37

La sveglia del cellulare di Jack Ryan Junior cominciò a suonare alle due del mattino, con un volume sempre più alto a ogni squillo. Da qualche parte aveva letto che essere svegliato di soprassalto da un sonno profondo poteva causare danni neurologici; se era vero, lui e la maggior parte delle persone che conosceva erano in guai seri.

Fece trenta flessioni per svegliarsi del tutto, e poi per un attimo ebbe paura che non ci fosse l’acqua calda, finché non si ricordò che la C sul rubinetto non stava per cold. Dopo una doccia alquanto caliente, rimosse la condensa dallo specchio e si sistemò la barba con un rasoio e un paio di forbici piccole che si era portato dietro per quell’uso. Fino a poco prima aveva solo i baffi, ma adesso era contento di riavere la barba. Molte persone notavano una somiglianza tra lui e suo padre; lui però non la vedeva, e con la barba lunga anche gli altri non la videro più.

Ryan aveva predisposto i vestiti e l’armamentario prima di andare a dormire, valeva a dire – lanciò un’occhiata alle lancette rivestite di trizio del suo orologio – appena quattro ore prima. Era stato interessante perlustrare l’area, anche solo per il fatto di potersi immergere nell’atmosfera europea di Buenos Aires.

Lisanne Robertson aveva accompagnato Adara un’ora e mezzo dopo l’arrivo degli altri, ed era rimasta per controllare di persona che la compagnia di autonoleggio avesse mantenuto la promessa. L’addetto al parcheggio nell’atrio del Panamericano la rassicurò che nel garage c’erano una Peugeot 408 e una Renault Duster. Come praticamente ogni altra auto a noleggio in Argentina, entrambe le macchine avevano il cambio automatico, cosa che fece luccicare gli occhi a tutti i membri del Campus; avevano frequentato numerose scuole di guida, e non c’era niente di meglio di un cambio manuale per spremere il motore fino all’ultimo cavallo e rendere meno noioso spostarsi in auto.

Lisanne era tornata controvoglia all’albergo vicino all’aeroporto solo dopo un ordine diretto di Chavez. Aveva suggerito di poter offrire un servizio di controsorveglianza e protezione. A Ryan era sembrata una buona idea, ma Ding non aveva voluto saperne.

Aveva dato a Adara qualche minuto per registrarsi alla reception e sistemarsi nella sua stanza, per poi passare le successive tre ore a perlustrare l’area intorno al Parrilla Aires Criollos. L’operazione di sorveglianza su Vincent Chen probabilmente sarebbe finita in ogni caso a piedi, per cui avevano scelto di lasciare le auto all’albergo e camminare per i pochi isolati che separavano il Panamericano dal ristorante. Era la loro unica pista, per cui l’avrebbero sfruttata finché non avessero trovato qualcosa di meglio.

Decisero di dividersi in due coppie: Jack e Adara davanti, e Chavez e Midas dietro. La Avenida 9 de Julio – il cui nome commemorava il giorno dell’indipendenza dalla Spagna, il 9 luglio – era percorsa da una cintura verde e fiancheggiata da molti parchi e fontane su entrambi i lati. Veniva considerata da molti la strada più larga del mondo.

Ryan era stato avvisato di non definirsi «americano». In America del Sud la gente non vedeva di buon occhio i cittadini statunitensi che associavano quell’aggettivo solo al proprio Paese, invece che all’intero continente. Di solito gli argentini facevano una siesta al pomeriggio e lavoravano fino a tardi. Era già buio quando la squadra era uscita, e molti uomini e donne d’affari stavano appena cominciando a smontare dal lavoro. In quel periodo temperato della primavera sudamericana, la Avenida 9 de Julio era piena di turisti. I membri delle classi sociali medioalte tendevano a vestirsi business-casual per quasi tutte le attività extralavorative, e per Jack era stato facile individuare i turisti – in maglietta e pantaloni corti – in mezzo alla folla.

L’inflazione alta dell’Argentina aveva reso possibile lo sviluppo del cambio di denaro clandestino. Chiamati arbolitos, o «alberelli», per la loro tendenza a proliferare ovunque, questi uomini e donne si trovavano in punti strategici della strada, di solito di fronte a negozi che vendevano prodotti di lusso, e sussurravano «Cambio, cambio» mentre passavano i turisti ricchi. Per fare il loro lavoro gli arbolitos dovevano portarsi dietro grandi quantità di contanti e, anche se il turista medio non se ne accorgeva, Ryan notò che ce n’era quasi sempre un secondo a pochi metri di distanza, senza dubbio per proteggere la persona ma anche – e ancora più importante per chi investiva nel mercato nero – i soldi.

Gli agenti del Campus perlustrarono il distretto della Recoleta, esplorando l’iconico cimitero e El Gran Gomero, un enorme fico del caucciù che si diceva avesse oltre duecento anni, e la cui chioma aveva un’estensione di cinquanta metri. Ryan trovò piacevole incorporare un po’ di turismo nel suo lavoro di ricognizione; peccato solo che stesse passeggiando insieme alla fidanzata di suo cugino e non alla propria. Quel lavoro non lasciava il tempo per una vita privata.

Alla fine, Jack e Adara usarono la scusa di dover controllare l’interno del Parrilla Aires Criollos per mangiare una buona cena. Chavez e Midas aspettarono fuori. Nessuno pensava che ci fosse il rischio che qualcuno li stesse seguendo, ma l’ultima cosa che volevano era riunirsi tutti insieme in uno dei luoghi battuti da Vincent Chen. Inoltre Ding era già stato in Argentina, e conosceva un posto in cui facevano delle empanadas che «spaccavano»; era dall’altro lato della strada rispetto al Gran Gomero.

La serata era terminata alle dieci di sera, dopo un percorso di contropedinamento a zig-zag per tornare al Panamericano. Avevano discusso del piano per il giorno successivo utilizzando la radio mentre camminavano. Chavez era riluttante a discutere di qualsiasi cosa nella stanza di un albergo straniero, persino in un Paese relativamente amico come l’Argentina. Avevano deciso che si sarebbero incontrati alle due e trenta della mattina successiva per tornare verso l’aeroporto passando dall’ambasciata cinese al limitare del distretto di Saavedra, nella parte nord della città.

«Non fare tardi» aveva detto Midas, ancora un po’ scontroso per aver mangiato fagottini di carne fritti mentre Ryan si era gustato una bistecca argentina. «E non venire troppo leggero.» Ryan non intendeva fare nessuna delle sue cose.

Dopo essersi fatto la doccia e la barba, Ryan guardò di nuovo l’orologio e poi applicò una noce di gel nei capelli scuri prima di lavarsi i denti. Per lo stesso motivo per cui non discutevano della logistica nelle camere di alberghi stranieri, fu attento a non mostrare la pistola o il resto dell’attrezzatura.

Aveva controllato nei posti più ovvi che non ci fossero cimici o videocamere nascoste, usando un dispositivo portatile che Gavin Biery aveva dato a tutti gli agenti del Campus per cercare interferenze elettromagnetiche. Cercò di rilevare la presenza di telecamere scattando fotografie con il flash dal cellulare, per poi controllare che non ci fossero riflessi sospetti. Ryan non trovò niente ma, poiché era una brava spia, questo lo aveva reso ancora più sospettoso.

Usò lo sportello mezzo aperto dell’armadio per nascondere gran parte del suo corpo mentre sistemava l’attrezzatura. Le videocamere e i microfoni avevano bisogno di elettricità, e anche se gli agenti del Campus stessi usavano spesso dispositivi a batterie, quando possibile sfruttavano le fonti di energia esistenti, soprattutto quando effettuavano operazioni lunghe o a tempo indeterminato. Nemmeno Ryan stesso sapeva di dover andare in Argentina fino al giorno prima, per cui eventuali telecamere dovevano essere state installate per riprendere bersagli occasionali. Quelle unità avrebbero avuto bisogno di una fonte di corrente. Non c’era luce all’interno dell’armadio, e Ryan rifletté che a parte il fatto che fosse un luogo pessimo in cui mettere una telecamera, nessun agente straniero con un minimo di competenza avrebbe piazzato un simile dispositivo in un posto meno produttivo.

Nascondendo i suoi movimenti con lo sportello aperto dell’armadio, tolse il caricatore della Smith & Wesson, per poi rimetterlo dentro con decisione. Tirò indietro il carrello di poco più di un centimetro. Era stato l’ultimo a toccare quell’arma ma, come diceva sempre Clark durante le esercitazioni tattiche, quei controlli erano come una sorta di assicurazione gratuita. Rassicurato che la pistola fosse carica, Ryan stese il braccio, acquisendo la mira frontale con l’occhio dominante, come faceva ogni volta che prendeva l’arma, anche solo per metterla via.

Sarebbe stata una lunga giornata, e una lunga giornata di sorveglianza richiedeva un abbigliamento comodo e – cosa altrettanto importante – che non desse nell’occhio. E, se c’era la possibilità di cambiarsi d’abito con il passare delle ore, ancora meglio. Ryan optò per un paio di pantaloni leggeri e una camicia azzurra in cotone Oxford a maniche lunghe; i pantaloni erano abbastanza larghi da nascondere la fondina Thunderwear, e la camicia spessa abbastanza da non far vedere il filo al collo e il microfono. I membri della squadra in genere portavano con sé anche un coltello pieghevole. Ryan scelse un Benchmade chiamato Big Summit Lake. Non era bello da vedere quanto un Black Knife, ma era affilato come un rasoio e grande abbastanza da fare il suo dovere. L’impugnatura di legno lo faceva assomigliare più a un attrezzo che a un’arma. Oltre ai coltelli «per uccidere», avevano tutti scelto quelli che Midas chiamava «lame del nonno», ovvero coltelli pieghevoli più piccoli che potevano essere usati per aiutarsi a compiere le azioni per cui le persone normali utilizzavano i coltelli, come scassinare una serratura o tagliare una corda. Ryan aveva imparato a proprie spese che avrebbe preferito essere attaccato da qualsiasi altra arma. Al contrario, avrebbe preferito sferrare un attacco con qualsiasi cosa tranne un coltello.

Lasciò cadere la piccola radio nella tasca dei pantaloni, poi calzò un paio di stivaletti Rockport Boat Builder e indossò un blazer blu marino. Infine aprì un portapillole di plastica e prese uno dei due auricolari beige grandi quanto l’unghia del suo mignolo. Non volendo rischiare di perdere la comunicazione nel momento meno opportuno, sostituì la piccola batteria, grande quasi quanto il dispositivo stesso: le batterie non si scaricavano mai alla fine di un’operazione, ma sempre negli istanti più critici. Ryan ridacchiò fra sé quando mise una batteria di riserva nella tasca interna della giacca sportiva. James Bond e Jason Bourne facevano sembrare tutto così semplice, ma in quel mestiere c’erano un sacco di microquestioni tecniche di cui occuparsi.

Dopo aver tolto la sedia che poggiava sempre contro la porta delle stanze d’albergo, si controllò le tasche per essere sicuro di aver preso tutto e poi uscì in corridoio, lasciando il cartello POR FAVOR, NO MOLESTAR appeso alla maniglia.

Arrivò nell’atrio alle due e venticinque, e insieme a Midas salì sulla Peugeot 408 blu che, con grande sorpresa di Jack, vantava un motore turbocompresso.

Le strade non erano affatto vuote alle tre del mattino, ma il traffico era comunque abbastanza leggero da permettere a Jack di stare dietro a Chavez e Adara senza problemi mentre si dirigevano a nordovest su Avenida del Libertador. Il convoglio di due auto attraversò il Barrio Chino, e poi si diresse a ovest per passare davanti all’ambasciata cinese.

La Peugeot non era affatto scattante, soprattutto se paragonata con la sua BMW, ma Jack la trovò abbastanza veloce da farlo finire nei guai agli incroci. Buenos Aires sembrava completamente priva di incroci con stop su tutti i sensi di marcia. Secondo la guida turistica, chi arrivava per primo aveva la precedenza; il che, per uno spericolato come Jack, tornava molto comodo.

Jack sentì la voce di Adara nell’auricolare mentre passavano accanto alle alte pareti dell’ambasciata cinese. «Qui ci sono i draghi.»

«Senza dubbio» disse Ryan. «Ma bisogna vedere che tipo di draghi…»

Proseguirono verso ovest, arrivando finalmente in Avenida General Paz, dove svoltarono in direzione sud finché non presero l’autopista per tornare all’aeroporto.

Chavez entrò nel terminal, mentre gli altri rimasero fuori. Aveva smesso di piovere adesso, ma l’aria delle prime ore del mattino era abbastanza fresca da risultare tonificante.

Meno di un’ora più tardi, i tre agenti all’esterno sentirono la voce di Ding.

«Attenzione, ragazzi. Una donna bionda ha appena incontrato il nostro uomo e un altro asiatico dopo il controllo alla dogana.»

«Una bionda, hai detto?» disse Adara. «Interessante.»

«Affermativo. Vedo un altro asiatico dietro a Chen e al suo amico. Per ora non hanno avuto alcuna interazione, ma la cosa non mi sorprende. Chen indossa un paio di pantaloni grigi e una giacca a tre bottoni nera. Il suo amico indossa jeans e una camicia bianca a maniche lunghe. La donna ha i pantaloni scuri e una camicetta fulva.»

Midas ridacchiò. «Fulva?»

«Sì, fulva» ripeté Chavez. «Tipo marrone chiaro.»

«La vedo dalla vetrata» disse Midas. «Sono piuttosto sicuro che sia color grano.»

«Idiota» lo apostrofò Chavez. «La bionda sta portando i bagagli. Sono proprio dietro di loro. L’asiatico da solo indossa jeans e una giacca celeste. Jack, tu e Midas seguite lui, vedete cosa fa quando torniamo all’autopista

«Ricevuto» disse Jack. «Saremo…»

Si fermò quando vide Chen e il suo piccolo seguito uscire dalle doppie porte dell’aeroporto. Si concentrò sulla bionda che chiudeva il gruppo.

«Non vi sembra che la bionda abbia un aspetto familiare?»

A quanto sembrava no, per cui Jack continuava a lavorare a quel collegamento, qualunque cosa fosse, in un angolo della mente. C’era qualcosa in lei che gli faceva venire in mente qualcosa.

Adara fece salire Chavez a bordo, ma rimasero fermi per altri due minuti come se stessero aspettando qualcuno prima di seguire Chen e gli altri al parcheggio dall’altro lato della strada; superata una serie di barriere di cemento, salirono a bordo di una utilitaria Chevrolet rossa.

«Ce l’ho» disse Midas un attimo dopo. Lui e Jack guardarono l’asiatico solitario caricare la sua borsa su un pick-up Toyota Hilux nero e salire sul sedile del passeggero. Il vetro posteriore era oscurato, ma Jack ebbe l’impressione di distinguere una donna al volante.

Jack contò fino a venti, poi cominciò a pedinare lo Hilux.

Entrambe le squadre potevano mantenere una distanza di sicurezza nel traffico leggero delle prime ore della mattina. Quando l’autopista incrociò Avenida General Pax, lo Hilux prese l’uscita per andare verso nord, per percorrere la strada che gli agenti del Campus avevano preso per raggiungere l’aeroporto. La Chevrolet, invece, proseguì verso il centro.

«Vuoi che lo seguiamo?» domandò Jack, guardando il pick-up accelerare verso nordovest mentre la Chevrolet proseguiva verso nordest. «Forse stanno andando all’ambasciata cinese.»

«Negativo» rispose Chavez. «Concentriamoci su Chen. Non siamo nemmeno sicuri che siano insieme.»

«Ricevuto» disse Jack. Come sempre, non erano mai abbastanza per condurre una sorveglianza perfetta.

Seguirono la Chevrolet in direzione est lungo Avenida 25 de Mayo, e poi serpeggiarono per le strade del centro in quelli che erano sicuramente una serie di deboli percorsi di contropedinamento, per poi finire davanti a una serie di alti condomini di mattoni in una traversa di Avenida Santa Fe, nel quartiere San Isidro di Acassuso, a nordovest di Buenos Aires.

Adara proseguì a nord lungo Santa Fe, mentre la Chevrolet svoltò a sinistra in Calle Libertad, una strada molto più piccola, e si fermò davanti a un edificio che sembrava una scuola o un asilo nido.

«Interessante» disse Adara.

«Sono d’accordo» disse Midas. «Hanno fatto zig-zag per tutto il centro. Sarebbero arrivati qui molto più velocemente se avessero preso la General Paz.»

«Sì, anche quello è interessante» rispose Adara. «Ma parlavo dello Hilux blu che abbiamo visto all’aeroporto: è parcheggiato proprio dietro l’angolo.»

Potere e impero
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