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Il presidente Ryan era seduto nello Studio Ovale, in attesa, riflettendo su quello che avrebbe detto di lì a pochi minuti. Aveva in mano una fotografia venti per venticinque di un uomo sorridente con le guance rosee. Il marinaio ventenne era seduto davanti alla bandiera americana e indossava l’uniforme blu d’ordinanza con un cappello bianco. Scattata alla consegna del diploma presso il centro di addestramento, era una delle tipiche fotografie che nonni orgogliosi e genitori apprensivi espongono sopra la mensola del caminetto. Il sottufficiale di terza classe Stephen Ridgeway aveva aiutato a salvare una vita, una donna aggredita dai pirati. I genitori avrebbero pure dovuto saperlo. O forse no? Ryan avrebbe voluto saperlo se fosse successo qualcosa a uno dei suoi figli. Era questo il punto riguardo alla morte: era sempre qualcosa di personale. Il bambino di qualcun altro moriva, e immediatamente si pensava ai propri, alla fugacità della vita, e a quanto fosse incredibilmente facile spegnere la scintilla che permetteva a quella persona di vivere, indipendentemente da quanto brillasse.
Ryan sentì la voce decisa di Berry Martin all’interfono.
«Signor presidente, l’operatore della Casa Bianca ha Randy e Lois Ridgeway in linea.»
«Grazie, Berry.»
Ryan fece un respiro profondo, cercando di calmarsi. Era meglio non pensare troppo a questo genere di cose. La verità, tuttavia, era che ci pensava costantemente. Non poteva farne a meno.
«Signore e signora Ridgeway, sono Jack Ryan. Sono terribilmente afflitto per la vostra perdita…»
La telefonata di condoglianze durò quattro minuti. Non c’era molto che potesse dire, o almeno niente di significativo. I Ridgeway sapevano già che genere di uomo fosse il loro figlio, e non era necessario che il presidente degli Stati Uniti ricordasse loro di andarne fieri. Ryan guardò la fotografia di Stephen Ridgeway per un altro minuto mentre pensava a quello che doveva fare. Alla fine la spostò con rispetto da una parte e spostò al centro della scrivania un blocco appunti giallo.
Premette il pulsante dell’interfono.
«È sabato sera, Betty. Non dovresti nemmeno essere qui. Forza, va’ a casa.»
«Subito, signor presidente.» Era quello che Berry Martin diceva quando non ne voleva sapere di andarsene. Probabilmente suo marito era a casa a infilare spilli in una bambola di Jack Ryan per tutto il tempo che sua moglie passava alla Casa Bianca.
«Sul serio» insistette Ryan. «Faccio un’ultima telefonata e ho finito.»
«Le digito il numero.»
«Va’ a casa. È un ordine del tuo comandante supremo. Farò la telefonata da solo.»
«Ci sono dei protocolli, signor presidente» disse Betty.
«Benissimo.» Lesse il numero scritto sul blocco appunti e disse: «Adesso puoi andare a casa, per favore?».
«Subito, signor presidente.»
Il Watermelon Park Campground non era esattamente un luogo selvaggio; tuttavia, rispetto alla confusione del centro di Arlington, Virginia, sembrava un’oasi di pace, con i suoi tavoli da picnic, i bagni all’aperto e i falò con vista sul fiume Shenandoah. La sera precedente, alla dottoressa Ann Miller era servito tutto il viaggio fino a Leesburg per calmarsi dopo l’incontro con il presidente alla Casa Bianca. Il suo fidanzato non ne poteva già più di quella storia.
La Miller indossava lo stesso maglione a quadri rossi e neri che aveva indossato per l’incontro con Jack Ryan, ma lei ed Erica avevano passato la giornata in canoa, per cui si era cambiata i pantaloni lunghi e aveva indossato un paio di pantaloncini. Se in mezzo alla civiltà era una ragazza fedele al suo yogurt ai mirtilli, quella sera aveva deciso di concedersi uno s’more. Era seduta spalla contro spalla con Eric, intenta ad arrostire i marshmallow sul fuoco. Il cielo oltre i castagni era meravigliosamente buio, e il clima era abbastanza fresco da rendere perfetto il calore delle fiamme contro le ginocchia nude.
Toccò il bastoncino di Eric con il suo, spingendolo da parte.
Lui ridacchiò, lasciando che il suo marshmallow prendesse fuoco e guardandolo bruciare. «Immagino che alle persone che vengono convocate alla Casa Bianca spetti la porzione del fuoco migliore.»
«Era esattamente quello che stavo pensando anch’io» rispose Ann compiaciuta.
«Sai» disse Eric facendo un cenno con la testa verso la tenda, «il fatto che tu sia così richiesta dai più alti ufficiali del mondo è davvero estasiante…»
Ann scosse la testa. «Eric Jordan, per te anche una foglia che cade da una di quelle querce è estasiante.»
Eric mosse le sopracciglia in su e in giù. «Dipende da dove cade. Però, sul serio, essere chiamati dalla Casa Bianca non è da tutti.»
Il cellulare della Miller cominciò a suonare La cavalcata delle Valchirie. Lo aveva chiuso in una busta Ziploc, nell’eventualità che si fosse inondata la canoa, dunque le occorse qualche secondo per recuperarlo.
«Chi sarà mai?» la prese in giro Eric. «Il numero 10 di Downing Street, magari?»
Ann gli fece cenno di stare zitto e si portò il telefono all’orecchio. «Pronto?»
All’altro capo udì la voce di una donna, che non si perse nei preamboli.
«Parlo con la dottoressa Ann Miller?»
«Sì, sono io.»
«Dottoressa Miller, la prego di attendere mentre le passo il presidente degli Stati Uniti.»
La Miller si alzò all’istante, lasciando cadere il suo bastoncino nel fuoco. Era una cosa stupida, se ne rendeva conto, ma rimase comunque in piedi. Eric la guardò come se fosse impazzita.
Un istante più tardi sentì la voce del presidente. «Dottoressa Miller, sono Jack Ryan. Mi scuso se la chiamo così tardi, ma vorrei che desse un’occhiata ad alcune cose. Le dispiace passare dal mio ufficio domattina?»
Eric si avvicinò e premette l’orecchio contro quello di lei, per sentire meglio.
«Certo, signor presidente.»
«Benissimo. Manderò un’auto a prenderla.»
«N-no» balbettò Ann. «Voglio dire, non sarà necessario, signor presidente. Siamo al fiume Shenandoah in questo momento. Può accompagnarmi il mio ragazzo.»
«Allora facciamo domattina alle nove?»
Eric finse di essere imbronciato quando Ann riagganciò. «Dovrei essere geloso?»
La Miller si mise a ridere, smaltendo la tensione della telefonata. «Non lo so. In effetti è un uomo abbastanza fico. Magari un po’.»
Prese una sedia pieghevole e si avviò verso l’auto.
«Cosa fai?» le domandò Eric.
«Andiamo a casa. Non posso presentarmi alla Casa Bianca con questo maglione per due volte di fila.»
*
Ryan riagganciò nello stesso istante in cui Arnie van Damm, dopo aver attraversato l’ufficio dei segretari, fece irruzione nello Studio Ovale.
«Che ci fa Betty ancora qui di sabato sera?» Fece un cenno con la mano prima che Ryan potesse rispondere. «Lasci perdere. Deve guardare il notiziario. È accaduto qualcosa a Buenos Aires.»
Ryan mugugnò, avviandosi verso lo studio privato. Tutte le volte che Arnie voleva che guardasse la televisione era perché era appena successa qualche tragedia.
«È esplosa una bomba» continuò Van Damm.
Ryan sentì un vuoto allo stomaco. «C’era qualcuno dei nostri?» Era sempre la prima domanda.
Van Damm scosse la testa. «Un incontro fra ministri dell’Agricoltura. Nessun rappresentante degli Stati Uniti.» Il capo di gabinetto si passò una mano sulla pelata. «Non so perché, ma era presente anche il ministro Li. La situazione non è ancora chiara. Numero di vittime non confermato.»
Arnie seguì Ryan lungo un breve corridoio, fino alla piccola stanza oltre lo Studio Ovale. Appena entrato si fiondò sul telecomando: non avrebbe permesso al presidente di accendere da sé il televisore! Rimasero entrambi in silenzio a guardare le riprese effettuate con un cellulare. La vetrina di quello che sembrava un ristorante era in frantumi. Uomini e donne in uniforme correvano in tutte le direzioni. Due furgoni dei pompieri erano parcheggiati davanti al locale con i lampeggianti accesi, aggiungendo un tocco drammatico alle immagini. Le ambulanze arrivavano sulla scena, chiamate dagli agenti. Il commento era in spagnolo, e la giornalista americana faceva del suo meglio per ripetere un sacco di parole vuote, ancora e ancora. Che cos’altro poteva fare? A quel punto negli Stati Uniti non si sapeva ancora niente.
«Devo convocare il Consiglio per la sicurezza nazionale? O almeno la Commissione esecutiva?»
La Commissione esecutiva era una versione ridotta del Consiglio per la sicurezza nazionale: era formata dalla direttrice dell’intelligence nazionale, dal presidente degli Stati maggiori riuniti, dalla DIA, dalla CIA e da alcuni segretari di governo. Per le riunioni aveva a disposizione la sala operativa, ma il gruppetto era così piccolo che poteva starci comodamente nel suo ufficio.
Ryan pensò all’eventualità di convocare anche solo la Commissione esecutiva di sabato sera. «C’è qualche americano coinvolto?»
«Non che io sappia.»
«Ma c’è di nuovo la Cina di mezzo…»
«Sì.»
Ryan guardò due pompieri argentini uscire dal ristorante con una sacca per cadaveri. Scosse la testa. «No, chiama soltanto Mary Pat per adesso. Voglio rivedere un paio di cose insieme a lei.»
Van Damm si mise a sedere alla scrivania del piccolo studio e si attivò per mettersi in contatto con la DNI, mentre Ryan si mise a sedere su una delle poltrone di pelle per guardare le immagini da Buenos Aires. In basso allo schermo scorreva la scritta ULTIM’ORA, ma poiché non avevano che video amatoriali, c’era ben poco da raccontare. In fondo allo schermo scorsero anche le notizie principali della giornata, tra cui il fatto che il tifone Catelyn si stava rafforzando a duecento miglia nautiche a est di Okinawa. Ryan era già stato messo al corrente dell’avanzata di Catelyn, al tempo ancora considerato un ciclone tropicale, quando aveva mancato di poco la base della marina americana a Guam. Adesso quel tifone maledetto era diretto a nord, in direzione di Yokosuka, in Giappone.
«Sono in linea con la Foley» disse Arnie. «Vuole che la metta in vivavoce?»
Ryan scosse la testa. «Ripensandoci, chiama anche Bob Burgess. Già che ci siamo, meglio avere un aggiornamento anche sulla Settima flotta.»