61

Jack guardò la facciata dell’albergo alto ventitré piani. In quel momento suo padre era là dentro, chissà dove. Combatté l’impulso di camminare avanti e indietro. «Tutti quelli che entrano devono avere le credenziali, è così?»

«Esatto» disse Yuki. «Possiamo controllare il database fotografico.»

Tirò fuori il cellulare, ma l’ordine urlato di uno dei poliziotti convinse Yuki e Jack a spostarsi in fondo all’isolato.

Ryan tenne l’ombrello mentre lei lavorava.

«Sei sicuro che fossero gli uomini di Li?» domandò Midas alla radio.

«Piuttosto sicuro» disse Ryan. «Almeno due di loro erano con Li al ristorante a Buenos Aires.»

Intervenne Chavez. «Tutti i pezzi grossi dei ChiCom vengono protetti dall’Ufficio centrale di sicurezza. È una sorta di combinazione del nostro Secret Service e del Diplomatic Security Service.»

«Vero» disse Ryan. «Ma un cambio a questo punto è una coincidenza troppo grande. Chen viene pagato per uccidere, forse anche da Li stesso, e ora le guardie del corpo di Li vengono accorpate nella scorta personale di Zhao, lo stesso giorno in cui è previsto un suo incontro con mio padre. Yuki ha ragione. Questo posto è completamente protetto… da tutti tranne che dalle guardie del corpo. È impossibile guardarsi dalle guardie.»

«Hai ragione» disse Chavez. «Dobbiamo avvertire il Secret Service.»

«Aspetta!» esclamò Ryan. «Riflettiamoci un attimo. Yuki potrebbe riuscire a farci entrare.»

La donna scosse la testa. «Non ho le credenziali per entrare. Potrei ottenere un’autorizzazione, ma ci vorrà del tempo.»

«Allora no» concluse Ryan. «Ma se è un complotto omicida, apriranno il fuoco non appena avranno il sentore di un allarme. Il Secret Service non sa cosa sta succedendo. Indipendentemente da chi sia l’obiettivo, tutti i presenti nella stanza saranno facili bersagli.»

Yuki alzò il cellulare. «Avevi ragione. Tre ufficiali dell’Ufficio centrale di sicurezza sono passati alla scorta personale del presidente Zhao. Tra loro c’è anche un certo Long Yun, l’ex capo della scorta del ministro degli Esteri Li.»

«Un attimo di pazienza, ragazzi.»

Jack passò l’ombrello a Yuki e cominciò a scrivere freneticamente al cellulare. Copiò il messaggio e lo inviò. Copiò il testo, e lo inviò di nuovo. Lo copiò una terza volta, e lo inviò.

«D’accordo» disse, facendo un sospiro carico di agitazione dopo aver inviato l’ultimo messaggio. «Quando ero piccolo, mio padre si perse una delle mie partite di baseball perché doveva lavorare. La cosa gli dispiacque moltissimo. Fu allora che strinse un patto con tutti noi: ci promise che avrebbe sempre risposto a una nostra chiamata, dopo tre messaggi in rapida successione, anche se in quel momento si fosse trovato con la regina d’Inghilterra in persona.» Espirò a fondo, sempre più teso. «Bisogna sempre fidarsi dell’uomo sul campo, non è così, Midas?»

«Puoi dirlo forte» rispose Midas.

«Be’, adesso l’uomo sul campo è mio padre.»

«Che cosa gli hai scritto?» domandò Adara.

«“Tre nuovi criminali nella scorta di Zhao. Possibile violenza”. Lui saprà che cosa fare… spero.»

*

I due presidenti avevano scelto di condurre il breve colloquio bilaterale da soli, con una sola guardia del corpo a testa. Gary Montgomery pesava venti chili in più ed era dodici centimetri più alto del colonnello Huang, ma l’agente dell’Ufficio centrale di sicurezza cinese irradiava forza. Nessuno dei due avrebbe permesso che succedesse qualcosa al proprio superiore.

Gli altri due membri delle rispettive scorte presidenziali aspettavano nell’anticamera, un locale leggermente più grande di quello in cui si svolgeva l’incontro, e separato da esso attraverso una serie di doppie porte. Ryan era seduto in una delle due sedie alla destra del leader cinese. Erano vicini, a meno di un metro l’uno dall’altro, e a una certa distanza dalla finestra a parete. Alla destra di Ryan, nell’angolo della stanza grande appena tre metri per tre, si trovava un bagno.

Gli interpreti e gli assistenti sarebbero entrati in gioco più tardi, ma per adesso i due presidenti avevano la necessità di sedersi faccia a faccia e di parlarsi con sincerità. Le squadre di ricognizione delle due delegazioni avevano scelto una stanza piccola sul retro di una delle sale da ballo. I politici di tutto il mondo si incontravano spesso in quell’albergo, perché ospitava diversi spazi simili a quello: locali abbastanza piccoli da consentire un colloquio privato, con accanto un’anticamera appena più grande, le cui doppie porte potevano essere aperte per creare un’unica grande sala, con tutti gli interpreti, assistenti e fotografi necessari per incontri di questo tipo.

Zhao aveva passato un anno a Dartmouth, e parlava un inglese perfetto. A Ryan diede l’impressione di essere molto misurato, con quell’espressione quasi impenetrabile di chi deve sempre stare attento a quel che dice. Il modo migliore per scalfire la corazza delle persone come Zhao era adottare un approccio diretto, che era poi l’approccio preferito di Ryan, il quale non amava girare intorno alle questioni.

«La vostra assistenza con la nostra nave oceanografica è stata molto apprezzata, signor presidente» disse Ryan.

Zhao gli rivolse un sorriso cordiale e fece per dire qualcosa, ma Ryan continuò a parlare. «Tuttavia, mi ha preoccupato molto che l’ammiraglio Qian abbia disubbidito ai suoi ordini.»

Zhao inspirò a fondo dal naso. Non era una risposta semplice da dare. «L’ammiraglio Qian è stato arrestato. Di sicuro persino gli Stati Uniti avranno dovuto avere a che fare con comandanti insubordinati. Non esistono castelli di carte in Cina. Il partito ha il controllo assoluto.»

«Vero» disse Ryan, percependo che Zhao volesse dire altro, e dandogli il tempo per farlo. Il silenzio, aveva imparato, era spesso l’ingrediente meno usato e più necessario per un capo di Stato.

Zhao unì le mani sulle gambe. «La portacontainer Orion…»

Il cellulare di Ryan cominciò a vibrare nella tasca della giacca. Almeno si era ricordato di togliere la suoneria. Lo ignorò, e smise di suonare. Poi vibrò una seconda volta. Si fermò. Infine vibrò una terza volta. Ryan chiuse gli occhi. I suoi figli erano adulti, e conoscevano bene l’importanza di quello che faceva, la natura delicata dei suoi incontri. Maledizione, era quello il punto. Certo che sapevano tutto questo. Nessuno di loro avrebbe usato il codice che avevano stabilito insieme per aggirare il protocollo se non fosse stato importante.

Ryan mise una mano in tasca e mostrò il cellulare incriminato. «Mi scusi, signor presidente» disse leggendo il messaggio.

Era da parte di Jack.

Ryan mantenne un’espressione neutrale, facendo cenno a Montgomery di avvicinarsi. Il colonnello Huang si staccò di mezzo passo dal muro, ma Zhao gli comunicò con lo sguardo di rimanere dov’era.

«Gary, sto per farti vedere una cosa» disse Ryan, «ma devi promettermi di ascoltarmi bene prima di prendere qualsiasi misura.»

Zhao e il colonnello Huang erano sorpresi di sentire il presidente americano parlare alla sua guardia del corpo con una tale confidenza.

«Signor presidente…»

«È di fondamentale importanza.»

«Sì, signor presidente» disse Montgomery, anche se non sembrava affatto convinto.

Ryan lesse il messaggio sussurrando, nel caso qualcuno nell’anticamera stesse origliando. I due agenti si misero immediatamente fra i loro superiori e le doppie porte con le pistole in mano, cercando di occupare più spazio possibile.

«Nuove aggiunte alla sua scorta?» domandò Ryan.

«Signor presidente» lo interruppe Montgomery. «Devo chiederle di seguirmi nel bagno.»

L’unica via di uscita era dalle doppie porte.

Il colonnello Huang annuì. «Sarebbe una mossa prudente, Zhao Zhuxu.»

I due presidenti obbedirono.

Una volta entrati nel piccolo bagno, Zhao poté rispondere a Ryan. «Tre nuovi ufficiali sono stati trasferiti alla mia scorta.»

Il colonnello Huang disse qualcosa in cinese, probabilmente un’imprecazione. «Long Yun è fuori in questo momento.»

«E gli altri due nuovi?» domandò Montgomery.

«Al piano di sotto. Ma Long Yun è estremamente veloce e abile con la pistola. Non mi piace affatto ma, sinceramente, sarebbe un avversario molto pericoloso.»

«D’accordo» disse Ryan. «Alcuni membri della mia comunità d’intelligence ritengono che il ministro Li stia preparando un colpo di Stato contro di lei, o che intendano tentare di assassinarmi. In entrambi i casi, a meno che lei non sia personalmente coinvolto, verremo uccisi entrambi.»

«Le assicuro che…»

Huang interruppe il suo capo, pronto a difendere la sua persona e la sua reputazione.

«Long Yun fa parte della scorta personale del ministro Li.»

«Le credo» disse Ryan. «Ci sono prove per coinvolgerla, fin troppe, in realtà. A tonnellate. E troppo facili da trovare. Non sono d’accordo con lei e il suo governo su molte cose, presidente Zhao, ma uno sciocco non riuscirebbe mai a raggiungere la posizione che lei ricopre. Ci sono molte cose che si possono dire sul suo conto, ma non che sia un inetto.»

Zhao si tirò su gli occhiali, ma non disse niente.

«Qualcuno» disse Ryan, «ha cercato di convincermi che lei è un uomo malvagio.»

«Vogliono che lei invochi la “dottrina Ryan”» rifletté Zhao, pronunciando quelle parole come se avessero un cattivo sapore. «Per punirmi personalmente per le azioni contro la sua nazione.»

«Esattamente» disse Ryan.

Intervenne Montgomery. In qualsiasi altro caso di una minaccia al presidente, il protocollo prevedeva di parlare chiaro, proteggere ed evacuare immediatamente. Fino ad allora non aveva fatto nessuna di quelle tre cose. «Signor presidente…»

Ryan alzò la mano per interromperlo. «Per adesso siamo al sicuro, Gary. Non ci attaccheranno finché non usciamo. Ecco che cosa propongo…»

Il colonnello Huang ribolliva di rabbia quando il presidente Ryan finì di esporre il suo piano. Non poteva lasciare il leader assoluto in mano agli americani. Era una follia.

«Andrei io» disse il muscoloso agente del Secret Service. «Ma il vostro uomo si insospettirebbe e comincerebbe a sparare, vedendomi attraversare le doppie porte da solo.»

«Forse potremmo chiamare l’agente di cui mi fido davvero» propose Zhao. «Isolando Long Yun in mezzo agli agenti del vostro Secret Service.»

«Le doppie porte non si chiudono a chiave» fece notare Ryan. «Se Long mangia la foglia…»

Montgomery stava già aggiornando via radio i suoi tre agenti all’esterno. Di sicuro non doveva essere facile per loro controllare le emozioni. Huang sapeva che avrebbe dovuto fare in fretta. I rinforzi si sarebbero riversati nella stanza da un momento all’altro, e più di un innocente sarebbe morto nel conseguente scontro a fuoco.

I due agenti del Secret Service – una donna e un uomo – guardarono il colonnello Huang con circospezione quando attraversò le doppie porte e fece un cenno al maggior Ts’ai, l’unico agente di cui si fidasse ciecamente, per chiedere un cambio. Il colonnello Long si avvicinò per offrirsi volontario, ma l’agente donna del Secret Service gli bloccò la strada con noncuranza.

Il piano di Ryan prevedeva che Huang arrestasse Long Yun, ma il colonnello lo aveva visto sparare. Essendo la reazione più lenta dell’azione, il colonnello Huang Ju decise di fare a modo suo, per essere sicuro che il leader assoluto sopravvivesse. Sorridendo, alzò il lembo della giacca ed estrasse la Taurus. Trovò il grilletto con il dito mentre portava il muso dell’arma verso Long Yun, sparando due colpi da poco più di un metro di distanza. Long Yun fece mezzo passo indietro, cercando di prendere la sua pistola. Indossava un giubbotto antiproiettile, ma i colpi da nove millimetri lo stordirono abbastanza da farlo barcollare, rallentandolo per quella frazione di secondo che serviva a Huang per spostare in alto la Taurus e sparare altri due colpi, prendendo Long al collo e sopra l’occhio destro.

Il colonnello Huang lasciò cadere la pistola immediatamente, alzando le mani sopra la testa per mostrare di non essere una minaccia per i poliziotti giapponesi che si riversarono nella stanza al suono dei colpi d’arma da fuoco.

Tre agenti del Secret Service, compreso Gary Montgomery, formarono una falange protettiva intorno a Ryan e lo trascinarono nell’anticamera e oltre il corpo di Long Yun per incontrare altre sei agenti e scortarlo sul tetto fino al Marine One, già pronto a decollare.

Il presidente aveva voluto aspettare per occuparsi di Zhao, o addirittura per inglobarlo nella «bolla» formata dagli agenti del Secret Service; tuttavia, a un certo punto quelle decisioni non spettavano più al presidente.

Lo avrebbe capito. Forse. Chissà.

Ryan inviò un messaggio a Jack Junior non appena furono decollati, per fargli sapere che stava bene. Lo avrebbe chiamato più tardi, per aggiornarlo il più possibile su quanto accaduto. Si domandò se avrebbe mai scoperto come avesse fatto Jack a scoprire della scorta di Zhao, e cosa lo avesse spinto a indagare su di essa. Alcune cose, decise, era meglio se non venivano dette, quantomeno per il momento.

Telefonò a Cathy, nel caso stesse guardando il telegiornale. Non lo stava seguendo, ma era comunque bello parlarle.

Arnie e Mary Pat lo aspettarono all’Akasaka State Guesthouse, e abbozzarono una conferenza stampa in cui nominarono un uomo armato non identificato e lodarono il rapido intervento delle autorità giapponesi. Sarebbe toccato a Zhao decidere se includere o meno anche il proprio nome.

«Allora» disse Mary Pat, «sembra che il ministro degli Esteri Li avesse una qualche relazione con un agente provocatore di nome Vincent Chen. Li, insieme ad altri tre membri del partito, erano coinvolti in un colpo di Stato per cacciare Zhao e mettere Li al suo posto.»

«Mi sorprende che Zhao non abbia scoperto il piano fino a questo momento» osservò van Damm. «Sembra un uomo pacato, ma dall’esterno sembra che governi con il pugno di ferro.»

Ryan si passò una mano sul viso. Scontava gli effetti del jet lag e della minore adrenalina in circolo. «Quando eravamo sdraiati sul pavimento, aspettando che loro si occupassero di Long Yun, mi ha confidato che sospettava del ministro degli Esteri già da tempo. Pensava che il complotto servisse a farmi invocare la “dottrina Ryan”, ma ha ammesso di non credere che Li avrebbe cercato di farlo uccidere direttamente.»

«Qual era il piano?» domandò Mary Pat.

Ryan scrollò le spalle, alzando una mano e guardandola tremare. «Long Yun doveva sparare a Zhao, al colonnello Huang, alla mia scorta e a me. A quanto pare era un tiratore eccezionale. Cinque o sei colpi alla testa. Sarebbe finito tutto in un attimo, soprattutto se nessuno avesse sospettato di niente. Avrebbe semplicemente dato la colpa a noi per l’omicidio.»

«A ogni modo» disse Arnie, «è incredibile che un uomo come Zhao, arrivato a una posizione così alta, si sia fatto imbrogliare in questo modo.»

«Non me la sento ancora di toglierlo dalla categoria degli infidi bastardi» disse Ryan. «Ha ammesso che non si aspettava che l’aggressione sarebbe avvenuta così rapidamente dopo l’arrivo in Giappone. Voleva incontrarsi con Li più tardi e fargli sapere che sua moglie e suo figlio si trovavano in “custodia protettiva” dalle prime ore di questa mattina.»

«Sono sicuro che al ministro degli Esteri e ai suoi amici saranno riservati processi equi ed esecuzioni rapide» disse Arnie.

Mary Pat annuì soddisfatta. «Mi sembra giusto.»

Ryan si voltò verso Montgomery. Era appoggiato contro il muro, e non voleva perdere di vista il presidente per nessun motivo.

«Allora, Gary, hai detto al colonnello Huang che saresti uscito tu a occuparti personalmente di Long Yun se fosse stato possibile?»

«La stavo assecondando, signor presidente.»

«Mi stai dicendo che non lo avresti fatto?» rifletté Ryan. «Lasciarmi con i cinesi, intendo, mentre tu ti occupavi del resto.»

«No, signor presidente» rispose Montgomery. «Neanche per sogno.»

Potere e impero
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