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A Midas non dispiaceva fare da navigatore, per cui Ryan si mise al volante della Peugeot. Gli piaceva guidare con il cambio manuale. Lo faceva sentire vivo, persino nel traffico a singhiozzo di Buenos Aires. Per poco non centrò un’anziana a un incrocio, il che voleva dire che stava imparando a guidare come un argentino. La donna alzò il dito medio con rabbia e gli gridò: «¡Pelotudo!». Quella parola sembrava l’offesa di prima scelta di tutto il Paese.
Ryan svoltò a sinistra in Avenida Santa Fe, riflettendo su quel poco che sapeva sulla situazione mentre guidava. La squadra aveva ripassato tutto fino alla nausea, analizzando una decina di scenari plausibili, ma non avevano ancora gli elementi chiave per mettere al loro posto tutte le tessere del puzzle.
Eddie Feng era un cittadino taiwanese; anche Vincent Chen era di Taiwan, ma viveva negli Stati Uniti con un’identità di copertura, sostenendo di vendere biglietti di auguri importati dalla Repubblica Popolare Cinese. Fino a quel momento, l’unico collegamento fra i due uomini era la comune tendenza a frequentare strip club gestiti da membri della Tres Equis o della triade Sun Yee On che sfruttavano ragazze minorenni: questo elemento li collocava entrambi in una posizione molto critica, ma non spiegava in alcun modo quale fosse il collegamento tra Chen e la Cina, o se Chen fosse un amico o un nemico. Quel che era certo era che a portarlo in Argentina erano stati gli incontri fra le delegazioni internazionali.
La ragazza giapponese introduceva uno sviluppo imprevisto nella situazione. Il tizio che Ryan aveva ucciso le stava dando la caccia con un machete, o così era sembrato, e tanto bastava perché l’asiatica finisse nella colonna dei buoni. A volte, però, anche il nemico del proprio nemico è un altro maledetto nemico. Non era troppo azzardato ipotizzare che la donna fosse giunta a Buenos Aires al seguito della delegazione giapponese, anche se era raro che i ministri dell’Agricoltura generassero abbastanza intrighi da spingere qualcuno ad attraversare un tunnel sotterraneo pieno di liquami. E se quella donna era arrivata con la delegazione giapponese, come faceva a sapere dell’esistenza del tunnel? Jack l’aveva vista uscire dal Palacio Duhau Hyatt, lo stesso albergo in cui soggiornava il ministro degli Esteri cinese. I giapponesi avevano delle stanze al Four Seasons, a più di cinque isolati di distanza. Perché la donna si trovava lì? Perché era andata alla Villa 31 subito dopo la brunetta i cui legami con Chen erano noti? Aveva detto a Jack di fuggire. Perché non lo aveva affrontato o, quantomeno, non lo aveva lasciato al suo destino?
Ryan picchiettava il volante mentre guidava sovrappensiero. Aveva un sacco di tessere in mano, ma sembravano provenire da puzzle diversi.
Superò il Parrilla Aires Criollos sulla destra, e proseguì per un altro isolato e mezzo, fino a un parcheggio subito dopo l’incrocio con Calle Riobamba. Arrivava un vento freddo dal Río de la Plata che, con i suoi centonovanta chilometri di larghezza, sembrava più un golfo dell’oceano Atlantico che non un semplice fiume. Dopo aver parcheggiato, Ryan prese una giacca a vento scura dal bagagliaio della Peugeot, che gli sarebbe servita anche a nascondersi meglio dopo il tramonto.
Usciti dal parcheggio, i due agenti del Campus si separarono: Midas si avviò verso est, guardando le vetrine dei negozi di Avenida Santa Fe, mentre Jack andò verso nord lungo la stretta Calle Riobamba, fiancheggiata dagli alberi. Al pianoterra della maggior parte degli edifici c’erano attività commerciali ma, a giudicare dai molti balconi, quasi tutti i piani superiori dovevano essere occupati da appartamenti privati. Pensando sempre in maniera strategica, Jack notò la prevalenza di ringhiere di cemento e statue sui balconi, e pensò che il Secret Service avrebbe evitato quella strada come la peste. C’erano davvero troppi luoghi in cui nascondersi.
Si vedevano gruppi sparsi di anziani con i tipici cappelli da gaucho, seduti ai tavoli esterni dei molti bar di quella strada tranquilla; gli uomini sorseggiavano yerba mate con una cannuccia d’argento da un recipiente comune, chiamato appunto mate, che dava il nome alla bevanda. Bere il mate era un passatempo nazionale. Esistevano negozi specializzati in tazze, cannucce e thermos appositi per il mate, oltre a esotiche borse di pelle – simili a custodie per binocoli – in cui sistemare il tutto. L’addetto al parcheggio del Panamericano aveva offerto a Jack un sorso dalla sua cannuccia, invitandolo a finirlo e poi restituirgli il contenitore. Jack aveva ubbidito controvoglia, e quel sapore gli era sembrato un infuso di fieno in acqua bollente. Preferiva di gran lunga assumere la sua caffeina dal tè, se non proprio da una cara vecchia tazza di caffè. Quello che preparavano i dispensieri della marina alla Casa Bianca era particolarmente buono, ma non andava più a trovare i suoi genitori con la stessa frequenza che in passato. Anzi, di certo ci andava meno spesso di quanto avrebbe dovuto.
Erano passate da poco le quattro di pomeriggio quando Ryan svoltò a est prendendo la Arenales, tenendosi parallelo all’Avenida Santa Fe per diversi isolati, in modo da proseguire nella direzione opposta a Midas, con il ristorante nel mezzo. Le sue riflessioni sul caffè gli avevano fatto venire voglia di prenderne una tazza, così cominciò a cercare un bar. Gli avrebbe dato qualcosa da fare, mentre faceva passare le ore a osservare.
Nei tempi andati, arrivare presto sul luogo in cui si svolgeva un’operazione poteva rivelarsi controproducente. Arrivando troppo tardi si rischiava di non notare importanti cambi di personale, abitudini locali o attività del fronte nemico, che poteva aver deciso di tendere un’imboscata o di condurre una controsorveglianza. Di contro, arrivando troppo presto si rischiava di attirare attenzioni indesiderate.
Poi erano arrivati i cellulari, che avevano intaccato il cervello collettivo della società. Per una squadra di sorveglianza rappresentavano il cambiamento più significativo nella storia recente, ma non sotto il profilo delle modalità di comunicazione. Spesso gli osservatori esperti si affidavano a una serie di abitudini note. Ma proprio come un babbuino poteva avvertire la gazzella della presenza di un leopardo, farsi notare dalla popolazione locale era una tecnica infallibile per spaventare un bersaglio. Dato che la maggior parte delle persone affondava il naso nello schermo del cellulare, era molto probabile che una persona potesse passare un paio d’ore a curiosare fra i negozi locali in un’area di tre isolati senza attirare l’attenzione di nessuno. La finestra temporale raddoppiava, come minimo, se ci si fermava in un bar a prendere un caffè.
Gli addetti municipali erano già arrivati per scaricare barriere di legno davanti al Parrilla Aires Criollos. Quelle strutture lunghe tre metri poggiavano contro una fila di bidoni della spazzatura, costringendo il traffico pedonale a dividersi in due e aggirarli come farebbe l’acqua di un fiume con un masso che ne ostacola il corso. Poliziotti in uniforme cominciarono ad arrivare circa un’ora dopo che Ryan e Midas avevano parcheggiato.
La Policía de la Ciudad de Buenos Aires, formata di recente, voleva fare da spalla al Grupo Alacrán, lo squadrone delle forze speciali della Gendarmería Nacional Argentina. Uomini dall’aspetto severo armati di pistole mitragliatrici H&K MP5 e fucili d’assalto Steyr AUG scesero da due pick-up Volkswagen Amarok e da un furgone Mercedes-Benz bianco dall’altro lato rispetto alle porte del ristorante.
Per via delle azioni degli squadroni della morte, durante la «guerra sporca» degli anni Settanta e Ottanta, la popolazione locale era sospettosa nei confronti dell’esercito e di qualsiasi cosa gli assomigliasse. L’esercito non poteva prendere parte negli affari civili, ma il governo aggirava il problema definendo la Gendarmería «una forza di sicurezza civile di natura militare». Il Grupo Alacrán sembrava a tutti gli effetti una forza militare, ma d’altra parte non poteva essere altrimenti. Mentre altri gruppi all’interno della Gendarmería si occupavano della sicurezza dei confini, il Grupo Alacrán aveva il compito di combattere il terrorismo e, spesso, di aiutare nella protezione dei dignitari argentini e stranieri.
I nuovi arrivati sistemarono le barriere di ferro rapidamente, costringendo i pedoni ad attraversare Avenida Santa Fe per poter andare in direzione est o ovest, invece di camminare davanti al Parrilla Aires Criollos. Ryan e Midas si trovarono rapidamente fuori del perimetro, a mezzo isolato dal ristorante.
La presenza di uomini armati mise Ryan e Midas sul chi vive. Buenos Aires era stata vittima numerose volte del terrorismo interno, con un recente attentato dinamitardo davanti alla sede della Gendarmería. I membri del Grupo Alacrán guardavano i passanti come se fossero cibo da sbranare, con sguardi aggressivi che spingevano le persone ad attraversare la strada tanto quanto le barriere di legno. Un agente dell’unità cinofila con un aspetto feroce quanto quello del suo pastore belga Malinois era in posizione di riposo alla destra delle porte del ristorante.
Nessuno di quegli uomini guardava lo schermo del cellulare.
Nel tentativo di non farsi notare, Ryan e Midas avevano guardato le vetrine di tutti i negozi per tre isolati su entrambi i lati del Parrilla Aires Criollos, alcune per due volte. Midas era riuscito a salire fino a un balcone vuoto al settimo piano sopra il ristorante La Madeleine. Ryan si era seduto a un tavolo accanto alla vetrata al McDonald’s, dall’altro lato della strada rispetto al luogo dove si sarebbe tenuta la cena fra i ministri. Stava facendo finta di usare il cellulare quando lo chiamò Adara. Dopo pochi secondi riferì il messaggio a Midas via radio.
«Chen si sta muovendo.»
«Alla buon’ora» disse Midas. «Mi sono fermato davanti a quel negozio di scarpe così tante volte che stavo per cedere ed entrare per comprarmi un paio di Puma, che mi servissero o no. Vengono da questa parte?»
«Non lo sanno ancora. Non farti sparare lassù, fratello. Questi tipi della Gendarmería mi sembrano un po’ tesi, se devo dirtela tutta.»
«Stai tranquilla, mamma» scherzò Midas.
Dall’altro lato di Avenida Santa Fe, una serie di berline scure, più grandi della maggior parte dei veicoli circolanti a Buenos Aires, cominciarono a confluire davanti al Parrilla Aires Criollos. Vari uomini in abiti scuri scesero dal sedile del passeggero per aprire la portiera a uomini più importanti in abiti più costosi. Gli agenti della polizia di Buenos Aires spostavano le barriere di legno per loro, mentre i membri del Grupo Alacrán supervisionavano le operazioni imbracciando le mitragliatrici.
Difficile pensare che tutte quelle forze di sicurezza fossero lì solo per le delegazioni dei vari ministeri dell’Agricoltura. Il ministro degli Esteri cinese doveva essere vicino. A ogni modo, ministri e segretari potevano beneficiare di un certo grado di sicurezza personale. I cosiddetti «rapimenti express», di cui cadevano vittima le persone che avevano un’aria benestante, erano fin troppo frequenti nel Sudamerica. A peggiorare le cose, ciascuno dei Paesi che aveva inviato una delegazione a Buenos Aires aveva reso pubblica la propria partecipazione con largo anticipo. Alcuni governi, come quello giapponese, avevano inviato una guardia di sicurezza; altri ufficiali, come il ministro dell’Agricoltura svizzero, erano abbastanza ricchi da assumere personalmente qualcuno che li proteggesse.
Jack prese nota di tutte le delegazioni a mano a mano che arrivavano. Fino a questo punto, aveva visto rappresentati di sei Paesi: Argentina, India, Giappone, Svizzera, Thailandia e Paesi Bassi. Ogni ministro aveva almeno un uomo della sicurezza e tre-cinque assistenti. La Gendarmería aveva chiuso il ristorante per i clienti normali ma, essendo un locale relativamente piccolo, l’appuntamento l’avrebbe riempito almeno per metà.
Ryan controllò l’orologio: erano le 18:23, nel giro di un’ora avrebbe fatto buio. Per gran parte degli argentini era ancora troppo presto per cenare, ma molti dei ministri stranieri avrebbero messo volentieri qualcosa sotto i denti. Le sette di sera a Buenos Aires corrispondevano a mezzanotte ad Amsterdam e alle sei del mattino a Pechino, e così, in nome della diplomazia internazionale, venivano fatte delle concessioni per le differenze di orario. Lo stomaco di Ryan era impostato sul fuso orario di Washington: le 18:30 erano l’ora perfetta per cenare. Gli piaceva mangiare una bella bistecca, ma averne una ogni sera dopo le nove sembrava una ricetta per avere gli incubi e il sangue della consistenza dell’olio motore.
Quindici minuti più tardi, Jack e Midas sentirono la voce di Ding Chavez alla radio, coperta dalle interferenze. «… avete ricevuto, ragazzi?»
«Non si capisce un cavolo di quello che dici» disse Midas. «Ripeti, capo.» Essendo un tenente colonnello della Delta in congedo, Midas aveva una certa libertà. Non avrebbe mai detto una cosa simile a Clark, ma Chavez era meno rigido riguardo alle regole di comportamento in nome della coesione di squadra.
«Ricevuto» disse Ding. «Chen e uno degli asiatici sono a bordo della Chevrolet adesso, in direzione… sud… No… Merda! Non si capisce niente in questo labirinto… Est sulla Libertador… Girano a sud sulla Ayacucho ora. Sembra che stiano venendo verso di noi… no, aspettate. Sono tornati indietro, verso il cimitero della Recoleta e… si stanno fermando alla gelateria di Adara.»
«Ricevuto» disse Midas. «Qui abbiamo del movimento. La Gendarmería ha chiuso le vie d’accesso al locale. Con tutto il rispetto, capo, ma non dovremmo riferire ai piani alti e magari dire a qualcuno del dipartimento di Stato di contattare gli argentini e avvertirli di una possibile minaccia? Se nella macchina ci sono solo Chen e un altro asiatico, significa che ce ne sono ancora altri tre da qualche parte.»
«Ne ho parlato con Clark. Pensa che abbiamo ancora troppe variabili in gioco. Mi ha dato l’opzione, e io dico di aspettare e vedere come evolve la situazione, almeno per i prossimi minuti.»
Un asiatico alto con i capelli molto corti uscì dal ristorante e fece un cenno del capo sprezzante all’agente dell’unità cinofila. Il cavo di un auricolare scompariva sotto il colletto della sua giaccia. Ryan notò la sagoma di una pistola sopra il fianco destro, mentre una forma più grande al fianco sinistro apparteneva senz’altro a una radio. L’uomo fece un cenno ai poliziotti, e due di loro si affrettarono a spostare le barriere di legno dalla strada per un imminente arrivo.
L’uomo asiatico alto era l’avanguardia, arrivato sulla scena per controllare che fosse tutto sicuro prima dell’arrivo del suo superiore.
Una sirena attirò l’attenzione di Jack a est, e vide due moto Yamaha uscire da Rodríguez Peña, a un isolato di distanza. Una berlina Cadillac nera seguiva da vicino le due moto, seguita a sua volta da una scintillante Escalade nera e altre cinque berline. Altre due moto chiudevano il gruppo. Non era niente in confronto alla scorta di suo padre, ma un convoglio di sette veicoli, più due moto davanti e due dietro era molto per un ministro degli Esteri, persino per un Paese grande e controverso come la Repubblica Popolare Cinese. Jack aveva letto un paio di relazioni della CIA su Li Zhengsheng. Per qualcuno così in alto nelle gerarchie del partito cinese, si sapeva molto poco di lui, se non che adorava la moglie e il figlio, e che fosse pieno di sé.
«È arrivato Mr Boria» disse Ryan. «Il ministro degli Esteri Li è al ristorante.»
Dieci minuti dopo arrivarono anche i canadesi e gli uruguaiani. La Gendarmería appostata all’esterno del locale sembrò rilassarsi, adesso che i dignitari invitati alla cena erano tutti dentro, al sicuro.
«Abbiamo dieci dignitari all’interno» disse Midas. «Incluso il ministro degli Esteri Li. Trenta-quaranta assistenti e una vagonata di tizi armati, metà dei quali della scorta di Li.»
«Ricevuto» disse Midas.
Jack prese un sorso di caffè. Non era come quello della Casa Bianca, ma non era nemmeno cattivo. «Aggiornamenti su Chen?»
«Nessuno» disse Adara. «Sono scesi dall’auto e sono entrati in un locale per cenare.»
«Vedete ancora solo loro due?» domandò Jack.
«Esatto» rispose Chavez. «Chen e uno degli asiatici che abbiamo visto all’aeroporto.»
Jack si allontanò dal tavolo. «Nessuna donna?» Era una domanda retorica. Chavez gli aveva già detto chi stava guardando, ma riflettere a voce alta era una caratteristica di Ryan.
«Né lei, né il secondo asiatico» disse Adara.
«Mmm» mugugnò Jack. «Entrambe le donne erano qui ieri sera, intente a controllare il ristorante quando c’eravamo anche noi. Si confondono bene tra la folla, per cui ha senso che Chen abbia mandato loro al posto suo. Scommetto che sono qui vicino. Forse attendono di incontrarsi con uno degli assistenti cinesi. Midas, vedi persone che sembra stiano aspettando qualcuno?»
«Non saprei. Ho una buona visuale sull’ingresso del ristorante, ma da quassù Santa Fe è un fiume di berline nere…» Midas si fermò. Pochi secondi dopo riprese a parlare, ma stavolta sussurrò. «Jack, non hai detto che la ragazza giapponese che hai seguito aveva una grossa ferita sulla faccia?»
«Graffi» disse Ryan. «Non proprio una ferita. Perché? La vedi?»
«Sì, è sul balcone due piani sotto di me, seduta dietro a un fucile. La ragazza è armata.»