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Bonnie Porcaro aveva appena mangiato un pezzo della sua costoletta al sangue quando sentì quello che sembrava un uomo infuriato nel corridoio dietro il suo séparé. Era una donna bionda e bassa di circa sessantacinque anni, ed era cresciuta a Harlingen, il posto più vicino al Messico in cui si potesse andare senza uscire dai confini del Texas. Non tornava nella sua città natale da oltre vent’anni, ma ricordava lo spagnolo sufficientemente bene da aver capito che cosa avesse detto l’uomo dietro di lei.
«È ora di uccidere quella troia.»
Era il genere di cosa che un uomo buono non avrebbe mai detto, neppure per scherzo. E dal tono roco e strascicato della sua voce, Bonnie aveva capito che quell’uomo era terribilmente serio.
Suo marito Mike era seduto davanti a lei. Fece per dire qualcosa, ma Bonnie alzò la mano per fermarlo. Erano sposati da più di quarant’anni, e lui sapeva fin troppo bene quando faceva sul serio. Allo stesso tempo, Bonnie Porcaro mise la mano destra sotto il tavolo ed estrasse il revolver Kimber K6s calibro .357 di acciaio inossidabile. Si trovava in una fondina sotto il gilet elegante di cotone leggero, un indumento adatto alla sua età ma soprattutto perfetto per nascondere un’arma, che si portava quasi sempre appresso.
Bonnie non era un’esperta di armi, non più di quanto una persona che acquisti un pick-up per qualche scopo particolare sia un fanatico di motori. Non le importavano tutti gli accessori e i congegni del mondo delle armi. Quella era la prima pistola che avesse mai avuto, e l’aveva scelta informandosi con suo nipote, un detective del dipartimento di polizia di Dallas, e guardando decine di video di diversi modelli sul canale YouTube hickok45.
A ogni modo, Bonnie ci sapeva fare, e andava al poligono con le sue amiche una volta al mese, presentando l’arma nello stesso identico modo ogni volta che tirava fuori la fondina la notte, come le aveva insegnato il suo istruttore. La piccola Kimber era più che sufficiente per l’uso che ne doveva fare, e Bonnie aveva una mira eccellente. Parola di suo nipote.
Suo marito sgranò gli occhi quando Bonnie sollevò l’arma. Non disse niente, né cercò di fare l’eroe.
Bonnie aveva tutto sotto controllo.
Spostò il corpo di lato, con la testa verso il muro e i piedi verso il corridoio e la minaccia. Sapeva che per fortuna nel séparé di fronte al suo non c’era nessuno, il che rendeva più semplice la decisione se sparare o no.
Bonnie poggiò il dito sul grilletto quando la mira anteriore della Kimber fu centrata su un ispanico alto e trasandato che stringeva una pistola infilata nell’elastico dei pantaloni. Barcollava, trascinando i piedi sul pavimento come se fosse ubriaco; di sicuro era un malintenzionato.
All’improvviso una voce maschile alla sua sinistra gridò: «FBI!», per cui Bonnie non sparò. Ebbe a malapena il tempo di sbattere le palpebre prima che la donna con i capelli rossi nel séparé accanto uscì nel corridoio armata di un lungo macinapepe, che brandiva con entrambe le mani come fosse una mazza da baseball. Colpì l’uomo più alto in pieno viso, mandandolo al tappeto nel medesimo istante in cui un secondo uomo, con il naso schiacciato, arrivò alle sue spalle. La sua attenzione era divisa fra l’agente dell’FBI dietro di lei e la donna che aveva appena colpito l’altro tizio. L’uomo con il naso schiacciato gridò, imprecando in spagnolo ed estraendo una pistola nera da sotto la camicia.
Bonnie Porcaro lasciò che il profilo dell’uomo diventasse sfocato, concentrandosi sulla mira anteriore della Kimber mentre premeva il grilletto. Il suo istruttore le ripeteva sempre che «lento vuol dire preciso, preciso vuol dire veloce». La pistola esplose due colpi. Era molto rumorosa al poligono ma, stranamente per Bonnie, adesso sembrava non aver fatto il minimo rumore. Non era nemmeno sicura di aver sparato, e poi pensò che forse aveva mancato il bersaglio. L’uomo con il naso schiacciato si voltò verso di lei, e la guardò con aria quasi infastidita. Fece per sollevare la pistola, ma Bonnie aveva già aggiustato la mira e premette di nuovo il grilletto. Il terzo proiettile della Kimber scavò un buco quasi perfetto sul dorso del naso schiacciato dell’uomo.
L’uomo barcollò un attimo, poi crollò a terra di lato sopra l’amico stordito, che era stato appena colpito con il macinapepe.
«FBI» disse di nuovo la voce di un uomo alla sua sinistra. «Signora, per favore, posi quell’arma.»
Bonnie abbassò lentamente la Kimber sul tavolo prima di alzare entrambe le mani sopra la testa. Si era allenata anche per quella parte. Dall’altro lato del tavolo, Mike la fissava a bocca aperta, come se non fosse del tutto sicuro di chi fosse davvero la persona con cui dormiva da quarantaquattro anni.
Dominic Caruso mise in sicurezza il revolver della donna bionda, e intanto puntò la sua pistola sul tizio che la Callahan aveva spedito a terra. Un attimo dopo aveva già estratto le manette e le fece scattare ai polsi dell’uomo. Poi alzò lo sguardo verso la donna bionda.
«Sta bene, signora?»
«Stava per spararle» rispose la donna. Teneva sempre le mani in alto, ma sembrava incredibilmente calma per una persona che aveva appena fatto saltare la testa a un uomo.
La Callahan chiuse le manette intorno ai polsi dell’assassino e sorrise. «Può rilassarsi, signora. Per mia fortuna lei ha un’ottima mira.» Si voltò verso Caruso. «E tu hai avuto il buon senso di chiamarmi al cellulare. Sapevo che era successo qualcosa perché te ne eri appena andato. Mi sono voltata rapidamente e ho visto quei due cervelloni entrare nel locale.»
Caruso si guardò intorno, alla ricerca di eventuali altri criminali. Quel genere di persone tendeva a muoversi in gruppo. Non vide alcuna minaccia immediata, ma vide che almeno cinque altri clienti avevano le mani o sull’impugnatura di un’arma o in una borsa, pronti a estrarla.
«FBI!» ripeté. «Invito tutti voi a calmarvi e a non usare le vostre armi. «Il Texas sembra un brutto posto in cui diventare un assassino.»
La cittadina bionda che aveva salvato la situazione fece un cenno solenne del capo, mentre le mani cominciavano a tremarle per la scarica di adrenalina.
«Hai detto bene, tesoro» disse la donna.