasso. Mette il tappo della bottiglia d’acqua in equilibrio sul comodino e prova a farlo cadere senza toccarlo.
Julia infila la chiave nella cover del cellulare. – La prossima volta, – dice, – puoi lasciare questi trucchi per quando non corriamo il pericolo di finire in una cisterna di merda? Per favore?
– Non l’ho fatto apposta, – replica Selena, mentre si toglie la felpa. – È successo perché ero incazzata. E comunque, senza quel «trucco» ora Joanne avrebbe la chiave.
– Sí, certo. Ma non è che si dimenticherà di questa storia. Invece di risolvere tutto ora dovremo farlo domani. E adesso ce l’ha ancora di piú con noi.
– La sua mano sta benissimo, – assicura Selena. – Faceva solo la primadonna.
– Ottimo. Quindi abbiamo una primadonna stronza un totale che ce l’ha con noi. Ti sembra piacevole?
– Cosa facciamo? – chiede Becca, alzando gli occhi dal tappo.
– Secondo te? – risponde Holly, mentre getta strati di maglioni nell’armadio. – Le facciamo una copia della chiave. Se non vogliamo essere espulse.
– Perché dovrebbero espellerci? Joanne non può provare nulla.
– Vero. Ma non potremo piú uscire. Lei ci terrà d’occhio, e alla prima occasione correrà dalla matrona dicendo che per caso ci ha viste scendere le scale ed è tanto preoccupata per noi. La matrona aspetta, ci becca al ritorno e dopo saremo espulse.
– Ci penso io, – dice Julia. – Parlo con Joanne e le do la sua copia. Mi sembra che il ferramenta accanto al Court faccia chiavi.
– Ti tratterà come una merda, – dice Holly.
– Già. E dovrò pure scusarmi per quello che hai detto tu, bocca di rosa –. Intende Becca. – Credi che mi faccia piacere strisciare davanti a quella stronza con la faccia da culo?
– Non ne avrai bisogno, – dice Becca. – Lei ora ha paura di noi.
– Sí, ancora per una decina di secondi. Poi nella sua testa trasformerà tutto in un dramma in cui lei è l’eroina e noi le streghe malvagie che hanno provato a bruciarle una mano, ma lei è cosí speciale che non ci siamo riuscite. E dovrò scusarmi anche per quello. E convincerla che la chiave era calda solo perché Lenie la teneva in mano e la sua mano era surriscaldata perché avevamo corso –. Julia si getta sul letto e si butta di schianto sul cuscino. – Che divertimento.
– Almeno cosí abbiamo ancora la chiave.
– L’avremmo avuta lo stesso. O avrei convinto Joanne, o ne avremmo rubata un’altra. Non c’era bisogno di fare il poltergeist.
Becca dice, con la rabbia in gola: – Sempre meglio che passare mesi a dire «Sí, Joanne, no, Joanne, come vuoi tu, Joanne» e farci comandare a bacchetta da quella stronza.
Il tappo della bottiglia salta sul comodino e cade. – Guardate! – strilla Becca, e si copre la bocca con una mano mentre le altre sibilano: «Shhh!» – Ce l’ho fatta! Guardate! Ce l’ho fatta!
Figherrimo, – dice Holly. – Domani ci provo anch’io.
– Ma di che si tratta? – sbotta Julia, con veemenza improvvisa. – Questo, le luci. In cosa ci stiamo mettendo?
Le altre la guardano. In quella poca luce, è di nuovo una silhouette impenetrabile, come nella radura. Appoggiata su un gomito in un arco teso.
– Io mi sto mettendo tranquilla, – risponde Becca. – Sono felice cosí.
Holly le dà man forte. – Non è che stiamo facendo esplodere cose, o roba del genere. Non succederà nulla di orribile.
– Non potete saperlo. Non sto dicendo che rischiamo di scatenare dei demoni, solo che è una cosa molto strana. Se funzionasse esclusivamente nella radura, okay. Una cosa separata, in un posto separato. Ma succede anche qui.
– E allora? – dice Holly. – Se diventa preoccupante, smettiamo. Qual è il problema?
– Smettiamo? Come se niente fosse? Lenie, tu non desideravi che la chiave scottasse. È successo da solo, perché eri stressata. Stessa cosa con Becs, la prima volta: stavamo litigando e lei ha spento la lampadina. Che succede se suor Cornelius mi rompe i coglioni per qualcosa e un libro vola in aria e le sbatte sulla facciona? Sarebbe uno spasso, non dico di no, ma non esattamente una grande idea. O d’ora in poi devo controllarmi come un monaco zen solo per poter vivere come una persona normale?
– Parla per te, – dice Holly sbadigliando, dal suo letto. – Io sono normale.
– Io no, – scatta Becca. – E non voglio esserlo.
Interviene Selena, in tono gentile. – Dobbiamo solo abituarci. All’inizio la storia delle luci non ti piaceva, ma stasera hai detto che era tutto a posto.
– Sí, – risponde Julia, dopo un breve silenzio. La radura balza loro in mente come una fiamma; se non fosse per Joanne, lei si rimetterebbe i suoi maglioni e tornerebbe lí, dove tutto è pulito e diretto, nulla è confuso e non lampeggiano cartelli di pericolo. – Forse si tratta di questo.
– Usciremo di nuovo domani notte. E vedrai che sarà tutto a posto.
– Oh, Dio, – geme Julia, tornando a stendersi. – Se vogliamo andare domani, devo sistemare le cose con quella stronza di Heffernan. Ero quasi riuscita a dimenticarmi di lei.
– Se fa la stronza, – suggerisce Holly, – concentrati sulla sua mano e costringila a darsi uno schiaffo. Cosa può fare? Andare ad accusarti dalla matrona?
Si addormentano tra le risa.
Quando le altre dormono, Becca tira fuori un braccio da sotto le coperte nell’aria fredda e apre delicatamente lo stipo del comodino. Tira fuori, uno alla volta, il cellulare, un flaconcino di inchiostro blu, una gomma da cancellare con uno spillo piantato dentro e un fazzoletto di carta.
Inchiostro e spillo li ha rubati nell’aula di Educazione artistica, il giorno dopo il loro giuramento. Sotto le coperte solleva la maglia del pigiama e inclina il telefono in modo da illuminare la pelle chiara sotto le costole. Trattiene il fiato, per essere sicura di non muoversi, non perché ha paura del dolore. Il dolore non è un problema. Punge la pelle e traccia un punto con l’inchiostro. Sta migliorando. Ora ci sono sei puntini, che scendono a destra della gabbia toracica verso la pancia. Sono minuscoli e si notano solo guardando da molto vicino, e nessuno si avvicinerà mai tanto: uno per ogni momento perfetto: il giuramento, le prime tre fughe, le luci, e stanotte.
Becca ha cominciato a capire, da quando è iniziata questa storia, che la realtà non è ciò che ti dicono, e nemmeno il tempo lo è. Gli adulti ti martellano in testa programmi, campanelle, pause caffè, per segnare il tempo e portarti a credere che sia qualcosa di piccolo e meschino, qualcosa che raschia via poco alla volta tutto ciò che ami, finché non resta piú nulla. Sono paletti che ti ancorano a terra e t’impediscono di volare via, saltando tra mulinelli di mesi, correnti di secondi scintillanti, manciate di ore che ti scendono addosso come pioggia.
Asciuga l’inchiostro in eccesso intorno all’ultimo puntino, sputa sul fazzoletto e tampona di nuovo. Il punto blu pulsa di un dolore caldo che dà soddisfazione.
Le notti nella radura non sono biodegradabili, non possono essere raschiate via. Saranno sempre lí, se solo loro quattro saranno capaci di ritrovare la strada. Con il sostegno del giuramento, sono piú forti di qualsiasi programma o campanella. Tra dieci, venti, cinquant’anni, potranno ancora scivolare tra quei paletti e tornare nella radura, in quelle notti.
I puntini tatuati servono a questo: sono cartelli indicatori in grado di guidarla verso casa, se un giorno ne avrà bisogno.