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L’agente speciale Gary Montgomery si stava rilassando – per quanto possibile – nella piccola palestra della residenza della Casa Bianca. Davanti a un macchinario della Universal, stava eseguendo deboli serie di estensioni del tricipite cercando di non avere un’aria troppo truce mentre sorvegliava Ryan, assicurandosi che non cadesse dal tapis roulant e si rompesse qualcosa. Di solito, quando il presidente si allenava, gli uomini del Secret Service aspettavano in corridoio; il fatto che Montgomery fosse presente nella palestra complicava le cose. Se il presidente si faceva cadere un peso sul piede o se fosse inciampato, i superiori di Montgomery avrebbero pensato che Montgomery avrebbe potuto evitarlo. Quella mattina, il presidente stava camminando sul tapis roulant mentre leggeva una pila di cartelline che si era portato dietro. Era una persona atletica, ed era una cosa che faceva tutti i giorni, ma il rischio che potesse cadere stava facendo impazzire Montgomery. Non c’era da sorprendersi che al capo venissero in mente le domande che faceva tutte le mattine. Fino a ora, Montgomery lo aveva istruito a intrattenere dibattiti filosofici soltanto quando tornavano fra le mura relativamente sicure della Casa Bianca.

In qualità di agente speciale a capo della scorta presidenziale di Ryan, Montgomery doveva essere sempre a portata di mano, ma ciò lo costringeva a camminare sulla linea sottile tra «abbastanza vicino» e «troppo vicino».

Il presidente poneva belle domande, e considerava le risposte come se provenissero da qualcuno di importante, indipendentemente dall’interlocutore. Jack Ryan era simpatico, il genere di uomo con cui a Montgomery sarebbe piaciuto farsi una birra, ma era proprio quello il punto. Entrambi i predecessori lo avevano avvertito che era impossibile non amare il presidente; sarebbe stato incredibilmente difficile non apparire distaccato dicendo in continuazione: «Preferirei di no, signore». L’amara verità era che non si poteva essere amici della persona che si doveva proteggere. Potevi essere cordiale, rispondere educatamente alle domande, ma non appena abbassavi la guardia e cominciavi ad andare più a fondo, a bere insieme e a scherzare, ti sfuggiva qualcosa di importante e il tuo nuovo migliore amico veniva assassinato.

Avere un rapporto stretto era insidioso, soprattutto con uno alla mano come Ryan. A un certo punto, Montgomery avrebbe dovuto dire al presidente che non potevano essere amici. Dirglielo troppo presto sarebbe stato presuntuoso, troppo tardi poteva dimostrarsi disastroso.

Montgomery si consolava con il pensiero che potevano esserci problemi ben peggiori. A volte agli agenti non piacevano affatto le persone che erano chiamati a proteggere. Montgomery aveva lavorato nella scorta di Kealty ai tempi della sua vicepresidenza; quell’uomo era un autentico coglione, ma lui aveva portato a termine il proprio lavoro senza metterlo in discussione. Nel proteggere un presidente o un’altra autorità nella sfera di competenza del Secret Service, lui e centinaia di agenti come lui proteggevano non solo la persona ma anche il sistema di governo, e al contempo la reputazione dello stesso Secret Service. Ryan rendeva le cose facili, quantomeno sotto alcuni aspetti.

Il presidente scese dal tapis roulant e gettò la cartellina che stava leggendo sulla panca dei pesi prima di salire su una cyclette Schwinn Airdyne. Accanto ce n’era un’altra uguale, presumibilmente per permettere alla dottoressa Ryan di fare esercizio accanto al marito.

Quella mattina il capo era circospetto, aveva lo sguardo fisso davanti a sé, perso nel vuoto, mentre muoveva il manubrio avanti e indietro a ritmo con i pedali. La grande ventola che si trovava dove avrebbe dovuto esserci la ruota anteriore cominciò a girare, guadagnando velocità. Invece di fare una domanda, Ryan fece un cenno del capo verso la seconda cyclette.

Montgomery si mise l’asciugamano intorno alle spalle e salì sulla cyclette accanto al presidente degli Stati Uniti. Non era certo nuovo a quel mondo, ma anche lui di tanto in tanto doveva darsi un pizzicotto per essere sicuro di non stare sognando.

Ryan cominciò a pedalare più velocemente adesso che aveva qualcuno con cui far finta di gareggiare. «Allora» disse girandosi appena verso Montgomery. «Non ci saranno fughe di notizie su come mi sia affidato al Secret Service per trattare la fascite plantare invece di andare dal medico, vero?»

Montgomery accennò un inchino. «La parola d’ordine è “acqua in bocca”, signor presidente.»

«Ottimo. Allora, dimmi, Gary, com’è la situazione riguardo alla sicurezza a Tokyo?»

Montgomery non voleva turbare il capo esponendogli tutti i dettagli. Conoscere tutti gli elementi coinvolti nella sua protezione non avrebbe fatto altro che preoccupare eccessivamente una persona scrupolosa come Jack Ryan: l’Air Force One, due versioni della limousine presidenziale Cadillac soprannominata «la Bestia» (una di riserva, nel caso la prima avesse problemi meccanici), il velivolo per le comunicazioni, tre elicotteri Sikorsky Sea King del Marine Helicopter Squadron One, una trentina di veicoli del Secret Service, più i C-17 e i C-5 per trasportarli. Senza contare i cento agenti, e più armi di quanto chiunque avrebbe mai ammesso ai giapponesi. Eventi del calibro del G20 richiedevano tre viaggi per assicurarsi che tutti gli aspetti logistici fossero stati sistemati: occorreva controllare i percorsi, individuare gli ospedali e perlustrarli, tenere riunioni organizzative con la polizia locale e i servizi di sicurezza di altri Paesi per evitare conflitti o inconvenienti, prenotare almeno tre piani di albergo – quello della suite presidenziale e i due attigui – ed esaminare attentamente il personale. Inoltre, occorreva trovare con largo anticipo il luogo dove parcheggiare la flotta del Secret Service, un aspetto non meno essenziale.

A ogni modo, il presidente Ryan aveva già abbastanza cose di cui preoccuparsi, senza dover pensare anche alle complesse esigenze della sua scorta. Per cui Montgomery si limitò a sorridere. «Grandiosa, signor presidente».

Ryan annuì, pensieroso, poi si mise a ridere. «Sei sicuro che non sia quello che dici quando hai qualcosa da nascondere? Mi ricordi quando Jack Junior andava al liceo e gli chiedevo come fosse andato un compito in classe. Nelle tue poche parole sono racchiuse molte domande senza risposta.»

«Dico davvero, signor presidente. È tutto sistemato.»

«Benissimo» disse Ryan guardando avanti, scettico. Per un po’ pedalò in silenzio, poi si girò, poggiandosi in parte sul manubrio. «Mi piacerebbe sapere quale impressione ti sei fatto del presidente Zhao.»

L’agente ci pensò per un minuto. Ryan voleva risposte sincere, ma non apprezzava l’irriverenza.

«Direi che è un comunista “vecchia scuola”. Abbastanza irriducibile da mantenere il supporto della maggior parte della vecchia guardia del partito. Parla molto di fare cambiamenti graduali, ma non sono sicuro che farà granché oltre a parlare. Non l’ha ancora inquadrata, signor presidente, e questo lo fa essere sincero…» Montgomery si fermò, continuando a pedalare. «Almeno era quello che pensavo, finché non è saltata fuori questa faccenda degli strani movimenti finanziari tramite l’azienda di telecomunicazioni australiana.»

«Già» disse Ryan. «È strano. Se Zhao è responsabile, ne risponderà. Ma considerando che cosa è successo agli ultimi due leader cinesi che hanno messo alla prova la nostra determinazione, è pericoloso fare ipotesi, e ancora più pericoloso aggrapparvisi. Non sto dicendo che Zhao esiterebbe a prenderci a calci nei denti se pensasse che possa essere positivo per la Cina, ma non mi è sembrato il tipo che fa le cose a caso. Con i bitcoin e gli altri meccanismi di criptovaluta per nascondere i propri movimenti finanziari, dice ai suoi di effettuare pagamenti tramite una società fantasma in uno dei nostri partner che fanno parte dei Cinque Occhi?»

Montgomery aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi ci ripensò.

«Sputa il rospo, Gary» disse Ryan. «Smettila di trattenerti. Avevi altro da dire.»

«Be’, non so se ha una qualche rilevanza, ma la mia controparte alla guida della scorta di Zhao è un colonnello dell’Ufficio centrale di sicurezza di nome Huang. Ci siamo incrociati un paio di volte nel corso degli anni durante varie operazioni che coinvolgevano sia gli Stati Uniti sia la Cina. Sembra che abbia una scopa nel culo, ma è molto abile. Non sorride molto, ma d’altra parte nemmeno io quando lavoro. C’è qualcosa in lui che credo riveli il carattere di Zhao.»

Ryan smise di pedalare, e fissò l’agente. «In che senso?»

«Be’, una brava guardia del corpo proteggerà sempre la carica, indipendentemente da chi la ricopra. Il colonnello Huang, invece, sta proteggendo l’uomo.»

«E come fai a dirlo?» domandò Ryan.

«Ha lo sguardo di qualcuno che protegge una persona che rispetta.»

«E tu credi che questo riveli qualcosa su Zhao?»

«Sì» rispose Montgomery. «Ciò detto, anche i despoti hanno amici. Terrò d’occhio il colonnello, giusto per sapere che tipo di essere umano è. Se è ciò che credo che sia, allora questo ci dice qualcosa. Ho la sensazione che se Zhao Chengzhi non fosse il leader assoluto della Cina questo tizio si getterebbe ugualmente tra le fiamme per proteggerlo.»

Montgomery guardò l’ora e fece una smorfia. L’allenamento si era protratto più del previsto. Ecco qual era il problema di stare così vicino al presidente. Un uomo intelligente e attento come Ryan si accorgeva quando la routine cambiava.

«Signor presidente, devo chiederle di scusarmi. L’agente speciale Gallagher mi sostituirà per qualche ora.»

«Va tutto bene?»

Montgomery sorrise. «Certo, signor presidente. Devo andare a Beltsville per seguire alcuni scenari AOP in previsione del G20

«Le esercitazioni per le aggressioni al presidente» rifletté Ryan. «Stavolta chi cercherà di uccidermi?»

«Se lo tenga per sé» disse Montgomery. «Ma sono i cinesi.»

«Quali sono le mie probabilità di scamparla?» Ryan lo guardò da sopra gli occhiali da lettura. «E faresti bene a non dire “grandiose”.»

Potere e impero
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