27

Clark si era fatto una vaga idea dell’aspetto di Magdalena Rojas dalla descrizione di Caruso, ma non aveva mai visto una sua fotografia. In fondo a quella buca c’era il corpo di una ragazza, e all’improvviso sentì il bisogno di scoprire se fosse proprio quello di Magdalena. A pancia in giù, si lasciò scivolare verso il fondo della buca, facendo franare un piccolo rivolo di terra. Inginocchiandosi, usò un sasso piatto grande quanto la sua mano per togliere la terra intorno al braccio alzato. Non ci mise molto per fare affiorare la pelle grigia di una spalla femminile. Il collo aveva un’angolazione strana, ed era circondato da una striscia sottile di sangue causata dal laccio che dovevano aver usato per strangolarla. Sulla pelle che aveva liberato dalla terra si vedevano lunghi lividi viola. I morti non avevano lividi. La ragazza era stata percossa con estrema violenza appena prima di morire.

Clark chiuse gli occhi, e il pensiero andò a Pam Madden, un’altra ragazza assassinata in maniera simile molti anni prima. La sua morte era sopraggiunta durante un brutale stupro e, se i sospetti di Biery sui video snuff di Matarife fossero stati confermati, allora quest’altra ragazza doveva aver subito lo stesso trattamento, prima di essere gettata senza tanti complimenti in una fossa in mezzo a un campo.

Cercando di non farsi sopraffare dai ricordi, Clark fece un respiro profondo, facendo uscire abbastanza rabbia da permettergli di rimanere concentrato e determinato. Un ciuffo di capelli biondo sporco era appiccicato al collo spezzato della ragazza. Clark li toccò per essere sicuro che non fossero una parrucca; poi, mosso da pietà, ripulì il ciuffo dalla terra e lo sistemò. Scacciò via una lacrima, poi si girò sulla schiena, non riuscendo quasi a vedere gli steli di saggina dal fondo della fossa.

Avendo una certa esperienza in fatto di tecnologia, era sicuro che lassù in cielo un satellite Keyhole stesse osservando lui, un ex marine duro come la roccia, mentre scoppiava in lacrime accanto a una ragazza morta che non aveva mai incontrato prima. Si scrollò di dosso il dolore e guardò di nuovo il corpo. Era sicuro che Magdalena si trovava nelle stesse condizioni della ragazza che giaceva riversa in quella fossa, ma fu comunque sollevato di scoprire che quel corpo non era il suo. Certo, era possibile che anche la Rojas fosse sepolta lì, più in profondità, ma Clark respinse il pensiero, rimproverandosi per essersi aggrappato alla speranza invece di concentrarsi sui fatti.

Un telefono squillò in lontananza. Una voce femminile mormorò qualcosa di indecifrabile, che Clark prese per un’imprecazione. Alcuni istanti più tardi, la chiamata era finita e la donna si era rituffata in piscina. Un trattore si mise in moto, e la voce femminile gridò qualcosa in spagnolo. Poi il tono del motore cambiò quando fu inserita la marcia, e il rumore cominciò a diventare sempre più forte.

Qualcuno stava facendo un altro viaggio verso la fossa.

Clark si arrampicò fino all’estremità della buca e vide la cima della testa dell’uomo che stava guidando il trattore, diretto verso di lui. Se Clark avesse cercato di uscire in quel momento, l’altro uomo, dal suo punto di vista sopraelevato, lo avrebbe senz’altro visto. Così si lasciò cadere immediatamente, girandosi sulla schiena e rimanendo incollato alla parete della fossa più vicina alla casa. Per rimanere nascosto il più possibile, si ricoprì di uno strato di terriccio.

Mentre il trattore si faceva sempre più vicino, Clark estrasse la Glock 19 e in tutta fretta avvitò il silenziatore Gemtech sulla canna filettata. Tirò indietro il carrello di appena mezzo centimetro per assicurarsi che ci fosse un colpo in canna. Non si sopravvive fino a quell’età dando le cose per scontate.

Anche così, la Glock non sarebbe stata del tutto silenziosa, ma Clark aveva preso le sue misure. La molla di recupero avrebbe rallentato lo sparo a sufficienza da incanalare la maggior parte dei gas lungo il silenziatore invece di farli uscire dalla culatta. I proiettili subsonici, inoltre, avrebbero aiutato molto a ridurre il rumore dello sparo.

Quando il trattore entrò nella radura, Clark udì frusciare gli steli delle piante contro la sua superficie. D’un tratto gli venne in mente che poteva trattarsi di un retroescavatore o di un altro tipo di bulldozer, che avrebbe potuto ricoprirlo di terra prima che potesse uscire dalla buca; il motore, però, sembrava più piccolo, simile a quello del trattore che Clark aveva nella sua fattoria. Poi il mezzo si fermò. Sopra di lui, ma fuori del suo campo visivo, il conducente spense il motore. Quando l’uomo scese a terra Clark lo sentì mugugnare, come se fosse sovrappeso. Sentì il fruscio di un rivestimento in plastica, e si irrigidì quando vide dell’altro terriccio cadere nella fossa. L’uomo era vicino, molto vicino. Da un momento all’altro si sarebbe sporto all’interno. Clark sentì un altro suono, ma non riuscì a decifrarlo. Forse era quello di una pala conficcata nel terreno.

Poi udì l’uomo accendere un fiammifero, e l’odore del fumo di sigaretta si propagò anche in fondo alla fossa. Clark lo sentì abbassare la lampo dei pantaloni e di lì a poco l’uomo si svuotò la vescica a meno di tre metri da lui, mentre fumava canticchiando Cuerno de Chivo, un narcocorrido o «ballata della droga»; il titolo della canzone significava «corno di capra», che era anche un altro modo per indicare il fucile AK-47. Mentre parlava di spaccare la testa ai nemici con un corno di capra, l’uomo si tirò su la lampo.

Clark dovette trarre un respiro profondo per calmarsi. Orinare accanto alla fossa di una ragazza morta e cantare allegramente di un assassinio: era una duplice prova del fatto che quell’uomo fosse tutt’altro che uno spettatore innocente.

Da sopra di lui arrivarono altri mugugni e grugniti, e poi un tonfo pesante, quando l’uomo cominciò a trascinare qualcosa nel terreno dal retro di un carro. Continuando a cantare con grande piacere delle gioie di uccidere, scaricò un’altra giovane donna nella buca. Sul momento Clark non prestò attenzione al corpo, concentrandosi sul bordo della fossa, in attesa.

Quando l’uomo si sporse per ammirare la sua opera, Clark sparò due colpi. I proiettili da nove millimetri lo colpirono al ventre sporgente, perforandogli il diaframma, facendo esplodere un polmone e tagliandogli il cuore in due, prima di fermarsi nel grasso vicino alla scapola sinistra. Sbattendo stupidamente le palpebre, l’uomo cercò di deglutire, ma non riuscì a far altro che tossire. La sigaretta gli cadde di bocca, seguita da un rivolo di sangue schiumoso che gli colò sul mento come in una scena di un film di Quentin Tarantino. Mezzo secondo più tardi gli cedettero le gambe e cadde nella fossa, atterrando con un tonfo sugli altri due corpi.

Le pareti di terra della buca avevano assorbito gran parte del rumore che il Gemtech non aveva silenziato. Clark dubitava che qualcuno alla casa avesse sentito qualcosa; a ogni modo si sporse oltre il bordo della fossa per un minuto intero, nel caso il grasso messicano avesse avuto degli amici più silenziosi.

Si prese un momento per osservare il nuovo cadavere. Un’altra giovane donna, doveva avere quindici o sedici anni. Questa aveva i capelli scuri ma, come la prima, sembrava più grande di Magdalena. Anche lei era stata strangolata prima di venire scaricata, nuda, in quella buca. Clark soffocò l’odio che sentiva ribollire dentro di sé. L’uomo morto era rivolto verso di lui, gli occhi velati, la bocca aperta e piena di terra e sangue. Quel grasso cantore di droga e omicidi era senz’altro un orribile bastardo, ma era solo uno che scavava fosse, non certo il capo dell’organizzazione.

Clark non era il tipo che contava le persone che uccideva. All’inizio della sua carriera si era detto che, se mai uccidere fosse diventato qualcosa di ordinario per lui, significava che era il momento di farsi da parte. Fino ad allora non gli era mai accaduto, ma doveva ammettere che, su un piano emotivo, uccidere certe persone era particolarmente facile.

Quando ritenne di poter uscire dalla fossa senza correre rischi, Clark lasciò il Gemtech attaccato alla Glock e la sistemò nella cintura, in un piccolo fodero di pelle Yaqui, aperto sul fondo in modo da potervi alloggiare il silenziatore. Gli sembrava crudele lasciare le ragazze esposte al caldo del giorno, ma non aveva tempo per fare niente al riguardo. Invece, prese i due bossoli che aveva sparato e se li infilò in tasca prima di uscire dalla fossa.

Matarife era stato abbastanza scaltro da mantenere ben corti i cespugli e l’erba tutt’intorno alla casa, in un raggio di cinquanta metri, ma alcune carcasse di vecchi pick-up potevano comunque fornire un’adeguata copertura per Clark; se si fosse mosso rapidamente, avrebbe potuto attraversare il tratto dal limitare del campo fino a un capanno di mattoni accanto alla piscina senza essere visto.

Sorrise malgrado la situazione, e rimase nell’erba alta mentre costeggiava la proprietà. Tutti gli anni passati a condurre quel tipo di missioni gli avevano insegnato a cercare segni dell’eventuale presenza di un cane: vecchi giocattoli masticati, escrementi, un osso e così via. Per fortuna Matarife non aveva adottato anche quella misura di sicurezza.

La casa appariva sontuosa, in contrasto con le carcasse di pick-up. Pesanti tende coprivano quattro finestre timpanate al piano superiore. Un garage a tre posti era rivolto verso i vecchi pick-up, formando una barriera naturale fra il capanno di mattoni e la strada. Sul davanti della casa, alberi ben curati si alternavano a lampioni neri lungo un enorme vialetto circolare. Quando Clark era passato davanti alla proprietà, aveva notato che il cancello di ferro all’ingresso subito prima della griglia di metallo per impedire l’attraversamento del bestiame era chiuso con una catena e un lucchetto. Andava più che bene: le persone riponevano troppa fiducia nei lucchetti, e questo li rendeva negligenti.

Passando da un veicolo all’altro, Clark impiegò meno di due minuti per arrivare a una recinzione di rete metallica alta un metro e venti che circondava il cortile posteriore e la piscina. Il sole, ormai alto, faceva luccicare la superficie dell’acqua e, per come la vedeva Clark, illuminava fin troppo della donna nuda che sorseggiava un drink su una sedia gonfiabile mentre leggeva una rivista. I capelli scuri erano raccolti in uno chignon. Un paio di occhiali da sole nascondevano i suoi occhi. Clark ipotizzò che avesse circa trentacinque anni, ma dovevano essere stati anni duri, a giudicare dai lividi e dalle cicatrici di quella donna in carne. A ogni modo, era impossibile provare dispiacere per lei; stava sorseggiando un drink alla frutta in mezzo a una piscina mentre almeno due ragazze giacevano morte in una fossa a meno di cento metri di distanza. Sul bordo della piscina c’era una mitragliatrice nera, appena fuori della sua portata, sopra un asciugamano rosa piegato. Clark non poteva esserne sicuro, da quella distanza e angolazione, ma sembrava una CZ Scorpion: la donna faceva sul serio quando ne andava della propria protezione. Accanto all’arma c’era un bicchiere vuoto che assomigliava a quello pieno in mano alla donna, oltre a un lungo oggetto marrone che sembrava un bastone da passeggio o un frustino da equitazione. Questo spiegava i segni di frustate sulle ragazze morte.

Clark rimase nell’ombra, sorvegliando la casa per altri cinque minuti. Essendo da solo, non c’era un modo davvero sicuro di avvicinarsi. Sapeva che avrebbe fatto bene ad attendere Caruso, ma c’era in gioco la vita di alcune ragazze, e non aveva né la pazienza né il tempo per aspettare.

Posò a terra la sua Glock silenziata e prese la calibro .45. Sparare un colpo avrebbe avuto l’effetto di svegliare chiunque si trovasse dentro la casa – e di farli uscire, si augurava – ma non avrebbe destato grande preoccupazione nei vicini. Era difficile identificare la provenienza di un unico sparo.

Il proiettile dell’arma non silenziata centrò la CZ Scorpion, facendola roteare e facendo fumare l’asciugamano sotto di essa. La donna lasciò cadere la rivista sulle gambe e si guardò avanti e indietro, senza riuscire a capire cosa fosse successo. Com’era prevedibile, come prima cosa i suoi occhi si rivolsero verso la fossa in mezzo al campo.

Clark aveva già raccolto la Glock. Sparò un colpo silenziato fra le gambe della donna, facendo esplodere la sedia gonfiabile. Dibattendosi, la donna nuda si liberò della plastica sgonfiata e cercò di nuotare verso la mitragliatrice. Clark sparò un secondo colpo silenziato, centrando il bordo di cemento della piscina, facendola fermare. Girò su se stessa, cercando di individuare la persona che le stava sparando.

Clark guardò di nuovo verso la casa. Ancora niente. Forse Matarife stava dormendo più del solito. D’altro canto era presto, e scavare una fossa era un lavoro pesante. Clark decise di aspettare ancora un po’.

La donna adesso si teneva a galla muovendo solo le gambe e continuava a guardare verso il campo. Era evidente che avesse i suoi demoni.

«Chi è?» domandò, con voce un po’ troppo brusca per essere una donna nuda sotto tiro. Poi ripeté la domanda in spagnolo, stavolta con fare più incerto. «¿Quién es?»

Clark lasciò che la pistola parlasse al posto suo, colpendo di nuovo la CZ Scorpion e mandando in frantumi il caricatore di plastica. A quel punto, se anche la mitragliatrice funzionava ancora, Clark l’aveva appena trasformata in un’arma con un solo colpo.

«Dimmi subito chi sei!» gridò la donna. Il suono della Glock silenziata era forte quanto un energico battito di mani, ma Clark era così vicino che la donna aveva capito che gli spari provenivano dal capanno accanto alla piscina.

Erano passati altri tre minuti pieni, e ancora non c’erano segni di vita dalla casa. Le ipotesi erano tre: o il fidanzato della donna non s’interessava a lei, o aveva un sonno molto pesante, oppure non era in casa. Quest’ultima sembrava l’ipotesi più convincente, perché lei non aveva guardato nemmeno una volta verso l’abitazione.

Quando la donna fece per avvicinarsi di nuovo all’arma, Clark sparò un colpo nell’acqua dietro di lei.

«Continua pure!» le gridò. «Mi renderai solo le cose più semplici.»

La donna mosse rapidamente le braccia abbronzate per allontanarsi dagli schizzi provocati dal proiettile. «Chi sei?» Si girò su se stessa e si fermò. «Ti manda Zambrano?»

«E se così fosse?» disse Clark.

«Ernie se n’è già andato. Ha la ragazza e i soldi.»

«Capisco.» Clark la lasciò cuocere nel suo brodo per qualche istante. «E se invece non mi avesse mandato Zambrano?»

La donna scosse la testa. «Non sei della polizia. Un poliziotto mi avrebbe fatto indossare dei vestiti.»

«L’ultima cosa che voglio è starmene qui a guardare quel tuo culo grasso» ribatté Clark.

Quelle parole sembrarono indispettirla ancor più degli spari.

«Chi ti ha mandato, allora?»

Clark decise di sganciare una bomba e osservare la sua reazione. «Penso che tu potresti sapere qualcosa della mia bambina.»

La donna, tremando, scosse la testa, ma non poté impedirsi di lanciare un’altra occhiata verso il campo di saggina. «Non so…»

«Basta con le stronzate! Chi c’è in casa?»

«Nessuno.»

Clark sparò un altro colpo in acqua, e una parte di sé sperava quasi di centrarla. La mancò, ma lo sparo ebbe l’effetto desiderato. La donna alzò entrambe le mani, muovendo le gambe per rimanere a galla, con appena la testa fuori dall’acqua.

«Come si chiama tua figlia?»

«Magdalena» rispose Clark, tentando un altro colpo fortunato.

«Non è vero» disse la donna. Lo avrebbe detto in tono ben più sprezzante se non fosse stata così impegnata a restare a galla. «È stato Parrot a portarla, e lui l’ha presa da Dorian. So tutto di lei. Non ha amici negli Stati Uniti. E in ogni caso è andata via.»

«Dove?»

«Perché mai dovrei dirtelo? Se te lo dico non ti servirò più e mi ucciderai.»

Clark si mise a ridere. «Mi manca un soffio per ucciderti comunque. Proviamo così: come ti chiami?»

«Lupe» tossì la donna, che aveva ingerito un po’ d’acqua.

«E lavori per Matarife?»

«Se vogliamo dire così… Sono una sua prigioniera, come tutte le altre.»

«Ah, è così?» Clark annuì, anche se la donna non poteva vederlo. «Hai proprio l’aria della prigioniera, seduta in piscina a sorseggiare cocktail.»

«Io… come si dice, sono la ragazza che comanda» disse Lupe. «Sono la sua puttana alfa.»

«Su questo ti credo. D’accordo, Lupe, dimmi dov’è Matarife… Ernie.»

«È andato a consegnare la tua Magdalena.»

«Consegnarla a chi?»

«A Zambrano. Roba da pazzi… Quell’uomo può comprare tutte le ragazze che vuole e va a scegliere proprio quella troietta.»

«Dov’è Zambrano?»

Lupe fece una risata isterica. «Non mi dicono queste cose.» Indicò i lividi al collo. «Sono anch’io una prigioniera, te l’ho detto.»

Clark mugugnò. «Allora dammi il numero di Ernie.»

«È lui a chiamarmi, non io a chiamare lui. È un uomo molto scaltro.»

«E che succede se devi dirgli qualcosa di importante? Come fai a contattarlo?»

«Prima o poi ritorna a casa. Ma penso che ci vorrà qualche giorno. Mi piace quando non c’è.»

«Lo immagino» disse Clark. «Chi potrebbe sapere dove trovarlo?»

Lupe alzò di nuovo le mani. Sorridendo stupidamente, e pensando di usare il corpo che le era sempre stato di aiuto in passato, scalciò con più forza per portare il seno sopra la superficie dell’acqua. «Perquisiscimi, señor

Clark sparò un altro colpo nella piscina, a pochi centimetri da lei. Il sorriso scomparve subito dal volto di Lupe.

«Te lo chiedo per l’ultima volta: come faccio a trovare Zambrano?»

Lupe sputò in acqua, poi si passò una mano sulla faccia. «Ti sto dicendo che non lo so.»

«Allora non mi servi più…»

«Aspetta!» La donna era abituata a essere minacciata, ma era abbastanza intelligente da captare la determinazione nella voce di Clark. «Dorian. Dorian sa come trovarlo. Fanno affari insieme, qualche volta.»

«Dorian?»

«Prende le ragazze dall’America del Sud… e da altri posti. La gente si fida di lui perché è bello e gentile, come un modello da rivista.»

Lupe gli diede l’indirizzo di un certo albergo a Fort Worth che Dorian frequentava, poi glielo descrisse. Clark memorizzò tutto, decidendo la sua prossima mossa. Doveva scoprire quello che sapeva su Vincent Chen, ma prima voleva controllare la casa.

«Chi c’è dentro?»

Lupe si scostò una ciocca di capelli bagnati dalla faccia, mentre si guardava intorno alla ricerca di una via di fuga. Sembrava una bestia messa all’angolo. «Ci sono due ragazze. Prigioniere di Matarife. Prendile. Sono tue.»

Clark infilò la Glock nel fodero il tempo sufficiente per scavalcare la recinzione dietro il capanno, estraendola di nuovo non appena atterrò sull’erba.

La temperatura si stava alzando, e un leggero vento gli portò l’odore del cloro dritto in faccia. Con la Glock fece cenno alla donna di uscire dalla piscina. Aveva diverse cicatrici, almeno due da ferite da arma da fuoco al busto. Era difficile capire dove finissero le cicatrici e dove iniziassero i tatuaggi. A ogni modo, aveva una tale aria sprezzante che era difficile provare dispiacere nei suoi confronti.

Concentrata sulla canna della pistola, Lupe non lo guardò davvero finché non ebbe risalito la scaletta di alluminio e non si fu fermata sul bordo di cemento della piscina, nuda e gocciolante. Lo guardò con aria sorpresa.

«Sei vecchio…»

«Eh, già» disse Clark. Fece un cenno del capo verso l’asciugamano di spugna piegato accanto a quello che sembrava un frustino di pelle grezza. La grandezza corrispondeva ai lividi sulle ragazze morte.

Clark ordinò alla donna di lanciargli l’asciugamano con un calcio. Poi lo toccò con il piede, e glielo rilanciò allo stesso modo quando fu certo che non contenesse altre armi.

«Tieni» disse Clark, poi indicò la casa. «Mettitelo addosso, poi andiamo a fare due chiacchiere con le ragazze.»

Lupe allungò la mano per prendere l’asciugamano, ma non gli obbedì. Invece glielo lanciò in faccia e si scagliò contro di lui, gridando e cercando di graffiarlo. Persino Clark, che si vantava di essere sempre attento agli sviluppi di ogni situazione, fu colto alla sprovvista.

Fu proprio la follia di quella mossa a renderla efficace, e la donna nuda riuscì ad allontanare la pistola una frazione di secondo prima che Clark potesse premere il grilletto. Volandogli addosso come un animale impazzito, Lupe lo avvolse con braccia e gambe bagnate. Gli affondò i denti nella spalla, spingendolo a barcollare verso la piscina. Clark cercò disperatamente di togliersela di dosso, colpendola con forza alla testa con la mano libera, ma la donna sembrava imperturbabile ai suoi pugni. Lupe era di bassa statura, ma pesava poco meno di Clark, e aveva la forza di un animale in trappola che sapeva di dover uccidere se non voleva essere ucciso.

Clark riacquistò l’equilibrio, ma si rese conto che la donna stava cercando di spingerlo in piscina. Senza dubbio pensava che in acqua sarebbe riuscita a sistemare quel vecchio una volta per tutte.

Clark decise di accontentarla.

La piscina era solo a tre passi di distanza. Clark fece un paio di respiri profondi e, subito prima della caduta, afferrò la donna carnosa per i fianchi facendole uscire quanta più aria possibile.

Lupe riprese ad attaccare con grande forza, staccandosi soltanto per cercare di graffiare la faccia di Clark quando finirono sott’acqua. L’ex Navy SEAL girò la testa in tempo per evitare le sue unghie, le bloccò la mano e le sferrò una violenta testata, facendole uscire il sangue dal naso. Ne fuoriuscirono delle bolle quando la prostituta alfa lanciò un grido inferocito.

Clark aveva già combattuto sott’acqua, sia in addestramento sia nella realtà. L’acqua era la sua casa. Scalciando verso il basso, portò la donna sul fondo della piscina, sentendo un fischio stridulo quando le sue orecchie si adattarono all’aumento di pressione. Lupe lanciò un altro grido furioso, più piccolo del precedente, producendo meno bolle. Cercò di nuovo di divincolarsi e liberarsi, poi il suo corpo si rilassò.

Clark contò altri venti secondi, abbastanza per assicurarsi che non stesse fingendo. Aveva almeno un altro minuto di autonomia quando riportò la donna verso la superficie; una volta uscito dall’acqua, tornò a respirare normalmente. Lanciò un’occhiata verso la casa per assicurarsi che non ci fosse nessuno pronto a dargli il benvenuto, e poi si girò sulla schiena, trascinando la donna priva di sensi verso il bordo della piscina.

Lupe riprese conoscenza non appena raggiunsero il bordo, rianimandosi con una furia come se fosse sotto un incantesimo voodoo. La donna abbassò il mento, affondandogli i denti nell’avambraccio, puntando senz’altro all’osso.

«Ora basta!» gridò Clark. Nella sua mente, le immagini delle ragazze morte nel campo, strangolate e frustate, si mescolarono con i terribili ricordi di Pam Madden all’obitorio. Allungò la mano per prendere una pistola; una delle due, non importava quale. Strinse le dita intorno all’impugnatura della Glock, la estrasse, e con un colpo a bruciapelo al collo pose fine al regno del terrore di Lupe.

Respirando pesantemente, tanto dal dolore quanto dalla fatica, Clark spinse via la donna e uscì dalla piscina. Si chinò in avanti, con una mano su un ginocchio e l’altra che teneva la Glock lungo il fianco.

«Sono vecchio.» Clark tossì, schiarendosi la gola. «Ma un vecchio Navy SEAL ama ancora l’acqua…»

Tutte le morti sono tragiche. E Clark, guardando il corpo di Lupe galleggiare a faccia in giù, non poté non avvertire un sottile rimorso. Ma dieci minuti più tardi – dopo aver liberato due ragazze incatenate a grossi secchi di cemento, e dopo aver oltrepassato una grande porta rossa per guardare solo pochi secondi di quegli orribili filmati – avrebbe voluto uscire e spararle di nuovo.

Potere e impero
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