7. «Ragione e sentimento», ovvero le dimensioni della musicalità
Spesso parliamo delle persone dicendo che hanno o non hanno «un buon orecchio»: ciò implica, tanto per cominciare, una percezione accurata del ritmo e dell'altezza del suono. Sappiamo che Mozart aveva un «orecchio» straordinario, e ovviamente era un artista sublime. Riteniamo che tutti i buoni musicisti debbano avere un discreto orecchio, anche se non necessariamente di calibro mozartiano; ma possedere un tale dono è sufficiente?
Questo tema affiora nel romanzo di Rebecca West La fontana degli Aubrey, una storia in parte autobiografica che si sviluppa in seno a una famiglia musicale: la madre (proprio come quella dell'autrice) è musicista di professione, il padre è un uomo colto e brillante ma privo di talento per la musica; quanto ai tre figli, due sono, come la madre, profondamente musicali. Ad avere l'orecchio migliore tuttavia è Cordelia, la figlia che non ha ricevuto il dono della musicalità. Stando alle parole della sorella
[Cordelia] aveva orecchio, anzi era dotata di orecchio assoluto, cosa che mancava a mamma, a Mary e a me... aveva inoltre le dita snodate al punto da poterle piegare all'indietro fino al polso; e leggeva qualsiasi cosa a prima vista. Ma ogni volta che mamma la ascoltava posare l'archetto sulle corde, il suo volto si contraeva, dapprima per la rabbia e poi, appena in tempo, in un moto di compassione. Il suono di Cordelia era terribilmente sporco e il suo fraseggio aveva sempre il tono di un adulto stupido che spiega qualcosa a un bambino. Come se non bastasse, Cordelia non distingueva la buona musica da quella cattiva come invece facevamo, e avevamo sempre fatto, tutti noi altri.
Non era colpa sua, se non era fatta per la musica: mamma ce l'aveva spiegato spesso... [Cordelia] aveva preso da papà.
Una situazione opposta è quella descritta nel racconto Il seme sperduto di Somerset Maugham. Qui, l'elegante giovane rampollo di una famiglia recentemente ascesa ai ranghi della nobiltà, allevato con la prospettiva di una vita da gentiluomo dedito ai piaceri della caccia, matura l'appassionato desiderio di diventare pianista, con gran disappunto dei suoi familiari. Si raggiunge quindi un compromesso, in virtù del quale il giovane va in Germania a studiare musica, con l'intesa che dopo due anni tornerà in Inghilterra e si sottoporrà al giudizio di un concertista.
Quando giunge il momento, George, appena tornato da Monaco, prende posto al piano. Lea Makart, una pianista famosa, si è recata da loro e tutta la famiglia è riunita per l'occasione. George si lancia nella musica, suona Chopin «con moltissimo brio». Ma, come osserva la voce narrante, manca qualcosa:
Vorrei conoscere bene la musica per poter descrivere esattamente il suo modo di suonare. Aveva forza ed esuberanza giovanile, ma mi parve ch'egli non rendesse quello ch'è per me il fascino particolare di Chopin, la tenerezza, la nervosa malinconia, la pensosa gaiezza e il sentimentalismo un poco sbiadito che sempre mi rammentano un qualche oggetto, ricordo del primo periodo vittoriano. E ancora ebbi quella vaga sensazione, così lieve da sfuggirmi quasi, che le sue, mani non fossero sincronizzate. Guardai Ferdy e lo vidi lanciare alla sorella un'occhiata di blanda sorpresa. Gli occhi di Muriel erano fissi sul pianista, ma poi li abbassò e sino alla fine non li staccò più dal pavimento. Anche Freddy guardava il figlio, e i suoi occhi erano immobili, ma mi parve che si fosse fatto pallido e che il suo volto tradisse una specie di smarrimento. Avevano tutti la musica nel sangue, per tutta la loro vita avevano sentito i più grandi pianisti del mondo, e quindi giudicavano con istintiva precisione. La sola persona il cui volto non tradisse emozione alcuna era Lea Makart. Ella ascoltava molto attentamente. Stava immobile come [una statua] in una nicchia.
Alla fine, Lea Makart emette il suo giudizio:
Se pensassi che avete in voi le qualità essenziali dell'artista, non esiterei a supplicarvi di rinunciare a ogni cosa per amore dell'arte. L'arte è la sola cosa che conti. Di fronte all'arte, ricchezza, rango e potenza non valgono uno spillo... Naturalmente, si vede benissimo che avete lavorato, e molto sodo anche. Non crediate che sia stata fatica sciupata. Sarà sempre una gioia per voi poter suonare il pianoforte e sarete sempre in grado di apprezzare le grandi esecuzioni come nessuna persona comune potrà mai fare.
Ma George non aveva né le mani né l'orecchio, continuò la musicista, per diventare un pianista di classe, «neppure in mille anni».
Pur se in modo del tutto diverso, la musicalità di George e Cordelia è irreparabilmente incompleta. George ha motivazione, energia, dedizione, passione per la musica, ma manca di una competenza neurologica fondamentale: non ha «orecchio». Cordelia, d'altro canto, ha un orecchio perfetto, ma ad ascoltarla si ha la sensazione che non arriverà mai a «cogliere» il fraseggio, non migliorerà mai quel suo suono «sporco» né riuscirà mai a distinguere la buona musica da quella cattiva, perché – sebbene lei non se ne renda conto – ha profonde carenze in fatto di sensibilità e gusto musicali.
La sensibilità musicale – la «musicalità», intesa nella sua accezione più ampia – richiede anche uno specifico potenziale neurologico? La maggior parte di noi probabilmente può sperare in una certa armonia, una coincidenza, fra le aspirazioni da una parte, e le capacità e le opportunità dall'altra; tuttavia vi saranno sempre quelli come George, in cui le capacità non sono all'altezza delle aspirazioni, e quelli come Cordelia, che sembrano avere tutti i talenti possibili, tranne il più importante: senso critico o gusto. Nessuno possiede tutti i talenti, né dal punto di vista cognitivo, né da quello emotivo. Perfino Čsgkovskij era profondamente consapevole del fatto che la sua grande fecondità melodica non si accompagnava a un paragonabile controllo della struttura musicale; del resto egli non aveva alcun desiderio di costruire, al pari di Beethoven, grandiose architetture sonore; si accontentava invece di essere uno straordinario autore di melodie.30
Molti dei pazienti o dei corrispondenti che descrivo in questo libro sono consapevoli di disallineamenti musicali di un tipo o dell'altro. Le aree «musicali» del loro cervello non sono interamente al loro servizio e può anzi sembrare che abbiano una volontà propria. Questo si verifica, per esempio, nel caso delle allucinazioni musicali; queste ultime si impongono a coloro che le subiscono (i quali non le cercano affatto) e sono perciò del tutto diverse dalla creazione di immagini musicali, o immaginazione musicale, sulla quale invece si percepisce di avere il controllo. Sul versante dell'esecuzione musicale, poi, questo è ciò che accade nel caso della distonia del musicista, quando le dita si rifiutano di obbedire alla volontà e si flettono ripiegandosi, o comunque mostrano una «volontà» tutta loro. In tali circostanze, una parte del cervello è in contrasto con l'intenzione della persona, con il suo sé.
Anche se non vi sono disallineamenti estremi, ovvero situazioni in cui mente e cervello si trovano in conflitto, la musicalità, proprio come altri doni, può creare problemi. Penso a Tobias Picker, un insigne compositore con la sindrome di Tourette. Ci eravamo appena conosciuti quando mi raccontò di avere «un disturbo congenito» che l'aveva tiranneggiato per tutta la vita. Avevo dato per scontato che stesse parlando del suo tourettismo; lui, invece, mi disse che no, il disturbo congenito era la sua grande musicalità. A quanto pare possedeva quel dono dalla nascita; fin dai primi anni di vita riusciva a riconoscere delle melodie e a batterne il ritmo; a soli quattro anni aveva cominciato a comporre e a suonare il piano. A sette era ormai in grado di riprodurre brani lunghi ed elaborati dopo un unico ascolto e si ritrovava di continuo «sopraffatto» dall'emozione trasmessagli dalla musica. Mi disse di come fosse praticamente inteso, sin dall'inizio, che sarebbe diventato un musicista, e di come avesse avuto ben poche possibilità di fare qualcos'altro, giacché la sua musicalità lo consumava totalmente. Non credo che Picker avrebbe imboccato una via diversa; a volte però aveva la sensazione che fosse la sua musicalità a controllare lui, e non viceversa. Molti artisti ed esecutori, senza dubbio, hanno a volte la stessa sensazione – ma le abilità musicali (come quelle matematiche) possono essere particolarmente precoci e determinare la vita di un individuo sin dalla più tenera età.
Ascoltando la musica di Picker, oppure osservandolo mentre suona o compone, ho la sensazione che abbia un cervello speciale, da musicista: molto diverso dal mio. È un cervello che funziona in un altro modo; ha connessioni e interi campi di attività assenti nel mio. È difficile capire in quale misura tali differenze possano essere «congenite», come dice Picker, e in quale misura derivino invece dall'educazione: un problema di non facile soluzione, visto che l'educazione musicale di Picker, come quella di molti musicisti, è cominciata in tenerissima età.
Negli anni Novanta, con lo sviluppo delle tecniche di neuroimmagine, è diventato possibile ottenere una vera e propria visualizzazione del cervello dei musicisti e confrontarlo con quello dei non musicisti. Utilizzando tecniche di morfometria basata sulla risonanza magnetica, Gottfried Schlaug e i suoi colleghi di Harvard hanno effettuato meticolosi confronti fra le dimensioni di varie strutture cerebrali. Nel 1995 hanno pubblicato un articolo nel quale mostrano in primo luogo che nei musicisti di professione il corpo calloso – ossia la grande commessura che connette i due emisferi cerebrali – è più sviluppato; e in secondo luogo che il planum temporale (una parte della corteccia uditiva) presenta un aumento dimensionale asimmetrico nei musicisti dotati di orecchio assoluto. Schlaug et al. hanno dimostrato anche un aumento di volume della sostanza grigia nelle aree motrici, uditive e visuospaziali della corteccia, come pure nel cervelletto.31 Oggi gli anatomisti avrebbero serie difficoltà a identificare il cervello di un individuo particolarmente versato nelle arti visive, oppure quello di uno scrittore o di un matematico; ma potrebbero riconoscere il cervello di un musicista di professione senza esitare un solo istante.
In quale misura, si chiedeva Schlaug, queste differenze riflettono una predisposizione innata o sono invece effetto di un'educazione musicale precoce? Ovviamente non sappiamo che cosa distingua il cervello dei bambini di quattro anni musicalmente dotati prima che la loro educazione musicale abbia inizio; d'altra parte, Schlaug e i suoi colleghi hanno dimostrato che gli effetti di tale educazione sono davvero impressionanti: le modificazioni anatomiche osservate nel cervello dei musicisti erano fortemente correlate con l'età d'inizio della loro formazione musicale e con l'intensità dello studio e dell'esercizio.
Alvaro Pascual-Leone, a Harvard, ha mostrato quanto rapidamente il cervello risponda all'educazione musicale. Utilizzando come test degli esercizi per pianoforte con le cinque dita, ha dimostrato che la corteccia motrice può presentare dei cambiamenti già nell'arco di qualche minuto dall'inizio dell'esercitazione. Misurazioni del flusso ematico regionale in diverse parti del cervello, inoltre, hanno evidenziato – nei gangli basali, nel cervelletto e in varie aree della corteccia cerebrale – un aumento dell'attività associato non solo all'esercizio fisicamente eseguito, ma anche al solo esercizio mentale.
Il talento musicale presenta chiaramente un intervallo di variazione amplissimo; molti dati indicano tuttavia la presenza di una certa musicalità innata pressoché in chiunque, come indica in modo assai evidente il successo del metodo Suzuki per insegnare il violino ai bambini piccoli, interamente a orecchio e per imitazione. Praticamente tutti i bambini dotati di udito normale rispondono a tale insegnamento.32
C'è chi ha asserito che persino una breve esposizione alla musica classica possa stimolare o potenziare le capacità matematiche, verbali e visuospaziali dei bambini: è il cosiddetto effetto Mozart. Tale affermazione è stata contestata da Schellenberg e altri; quello che comunque è indiscutibile è l'influenza esercitata sul cervello ancora plastico del bambino da un'educazione musicale intensiva impartita in età precoce. Takako Fujioka e i suoi colleghi, utilizzando la magnetoencefalografia per esaminare i potenziali uditivi evocati nel cervello, hanno registrato evidenti cambiamenti nell'emisfero sinistro di bambini che avevano studiato violino per un anno, rispetto a coetanei che non avevano ricevuto alcun insegnamento.33
Possiamo dunque pensare che la competenza musicale sia un potenziale umano universale, come quella linguistica? In ogni famiglia ha luogo una certa esposizione al linguaggio, ed entro i quattro o i cinque anni di età praticamente tutti i bambini sviluppano una competenza linguistica (in senso chomskiano). 34 Nel caso della musica non è detto che sia così; alcuni ambienti familiari, infatti, possono essere quasi del tutto privi di musica e, come tutti gli altri potenziali, anche quello musicale, per svilupparsi appieno, deve essere stimolato. In assenza di incoraggiamento o stimolazione, è possibile che i talenti musicali non si sviluppino. Tuttavia, mentre – nei primi anni di vita – esiste un periodo critico abbastanza ben definito per l'acquisizione del linguaggio, per la musica questo è meno vero. La mancata acquisizione del linguaggio a sei-sette anni è un evento catastrofico (che probabilmente si verifica solo nei bambini sordi, ai quali non sia offerto un accesso efficace al linguaggio dei segni o al linguaggio verbale); d'altra parte, alla stessa età, la mancata acquisizione della musica non fa per forza prevedere un futuro che ne sia del tutto privo. Il mio amico Gerry Marks è cresciuto con una scarsissima esposizione alla musica. I suoi genitori non andavano mai ai concerti e raramente ascoltavano musica alla radio; in casa non c'erano strumenti, né libri sulla musica. Quando i suoi compagni di classe parlavano di musica, Gerry era sconcertato e si chiedeva perché la trovassero tanto interessante. «Proprio non avevo orecchio» ricorda. «Non riuscivo a cantare un motivo, non capivo se gli altri cantavano con la giusta intonazione, né distinguevo una nota dall'altra». Bambino precoce, Gerry era appassionato di astronomia, e sembrava pronto a intraprendere una vita da scienziato, senza musica.
A quattordici anni, però, rimase affascinato dall'acustica, soprattutto dalla fìsica delle corde vibranti. Lesse di questi argomenti e fece degli esperimenti nel laboratorio scolastico; ma provava, sempre più forte, il desiderio di avere uno strumento a corde tutto suo. Per il suo quindicesimo compleanno i genitori gli regalarono una chitarra e lui ben presto imparò da solo a suonarla. Galvanizzato dal suono della chitarra e dalla sensazione delle corde pizzicate, Gerry fece rapidi progressi: a diciassette anni, quando stava finendo le superiori, arrivò terzo in una gara per eleggere «il più dotato per la musica». (Il suo compagno di liceo, Stephen Jay Gould, portato per la musica fin da bambino, arrivò secondo). Al college Gerry si specializzò in musica e si mantenne agli studi dando lezioni di chitarra e banjo. Da allora, la passione per la musica è stata un elemento centrale della sua vita.
Ciò nondimeno, esistono limiti imposti dalla natura. Una capacità come l'orecchio assoluto, per esempio, dipende in larga misura da un'educazione musicale precoce, la quale, d'altra parte, non basta di per sé a garantirne la presenza. Né, come dimostra Cordelia, la presenza dell'orecchio assoluto può garantire quella di altri doni musicali di livello superiore. Senza dubbio Cordelia aveva un planum temporale ben sviluppato, ma forse le mancava qualcosa nella corteccia prefrontale, in termini di senso critico. Quanto a George, malgrado fosse senza dubbio dotato per quanto riguarda le aree cerebrali coinvolte nelle reazioni emozionali alla musica, con ogni probabilità in altre aree era carente.
Gli esempi di George e di Cordelia introducono un tema che sarà ripreso ed esplorato in molti dei casi clinici raccontati nelle pagine che seguono. In particolare, quella che chiamiamo «musicalità» comprende una gamma estesa di abilità e recettività: dalle più elementari percezioni del tempo e dell'altezza del suono, ai più elevati aspetti riconducibili all'intelligenza e alla sensibilità musicali; in linea di principio, ciascuno di essi è dissociabile dagli altri. In effetti, quanto a musicalità, tutti siamo più forti in certi aspetti e più deboli in altri; e così abbiamo tutti qualche affinità con George e Cordelia.