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Ryan e Midas erano seduti nella loro Peugeot a mezzo isolato dal complesso di appartamenti in Calle Libertad, mentre Adara e Chavez incontrarono Lisanne per andare a prendere la Clio che lei e i piloti stavano usando. Dato che Chen aveva così tanti complici, la squadra aveva senz’altro bisogno di una vettura in più.
Quando i due furono tornati con la Renault, Ryan e Midas andarono a controllare il palazzo francese in stile neoclassico di Avenida Alvear che adesso era il Palacio Duhau-Park Hyatt Hotel. L’albergo si trovava nel quartiere chic della Recoleta, a meno di otto isolati dal ristorante Parrilla Aires Criollos, dove il ministro dell’Agricoltura argentino avrebbe ospitato la cena di quella sera. Diverse agenzie d’intelligence americane, incluse la CIA e la NSA, sorvegliavano i membri dei governi stranieri sia tramite fonti aperte sia tramite intercettazioni, e la squadra di Gavin Biery alla Hendley Associates controllava i sorveglianti. Attraverso un rapido controllo con il guru informatico, gli agenti del Campus avevano scoperto che il ministro degli Esteri cinese aveva scelto proprio lo Hyatt per il suo soggiorno a Buenos Aires.
La squadra non conosceva con esattezza lo scopo della visita di Vincent Chen; erano abbastanza sicuri che avesse a che fare con il ministro degli Esteri cinese, ma questo non restringeva molto il campo delle possibilità. Sapevano che qualcuno aveva piazzato una bomba in un tunnel della metropolitana di Pechino. Eddie Feng sembrava pensare che dietro l’attentato dinamitardo ci fosse Chen, e non era una possibilità da escludere: era taiwanese e aveva un nome in codice. Avevano preso in considerazione l’idea di contattare la delegazione cinese attraverso il dipartimento di Stato per dare l’allerta su una possibile minaccia nei confronti del ministro degli Esteri, ma alla fine, per vari motivi, preferirono non farlo.
Innanzitutto, le sale del governo della Repubblica Popolare Cinese erano persino più bizantine di quelle degli Stati Uniti. Dopo che il presidente Ryan aveva sganciato una bomba su un palazzo cinese, il quale ospitava un gruppo di hacker che stavano attaccando il sistema informatico della Difesa, la reciproca fiducia tra le due nazioni era meno di zero. I burocrati cinesi avrebbero visto un intento malevolo dietro qualsiasi azione intrapresa dagli Stati Uniti. Avrebbero trattenuto le informazioni finché non ne sarebbe stata verificata la credibilità, assicurandosi che non si trattasse di uno stratagemma per far perdere la faccia alla Cina, o peggio. Qualsiasi informazione riservata riguardo a un complotto contro il ministro degli Esteri avrebbe richiesto giorni per arrivare sulla scrivania di un’autorità decisionale, per poi riscendere fino a raggiungere la sua scorta personale, che in quel momento formava una falange di uomini armati in completi scuri intorno al ministro degli Esteri Li, a mezzo isolato dal marciapiede su cui si trovava Jack Ryan Junior.
Oltre alla semplice credibilità delle informazioni, la squadra correva anche il rischio che qualcuno della delegazione del ministro degli Esteri fosse una spia di Taiwan e che Chen, essendo taiwanese, fosse il suo contatto, inviato a Buenos Aires per raccogliere informazioni.
Ryan non era visibile dallo Hyatt dalla sua posizione in Calle Rodríguez Peña, subito dietro l’angolo della strada, accanto all’edificio di cemento e mattoni rossi che ospitava la sede del ministero della Cultura. Midas, più a est lungo Avenida Alvear, stava guardando le vetrine in una piccola galleria d’arte dall’altro lato rispetto all’albergo. Dalla sua posizione strategica poteva vedere la porte-cochère dell’edificio e aveva una visuale perfetta sulla scorta in arrivo.
Ryan parlò nel microfono al collo. «Vedi qualcuno che dovrei riconoscere?»
«Negativo» disse Midas.
Chavez e Adara erano in un’altra area della città, troppo lontani per poter essere contattati via radio, ma Chavez aveva appena confermato con il cellulare che Chen o i suoi non si erano ancora mossi. Sia lo Hilux sia la Chevrolet erano ancora parcheggiate negli appartamenti ad Acassuso. Ryan e Midas si prepararono a quelle che si prospettavano come un paio d’ore di appostamento discreto.
Il Palacio Duhau si trovava in un’area di Buenos Aires molto ricca dal punto di vista architettonico, tanto che a Jack ricordava Parigi. Tuttavia, per quanto il quartiere fosse bello, il ministero della Cultura davanti al quale si trovava era ricoperto di graffiti. Ryan non avrebbe saputo tradurre le scritte, ma guardandole ebbe la netta impressione che vi fosse una scarsa fiducia popolare nei confronti del governo. Anche nel resto della strada c’erano diversi graffiti, ma erano realizzati con uno stencil ed erano più precisi rispetto a quelli presenti sul palazzo del ministero, veri e propri scarabocchi fatti con le bombolette spray. Ryan toccò la vernice bianca con la punta del suo Rockport.
«Tu parli spagnolo, vero?» domandò alla radio.
«Un po’» rispose Midas. La domanda doveva essere per forza rivolta a lui, gli altri erano troppo lontani.
«Che cosa vuol dire “Esto huele mal”?»
Midas ridacchiò. «Dove l’hai visto?»
«È scritto un po’ ovunque davanti al ministero della Cultura.»
«Escrache» disse Midas. «Ho letto qualcosa al riguardo. Agli argentini piace deridere i funzionari eletti, che sia con i graffiti, con i cartelli o persino gridando contro di loro con un megafono a bordo di un aeroplano o negli spazi pubblici.»
Ryan si mise a ridere. «A mio padre succede spesso.»
«Io ho votato per lui. A ogni modo, “Esto huele mal” significa “questa cosa puzza” o qualcosa del genere. Non saprei dire…»
«Aspetta» lo interruppe Ryan. Il suo tono di voce convinse Midas a non dire altro.
Una brunetta alta stava percorrendo Avenida Alvear, superando lo Hyatt e arrivando quasi al livello di Ryan. Jack svoltò rapidamente, distogliendo lo sguardo prima che la donna potesse vederlo in faccia. Aveva visto quella brunetta la sera prima, al ristorante insieme a Adara, ma solo in quel momento ebbe la sensazione di averla vista al tavolo insieme alla bionda che aveva incontrato Chen all’aeroporto. Dalla sua posizione Ryan era riuscito a vedere poco più che il suo profilo, ma la brunetta sedeva rivolta verso di lui; sì, ne era sicuro, le due donne erano senz’altro insieme. Mentre camminava, la brunetta stava parlando con qualcuno; Ryan non le vide addosso un auricolare Bluetooth, ma forse, pensò, stava usando lo stesso tipo di microfono nascosto che aveva lui.
Cominciò a seguirla, ma con la coda dell’occhio notò la presenza di una donna asiatica. Aveva poco più di trent’anni, più o meno come la brunetta, con zigomi alti incorniciati da capelli fino alle spalle. Era appena uscita dalla porta laterale di un edificio collegato allo Hyatt; aspettò che la brunetta fosse passata davanti all’albergo e poi si avviò dietro di lei. Indossava un paio di jeans attillati e una maglietta larga firmata, ma aveva sul viso dei lunghi graffi che andavano dalla mascella alla fronte, come se fosse scivolata a terra di faccia. Ryan non riusciva a capire se i suoi occhi scuri fossero bellissimi o terrificanti, ma si disse che lo avrebbe scoperto presto.
Diede un rapido aggiornamento a Midas via radio.
«Ottimo lavoro» disse l’altro. «Non so nulla dell’asiatica, ma la brunetta dev’essere in comunicazione con Chen. Probabilmente gli sta facendo sapere che il ministro degli Esteri è arrivato.»
«È quello che penso anch’io.» Ryan guardò in entrambe le direzioni prima di attraversare la strada per seguire l’asiatica, che sembrava incollata alla brunetta. «Vado avanti a seguirle e cerco di capire dove si dirigono.»
«Rimani nel raggio d’azione della radio» disse Midas. «Intanto aggiorno Ding.»
Al primo incrocio la donna asiatica svoltò a destra, mentre la brunetta tirò dritto. Ryan ne fu a dir poco deluso, per quanto sapesse che era una sciocchezza. La brunetta dalle gambe lunghe continuò a camminare nel senso opposto di marcia in Avenida Alvear per diversi isolati, superando le bandiere che sventolavano davanti al Palace Hotel, nonché due arbolitos che cercavano di vendere il proprio servizio di cambio valuta fuori da negozi di grandi marchi come Rolex e Montblanc. Qualsiasi aspettativa di Jack per quel pedinamento fu rapidamente spazzata via: l’asiatica era uscita dai giochi, e la brunetta non stava raggiungendo la sua automobile, come Jack aveva ipotizzato. Invece svoltò a destra, come per tornare indietro verso la stazione dei treni Retiro. Dopo un isolato svoltò di nuovo a sinistra.
«Nordovest su Avenida del Libertador» comunicò Jack, non fosse altro che per verificare che Midas captasse ancora il segnale.
«Ricevuto.»
«È strano. L’asiatica è andata da un’altra parte; apparentemente è un elemento estraneo. Quanto alla brunetta, non capisco se stia seguendo un percorso di contropedinamento molto basilare o se stia solo zigzagando verso la sua destinazione. Non si è guardata alle spalle nemmeno una volta.»
«Fa’ attenzione» si raccomandò Midas. «Potrebbe non essere sola. La tua amica asiatica potrebbe sbucare dal nulla e infilarti un coltello là dove non batte il sole.»
«È un bel pensiero» disse Ryan, guardando la donna attraversare a passo svelto Avenida del Libertador. Rischiare la vita contro dieci corsie di aggressivi automobilisti argentini era il metodo perfetto per seminare qualcuno.
Ryan cercò di mantenere la donna nel suo campo visivo periferico, mentre avanzava a passo costante verso l’attraversamento pedonale. Il semaforo diventò verde nello stesso momento in cui la brunetta scomparve fra gli alberi.
Visto quanto era larga la strada, nessuno avrebbe fatto troppo caso a lui se si fosse affrettato per attraversare prima che si accendesse il giallo, per cui decise di guadagnare un po’ di tempo scattando verso il parco. Quando ebbe raggiunto il prato rallentò, tenendosi parallelo al percorso che avrebbe seguito la brunetta se avesse tirato diritto.
Il parco era piuttosto stretto, e dal lato opposto si trovava uno scalo di smistamento con diversi binari, scambi e vagoni singoli che uscivano dalla stazione di Retiro a sud. Quello scalo rappresentava un confine naturale tra il quartiere esclusivo della Recoleta e quell’ammasso di edifici fatiscenti sparsi in un dedalo di vicoli conosciuto come Villa 31, uno dei molti quartieri precari di Buenos Aires chiamati con la calzante espressione di villas miseria. Lunga quasi quindici isolati e larga cinque nel suo punto più ampio, nella maggior parte delle cartine Villa 31 era rappresentata come una semplice striscia grigia accanto al tracciato ferroviario; i turisti dovevano pensare che si trattasse di uno scalo di smistamento. Era così vicina ai ristoranti della Recoleta che i residenti potevano sentire l’odore della carne se il vento era giusto, e ospitava molti dei lavoratori più instancabili di Buenos Aires, oltre ad alcuni dei criminali più violenti della città.
Le domestiche e gli assistenti sociali che non avevano le giuste referenze per prendere in affitto un appartamento in città spesso pagavano la metà per prendere una stanza con il bagno in comune e allacci abusivi alla rete elettrica in un departamento fatiscente da uno dei capi del quartiere che gestiva ogni aspetto della vita nella villa, dalla riscossione degli affitti alla risoluzione delle controversie. Villa 31 era una vera e propria città nella città, ma erano poche le persone che ammettevano di abitarci. La polizia circolava nelle strade del quartiere precario solo in gruppi ben armati e nelle ore diurne. Se qualcuno aveva bisogno di un’ambulanza di notte, come aveva detto Ding Chavez, era «meglio lasciar perdere».
Ryan scorse la brunetta un istante più tardi, a una trentina di metri da lui; stava camminando nella sua direzione. Si mise a sedere su una panchina di fronte a un uomo anziano che stava lanciando dei pistacchi a un rumoroso gruppo di pappagalli verdi grandi quanto piccoli piccioni. Ryan si posizionò dando la schiena a un albero di caucciù, ma usò gli occhi e le espressioni dell’uomo per proteggersi le spalle. Non era una situazione ideale, ma di solito gli esseri umani reagivano in qualche modo al pericolo, e Jack non poteva continuare a guardarsi alle spalle in continuazione. Gli uccelli e l’uomo lo ignorarono.
La brunetta attraversò l’erba alta e le erbacce lungo la recinzione dello scalo di smistamento finché non trovò quello che stava cercando: un’apertura nella rete metallica. Jack immaginò che quel cancello di fortuna venisse usato mattina e sera dai pendolari di Villa 31, così da non dover fare tutto il giro della stazione Retiro per attraversare i binari. Se la brunetta aveva visto Ryan, non lo diede a vedere. Invece si intrufolò nell’apertura e poi, guardando bene da entrambe le parti per controllare che non arrivassero treni, attraversò i numerosi binari dello scalo: osservando la scena, a Ryan tornarono in mente le immagini dei rifugiati della Germania dell’Est che fuggivano dalla terra di nessuno per scavalcare il Muro di Berlino. Arrivata dall’altro lato, la donna si abbassò per infilarsi in una seconda apertura nella recinzione per entrare nella Villa 31.
Se seguirla nel parco era stato già difficile, sarebbe stato impossibile starle dietro all’interno della villa miseria. Non solo c’era la possibilità di essere scoperto, ma avventurarsi là dentro senza conoscere nessuno era un ottimo modo per farsi ammazzare in fretta.
Ryan fece un cenno del capo all’uomo che stava dando da mangiare ai pappagalli e tornò indietro per ricongiungersi con Midas. Comprò un choripán, ovvero un chorizo su una fetta di pane, da un tizio nel parco, perché non sapeva quando avrebbe potuto mangiare. Avrebbe concesso una pausa a Midas quando lo avesse incontrato.
«L’ho persa» disse, mangiando mentre camminava. «Ti spiego tutto quando…»
«Ripeti» disse Midas. «Non ti sentivo più.»
Ryan abbassò la voce e gettò il choripán appena iniziato in un cestino. «È lei» disse Jack. «La donna asiatica. Sembra che stia forzando la serratura di una specie di capanno degli attrezzi o piccolo magazzino all’interno del parco.»
«Ricevuto» disse Midas.
Ryan si spostò lateralmente, mantenendosi vicino agli alberi e tenendo sempre sott’occhio il piccolo edificio di pietra. Si avvicinò in tempo per scorgere appena la schiena della donna asiatica mentre si chiudeva la porta alle spalle. Il capanno era alto e largo due metri e mezzo, e non aveva finestre. Jack si grattò la barba, ponderando le varie possibilità. Una di esse – forse la più intelligente – era levarsi di torno. Ma non era mai stato molto bravo in questo.
Rimase in ascolto fuori dell’edificio per mezzo minuto. Niente. La serratura si aprì facilmente con il suo coltello. Dentro non c’era nessuno, anche se c’era una sola porta, per cui la donna asiatica doveva essere andata da qualche parte. Ryan prese una piccola torcia dalla tasca e illuminò il piccolo spazio. C’era un odore che non riusciva a capire cosa fosse, ma non era buono. Quel posto sembrava un capanno degli attrezzi per la manutenzione del parco, con un paio di tosaerba a filo e un assortimento di rastrelli e pale. Una fila di bidoni della spazzatura erano allineati sopra una piattaforma lungo la parete posteriore; uno di quelli era stato rovesciato, probabilmente dalla donna. Ryan prese in considerazione l’idea che potesse essersi nascosta in uno dei bidoni. Ma era una cosa stupida. A che scopo? Non poteva sapere che qualcuno la stesse seguendo. Guardò comunque all’interno di ciascuno di essi, sollevato e al tempo stesso deluso di trovarli vuoti. La piattaforma era alta circa quindici centimetri, ed era fatta di travi di legno deteriorato. Il legno era vecchio, forse più vecchio del capanno stesso, il che lo portò a pensare che forse quel posto, in passato, era stato usato per un altro scopo. Guardando meglio vide dell’erba tagliata che spuntava da sotto il bordo del legno; Jack provò a spingerlo, e quello si spostò.
Mise il bidone rovesciato da una parte e vide quattro assi che erano state appena scostate e che formavano un quadrato di novanta centimetri di lato.
«Che mi prenda un colpo…» mormorò Ryan, aprendo quella che era a tutti gli effetti una botola. «È andata sottoterra.»
«Sottoterra?» ripeté Midas. «Parlami, fratello. Che cosa succede?»
«La seguo. Non ti incazzare, ma sono piuttosto sicuro che perderemo la ricezione.»
Ryan tossì per la folata di aria fetida che lo colpì in faccia quando spostò le assi.
«C’è qualcosa che es huelte.»
«Cosa?» domandò Midas, confuso.
«La frase del graffito che ti avevo detto prima. Vuol dire che c’è qualcosa che puzza, no?»
«Huele» lo corresse Midas. «Esto huele mal.»
Ryan si affacciò nel buio sottostante, fermandosi per un attimo nella speranza di sentire qualche rumore della donna asiatica. Non sentì niente, se non il ronzio della brezza nauseante che risaliva lentamente da quel buco nero.
«Be’, puzza davvero da morire» mormorò Jack fra sé e sé.