1)

Orrin Devinsky et al. hanno descritto «fenomeni autoscopici con crisi epilettiche» in dieci dei loro pazienti e hanno passato in rassegna casi simili precedentemente riportati nella letteratura scientifica; in Svizzera, Olaf Blanke e i suoi colleghi sono invece riusciti a monitorare l'attività cerebrale di pazienti epilettici durante esperienze extracorporee. 

2)

Kevin Nelson e i suoi colleghi della University of Kentucky hanno pubblicato diversi articoli neurologici nei quali hanno enfatizzato le somiglianze fra i sentimenti di dissociazione, euforia e misticismo presenti nelle esperienze di quasi-morte e quelli presenti nei sogni, nel sonno REM e negli stati allucinatori ai confini del sonno. 

3)

Ho raccontato la storia di Franco in un capitolo di Un antropologo su Marte, «Il paesaggio dei suoi sogni». 

4)

L'importanza degli attributi esclusivamente sonori o musicali rispetto a quelli emozionali fu discussa da David Poskanzer, Arthur Brown e Henry Miller nella loro descrizione splendidamente dettagliata di un sessantaduenne che aveva perso più volte coscienza mentre ascoltava la radio, esattamente alle 20. 59. In altre occasioni, l'uomo aveva avuto crisi epilettiche indotte dal suono delle campane di una chiesa. A posteriori si comprese che gli attacchi provocati dalla radio erano indotti dal rintocco delle campane di St Mary-le-Bow, trasmesso dalla BBC subito prima del notiziario delle 21.00. Usando una gamma di stimoli diversi – registrazioni delle campane di chiese differenti, il suono delle campane riprodotto all'indietro, come pure musica per organo e per pianoforte – Poskanzer et al. riuscirono a dimostrare che le crisi erano indotte solo da note che rientravano in una certa gamma di frequenze e avevano una qualità o un timbro molto «simile alle campane». Essi osservarono anche che, se lo si riproduceva all'indietro, lo scampanio perdeva il suo impatto. Il paziente negò qualsiasi associazione con le campane di St Mary-le-Bow; sembrava semplicemente che tale sequenza di note, di quella particolare frequenza e di quel particolare timbro, suonate in quel particolare ordine, bastasse a innescare in lui una crisi epilettica. (Poskanzer et al. notarono anche che il loro soggetto, dopo aver avuto una crisi indotta dalle campane di St Mary-le-Bow, rimaneva immune a quei suoni per circa una settimana). 

5)

Questo è un argomento sul quale Critchley tornò a più riprese nella sua lunga carriera. Nel 1977, quarant'anni dopo la pubblicazione del suo articolo pionieristico sull'epilessia musicogena, incluse due capitoli sul tema in La musica e il cervello, un libro che curò insieme a R. A. Henson. 

6)

Si veda David J. M. Kraemer et al., 2005. 

7)

In effetti, in qualsiasi musicista di professione, gran parte della vita a livello cosciente e perfino incosciente può essere dominata dall'immaginazione volontaria. Fondamentalmente, ogni artista è sempre al lavoro, anche quando non sembra esserlo. Lo ha espresso molto bene Ned Rorem, in Facing the Night: «Io non smetto mai di lavorare. Anche mentre siedo qui chiacchierando di Kafka o di mirtilli, di sodomia o di softball, la mia mente è allo stesso tempo incollata al pezzo che sto creando in questo periodo; l'atto fisico di inserire le note sul pentagramma non è che una necessaria aggiunta, apportata in un secondo tempo». 

8)

Willliam James, dal canto suo, scrisse a proposito della nostra «suscettibilità alla musica»; presumibilmente intendeva includervi anche la nostra suscettibilità all'immaginazione musicale. Tuttavia, la considerava di «nessuna utilità zoologica» e pensava che non riflettesse altro che «una mera peculiarità incidentale del sistema nervoso». 

9)

Chi è un po' più anziano ricorderà la melodia di Love and Marriage utilizzata nella pubblicità delle zuppe Campbell's «Soup and Sandwich». Van Heusen era un maestro in fatto di motivetti orecchiabili e scrisse per Bing Crosby, Frank Sinatra e altri decine di canzoni (letteralmente) indimenticabili, fra cui High Hopes, Only the Lonely e Come Fly with Me. Molte di quelle canzoni sono state poi adattate per trarne sigle televisive o motivi per la pubblicità. 

10)

Robert Jourdain, in Music, the Brain, and Ecstasy, cita i diari in cui Clara Schumann descriveva come suo marito sentisse della «musica splendida, con strumenti che suonavano in un modo così meraviglioso che nessuno aveva mai udito sulla terra». Uno dei suoi amici riferì che Schumann «si confidò a proposito di uno strano fenomeno... l'ascolto interiore di brani di musica prodigiosamente bella, perfettamente formata e completa! Il suono è come quello di ottoni lontani, accompagnato dalle più magnifiche armonie». Probabilmente Schumann soffriva di un disturbo maniaco-depressivo o schizo-affettivo e, poco prima di morire, di neurosifilide. Come rivela Peter Ostwald nel suo studio sul compositore, Schumann: Music and Madness, nel suo crollo finale, le allucinazioni che a volte nel periodo di massima creatività era stato in grado di dominare, al punto di servirsene, finirono per travolgerlo, degenerando dapprima in una musica «angelica», poi «demoniaca» e infine in una sola, «terribile» nota: un la, che risuonava incessantemente, giorno e notte, con insopportabile intensità. 

11)

Diana Deutsch, alla University of California di San Diego, ha ricevuto lettere di molte persone con allucinazioni musicali ed è rimasta colpita nel constatare quanto sia comune che tali allucinazioni si contraggano nel tempo diventando frasi musicali sempre più brevi, a volte ridotte a una o due note. Queste esperienze possono avere analogie con quelle degli arti fantasma, i quali con il passare del tempo si contraggono o vanno incontro a modificazioni «telescopiche»; per esempio, un arto fantasma può ridursi a una mano ad artiglio in apparenza attaccata direttamente alla spalla. 

12)

Questo caso è stato descritto da R. R. David e H. H. Fernandez della Brown University. 

13)

L'esperienza vissuta da Michael Chorost in seguito all'inserimento di un impianto cocleare fu molto diversa, come lui stesso ha descritto nel suo libro Rebuilt: How Becoming Part Computer Made Me More Human

«Una settimana o due dopo l'attivazione, la folle orchestra ha licenziato la maggior parte dei suoi membri. L'impianto maschera le allucinazioni uditive proprio come il sole cancella le stelle. Quando mi tolgo il dispositivo esterno, sento ancora il rumore sommesso di una folla lontana. Ma non è più il rumore di un jet, o di un ristorante con un migliaio di clienti, o di batteristi jazz scatenati. 

«È come se la mia corteccia uditiva mi avesse detto rabbiosamente: “Se non mi dai dei suoni, me li inventerò io”. Cosa che ha fatto immediatamente, senza tregua, in proporzione inversa alla perdita. Ma adesso che le viene offerto a sazietà tutto quello che può trangugiare, è di nuovo felice ed è ammutolita. 

«La prima sera che me ne resi conto, mi spogliai e andai a letto in un silenzio profondo – un silenzio benedetto». 

14)

Questo saggio, intitolato «Reminiscenza», è contenuto in L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello. 

15)

Nel 1975, Norman Geschwind e i suoi colleghi pubblicarono un articolo destinato ad avere grande risonanza, nel quale avvertivano i neurologi di come l'incidenza di questa sindrome fosse sottostimata (si veda Ross, Jossman et al.): negli ultimi dieci-vent'anni la letteratura medica ha prestato sempre maggiore attenzione alle allucinazioni musicali. Al principio degli anni Novanta G. E. Berrios pubblicò due rassegne critiche esaustive; lo studio clinico più esteso sulle allucinazioni musicali compiuto su una singola popolazione è, a tutt'oggi, quello di Nick Warner e Victor Aziz, che nel 2005 hanno pubblicato i risultati di un'osservazione durata quindici anni sull'incidenza, la fenomenologia e l'ecologia delle allucinazioni musicali negli anziani del Galles meridionale. 

16)

In alcuni studi è stato ipotizzato che le persone schizofreniche possano presentare un'aumentata incidenza di allucinazioni musicali in aggiunta alle loro allucinazioni psicotiche, e che questi fenomeni possano essere correlati (si veda Hermesh, Konas et al., 2004). La mia esperienza – nel corso di venticinque anni di lavoro in un ospedale statale per pazienti psichiatrici, dove ho sempre chiesto a ogni paziente se avesse allucinazioni vocali e musicali – depone contro una qualsiasi correlazione di questo tipo. 

Ho conosciuto centinaia di pazienti che confessavano di sentire voci, ma pochissimi che ammettessero di sentire della musica. Ci fu un solo paziente, Angel C., che le sentiva entrambe e operava fra di esse una netta distinzione. Sentiva «voci» (che gli si rivolgevano accusandolo, minacciandolo, lusingandolo o impartendogli ordini) fin dal suo primo attacco psicotico, avvenuto quando aveva diciotto anni. D'altro canto, aveva cominciato a sentire della «musica» solo verso i trentacinque anni, quando era diventato un po' sordo. Sebbene lo «sconcertasse», la musica non lo spaventava; viceversa, le allucinazioni con voci «intimidatorie» cui andava soggetto erano cariche di un senso di terrore e minaccia. Le allucinazioni musicali cominciavano con un «confuso mormorio», simile al vocìo di una folla, e poi si differenziavano in musica, una musica che Angel amava. «Una volta ascoltavo dischi di musica spagnola» mi disse. «Adesso è come se li ascoltassi ancora, ma non ci sono dischi». A volte, inframmezzati alla musica, c'erano altri rumori: per esempio il «mormorio» che sentiva all'inizio dell'allucinazione, rumori «come di aeroplani che ti passano sopra», e «rumori da fabbrica» simili a quelli di macchine per cucire. 

Yukio Izumi et al., studiando un paziente che aveva allucinazioni verbali e musicali, hanno scoperto, nei due casi, modalità di flusso ematico cerebrale regionale «chiaramente diverse», che «forse riflettono le diverse cause dei due tipi di allucinazione». 

17)

Il tinnito a volte accompagna o precede le allucinazioni musicali ma spesso si manifesta da solo. A volte ha un'altezza definita, come nel caso del fa naturale acuto di Gordon B.; spesso ricorda un sibilo o il suono metallico di un campanello. Il campanello, il fischio o il sibilo del tinnito, come le allucinazioni musicali, sembrano venire dall'esterno. Quando alcuni anni fa ebbi per la prima volta un tinnito, pensai che un calorifero del mio appartamento avesse una perdita di vapore; solo quando il rumore mi «seguì» fuori, per la strada, mi resi conto che il suono era generato dal mio cervello. Il tinnito, come le allucinazioni musicali, può a volte essere così forte da rendere difficile sentire le voci delle persone. 

18)

Nel caso di Gordon, come in quello di Sheryl C., un rumore meccanico fu sostituito dalla musica. Era forse il cervello che imponeva ordine al disordine? Qualcosa di simile sembrò accadere a Michael Chorost quando, nell'arco di qualche ora, passò da una grave sordità alla perdita completa dell'udito e, insieme a questa, all'immediato insorgere di allucinazioni musicali. Nel suo libro Rebuilt, Chorost descrive il modo in cui adesso ogni suo giorno comincia nel rumore e finisce nella musica: 

«Cosa alquanto grottesca, io non vivo nel mondo silenzioso che mi sarei aspettato. Quello, almeno, sarebbe stato familiare, perché avevo sempre potuto togliermi l'apparecchio acustico e sperimentare un silenzio pressoché totale. Adesso invece sento un fiume tempestoso, il rumore di un aeroplano, un ristorante con mille clienti che parlano tutti insieme. Il suono è incessante e opprimente... Vi sono, tuttavia, delle consolazioni. Di sera, rombi e campane si attenuano. Diventano grandiosi, sonori e profondi. Ascolto un grande organo suonare un lamento funebre che evolve lentamente senza tempo o ritmo. Ha la solenne grandiosità di un'aurora... ed è proprio adatto alle circostanze, giacché le mie orecchie stanno morendo. Ma in occasione del loro funerale, ecco che si producono in una musica superba». 

19)

Una delle mie pazienti alla casa di riposo, Margaret H., aveva problemi di udito da diversi anni: una sordità grave all'orecchio destro e moderata al sinistro, che andava aumentando su tutti e due i lati. Margaret tuttavia non si lamentava tanto per la compromissione dell'udito, quanto piuttosto per il fenomeno del «reclutamento», ossia di una sensibilità esagerata e abnorme ai suoni. Si lamentava di una «sgradevole enfasi che rende alcune voci quasi intollerabili». Un anno dopo, disse: «Vado nella cappella, ma il suono dell'organo e il canto continuano a crescere e rimangono nella mia mente finché non diventano intollerabili». A questo punto cominciò a portare dei tappi nelle orecchie e rifiutò di usare apparecchi acustici, temendo che avrebbero ulteriormente accentuato la spiacevole amplificazione e distorsione dei suoni. 

Margaret H., tuttavia, non ebbe alcuna allucinazione musicale fino a una mattina di cinque anni dopo, quando si svegliò e sentì una voce che cantava in continuazione il ritornello di My Darling Clementine. Raccontò che il ritornello cominciava come «una melodia dolce e sommessa, ma poi diventava jazzata, ad alto volume, ritmata, chiassosa e per niente tenera. Quasi mi piace, ma poi ecco che diventa grossolana, non più melodica». Per un paio di giorni rimase nella convinzione che padre O'Brien, il paziente della stanza a fianco, ascoltasse di continuo un vecchio disco di Sinatra. 

Le allucinazioni della signora H. hanno le stesse qualità di amplificazione, distorsione e disagio crescenti dei suoi precedenti fenomeni uditivi. In questo, Margaret H. è diversa da Gordon B. e da altri, le cui allucinazioni musicali non sono distorte (sebbene il loro udito, quando ascoltano musica reale, possa esserlo). 

20)

A distanza di tre anni, la madre di Michael mi ha dato il seguente aggiornamento: «Michael, che adesso ha dodici anni e frequenta la settima classe, continua a sentire musica, incessantemente. Sembra riuscire meglio a farle fronte, a meno che non sia sotto pressione per la scuola. In quel caso gli vengono attacchi di emicrania in cui la musica diventa molto forte e rimescolata come se qualcuno stesse passando da una stazione radio all'altra. Per fortuna, quest'anno la frequenza di episodi del genere è enormemente diminuita. Una cosa interessante è che quando Michael sente della musica, automaticamente il suo cervello la registra e lui è in grado di ricordare o suonare un brano anche dopo anni, come se lo avesse appena ascoltato. Gli piace comporre ed è dotato di orecchio assoluto». 

21)

In un articolo comparso nel 1983 sul «New York Times», Donai Henahan scrisse a proposito della lesione cerebrale di Sostakovič. Sebbene, come osservava Henahan, non ci fosse alcuna prova a corroborare tali asserzioni, correva voce che il compositore fosse stato colpito da uno shrapnel tedesco durante l'assedio di Leningrado, e che alcuni anni dopo una radiografìa avesse mostrato una scheggia metallica conficcata nell'area uditiva del suo cervello. 

Henahan scrive che «Sostakovič, tuttavia, era restio all'idea di farsi rimuovere la scheggia, il che di certo non ci stupisce: da quando si trovava dov'era, spiegava, ogni volta che inclinava la testa di lato, sentiva della musica. Aveva la testa piena di melodie – ogni volta diverse – dalle quali poi attingeva nel comporre. Quando raddrizzava la testa, la musica immediatamente cessava». 

22)

Un collega neurologo, il dottor John Carlson, mi descrisse P. G., una sua paziente che in seguito a un ictus interessante il lobo temporale aveva sperimentato intense allucinazioni musicali. La signora C., ora ultranovantenne, è una donna dotata e musicale che ha scritto più di seicento poesie e molti inni, e aveva tenuto un diario sulle sue strane esperienze. Per più di due settimane visse nella convinzione che una vicina stesse incessantemente ascoltando un registratore a tutto volume e a tutte le ore. Poi cominciò a rendersi conto che non era così: 

«17 marzo Kevin era nell'ingresso con me e io gli ho detto: “Vorrei tanto sapere perché Theresa contìnua a suonare sempre le stesse canzoni. Mi dà fastìdio. A dirla tutta, mi sta facendo proprio impazzire”. Kevin ha risposto: «Io non sento nulla». Mi chiedo se non gli stia peggiorando l'udito. 

«19 marzo Alla fine ho chiamato Theresa al telefono, non sta ascoltando niente, e a questo punto non so proprio da dove venga. 

«23 marzo Questa musica che continuo a sentire mi sta lentamente facendo uscire di testa... Non sono riuscita a dormire per ore. Adesso sto ascoltando Silent Night, Away in a Manger, Little Brown Church e poi di nuovo Sun of My Soul Natale a marzo? Sento ogni canzone con intonazione e ritmo perfetti; non si ferma finché non è finita. Saranno le mie orecchie? o la mia mente?». 

In aprile, la signora G. consultò il dottor Carlson per una valutazione neurologica comprendente una risonanza magnetica e un elettroencefalogramma. La risonanza indicava che la donna aveva avuto degli ictus in entrambi i lobi temporali (quello sul lato destro più acuto e recente). Dopo tre o quattro mesi le sue allucinazioni musicali in larga misura scomparvero, sebbene a distanza di due anni capitava ancora che ne avesse, sporadicamente. 

23)

Nel suo romanzo autobiografico del 1957 La prova di Gilbert Pinfold, Evelyn Waugh descrive un delirio, o psicosi, da intossicazione, indotto da dosi elevatissime di cloralio idrato assunto insieme ad alcol e oppiacei. Mentre è in crociera per curarsi i nervi, Pinfold ha allucinazioni uditive di ogni tipo: rumori, voci e, soprattutto, musica. 

24)

In epoca vittoriana, i medici utilizzavano il termine quanto mai espressivo brainstorms – «tempeste cerebrali» – non solo per riferirsi alle epilessie, ma anche a emicranie, allucinazioni, tic, incubi, manie e stati eccitati di ogni genere (Gowers parlava di questi e di altri stati «iperfisiologici» collocandoli «nella terra di confine» cön l'epilessia). 

25)

Un'analisi estesa e approfondita delle allucinazioni uditive nelle persone sane e nei pazienti schizofrenici si trova nel libro di Daniel B. Smith Muses, Madmen, and Prophets: Rethinking the History, Science, and Meaning ofAuditory Hallucinations. 

26)

In seguito le chiesi se avesse anche altre allucinazioni più semplici. A volte, mi rispose, solo un «din don, din don», con il «don» una quinta sotto il «din», ripetuto centinaia di volte fino a farla impazzire. 

27)

Non è sempre così, però, cóme illustra il caso del violoncellista Daniel Stern. Stern aveva una memoria musicale prodigiosa, e la sua musica allucinatoria, a mano a mano che lui diventava sempre più sordo, consisteva quasi interamente di concerti per violoncello e altri pezzi per strumenti ad arco che lui stesso aveva suonato e che sentiva per intero. Stern, che è anche uno scrittore, ha parlato delle sue allucinazioni musicali nel racconto Fabrikant's Way. 

28)

Rangell, ormai novantaduenne, continua a esercitare come psicoanalista e sta scrivendo un libro sulle sue allucinazioni musicali. 

29)

Rangell aveva anche un vago ricordo di quando, quindici anni prima, in occasione del suo primo intervento di by-pass, aveva sentito «gli stessi inni e canti tristi», che però poi erano scomparsi («Non posso garantire i dettagli di questo ricordo,» scrisse «ma so che mi diede speranza»). 

30)

Si potrebbe anche ribaltare la prospettiva, come fece Stravinskij nella sua Poetica della musica, in una discussione su Beethoven e Bellini: «Beethoven ha consegnato alla musica un patrimonio che sembra dovuto soltanto al suo ostinato lavoro. Bellini ha ricevuto la melodia senza essersi data la pena di domandarla, come se il Cielo gli avesse detto: “Io ti dono esattamente quel che mancava a Beethoven”». 

31)

Si vedano, per esempio, l'articolo del 2003 di Gaser e Schlaug e quello, sempre del 2003, di Hutchinson, Lee, Gaab e Schlaug. 

32)

Anche i sordi profondi possono avere una musicalità innata. Le persone non udenti spesso amano la musica e sono molto sensibili al ritmo, che percepiscono come vibrazione e non come suono. Evelyn Glennie, acclamata percussionista, vive in uno stato di sordità profonda da quando aveva dodici anni. 

33)

Non sempre è facile o possibile offrire ai bambini un'educazione musicale, soprattutto negli Stati Uniti, dove in molte scuole si sta eliminando questo tipo di formazione. Tod Machover, compositore e importante ideatore di nuove tecnologie musicali, cerca di affrontare questo problema «democratizzando» la musica, rendendola cioè accessibile a chiunque. Machover e i suoi colleglli del Media Lab del MIT hanno sviluppato non solo Brain Opera, Toy Symphony e il famoso videogioco Guitar Hero, ma anche Hyperinstruments, Hyperscore e altri sistemi interattivi usati da musicisti di professione del calibro di Joshua Bell, Yo-Yo Ma e Peter Gabriel, come pure dallo Ying Quartet e dalla London Sinfonietta. 

34)

A questo proposito vi sono ben poche eccezioni, rappresentate da alcuni bambini con autismo o con afasia congenita. Ma per lo più anche i bambini con seri problemi neurologici o dello sviluppo acquisiscono il linguaggio funzionale. 

35)

Florence Foster Jenkins, un soprano leggero che ai suoi tempi faceva il tutto esaurito alla Camegie Hall, si considerava una grande cantante e si arrischiava a eseguire le arie operistiche più difficili: brani che richiedevano un orecchio perfetto e un'estensione vocale straordinaria. Lei invece cantava note atrocemente sbagliate, calanti, perfino stridenti, a quanto pare senza rendersene conto. Anche il suo senso del ritmo era terribile, ma il pubblico continuava a gremire i suoi concerti, che garantivano sempre spettacolarità e non lesinavano cambi di costume. Se i suoi fan le fossero devoti nonostante la mancanza di musicalità, o proprio per via di quella, non è chiaro. 

36)

Nel 2000, Piccirilli, Sciarma e Luzzi hanno descritto l'improvviso instaurarsi di un'amusia in un giovane musicista dopo un ictus. «Non riesco a sentire alcuna qualità musicale» si lamentava. «Tutte le note suonano uguali». Il linguaggio verbale, d'altro canto, gli suonava normale e anche il suo senso del ritmo era intatto. 

37)

Daniel Levitin ricorda che Ulysses S. Grant aveva fama di essere «affetto da sordità tonale» e dichiarava di «conoscere solo due canzoni. “Una è Yankee Doodle, ” affermava “e l'altra no”». 

38)

Il fatto che la maggior parte delle persone con amusia congenita abbia una percezione pressoché normale del linguaggio verbale, pur essendo profondamente incapacitata in quella musicale, è davvero sorprendente. Possibile che il linguaggio e la musica siano tanto diversi dal punto di vista tonale? Inizialmente Ayotte et al. pensavano che, nelle persone con amusia, la capacità di percepire le intonazioni del linguaggio potrebbe spiegarsi considerando che la discriminazione dell'altezza dei toni richiesta dal linguaggio è meno precisa di quella richiesta dalla musica. Patel, Foxton e Griffiths, però, hanno dimostrato che se si estraggono dal linguaggio i contorni dell'intonazione, gli individui con amusia hanno serie difficoltà nel riconoscerli. È chiaro, pertanto, che altri fattori – per esempio il riconoscimento delle parole, delle sillabe e della struttura delle frasi – devono avere un ruolo fondamentale nel consentire a persone affette da grave sordità tonale di parlare e comprendere in modo quasi normale le sfumature del linguaggio. Isabelle Peretz e i suoi colleghi si accingono a studiare se questo valga anche per chi parla lingue che, come il cinese, dipendono più fortemente dai toni. 

39)

Una persona con un impianto cocleare, il quale può riprodurre soltanto una gamma limitata di suoni, ha, in effetti, un'amusia tecnologicamente indotta, proprio come la signora L. ne ha una su base neurologica. Gli impianti cocleari sostituiscono le 3500 cellule capellute interne di un orecchio normale con solamente 16 o 24 elettrodi. Se da un lato il linguaggio è comprensibile con questa scarsa risoluzione delle frequenze, dall'altro la musica ne soffre. Nel 1995, con i suoi impianti cocleari, Michael Chorost paragonò la propria esperienza della musica a «camminare in una pinacoteca senza poter vedere i colori». Aggiungere altri elettrodi è diffìcile, perché – se vengono messi troppo vicini nell'ambiente umido del corpo umano – si mandano reciprocamente in corto circuito. È tuttavia possibile avvalersi di un software per creare degli elettrodi virtuali fra quelli fisici, facendo così in modo che un impianto a 16 elettrodi equivalga a uno di 121. Con il nuovo software, Chorost racconta di esser passato dalla capacità di distinguere suoni distanti 70 Hertz – intervallo equivalente, nel range centrale delle frequenze udibili, a tre o quattro semitoni – a quella di discriminare suoni distanti 30 Hertz. Sebbene questa risoluzione sia più scarsa di quella di un orecchio normale, ha comunque migliorato significativamente la sua capacità di godere della musica. L'amusia tecnologica può pertanto essere affrontata esclusivamente con mezzi tecnologici. (Si veda l'affascinante diario di Chorost, Rebuilt: How Becoming Part Computer Made Me More Human, e un articolo che ha scritto per «Wired», intitolato My bionic quest for «Bolèro»). 

40)

In seguito, riflettendo su questo, la signora L. menzionò un passaggio del mio libro L'isola dei senza colore, che l'aveva colpita. Vi descrivevo un amico totalmente e congenitamente acromatöpsico, ossia cieco al colore, il quale mi aveva detto: «Da bambino ero solito pensare che sarebbe stato bello vederli [i colori]... suppongo che potrebbe aprirmisi davanti un mondo nuovo: come se uno fosse sordo [ai suoni] e d'improvviso potesse udire la musica. Credo che sarebbe molto interessante, ma che causerebbe anche tanta confusione». 

41)

I neurochirurghi Stephen Russell e John Golfinos hanno descritto molti loro pazienti, compresa una giovane cantante professionista che aveva sviluppato un glioma della corteccia uditiva primaria (giro di Heschl) sul lato destro. L'intervento chirurgico, eseguito per rimuovere il tumore, ebbe come conseguenza una difficoltà così profonda nella discriminazione delle altezze che questa paziente si ritrovò incapace sia di cantare, sia di riconoscere qualsiasi melodia, compresa Happy Birthday to You. Queste difficoltà, tuttavia, furono solo transitorie, e nell'arco di tre settimane la donna recuperò la propria precedente capacità di cantare e riconoscere la musica. Se questa evoluzione fosse dovuta alla guarigione dei tessuti o alla plasticità cerebrale non è noto. Gli autori sottolineano che nel caso di tumori del giro di Heschl sinistro non si osservano amusie paragonabili. 

Recentemente è stato dimostrato che pazienti con amusia congenita presentano un ridotto sviluppo di un'area di sostanza bianca nel giro frontale inferiore destro, un'area che sappiamo essere coinvolta nella codificazione delle altezze musicali e nella memoria melodica (si vedano Hyde, Zatorre et al., 2006). 

42)

Questo mi fece tornare in mente John Hull che, nel suo libro Il dono oscuro, racconta di come, uomo ormai di mezza età, avesse perso la vista e con essa l'immaginazione visiva, un tempo intensa. Hull non riusciva più a visualizzare il numero 3, a meno che non lo tracciasse in aria con un dito. Doveva far uso di una memoria enattiva o procedurale, al posto di quella iconica che aveva perduto. 

43)

Qualcosa di analogo a una simultagnosia transitoria può verificarsi con l'intossicazione da cannabis o da allucinogeni. In tali condizioni ci si può ritrovare in un caleidoscopio di sensazioni intense, in cui colori, forme, odori, suoni, percezioni tattili e gustative sono tutti isolati e risaltano sorprendentemente separati, giacché le reciproche connessioni sono smorzate o perdute. Anthony Storr, in Music and the Mind, descrive l'ascolto di Mozart dopo aver preso la mescalina: 

«Ero consapevole della qualità pulsante e vibrante dei suoni che mi arrivavano; del morso dell'archetto sulla corda; di un appello diretto alle mie emozioni. L'apprezzamento della forma, invece, era enormemente compromesso. Ogni volta che un tema si ripeteva, lo accoglievo come una sorpresa. Presi singolarmente, i temi potevano rapirmi, ma il loro rapporto reciproco era scomparso». 

44)

Il caso di Virgil è descritto in «Vedere e non vedere», uno dei saggi raccolti in Un antropologo su Marte. 

45)

Il tritono – una quarta aumentata (o, come preferiscono i jazzisti, una quinta diminuita) – è un intervallo difficile da cantare al quale è stata spesso attribuita una qualità spiacevole, inquietante o addirittura diabolica. Nella musica religiosa più antica, il suo uso era proibito e i primi teorici lo chiamavano diabolus in musica. Fu proprio per questo motivo che Tartini lo utilizzò nella sua sonata per violino II trillo del diavolo. 

Sebbene di per sé il tritono suoni così stridente, lo si può facilmente integrare con un altro tritono, formando un accordo di settima diminuita che, come osserva The Oxford Companion to Music, «ha un effetto sensuale... L'accordo è, in effetti, il più proteiforme di tutta rarmonia. In Inghilterra gli è stato dato un soprannome, “Il nodo di Glapham dell'armonia” – da una stazione ferroviaria di Londra dove confluiscono così tante linee che, una volta arrivati lì, si può prendere un treno per qualsiasi destinazione». 

46)

L'orecchio assoluto può modificarsi con l'età il che ha spesso rappresentato un problema per i musicisti più anziani. Marc Damashek, un accordatore di pianoforti, mi scrisse a proposito di questo problema: «Quando avevo quattro anni, la mia sorella maggiore scoprì che avevo l'orecchio assoluto, e cioè che potevo istantaneamente identificare qualsiasi nota sulla tastiera senza guardare... Sono rimasto sorpreso (e contrariato) quando ho scoperto che la mia percezione dei suoni del pianoforte si è spostata verso l'alto di forse 150 cent (un semitono e mezzo)... Ora, quando ascolto un brano registrato o un'esecuzione dal vivo, la mia stima delle note suonate è costantemente e assurdamente spostata verso l'alto». 

Damashek racconta di non riuscire a compensare con facilità tale spostamento, perché «sono sempre fermamente convinto che la nota che sto ascoltando è quella che ho sempre chiamato con il suo giusto nome: suona ancora come un fa, accidenti a lei, ma è un mi bemolle!». 

Peraltro, come mi ha scritto Patrick Baron, musicista e accordatore di pianoforti, «i colleghi più anziani tendono ad accordare troppo alte le ottave più acute e in particolare, in modo incredibile, le ultime tre o quattro note (a volte aumentandole di più di un semitono)... Forse a causare questo fenomeno, più che uno spostamento generale, c'è una sorta di atrofia della membrana basilare o un irrigidimento delle cellule capellute». 

Altre condizioni possono causare un'alterazione temporanea o permanente dell'orecchio assoluto, ivi compresi ictus, traumi cranici e infezioni che interessano il cervello. Un corrispondente mi scrisse che il suo orecchio assoluto si era spostato di un semitono durante un attacco di sclerosi multipla e da allora era rimasto leggermente alterato. 

47)

È interessante osservare che tali asimmetrie non si osservano in soggetti non vedenti con orecchio assoluto, nei quali probabilmente hanno luogo radicali fenomeni di riorganizzazione del cervello, nel corso dei quali porzioni della corteccia visiva sono reclutate per il rilevamento dell'altezza dei suoni, come pure per altre percezioni uditive e tattili. 

48)

Pur se elaborata da Mithen in modo affascinante, questa idea non è nuova. Jean-Jacques Rousseau (compositore oltre che filosofo) ipotizzò nel suo Saggio sull'origine delle lingue che nella società primitiva il linguaggio e il canto non fossero distinti l'uno dall'altro. Per Rousseau, le lingue primitive erano «melodiche e poetiche più che pratiche o prosaiche», come ha scritto Maurice Granston, e non venivano tanto pronunciate quanto piuttosto cantilenate o cantate. Lo si può osservare anche al giorno d'oggi, nelle tradizioni religiose ed epiche, dalla cantillazione di litanie e preghiere, alla declamazione cantilenante di poemi epici. 

49)

C'è da aspettarsi che tali problemi aumentino esponenzialmente nelle persone che ascoltano musica, con l'iPod ma non solo, a volume troppo alto. È stato detto che oggi più del 15 per cento dei giovani presenta una significativa compromissione dell'udito. Se si ascolta musica in un ambiente già di per sé rumoroso, usandola per coprire gli altri rumori, la distruzione delle cellule capellute è quasi garantita. 

50)

In tal senso, egli era radicalmente diverso dal signor I., il pittore divenuto del tutto incapace di vedere il colore a causa del danno patito dalle aree della corteccia visiva che elaborano il colore. Il signor I. non perse soltanto la capacità di percepire i colori, ma anche quella di immaginarli o vederli con l'occhio della mente. Se il danno subito dal signor I. avesse interessato le cellule sensibili al colore presenti nella retina, e non le aree visive del suo cervello, egli sarebbe stato ancora in grado di immaginare e ricordare il colore. La storia del signor L, «Il caso del pittore che non vedeva i colori», è stata pubblicata in Un antropologo su Marte. 

51)

Il potere del contesto è ugualmente chiaro nella sfera visiva. La retina, come la coclea, è oggetto di una mappatura sistematica nella corteccia cerebrale, e un danno che la interessi direttamente (o la presenza di un edema sotto di essa) può causare strane distorsioni della visione, a volte una deformazione delle linee verticali e orizzontali, come se si stesse guardando attraverso un obiettivo fisheye. Queste distorsioni possono essere molto pronunciate se si dà un'occhiata a oggetti singoli: la cornice di un quadro può apparire curva e trapezoidale, oppure una tazza o un piattino sono bizzarramente deformati. Tali distorsioni però si attenuano o scompaiono se si guarda un paesaggio o una scena visiva ricca di dettagli – perché il contesto aiuta la corteccia a normalizzare le sue mappe retiniche. 

In una tal situazione, una certa correzione può essere possibile anche facendo appello agli altri sensi. Il davanzale di una finestra, per esempio, che ha un bordo diritto, può apparire ondulato per via della deformazione retinica, ma se si fa passare lentamente un dito lungo di esso, le distorsioni visive scompaiono nel momento in cui il dito informa il cervello che il bordo è rettilineo; le distorsioni riappariranno dietro al dito, non appena quello sarà passato. La sola concentrazione visiva è molto meno efficace. Se si vede un triangolo rigonfio, con un aspetto decisamente non euclideo, come se fosse inscritto su una superficie curva, non è possibile costringerlo, facendo leva sulla conoscenza o sulla forza di volontà, a riassumere la forma corretta. I frammenti di un'immagine retinica, a quanto pare, non possono essere ricalibrati con la stessa facilità delle distorsioni nella percezione dell'altezza dei suoni, causate da un danno alla coclea. 

52)

Qualche mese dopo avrei appreso che tali distorsioni potevano insorgere anche temporaneamente e non erano insolite. Il mio amico Patrick Baron, l'accordatore di pianoforti, mi raccontò che una volta aveva sperimentato una sordità temporanea, più grave da un lato rispetto all'altro, dopo essere stato esposto a un rumore molto intenso. In quelle condizioni, trovava «difficile, se non impossibile, accordare i due do diesis più alti del pianoforte. Sembravano proprio fuori centro... Sembrava esserci uno squarcio nel mio apparato uditivo, proprio in corrispondenza di quel particolare suono (famiglia di suoni: in altre parole, due frequenze separate da un'ottava). Per almeno sei mesi, e forse anche un anno, dovetti fare affidamento su un accordatore elettronico specificamente per quei due do diesis. In qualche caso la mia incapacità sembrava scivolare verso note adiacenti – espandendosi, per così dire, fino a includere un'area più ampia di due o tre semitoni, ma in genere si trattava soltanto dei do diesis». 

L'esperienza di Baron sembra indicare che vi siano scordature molto circoscritte delle cellule capellute, o di brevi tratti dell'organo del Corti, che possono andare e venire nell'arco di qualche settimana o di qualche mese. 

53)

Il fenomeno che Jacob aveva scoperto su se stesso presenta qualche somiglianza con quello che Arnaud Norena e Jos Eggermont hanno osservato negli animali da esperimento nel 2005. Questi ricercatori hanno scoperto che gatti esposti a un «trauma da rumore» e poi allevati per qualche settimana in un ambiente silenzioso sviluppavano non solo una perdita dell'udito, ma anche una distorsione delle mappe tonotopiche a livello della corteccia uditiva primaria. (Se avessero potuto, si sarebbero lamentati di una distorsione nella percezione dell'altezza dei suoni). Tuttavia, se i gatti venivano esposti a un ambiente acustico arricchito per diverse settimane dopo l'esposizione al trauma da rumore, la loro perdita di udito era meno grave e le distorsioni delle mappe uditive corticali non si verificavano. 

54)

Ho descritto per esteso un caso di questo tipo nel mio saggio Stereo Sue. 

55)

Jaron Lanier – compositore, etnomusicologo e pioniere della realtà virtuale – è interessato alla progettazione di una realtà virtuale caratterizzata dalla massima fedeltà visiva e uditiva. Lanier sottolinea che i micromovimenti della testa (movimenti di pochi millimetri, o minuscole rotazioni) eseguiti automaticamente e inconsapevolmente in frazioni di secondo hanno luogo anche in coloro che godono di un udito perfettamente binaurale e, in effetti, sono necessari per l'esatta localizzazione del suono. I movimenti della testa – movimenti di scansione – descritti da Brandston (e sviluppati dalla maggior parte di coloro che perdono un occhio o un orecchio) sembrano essere, almeno in parte, un'amplificazione di questi micromovimenti della testa, normalmente minimi. 

56)

Ho parlato di Martin per la prima volta in «Il melomane enciclopedico», un capitolo di L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello. 

57)

Su Tom il cieco si veda anche il capitolo «Prodigi» in Un antropologo su Marte [N. d. T. ]. 

58)

Il pianista John Davis ha inciso molta della musica di Tom il cieco su un cd del 1999. In seguito, Davis ha scritto diversi articoli sull'affascinante storia dello schiavo savant e attualmente sta lavorando a un libro su di lui e sulla sua epoca. 

59)

Il libro di Miller, Musical Savants: Exceptional Skill in the Mentally Retarded, va confrontato con The Psychology of a Musical Prodigy, il classico studio di Geza Révész su Erwin Nyiregyhâzi, il bambino prodigio ungherese. A differenza di Eddie, Nyiregyhâzi non era un savant (aveva un'intelligenza straordinariamente aperta e articolata); in termini musicali, tuttavia, i due giovanissimi talenti erano molto simili. 

Adam Ockelford ha scritto uno studio di ampio respiro, In the Key of Genius, su Derek Paravicini, un savant musicale cieco. 

60)

Ho descritto per esteso le capacità visive e musicali di Stephen in Un antropologo su Marte, nel capitolo intitolato «Prodigi». 

61)

Mentre il termine «sindrome savant» viene usato per riferirsi a individui che presentano talenti savants in un contesto di ritardo mentale o di autismo a basso funzionamento, le abilità savants, soprattutto i talenti di calcolo, possono essere presenti anche in individui con una grande intelligenza generale. (Steven B. Smith ne parla nel suo libro The Great Mental Calculators). Alcuni insigni matematici hanno avuto capacità calcolatone di tipo savant – Gauss fu un famoso esempio -, ma molti altri ne sono privi. La capacità di calcolo ha una qualche somiglianza, in questo senso, con l'orecchio assoluto, che può essere parte di una «sindrome» ma può anche comparire in individui di intelligenza normale. 

62)

Oltre agli insulti o alle lesioni che possono danneggiare l'emisfero sinistro in utero, al momento della nascita o nella primissima infanzia, l'asimmetria emisferica precoce ha un correlato fisiologico nell'esposizione in utero al testosterone. Il testosterone rallenta lo sviluppo dell'emisfero sinistro in utero e – sebbene tanto i maschi quanto le femmine siano esposti a tale influenza – i feti maschili lo sono molto di più. Esiste infatti una netta preponderanza di maschi in molte sindromi congenite, fra cui l'autismo, la sindrome savant, la sindrome di Tourette e la dislessia (come pure una maggior incidenza di mancinismo). Questo, ipotizzava Geschwind, potrebbe riflettere l'effetto del testosterone. 

E tuttavia, come avverte Leon Miller: «La maggior parte dei savants musicali sono maschi, presentano compromissione della vista e hanno un'anamnesi di disturbi del linguaggio; nondimeno, questa combinazione di fattori non assicura, di per sé, la comparsa delle capacità savants... Queste caratteristiche possono essere presenti in individui che non sono eccezionali in nessun campo». (Miller prosegue considerando altri fattori – tendenze ossessive, opportunità speciali, dominanza dell'emisfero destro, predisposizione genetica, eccetera -, ma conclude che nessun singolo fattore è adeguato per spiegare o prevedere la comparsa di abilità di tipo savant). 

63)

Un fenomeno forse analogo mi accadde nel 1965 quando, come un certo numero di studenti di medicina e giovani medici dell'epoca, facevo un uso massiccio di anfetamine. Per un paio di settimane, mi ritrovai con alcune capacità straordinarie che di solito non avevo. (Una descrizione di quell'episodio, concentrata principalmente sull'amplificazione dell'olfatto, è pubblicata con il titolo «Il cane sotto la pelle» in L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello). 

Non solo riuscivo a riconoscere chiunque dall'odore, ma ero in grado di trattenere nella mente immagini visive molto accurate e stabili e di riportarle sulla carta, quasi mi servissi di una camera lucida. Le mie facoltà di memoria e trascrizione musicali erano immensamente aumentate e riuscivo a riprodurre melodie complesse al pianoforte dopo un unico ascolto. Il godimento legato a queste nuove capacità, e all'enorme amplificazione del mondo percettivo associata ad esse, fu tuttavia smorzato dalla scoperta della grave compromissione del mio pensiero astratto. Quando, a distanza di decenni, lessi dei pazienti di Bruce Miller e degli esperimenti di Allan Snyder, mi chiesi se le anfetamine non potessero aver causato una disinibizione transitoria del lobo temporale, liberando capacità di tipo savant. 

64)

La ricerca in corso a Kyoto, guidata da Tetsuro Matsuzawa e dai suoi colleghi, sul memory span numerico degli scimpanzé – ovvero sulla capacità di questi animali di memorizzare stringhe di numeri – può fornire un esempio di una tale abilità «primitiva». In un articolo che ha firmato insieme a Nobuyuki Kawai, Matsuzawa ha dimostrato che un giovane scimpanzé di nome Ai era in grado di ricordare una sequenza di almeno cinque numeri: una prestazione superiore a quella di un bambino in età prescolare; e a un recente simposio tenutosi a Chicago su «The Mind of the Chimpanzee» ha mostrato come Ai, grazie a un ulteriore addestramento, abbia sviluppato facoltà legate alla memoria di lavoro al di là di quelle della maggior parte degli esseri umani adulti. Secondo Matsuzawa «i nostri antenati comuni probabilmente avevano una memoria immediata, ma nel corso dell'evoluzione la persero per acquistare le capacità legate al linguaggio» (si vedano Kawai e Matsuzawa, 2000, e una cronaca del simposio pubblicata su «Science», a firma di Jon Cohen). 

65)

In effetti, tutti noi a volte escludiamo il mondo visivo per concentrarci su un altro senso. A mio padre piaceva moltissimo improvvisare e pensare al pianoforte. Entrava in una sorta di rêverie e suonava con un'aria sognante, gli occhi chiusi, come se stesse direttamente traducendo sulla tastiera quello che ascoltava nella mente. E spesso chiudeva gli occhi per ascoltare un disco o la radio. Diceva sempre che, quando teneva gli occhi chiusi, gli riusciva di ascoltare meglio la musica – in tal modo escludeva le sensazioni visive e si immergeva completamente in un mondo uditivo. 

66)

Si veda, per esempio, Amedi, Merabet, Bermpohl e Pascual-Leone, 2005. 

67)

Le persone con cecità congenita o acquisita sono a volte in grado di formarsi mappe uditive piuttosto accurate e dettagliate dell'ambiente immediatamente circostante. L'acquisizione di una tale capacità è stata descritta da John Hull nel suo splendido libro Il dono oscuro. 

68)

Alla fine dell'Ottocento, il romanziere Joris-Karl Huysmans descrisse ogni liquore come «corrispondente», nel gusto, a uno strumento musicale – accostò un curaçao secco a un clarinetto, un kümmel a un oboe, un crème de menthe a un flauto, eccetera -, ma subito dopo si preoccupò di specificare che si trattava soltanto di analogie. Una metafora pseudosinestetica simile fu usata da Evelyn Waugh nel suo Ritorno a Brideshead, quando Anthony Bianche si entusiasma per una «Chartreuse verde autentica... cinque gusti diversi in un solo sorso. È come inghiottire uno spettro solare». 

69)

La sinestesia fece il suo ingresso in letteratura molto prima, quando Ernst Theodor Amadeus Hoffmann – compositore-scrittore romantico tedesco – descrisse uno dei suoi eroi, Johannes Kreisler, come «il piccolo uomo con un pastrano color do diesis minore e un colletto color mi maggiore». Per essere una metafora sembra troppo specifica, e lascia supporre che lo stesso Hoffmann avesse una sinestesia colore-musica o comunque conoscesse bene il fenomeno. 

70)

Ho descritto questo paziente in Un antropologo su Marte, nel capitolo intitolato «Il caso del pittore che non vedeva i colori». 

71)

V. S. Ramachandran e E. M. Hubbard (nel loro articolo pubblicato nel 2001 in «Proceedings of the Royal Society of London») hanno descritto un uomo parzialmente cieco al colore con una sinestesia fra lettere dell'alfabeto e colore, il quale diceva che, se stimolato sinesteticamente, vedeva colori che non aveva mai visto con gli occhi – li chiamava «colori marziani». Ramachandran e Hubbard in seguito scoprirono che «l'effetto dei colori marziani» poteva aver luogo anche in sinesteti con visione cromatica normale. «Noi attribuiamo il fenomeno» scrissero in un articolo del 2003 «al fatto che i colori evocati dall'attivazione crociata del giro fusiforme “bypassano” i primissimi stadi dell'elaborazione cromatica e pertanto possono assumere una sfumatura insolita (“marziana”). Questo... indica che i qualia – l'esperienza soggettiva della sensazione del colore – dipendono non soltanto dagli stadi finali dell'elaborazione, ma da tutto il pattern di attività neurale, compresi i primi stadi». 

72)

Il lunedì è verde, il martedì di un giallo biancastro – e a questo punto, il «terreno», come lo chiama lui, sale e curva a destra. Il mercoledì è rosso magenta, «quasi lo stesso colore dei mattoni vecchi», il giovedì di un viola intenso, quasi indaco; il venerdì, corrispondente al punto più alto del paesaggio, ha un color betulla, mentre il sabato «scende rapidamente verso un marrone intenso e cupo». La domenica è nera. 

Anche i numeri hanno un paesaggio. «Arrivati al 20, svoltano bruscamente a destra, mentre a 100 fanno una curva stretta a sinistra». Per Michael, l'idea dei numeri è importante come la loro forma, pertanto, egli dice, «un sette romano, VII, avrà il colore dell'oro come un sette arabo, 7... o forse appena un poco di meno». Le unità, le decine e le centinaia condividono spesso colori simili: perciò, se il 4 è «verde scuro», i numeri dal 40 al 49 sono «verde foresta», quelli dal 400 al 499 sono di un verde più debole e così via. 

Non appena si fa riferimento a una data, immediatamente nella mente di Michael appare il suo correlato cromatico e topografico. Domenica 9 luglio 1933, per esempio, genererà all'istante l'equivalente cromatico della domenica, e poi quello del giorno, del mese e dell'anno, spazialmente coordinati. Secondo lui, questo tipo di sinestesia ha una certa utilità come aiuto per la memoria. 

73)

Alcuni compositori, fra cui Skrjabin, Messiaen e Rimskij-Korsakov, facevano un uso esplicito della sinestesia nelle loro opere. 

74)

Per esempio, quando guarda la pagina di un libro, la vede come un mosaico policromatico, in cui i pezzi colorati più grandi sono formati dalle parole, quelli più piccoli dalle singole lettere. Questa cromestesia non ha alcuna relazione con il significato delle parole, né con la capacità di Christine di comprenderle, ma dipende dalla familiarità delle lettere. Christine vede molto colorata una pagina in tedesco, sebbene non comprenda questa lingua. Ma quando le mostrai una pagina in coreano, non vide alcun colore, finché alcune delle lettere coreane, nella sua mente, assunsero una vaga somiglianza con quelle inglesi; allora, sul foglio comparvero dei punti isolati di colore. 

75)

Nel sistema anglosassone, le lettere da A a G contraddistinguono le sette note, da la a sol (A = la, B = si, ecc.) [N. d. T. ]. 

76)

Quando chiesi a Christine di spiegarmi in che modo la sinestesia influenzasse le sue attività di lettura e scrittura, lei mi disse che, malgrado l'associazione di colori diversi a lettere e parole facesse di lei una lettrice lenta, le consentiva anche di «assaporare» le parole in un modo tutto speciale, inaccessibile alle persone comuni. Christine ama moltissimo alcune parole per via del loro colore (le piacciono soprattutto i blu e i verdi) e crede che questo possa indurla, incosciamente, a utilizzarle quando scrive. 

77)

Un'eccezione notevolissima fu, nel 1968, Viaggio nella mente di un uomo che non dimenticava nulla, lo studio di A. R. Lurija su un sinesteta dalla memoria prodigiosa. Per il soggetto descritto da Lurija, Sereševskij, «non esiste una separazione netta, presente in ciascuno di noi, fra vista, udito, tatto e gusto». Ogni parola o immagine che udiva o vedeva, ogni percezione, dava istantaneamente origine a un'esplosione di equivalenze sinestetiche – le quali erano tenute a mente con precisione, in modo indelebile e implacabile, per il resto della sua vita. 

78)

Letteralmente, «sinestesia» significa fusione dei sensi, e viene infatti classicamente descritta come un puro fenomeno sensoriale. Tuttavia, emerge con sempre maggior chiarezza che esistono anche forme concettuali di sinestesia. Per Michael Torke, l'idea del sette è dorata – indipendentemente dal fatto che esso sia un 7 arabo o un VII romano. Alcune persone sperimentano un'unione istantanea e automatica di altre caratteristiche categoriche – per esempio, possono vedere certi giorni della settimana come maschili o femminili, oppure certi numeri come «buoni» o «cattivi». Questo costituisce una sorta di sinestesia di ordine «superiore», un'unione di idee invece che di sensazioni. Per tali sinesteti, questi non sono capricci o fantasie, ma corrispondenze stabili e irresistibili che si mantengono per tutta la vita. Tali forme concettuali di sinestesia sono oggi indagate soprattutto da Julia Simner e dai suoi colleghi, come pure da V. S. Ramachandran. 

79)

Si, veda, per esempio, Paulescu, Harrison et al. 

80)

Ho esplorato il tema delle reazioni neurologiche complesse alla cecità, parlando anche di quelle di Lusseyran, nel mio saggio del 2003 L'occhio della mente [si veda «Adelphiana», 3, 2004]. 

81)

La storia di Jimmie, «Il marinaio perduto», è stata pubblicata in L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello. 

82)

Avevo proposto anche al mio paziente Jimmie di tenere un diario, ma all'inizio questi tentativi furono resi vani dal fatto che continuava a perderlo. Riuscimmo poi a organizzare un sistema per fargli trovare il suo taccuino ogni giorno, tenendolo sempre nello stesso posto accanto al letto; anche questo però fallì, perché malgrado Jimmie vi scrivesse diligentemente, non aveva alcun ricordo delle annotazioni precedenti. Riconosceva la propria scrittura ed era sempre stupefatto quando scopriva di aver scritto qualcosa il giorno prima. 

83)

Ho descritto il caso del signor Thompson in «Una questione di identità», un capitolo di L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello. 

84)

Questa erosione della memoria semantica di Clive venne particolarmente enfatizzata in un articolo di Barbara Wilson, A. D. Baddeley e Narinder Kapur del 1995 e anche in un contributo di Barbara Wilson e Deborah Wearing, pubblicato lo stesso anno in Broken Memories, a cura di R. Campbell e M. Conway. 

85)

Un disturbo straordinario ma non insolito, riconosciuto per la prima volta negli anni Sessanta, è l'amnesia globale transitoria (TGA) – un'amnesia che dura solo qualche ora ma può essere profondissima. Non è mai stato chiarito quale sia la causa di amnesie di tal genere, ma esse sono più comuni nei pazienti di mezza età e negli anziani e a volte hanno luogo nel corso di un'emicrania; spesso capita un unico attacco in tutta la vita. Quest'amnesia transitoria può manifestarsi in qualsiasi momento, con effetti che possono essere comici o allarmanti. Mia nipote Caroline Bearsted, che è medico ed esercita in Inghilterra, mi ha raccontato di un suo paziente, un pescatore accanito, il quale da anni desiderava catturare una trota gigantesca che viveva in un torrente vicino. Per una bizzarra coincidenza, ebbe un attacco di TGA proprio un giorno in cui era a pesca. La cosa non compromise minimamente le sue capacità ed egli catturò la trota; tuttavia quell'impresa, vetta assoluta della sua carriera di pescatore, non lasciò traccia alcuna nella sua mente, ed egli non riuscì mai a recuperarne alcun ricordo. Quando gli mostrarono delle fotografie in cui era ritratto mentre teneva fra le braccia quel pesce straordinario, il poveruomo non sapeva se ridere o piangere. 

Una storia più allarmante mi è stata narrata dal neurologo Harold Klawans e riguarda un suo collega chirurgo, colpito dall'amnesia verso la fine di una colecistectomia. L'uomo divenne incerto, confuso, ripetitivo: «Ma ho asportato la cole cisti?» continuava a chiedere. «Che cosa sto facendo? Dove sono?». L'infermiera che lo stava assistendo si chiese se avesse avuto un ictus ma, rendendosi conto che, a dispetto di una profonda compromissione della memoria, le sue abilità chirurgiche non erano menomate, lo fece continuare, un punto di sutura dopo l'altro – e così, con l'aiuto della donna, riuscì a richiudere l'addome del paziente. Sebbene nel giro di qualche ora fosse tornato in sé, non ricordò mai nulla dell'operazione che aveva eseguito. In seguito Klawans pubblicò una descrizione di questo incidente e del meticoloso esame a cui aveva sottoposto il chirurgo mentre era ancora amnesico. 

86)

Una situazione molto simile era quella del narratore amnesico nel romanzo di Umberto Eco La misteriosa fiamma della regina Loana

«... mi sono messo a cantare una canzoncina. Mi veniva fuori da sola, come lavarsi i denti... Ho ricominciato a cantarla, ma a pensarci sopra la canzone non mi veniva più fuori da sola, e mi sono fermato su una nota. L'ho tenuta lunga, per almeno cinque secondi, come fosse una sirena, o una nenia. Bene, dopo non sapevo più andare avanti, e non sapevo andare avanti perché avevo perduto quello che veniva prima... Mentre cantavo senza pensarci io ero io proprio nel durare della mia memoria, che in quel caso era la memoria... come dire, della mia gola, con i prima e i dopo che si legavano insieme, e io ero la canzone completa, e ogni volta che l'iniziavo le mie corde vocali si preparavano già a fare vibrare i suoni che dovevano venire. Credo faccia così anche un pianista, suona una nota e prepara già le dita per battere sul tasto che verrà dopo. Senza le prime note non si arriva alle ultime, si stona, e si va dalle prime alle ultime solo se dentro di noi c'è già in qualche modo la canzone completa. Io la canzone completa non la so più. Sono... come un legno che brucia. Il legno brucia ma non ha coscienza di quando era un tronco intatto, né ha modo di sapere che lo era, e quando abbia iniziato a prendere fuoco. Quindi si consuma e basta. Io vivo in pura perdita». 

Il narratore di Eco può benissimo chiamarla «pura perdita», ma il suo aspetto prodigioso, in effetti, è che essa è una pura acquisizione, Si può acquisire l'intera canzone senza alcuna memoria esplicita, senza alcuna memoria nell'accezione comune del termine. La canzone sembra quasi miracolosamente crearsi da sé, nota per nota, emergendo dal nulla; e tuttavia, «in qualche modo», come dice Eco, noi conteniamo l'intera canzone. 

87)

Schopenhauer scrisse, a proposito della melodia, che «si sviluppa organicamente, sensatamente, intenzionalmente, dal principio alla fine» e che è «dal principio alla fine... un pensiero unico». 

88)

Questa anticipazione, questo seguire cantando, è possibile perché abbiamo la conoscenza, in larga misura implicita, delle «regole» musicali (per esempio di come una cadenza debba risolvere) e una certa familiarità con particolari convenzioni musicali (la forma di una sonata o la ripetizione di un tema). L'anticipazione però non è possibile con musica proveniente da culture o tradizioni molto diverse, e nemmeno se le convenzioni musicali vi sono deliberatamente infrante. Jonah Lehrer, nel suo libro Proust Was a Neuroscientist, racconta di come Stravinskij avesse fatto proprio questo – l'episodio è celebre – con la Sagra della primavera, la cui prima esecuzione, a Parigi nel 1913, causò disordini tali da rendere necessario l'intervento della polizia. Il pubblico, che si aspettava un balletto classico tradizionale, era furioso per la violazione delle regole da parte di Stravinskij. Ma col tempo e la ripetizione, ciò che prima era strano divenne familiare, e la Sagra della primavera è oggi un brano amatissimo, «inoffensivo» come potrebbe esserlo un minuetto di Beethoven (eppure anche Beethoven, ai suoi tempi, fu oggetto di fischi e alcune sue composizioni furono inizialmente considerate inintelligibili – mero rumore). 

89)

Per esempio possiamo ascoltare e riascoltare la registrazione di un brano musicale, un pezzo che conosciamo bene, e tuttavia esso ci appare sempre fresco, nuovo, come la prima volta che l'abbiamo ascoltato. Zuckerkandl affronta questo paradosso in Sound and Symbol

«Il tempo è sempre nuovo; forse non può essere altro che nuovo. Ascoltata come una successione di eventi acustici, la musica diventerà ben presto noiosa; ascoltata come qualcosa che si manifesta sviluppandosi nel tempo, non può mai annoiare. Il paradosso si rivela nella sua forma più evidente nell'impresa di un esecutore il quale raggiunge le vette della sua arte quando riesce a eseguire come se fosse creata in quell'istante un'opera con la quale ha invece una profonda familiarità». 

Pablo Casals, sommo violoncellista, era anche un pianista eccellente e una volta, ormai più che novantenne, disse a un intervistatore che negli ultimi ottantacinque anni aveva suonato ogni mattina uno dei preludi e fughe del Clavicembalo ben temperato di Bach. Non se ne era mai stancato?, gli chiese allora l'intervistatore. Non era noioso? No, replicò Casals. Per lui, ogni esecuzione era una nuova esperienza, un atto di scoperta. 

90)

John C. Brust, nella sua estesa rassegna della letteratura sulla musica e il cervello, fa rilevare che un caso simile era già stato registrato nel 1745: si trattava di un paziente con una grave afasia espressiva, il cui eloquio era limitato alla sola parola «sì». Ciò nondimeno, quest'uomo era in grado di cantare degli inni, purché qualcuno li eseguisse insieme a lui. 

Il caso dell'illustre compositore russo Vissarion Šebalin, che aveva subito una serie di ictus sviluppando una profonda afasia recettiva, è simile. Come descrissero Lurija et al., il musicista era comunque in grado di comporre allo stesso livello di prima. 

91)

Mentre in passato al centro dell'attenzione furono soprattutto le differenze esistenti fra l'elaborazione cerebrale del linguaggio e quella della musica, le ricerche di Aniruddh D. Patel sono state stimolate soprattutto dalle loro sovrapposizioni, esplorate in lungo e in largo nel suo libro Music, Language, and the Brain. 

92)

In Il mondo nuovo, Aldous Huxley descrive l'uso dell'ipnopedia – ossia l'insegnamento durante il sonno – per riversare informazioni nel cervello dei bambini addormentati. I poteri di questa tecnica sono notevoli, ma altrettanto notevoli sono i suoi limiti. Un bambino, ad esempio – racconta Huxley -, è in grado di ripetere in un'unica litania ininterrotta i nomi dei più grandi fiumi del mondo insieme alle rispettive lunghezze; ma quando gli si chiede quanto sia lungo il Rio delle Amazzoni, non sa trasferire questo dato, portandolo a livello di conoscenza cosciente ed esplicita: non riesce a estrarlo dalla sequenza automatica. 

Cose del genere capitano ad esempio nei ristoranti. Una volta, dopo che un cameriere aveva snocciolato una lunga lista di specialità, gli chiesi di ripetermi che cosa venisse dopo il tonno. L'uomo non riuscì a estrarre quell'elemento dalla sequenza che aveva memorizzato, e dovette recitare daccapo l'intera lista. 

93)

Esiste qualche riscontro preliminare del fatto che lo stesso effetto possa essere ottenuto utilizzando scariche ripetitive di stimolazione magnetica transcranica applicate all'«area di Broca destra» per sopprimerne l'iperattività. Paula Martin e i suoi colleghi hanno recentemente provato questa tecnica in quattro pazienti con afasia intrattabile da più di cinque anni. Pur se in attesa di conferma, i dati di Martin et al. sono promettenti e potrebbero condurre, secondo gli autori, a «un trattamento nuovo e complementare dell'afasia». 

94)

Le persone con questa sindrome di Tourette fantasmagorica possono anche presentare – purché riescano a controllarla e imbrigliarla – una creatività esuberante e quasi irreprimibile. Benjamin Simkin e altri si sono chiesti se Mozart, di cui erano famosi gli atti impulsivi, gli scherzi e le oscenità, non potesse essere tourettico; i dati disponibili, d'altra parte, non sono molto convincenti, come scrissi già nel 1992 in un articolo pubblicato sul «British Medicai Journal». 

95)

Ho descritto più approfonditamente il caso di Ray in «Ray dai mille tic», un capitolo di L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello. 

96)

Nel suo libro Beyond Pain, Angela Mailis-Gagnon, un'esperta del dolore, parla di come la risonanza magnetica funzionale possa essere utilizzata per dimostrare gli effetti neurologici funzionali di un trauma. 

97)

The Elements, 1959 [N. d. T. ]. 

98)

Senza dubbio molti amanti degli animali avranno da ridire su quest'asserzione, e in effetti molti animali – dai cavalli lipizzani della Spanische Hofreitschule di Vienna agli animali esibiti nei circhi – sembrano «danzare» con la musica. Non è chiaro se essi lo facciano davvero o se stiano invece rispondendo a sottili suggerimenti visivi o tattili emessi dagli esseri umani intorno a loro. In Tailandia, alcuni elefanti sono stati addestrati a colpire strumenti a percussione e a suonare a loro piacimento. Affascinati dalle descrizioni della Thai Elephant Orchestra, Patel e Iversen hanno effettuato attente misure e videoregistrazioni delle performance degli elefanti. In un articolo del 2006, hanno descritto un pachiderma in grado di «suonare uno strumento a percussione [un grosso tamburo] mantenendo un tempo molto stabile»: a ben vedere, un tempo più stabile di quello che riuscirebbero a tenere moltissimi esseri umani. Ma gli altri elefanti dell'«orchestra» colpivano i rispettivi strumenti (piatti, gong, eccetera) palesemente ignorandosi fra loro, senz'ombra di sincronia rispetto al ritmo uditivo creato dall'elefante che suonava il tamburo. 

99)

Galileo fornì una famosa esemplificazione di questa capacità negli esperimenti in cui calcolò il tempo impiegato da oggetti diversi nel rotolare lungo un piano inclinato. Non avendo orologi accurati ai quali affidarsi, egli cronometrò ogni esperimento cantando fra sé delle melodie, e questo sistema gli consentì di ottenere risultati di un'accuratezza di gran lunga superiore a quella possibile con gli orologi dell'epoca. 

100)

Iversen, Patel e Ohgushi hanno riscontrato profonde differenze culturali in questi raggruppamenti ritmici. In un esperimento, questi ricercatori hanno esposto parlanti madrelingua americani e parlanti madrelingua giapponesi a sequenze di toni di durata alternativamente breve e lunga, scoprendo che, mentre i giapponesi preferivano raggruppare i toni scomponendoli in sequenze lunga-breve, gli americani preferivano una scomposizione in sequenze breve-lunga. Iversen et al. hanno ipotizzato che «l'esperienza con la lingua nativa crei dei modelli ritmici che influenzano l'elaborazione di schemi sonori non linguistici». Questo solleva un interrogativo, e cioè se, all'interno di particolari culture, possano esistere delle corrispondenze fra i modelli del linguaggio verbale orale e quelli della musica strumentale. I musicologi hanno da tempo l'impressione che tali corrispondenze esistano e oggi il fenomeno è stato studiato formalmente e quantitativamente da Patei, Iversen e colleghi al Neurosciences Institute. «Che cosa rende così inglese la musica di Sir Edward Edgar?» si chiedono. «Che cosa fa suonare così francese la musica di Debussy?». Patel et al. hanno confrontato ritmo e melodia nell'eloquio e nella musica britannici con quelli francesi, utilizzando la musica di una decina di compositori diversi. Riportando in grafico ritmo e melodia insieme, hanno scoperto l'«emergere di un modello evidentissimo, a indicazione del fatto che il linguaggio di una nazione esercita “un'attrazione gravitazionale” sulla struttura della sua musica». 

Anche il compositore ceco Leóš Janáček era molto interessato alle somiglianze fra linguaggio parlato e musica; per oltre trent'anni annotò – nei caffè e in altri luoghi pubblici – le melodie e i ritmi dell'eloquio della gente, convinto com'era che riflettessero inconsapevolmente i loro significati emozionali e i loro stati d'animo. Cercava poi di incorporare nella propria musica questi ritmi del linguaggio parlato – o, piuttosto, di trovare dei loro «equivalenti» nel sistema di toni e intervalli della musica classica. Molte persone, indipendentemente dal fatto che parlassero ceco oppure no, hanno riscontrato una misteriosa corrispondenza fra la musica di Janáček e gli schemi sonori della lingua ceca. 

101)

Ho raccontato la storia di Greg in «L'ultimo hippie», in Un antropologo su Marte. 

102)

Tali pratiche sono descritte molto approfonditamente e con gran dovizia di dettagli dall' etnomusicologo Gilbert Rouget nel suo libro Musica e trance-, con una vena più poetica da Havelock Ellis in The Dance of Life; e con una sensibilità personale senza pari da Mickey Hart, percussionista ed etnomusicologo, nei suoi due libri Planet Drum e Drumming at the Edge of Magic. 

103)

In modo in parte analogo, la musica può temporaneamente ripristinare, fino a un certo punto, il controllo motorio in coloro che hanno perso la coordinazione a causa dell'alcol. Un collega, il dottor Richard Garrison, mi ha descritto un gruppo di anziani a una festa: 

«Mentre alzavano il gomito e l'orologio si avvicinava alla mezzanotte, fra un brano musicale e l'altro diventavano sempre più atassici. Erano sempre più ubriachi e fra un pezzo e l'altro barcollavano – ma quando ballavano sembravano normali... Un signore saltava su dalla sedia ogni volta che cominciavamo a suonare, per poi collassarvi di nuovo quando smettevamo. Sembrava incapace di camminare sulla pista da ballo, e ci si muoveva invece ballando». 

104)

Nel 1979 Kitty andò in pensione, e per sostituirla il Beth Abraham assunse una musicoterapeuta diplomata, Concetta Tomaino (in seguito sarebbe diventata la presidentessa dell'American Association for Music Therapy, fondata nel 1971, e avrebbe conseguito uno dei primi dottorati in musicoterapia). 

Connie, lavorando a tempo pieno nell'ospedale, riuscì a formalizzare e ad estendere tutta una gamma di programmi di musicoterapia avviandone, in particolare, alcuni per l'ampia popolazione di pazienti afasici e con altri disturbi del linguaggio ricoverati nell'ospedale. Istituì progranimi anche per i pazienti con Alzheimer e con altre forme di demenza. Connie e io, insieme a molti altri, collaborammo a questi progetti e continuammo i programmi per i pazienti parkinsoniani iniziati da Kitty Stiles. Cercammo di introdurre non solo test obiettivi per la funzione motoria, linguistica e cognitiva, ma anche test fisiologici: in particolare EEG eseguiti prima, durante e dopo le sedute di musicoterapia. Nel 1993, rivolgendosi agli altri operatori in questo campo in via di sviluppo, Connie organizzò una conferenza su «Clinical Applications of Music in Neurological Rehabilitation»; due anni dopo, fondò al Beth Abraham l'Institute for Music and Neurologie Function, augurandosi di riuscire a creare una consapevolezza dell'importanza della musicoterapia non solo in ambiente clinico, ma anche in laboratorio, come materia di ricerca. Negli anni Ottanta e Novanta, i nostri sforzi furono accompagnati da un'ondata di altri tentativi simili in tutto il paese e, sempre più spesso, in tutto il mondo. 

105)

Ho parlato di questo e di altri disturbi del tempo nel mio saggio del 2004 Speed

106)

Molti musicisti rimasero profondamente contrariati quando Johann Maelzel, amico di Beethoven, inventò un metronomo portatile e Beethoven cominciò ad apporre le indicazioni di tempo alle sue sonate per pianoforte. Si temeva che questo potesse condurre a una rigida esecuzione metronomica rendendo impossibile la flessibilità – la libertà – che l'esecuzione pianistica richiede. 

Allo stesso modo, sebbene il ticchettio di un metronomo possa essere usato per «trascinare in sincronia» i pazienti parkinsoniani, consentendo loro di camminare un passo dopo l'altro (o costringendoli a farlo), questo produrrà una locomozione che manca dell'automaticità e della spontaneità del vero camminare. Il parkinsoniano non ha bisogno di una serie di stimoli discreti, ma di un flusso continuo di stimolazione, con una chiara organizzazione ritmica. Michael Thaut e i suoi colleghi della Colorado State University hanno svolto un lavoro pionieristico usando una stimolazione uditiva ritmica per facilitare la deambulazione nei pazienti con parkinsonismo (e anche in quelli che sono emiparetici a seguito a un ictus). 

107)

Qui uso l'espressione «prigioniero» – locked in – in modo metaforico. I neurologi usano l'espressione «sindrome locked-in» anche per indicare uno stato in cui un paziente è deprivato del linguaggio e pressoché di ogni movimento volontario, salvo forse la capacità di battere le palpebre o di muovere gli occhi verso l'alto e verso il basso (questo è di solito il risultato di un ictus che colpisce il cervello profondamente a livello della linea mediana). Tali pazienti conservano la normale coscienza e l'intenzionalità, e se si riesce a stabilire una qualche sorta di codice di comunicazione (per esempio con il battito delle ciglia) possono comunicare pensieri e parole, sebbene con una lentezza straziante. Esiste un libro straordinario, Lo scafandro e la farfalla, che fu «dettato» in questo modo dal giornalista francese Jean-Dominique Bauby, affetto dalla sindrome locked-in. 

108)

L'uso di stimoli esterni e dell'autostimolazione nel parkinsonismo venne esplorato negli anni Venti da A. R. Lurija, che ne parlò nel suo libro del 1932 The Nature of Human Conflicts. Tutti i fenomeni del parkinsonismo, secondo lui, potevano essere considerati come «automatismi sottocorticali». Tuttavia, «la corteccia sana consente [al parkinsoniano] di utilizzare stimoli esterni e di costruirsi un'attività compensatoria per gli automatismi sottocorticali... Ciò che è impossibile realizzare attraverso uno sforzo di volontà diretto diviene raggiungibile quando l'azione è inclusa in un altro sistema complesso». 

109)

Se Rosalie era in grado di immaginare la musica in modo così efficace da normalizzare l'EEG, perché non lo faceva in continuazione? Perché rimaneva inerme e pietrificata per la maggior parte della giornata? Quello che le mancava, e che in una certa misura manca in tutti i pazienti parkinsoniani, non era tanto il potere dell'immaginazione, quanto piuttosto la facoltà di iniziare un'azione fisica o mentale. Se per esempio noi dicevamo «opera 49», iniziavamo il processo, e tutto quel che lei doveva fare era reagire. Ma senza un'imbeccata o uno stimolo simili, non succedeva nulla. 

Ivan Vaughan, uno psicologo di Cambridge che sviluppò il morbo di Parkinson, scrisse un diario sulla sua convivenza con la malattia, e Jonathan Miller diresse un documentario della BBC, nel 1994, basato su di esso {Ivan, trasmesso all'interno della serie Horizon). Nel libro, come nel film, Ivan descrive una varietà di stratagemmi indiretti e ingegnosi per riuscire a mettersi in moto – cosa che non poteva fare avvalendosi semplicemente della volontà. Quando si svegliava, per esempio, lasciava che i suoi occhi vagassero finché non avvistavano J un albero dipinto sulla parete accanto al suo letto. Quell'albero agiva da stimolo dicendogli: «arrampicati su di me»; immaginando sei stesso mentre si arrampicava, Ivan riusciva a scendere dal letto: un semplice atto che non poteva più fare direttamente. 

110)

Nel suo saggio Nietzsche contra Wagner, Nietzsche parla della musica dell'ultimo Wagner come di un'esemplificazione del «patologico nella musica», caratterizzata com'è da una «completa degenerazione del senso ritmico» e da una tendenza «alla musica tentacolare, alla “melodia infinita”». La mancanza di quadratura ritmica nell'ultimo Wagner lo rende pressoché inutile per i parkinsoniani: questo vale anche per il canto piano e varie forme di canto salmodiato che, come osservano Jackendorff e Lerdahl, «hanno un' organizzazione e un raggruppamento tonale ma nessuna organizzazione metrica significativa». 

111)

Il mio collega Jonathan Cole mi ha descritto sensazioni e movimenti «fantasma» in un musicista paralizzato dalla sclerosi laterale amiotrofica. (Questo musicista, Michael, fu filmato per Process of Portrayal, un progetto Wellcome Trust Sciart con Andrew Dawson, Chris Rawlence e Lucia Walker). All'inizio Michael, incapace di esercitarsi come aveva fatto per tutta la vita, non poteva nemmeno sopportare di ascoltare la musica. Ma poi, come scrive Gole: 

«Verso la fine della sua vita – ormai paralizzato – ricominciò ad ascoltare la musica. Gli chiesi che cosa provasse e in che modo fosse un'esperienza diversa, adesso che non poteva più muoversi... All'inizio era stato insopportabile, ma adesso aveva raggiunto uno stato di pace, e riusciva anche a scherzare sugli aspetti positivi del non doversi più esercitare. Disse anche che quando ascoltava la musica vedeva la notazione musicale, come se fosse sospesa sopra la sua testa. Ascoltando un violoncello, per esempio, sentiva le mani e le dita che si muovevano. Mentre ascoltava la musica, proprio come vedeva la notazione, ne immaginava l'esecuzione concreta. Lo filmammo insieme a un violoncellista mentre gli muovevamo la mano e le braccia in modo approssimativo, nel tentativo di chiudere – noi per lui – il cerchio. Mi colpiva il fatto che la conservazione di una sensazione interamente normale, nell'incapacità di muoversi, potesse portare a percepire sensazioni terribili provenienti dal corpo, forse peggiori della perdita sensoriale e della paralisi. Ed essere privato del movimento, per un musicista, dev'essere una tortura unica. Sembrava che il suo cervello musicale-motorio, in un modo o nell'altro, volesse continuare a suonare». 

112)

Anche Ludwig Wittgenstein era intensamente musicale e sorprendeva i suoi amici fischiettando intere sinfonie o concerti da cima a fondo. 

113)

Lo stesso Gowers era un appassionato sostenitore della stenografia e inventò un sistema che rivaleggiò con quello di Pitman. Era convinto che tutti i medici dovessero imparare il suo metodo, perché li avrebbe messi in condizione di annotare le parole dei loro pazienti in modo fedelissimo e per intero. 

114)

Richard J. Lederman, della Cleveland Clinic, ha ipotizzato che questo possa essere accaduto a Schumann, il quale – nel periodo in cui perseguiva una carriera da pianista – sviluppò uno strano disturbo della mano: disturbo che, preso dalla disperazione, egli cercò di curare da solo (rendendolo forse irreparabile) con l'uso di un apparecchio per stirare le dita. 

115)

Si veda Sheehy e Marsden, 1982. 

116)

Si vedano Fry e Hallett, 1988; Hallett, 1998; e Garraux et al., 2004. 

117)

La ricerca di Wilson, che egli ha riassunto in un articolo del 2000, è stata eseguita insieme a Christoph Wagner presso l'Institut für Musikphysiologie di Hannover. Si veda anche la monografia di Wagner, pubblicata nel 2005. 

118)

Si veda, per esempio, Blake, Byl et al., 2002. 

119)

Si veda p. 271; ho descritto quegli eventi in maggior dettaglio nel mio libro Su una gamba sola. 

120)

Sono stati effettuati pochissimi studi sistematici sulla musica nei sogni; uno di essi, tuttavia, eseguito da Valeria Uga e dai suoi colleglli dell'Università di Firenze nel 2006, ha messo a confronto i diari in cui 35 musicisti di professione e 30 non musicisti registravano i loro sogni. Gli autori dello studio concludevano che «i musicisti sognano musica con una frequenza più che doppia rispetto ai non musicisti [e] la frequenza di tali sogni è correlata all'età in cui è iniziata la loro educazione musicale, ma non al carico quotidiano di attività musicale. Quasi metà della musica ricordata non era riconducibile a brani noti, e questo indica che nei sogni possa essere creata della musica originale». Sebbene esistano molti racconti aneddotici di compositori che creano composizioni originali in sogno, questo è il primo studio sistematico a corroborare quell'idea. 

121)

Anthony Storr fornisce un bell'esempio di una dissociazione di questo tipo nel suo Music and the Mind, come già ricordato nel capitolo 8: 

«Molti anni or sono, feci da “cavia” per uno dei miei colleghi che stava indagando gli effetti della mescalina. Mentre ero ancora sotto l'influenza della sostanza, mi misi ad ascoltare della musica trasmessa alla radio. L'effetto fu quello di esaltare le mie risposte emozionali, abolendo, nel contempo, la mia percezione della forma. La mescalina faceva apparire un quartetto d'archi di Mozart romantico come un brano di Čajkovskij. Ero consapevole della qualità pulsante e vibrante dei suoni che mi arrivavano all'orecchio; del morso dell'archetto sulla corda; di un appello diretto alle mie emozioni. L'apprezzamento della forma, invece, era enormemente compromesso. Ogni volta che un tema si ripeteva, mi coglieva di sorpresa. Presi ad uno ad uno, i temi potevano rapirmi, ma il loro rapporto reciproco era scomparso. Tutto quel che restava era una serie di melodie senza alcun legame a connetterle: un'esperienza piacevole, ma anche deludente. 

«La mia reazione alla mescalina mi convinse che, nel mio caso particolare, la parte del cervello implicata nelle risposte emozionali è diversa da quella che percepisce la struttura. I dati indicano che ciò vale per tutti». 

122)

AI principio degli anni Ottanta, vidi uno straordinario documentario della BBC, The Music Child, sul lavoro di Paul Nordoff e Clive Robbins, pionieri nell'uso della musicoterapia nei bambini profondamente autistici (come pure in bambini con altri disturbi comunicativi). Dai tempi dei primi progetti di Nordoff e Robbins all'inizio degli anni Sessanta, l'uso della musicoterapia nell'autismo ha conosciuto un enorme sviluppo e oggi essa è ampiamente utilizzata per ridurre lo stress, l'agitazione e i movimenti stereotipi (dondolìi, battito di mani, eccetera) come pure per facilitare il rapporto con persone autistiche altrimenti inaccessibili. 

123)

Il tema della musica seduttiva ma pericolosa ha sempre stimolato l'immaginazione. Nella mitologia greca, era la musica incantatrice delle Sirene ad attirare i marinai verso la distruzione. 

In un racconto del 1933 di E. B. White, The supremacy of Uruguay, il paese sudamericano si assicura il dominio del mondo facendo volare sugli altri stati aerei senza pilota, equipaggiati con altoparlanti che trasmettono, ripetendola all'infinito, una frase musicale ipnotica. «Questo suono insostenibile,» egli scriveva «[suonato] sui territori stranieri, riduceva immediatamente alla follia le loro popolazioni. A quel punto l'Uruguay poteva inviare, con tutto comodo, i suoi eserciti, sottomettere i poveri imbecilli e annettersi le terre». 

Temi simili sono stati usati in molti film, compresa la parodia Mars Attacks! di Tim Burton, in cui i marziani invasori sono infine sconfitti da un canto particolarmente insidioso che fa loro esplodere la testa: l'Indian Love Call viene dunque in soccorso dell'umanità, proprio come avevano fatto, a suo tempo, i semplici batteri terrestri nella Guerra dei mondi. 

124)

Ebbi delle incertezze simili quando visitai Stephen Wiltshire, il savant autistico di cui ho scritto in Un antropologo su Marte. Stephen riusciva a malapena a parlare e normalmente mostrava pochissime emozioni, anche mentre produceva i suoi straordinari disegni. A volte, però, la musica riusciva a trasformarlo (così mi sembrava). Una volta, mentre eravamo insieme in Russia, ascoltammo il coro del monastero di Aleksandr Nevskij, e Stephen sembrò intimamente commosso (io la pensavo così; Margaret Hewson, invece, che lo conosceva da molti anni, riteneva che a un livello profondo Stephen fosse indifferente al canto). 

Tre anni dopo, da adolescente, Stephen cominciò lui stesso a cantare. Cantava It's Not Unusual di Tom Jones con grande entusiasmo, ancheggiando, ballando e gesticolando. Sembrava posseduto dalla musica, e non c'era nessuno dei suoi manierismi, nessun tic, nessuno di quegli sguardi obliqui e sfuggenti che aveva di solito. Fui molto colpito da quella trasformazione e scrissi sul mio taccuino: L'AUTISMO SCOMPARE. Ma non appena la musica cessava, Stephen tornava ancora una volta ad apparire autistico. Mi chiedo ancora se la musica gli avesse dato accesso a emozioni che normalmente non poteva esprimere – o se quello che vedemmo fu una sorta di imitazione, una performance brillante ma in un certo senso superficiale. 

125)

Alois Alzheimer (che era molto più versato nella neuropatologia di quanto lo fosse Pick) dimostrò in sede autoptica, nel cervello di diversi pazienti di Pick, la presenza di peculiari strutture microscopiche che finirono per esser denominate «corpi di Pick», e la malattia stessa «malattìa di Pick». A volte l'uso di quest'ultimo termine è limitato ai pazienti che hanno nel cervello i corpi di Pick, ma come ha sottolineato Andrew Kertesz questa discriminazione non ha molto valore: nella sostanza, la degenerazione frontotemporale può essere simile in presenza o in assenza dei corpi di Pick. 

Kertesz ha anche descritto grandi famiglie nelle quali si riscontra un'elevata incidenza non solo di demenza frontotemporale ma anche di altre patologie neurodegenerative, come la degenerazione cortico-basale, la paralisi sopranucleare progressiva, e forse alcune forme di parkinsonismo o di sclerosi laterale amiotrofica con demenza. Poiché egli ritiene che tutte queste condizioni possano essere correlate, suggerisce che siano raccolte sotto il termine di «complesso di Pick». 

126)

Allan Snyder ha proposto che un simile processo «bottom-up» – invece di un qualsiasi schema generale o organizzatore – sia tipico della creatività autistica, dove, come nel caso della demenza frontotemporale, può esser presente una straordinaria facilità nei confronti di pattern visivi o musicali, ma uno scarso sviluppo del pensiero astratto o verbale. Potrebbe esistere un continuum fra una chiara patologia, come l'autismo o la demenza frontotemporale, e l'espressione di uno «stile» normale. Nel caso di un compositore come Čajkovskij, per esempio, la composizione emergeva da melodie – un numero infinito delle quali scorreva perennemente nella sua testa -, e non da un vasto impianto architettonico. 

«Io non lavoro mai in astratto» scrisse Čajkovskij. «Il pensiero musicale non mi appare mai altrimenti che in una forma esterna utilizzabile». Il risultato, osservava Robert Jourdain, era una «musica con una splendida trama superficiale ma una struttura vuota». 

127)

Il concetto di questa «facilitazione funzionale paradossa» fu proposto per la prima volta, in un contesto più generale, da Narinder Kapur nel 1996. 

128)

Vi sono, qui, interessanti analogie con quanto accadde per altri disturbi. Nel 1971 cinque o sei famiglie di bambini affetti dalla sindrome di Tourette si unirono costituendo un gruppo di supporto informale che ben presto evolse nella Tourette Syndrome Association, dapprima a livello nazionale e poi intemazionale. Storie simili si sono avute nel caso dell'autismo e di molti altri disturbi. Questi gruppi sono stati essenziali non solo nell'offrire supporto alle famiglie, ma anche nel risvegliare la consapevolezza del pubblico e dei medici, nel trovare finanziamenti per la ricerca e nel promuovere nuove leggi e politiche nel campo dell'educazione e dell'informazione. 

129)

Doris Allen e Isabelle Rapin hanno osservato uno stile simile nel linguaggio verbale orale, con l'uso di un ampio vocabolario e un modo di comportarsi «pseudosociale», in alcuni bambini con sindrome di Asperger. 

130)

«Che cos'è un elefante: un elefante è un animale; e che cosa fa un elefante: vive nella giungla; può anche vivere allo zoo; e che cosa ha: ha lunghe orecchie grigie, orecchie a ventaglio, orecchie che possono sventolare. Ha una lunga proboscide che può raccogliere erba o fieno. Se gli elefanti sono di cattivo umore, può essere una cosa tremenda. Se l'elefante impazzisce, potrebbe pestare il terreno con le zampe; potrebbe caricare. A volte gli elefanti possono caricare. Hanno grandi zanne lunghe. Possono danneggiare un'automobile. Può essere pericoloso. Quando sono in difficoltà, o quando sono di cattivo umore, può essere una cosa terribile. 

131)

Quando visitai il campeggio musicale nel 1995, mi colpì il fatto che molti bambini avessero l'orecchio assoluto; qualche tempo prima, sempre nel 1995, avevo letto un articolo di Gottfried Schlaug et al. che descriveva come i musicisti di professione presentassero un allargamento del planum temporale sul lato sinistro, soprattutto se avevano l'orecchio assoluto. Così suggerii a Ursula Bellugi di esaminare quell'area del cervello negli individui con sindrome di Williams: anch'essi mostrarono un ampliamento simile. (Studi successivi hanno indicato cambiamenti più complessi e variabili a carico di tali strutture). 

132)

Carol Zitzer-Comfort, che ha scritto la sua tesi di dottorato sulla sindrome di Williams, sta lavorando (con l'aiuto di Heidi) a un libro su di essa, volto a esplorare i punti di forza e le debolezze esclusivi di questi pazienti e ad analizzare come queste caratteristiche siano espresse a casa e a scuola. È stata anche coautrice, insieme a Ursula Bellugi e altri, di uno studio su come le differenze culturali, in Giappone e negli Stati Uniti, influenzino l'ipersocievolezza delle persone con sindrome di Williams. 

133)

Elliott Ross e i suoi colleghi, in Oklahoma, hanno pubblicato uno studio sul caso di un loro paziente, S. L. (si veda Cowles et al., 2003). Pur essendo affetto da demenza, probabilmente per il morbo di Alzheimer, l'uomo riusciva ancora a ricordare e a suonare con abilità un vasto repertorio musicale recuperato dal suo passato, e questo nonostante presentasse «profondi disturbi sia nel ricordo, sia nel riconoscimento, come verificato con altri test sulla memoria anterograda», per esempio su elenchi di parole o sui suoni degli strumenti musicali. S. L. mostrava anche una «marcata compromissione nei punteggi della memoria remota (volti famosi, memoria autobiografica)». Fatto ancor più notevole, quest'uomo amnesico e demente era in grado di apprendere nuove canzoni sul violino, nonostante non avesse praticamente più alcuna memoria episodica – una situazione che ricorda quella di Clive Wearing (capitolo 15). 

Sono stati condotti studi formali sulla persistenza delle capacità musicali nella demenza avanzata, fra cui quelli di Cuddy e Duffin, 2005; Fornazzari, Castle et al., 2006; e Crystal, Grober e Masur, 1989. 

134)

Oltre al canto, Woody conserva qualche altro tipo di memoria procedurale. Se gli si mostra una racchetta da tennis, probabilmente non la riconosce, malgrado un tempo fosse un buon giocatore dilettante. Ma se gli si mette la racchetta in mano, su un campo dà tennis, sa benissimo come usarla – anzi è ancora in grado di giocare un buon game. Non sa che cosa sia una racchetta, ma di certo sa come usarla. 

135)

Poco più che sessantenne, Emerson sviluppò una forma di demenza, probabilmente di Alzheimer, che divenne sempre più grave con gli anni; ciò nondimeno, conservò il suo senso dello humour e la sua ironica perspicacia quasi fino alla fine. La traiettoria della malattia di Emerson è descritta con grandissima sensibilità da David Shenk nel suo straordinario libro The Forgetting: Alzheimer's – Portrait of an Epidemie.