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Ding Chavez e Adara Sherman erano seduti all’esterno di un bar con in mano una bottiglia fredda di birra Quilmes Patagonia mentre ascoltavano attentamente il dramma che si stava svolgendo nei loro auricolari. Erano troppo lontani per sentire l’esplosione, ma dalle reazioni allarmate di Midas e Jack avevano capito che era successo qualcosa. Ding resistette all’impulso umano di fare domande e dare consigli. Non era sulla scena, e Jack lo stava aggiornando in maniera soddisfacente a mano a mano che la situazione evolveva. Era meglio tenere la bocca chiusa e lasciar lavorare i due agenti. E, a ogni modo, le cose stavano per farsi interessanti: adesso si trovava a otto isolati di distanza, ma la brunetta sarebbe arrivata da loro nel giro di pochi minuti.
All’improvviso Adara sollevò la bottiglia di birra verso il ristorante italiano situato due edifici più a est rispetto alla loro posizione. «Chen si sta muovendo. Sempre che stia mettendo un cellulare in tasca e ne stia prendendo un secondo. È in comunicazione con qualcuno.»
Chen mise via il secondo telefono e raggiunse l’ampio marciapiede insieme a un altro asiatico. I due uomini guardarono in entrambe le direzioni prima di attraversare in diagonale Calle Junín e svoltare a sinistra, cominciando a costeggiare a passo svelto le mura alte quattro metri e mezzo che circondavano il cimitero.
Chavez staccò due banconote da cento pesos dal rotolo che aveva in tasca e le lasciò sul tavolo. Lasciare la mancia non era un gesto abituale in Argentina. La cameriera lo avrebbe considerato un idiota, dato che aveva lasciato l’equivalente di dodici dollari per due birre che costavano appena la metà, ma era sempre meglio che farsi inseguire per aver lasciato troppo poco.
Chavez si allontanò dal tavolo e mostrò il palmo della mano a Adara, facendole capire di rimanere indietro mentre lui cominciava a pedinare Chen. Adara annuì e attraversò la strada normalmente, mentre Ding raggiunse l’altro lato in diagonale per recuperare terreno immediatamente. Adara l’avrebbe seguito a distanza di sicurezza e i due si sarebbero scambiati di posto ogni qualche minuto, così da non far sembrare che ci fosse sempre la stessa persona dietro i due asiatici. Chavez rallentò appena quando Chen e l’altro uomo svoltarono a destra alla fine dell’isolato, continuando a costeggiare le mura del cimitero. Chavez proseguì dal lato opposto della strada, e poi svoltò a destra, così da non girare l’angolo senza controllarlo prima da un’altra prospettiva. I due asiatici camminavano di buona lena, ma non rapidamente, ormai già a metà isolato.
«Confermo a destra» disse Adara per far sapere a Chavez di averlo visto svoltare.
Ryan e Midas continuavano ad aggiornarli sui rispettivi inseguimenti. Chavez aspettò che finissero, poi fu lui a parlare.
«Ascoltatemi bene. Stanno succedendo un bel po’ di cose. Evitiamo chiacchiere inutili. Solo comunicazioni essenziali. Velocità, direzione, minacce. Capito?»
«Verso nord in Avenida Callao» fu la risposta di Jack.
«Verso nord… calle Rodríguez Peña… dietro la ragazza giapponese» disse Midas, continuando a correre.
«Sono proprio dietro di te, Ding» disse invece Adara, a beneficio di Midas e Jack.
Chavez stava per riferire la sua posizione quando i due uomini davanti a lui si misero a correre, svoltando di nuovo a destra alla fine dell’isolato.
Adara accelerò il passo. «Ti hanno visto?»
«Non credo» rispose Chavez.
Riferì la sua posizione, rispettando i suoi stessi ordini così che Jack e Midas fossero aggiornati sul quadro generale dell’operazione. Adesso camminava a passo svelto, allargandosi all’angolo per evitare un agguato. Girò l’angolo in tempo per vedere il secondo asiatico arrampicarsi sulla recinzione di un cantiere edile dietro a Chen. I due uomini salirono su un’impalcatura, arrampicandosi sul tetto della roulotte di un’impresa edile, poi saltarono sulle mura del cimitero e scomparvero dalla vista.
Adara raggiunse Chavez di corsa, girandosi per controllare di non essere seguita mentre si fermava. Ormai non aveva più importanza cercare di rimanere nascosti se qualcuno li stava seguendo in quella strada buia.
«Sei sicuro che non ti abbiano visto?» ripeté Adara. Misero entrambi le mani a coppa sopra il proprio petto, in modo che la loro conversazione non intasasse inutilmente il traffico radio.
«Non si sono mai guardati alle spalle» disse Chavez.
«I cancelli del cimitero sono chiusi per la notte. Dovremo entrare come hanno fatto loro.»
Chavez si passò una mano sulla faccia e studiò il camper. Negli ultimi vent’anni aveva ricoperto posizioni di comando. Diavolo, aveva guidato una squadra formata da alcuni degli agenti migliori al mondo con la Rainbow. Ma la vita era molto più semplice quando era un soldato impulsivo e poteva lasciare che fossero i suoi superiori a preoccuparsi della calamita che trascinava immancabilmente le sue chiappe verso il pericolo. Non era mai stato molto bravo ad annullare un’operazione, ma si ricordò che doveva prendere in considerazione l’intera squadra. Come un bravo leader, diede l’impressione di prendere la decisione nel modo più naturale possibile.
«Qual è la prima regola a proposito dell’inseguire qualcuno in un vicolo cieco?»
«Non inseguire nessuno in un vicolo cieco» rispose Adara. Era uno dei mantra di Chavez, e lo conosceva bene. «Però devi ammettere che il cimitero è perfetto per un contropedinamento. È un labirinto là dentro. Se ne accorgerebbero subito se qualcuno li stesse seguendo.»
«Il problema con i vicoli ciechi» disse Ding, riflettendo su un nuovo piano «è che entri in una sorta di imbuto fatale, perché ci si aspetta che tu entri da un determinato punto. Dobbiamo soltanto trovare un modo diverso rispetto a quello che hanno usato loro.»
«Ehi, Midas!» disse Jack al suo compagno di squadra, dopo aver scoperto che Chen aveva scavalcato le mura del cimitero. «Dove sei?»
«Rodríguez Peñ…» cominciò Midas, per poi fermarsi, ancora senza fiato.
«Sei su una strada parallela alla nostra» disse Ryan.
La brunetta si muoveva più velocemente adesso; stava ancora camminando, ma molto più velocemente del resto della folla. Si toccò l’orecchio mentre superava una fermata dell’autobus, in comunicazione con qualcuno. Guardando a destra all’incrocio successivo, si fermò per una frazione di secondo, poi attraversò la strada alla sua sinistra.
«Sta venendo verso di voi, Ding» disse Jack.
Poiché aveva gli occhi incollati sulla brunetta, non vide la donna giapponese finché non fu troppo tardi, e i due sbatterono l’uno contro l’altra. La donna cascò di lato, sputando come un gatto inferocito. Ryan era stordito dall’impatto, ma riuscì a rimanere in piedi. Tese una mano per aiutare la donna a rialzarsi, ma questa la allontanò, alzandosi in piedi per proseguire la sua corsa. Midas ormai li aveva raggiunti e afferrò la donna per il colletto, strattonandola e sollevandola di peso. Quando si era scontrata con Jack aveva in mano un cellulare, che adesso era finito per terra con lo schermo gravemente danneggiato.
Le persone in strada stavano ancora fuggendo dall’esplosione, per cui li superavano senza interferire.
«Lasciatemi andare subito» disse la donna, serrando la mascella e scandendo le parole. Aveva un forte accento straniero, ma il suo inglese era ottimo. «La donna sta… scappando.»
Ryan si voltò e vide la brunetta scomparire nel buio alla fine dell’isolato. Poi si girò verso Midas e alzò le mani, confuso.
Midas sapeva esattamente cosa fosse successo. «Non mi senti più nell’auricolare, vero?»
Ryan scosse la testa.
Midas inarcò le sopracciglia. «Allora la mia radio è rotta. Ho cercato di dirti che stavamo arrivando. Ci ho messo mezzo isolato a rendermi conto che non sentivo più la mia stessa voce.»
Jack sentì la voce di Chavez, che non sapeva niente di quel recente sviluppo.
«Stiamo camminando verso di voi lungo il lato sud del cimitero. Stiamo cercando di trovare un modo per entrare senza farci prendere a calci in culo.»
«Ricevuto» disse Jack. «Midas è con me, ma la sua radio è andata. Ho perso la brunetta. Stiamo facendo una chiacchierata con la nostra amica giapponese.»
La sorpresa di Chavez era palese. «Siete entrati in contatto con lei?»
Ryan si massaggio il fianco dolorante, colpito una seconda volta da una donna che correva. Altroché, pensò Ryan. «Poi ti spiego.»
Riferì la situazione e la posizione di Chavez a Midas.
La donna giapponese cercò di prendere il suo cellulare, ma Midas le strinse il braccio dietro la schiena con la mano che non le stava tenendo il collo. Era più bassa di Jack di una ventina di centimetri, era in forma e aveva il fisico di chi correva abitualmente. Anche se era immobilizzata, teneva la testa alta, atteggiamento che si accompagnava bene al suo sguardo sprezzante.
Cercò di liberarsi e, quando si accorse che era impossibile, rivolse il suo sguardo minaccioso verso Jack. «State perdendo tempo con me.»
«Ci penso io a questo» fece Ryan, chinandosi per prendere il cellulare rotto. Adesso che poteva osservarla da vicino, Jack vide che i graffi sul lato sinistro della faccia della donna sembravano essere stati fatti una settimana prima. In fase di guarigione, erano tuttavia ancora rosa e piuttosto profondi, probabilmente causati da unghie di una persona molto determinata. «Chi sei?»
«Chi siete voi, piuttosto?» sbuffò l’altra.
Ryan finse indifferenza, anche se in realtà quella donna stava cominciando a innervosirlo. Doveva fare in fretta per andare a cercare la brunetta. «Forse è meglio se rivedi il tuo atteggiamento, visto che ti abbiamo appena visto sparare alla testa di una donna.»
La giapponese spalancò gli occhi per un attimo, ma poi riacquistò subito la calma.
«Fai come vuoi» disse Midas, stringendo la presa sul braccio finché la donna non fece una smorfia. «Allora immagino che preferisci parlare con la polizia.»
«Bakayaro!» esclamò con stizza. «Idioti! Sono io la polizia.»