9. Papà si soffia il naso in sol: l'orecchio assoluto
Chi ha l'orecchio assoluto può distinguere all'istante, e senza pensarci, l'altezza esatta di qualsiasi nota, senza bisogno di riflettere né di fare confronti con uno standard esterno. Lo può fare non solo con qualsiasi nota ascolti effettivamente, ma anche con qualsiasi nota immagini di ascoltare. Gordon B., per esempio, il violinista che mi aveva scritto a proposito del suo tinnito, ovvero del suono metallico che percepiva nell'orecchio, nella sua lettera aveva osservato in modo molto concreto che si trattava di un «fa naturale alto». Credo che un'affermazione del genere non gli sembrasse affatto inconsueta; ma fra i milioni di persone afflitte dal suo stesso disturbo, probabilmente non una su diecimila è in grado di stabilire con esattezza l'altezza del proprio tinnito.
La precisione dell'orecchio assoluto varia, ma si stima che la maggior parte di coloro che ne sono dotati possa identificare, nella regione centrale della gamma di frequenze udibili, oltre settanta note, ciascuna delle quali ha per loro una qualità unica e caratteristica che la distingue in modo assoluto da qualsiasi altro suono.
Per me, da bambino, The Oxford Companion to Music era una sorta di Mille e una notte: una fonte inesauribile di storie musicali, contenenti numerosi e affascinanti esempi di orecchio assoluto. Sir Frederick Ouseley, ex professore di musica di Oxford, per esempio, «si distinse durante tutta la vita per il suo orecchio assoluto. A cinque anni fu capace di commentare: “Pensa un po', papà si soffia il naso in sol! ”. Diceva che tuonava in sol, che il vento soffiava in re o che l'orologio (con il suo rintocco su due note) batteva le ore in si minore: ogni volta che le sue asserzioni erano verificate, se ne riscontrava immancabilmente la correttezza». Per la maggior parte di noi, questa capacità di riconoscere l'altezza esatta di un suono appare misteriosa, quasi che si trattasse di un altro senso: un senso che non possiamo neanche sperare di possedere, qualcosa come la vista a raggi X o a infrarossi. D'altra parte, a chi lo possiede dalla nascita, esso sembra perfettamente normale.
L'entomologo finlandese Olavi Sotavalta, esperto dei suoni prodotti in volo dagli insetti, fu enormemente favorito nei suoi studi dal fatto d'esser dotato di orecchio assoluto, giacché l'altezza del suono prodotto da un insetto in volo è data dalla frequenza del battito d'ali. Non contento della notazione musicale, Sotavalta era in grado di stimare a orecchio, con gran precisione, le frequenze. Il suono prodotto dalla falena Plusia gamma si avvicina a un fa diesis basso, ma Sotavalta riuscì a stimarlo con maggior precisione, indicandone la frequenza, pari a 46 cicli al secondo. Un'abilità del genere richiede non solo un orecchio straordinario, ma una conoscenza delle scale e delle frequenze alle quali è possibile correlare la nota.
E comunque una tale correlazione, impressionante com'è, distoglie l'attenzione dall'autentica meraviglia dell'orecchio assoluto: per chi ne è dotato, ogni nota e ogni tonalità sembrano qualitativamente diverse, giacché ciascuna possiede un proprio «aroma» o trasmette una «sensazione» particolare, insomma ha il suo carattere ben preciso. Spesso, chi ha l'orecchio assoluto lo paragona alla percezione del colore: queste persone «sentono» la qualità di un sol diesis in modo istantaneo e automatico, proprio come noi «vediamo» l'azzurro. (In effetti, nella teoria musicale anglosassone, a volte si parla a tal proposito di chroma).
Nonostante possa sembrare un piacevole senso supplementare che consente di cantare o annotare istantaneamente qualsiasi musica collocandola all'altezza corretta, l'orecchio assoluto può anche causare qualche problema. Uno di essi è legato all'accordatura non sempre costante degli strumenti musicali. Quando aveva sette anni, Mozart confrontò il suo piccolo violino con quello del suo amico Schactner e disse: «Se non hai più cambiato l'accordatura del tuo violino da quando l'ho suonato io l'ultima volta, rispetto al mio è calante di un quarto di tono» (così si legge in The Oxford Companion to Music; gli aneddoti sull'orecchio di Mozart sono molti, alcuni dei quali senza dubbio apocrifi). Quando il compositore Michael Torke provò il mio pianoforte antico – che avendo ancora le corde originali dell'Ottocento non è accordato a 440 cicli al secondo, in conformità agli standard dei pianoforti moderni – osservò subito che era calante di un terzo di tono. Questo spostamento complessivo verso l'alto o verso il basso di tutta l'accordatura di uno strumento passerebbe inosservato a chi fosse privo di orecchio assoluto, ma per coloro che ne sono dotati può essere molto fastidioso e risultare addirittura paralizzante. Ancora una volta The Oxford Companion to Music riporta numerosi esempi, compreso quello di un pianista illustre il quale, eseguendo la Sonata «Al chiaro di luna» (un brano che «ogni scolaretta sa suonare»), arrivò in fondo «con enormi difficoltà» perché il pianoforte aveva un'accordatura a cui egli non era abituato, e «provò la sofferenza legata all'atto di suonare un pezzo in una tonalità e ascoltarlo in un'altra».
Quando «ascolta un pezzo di musica familiare suonato nella tonalità sbagliata» chi è dotato di orecchio assoluto «dà spesso segni di agitazione e disagio» scrivono Daniel Levitili e Susan Rogers. «Per capire come può essere, immaginate di andare al mercato e di scoprire che, per via di un temporaneo disturbo dell'elaborazione visiva, tutte le banane sono arancioni, la lattuga gialla e le mele viola».
La trasposizione di una melodia da una tonalità all'altra è una cosa che qualsiasi musicista competente sa fare senza difficoltà e in modo quasi automatico. Per uno che abbia l'orecchio assoluto, d'altra parte, ogni tonalità ha il suo carattere esclusivo e probabilmente la tonalità in cui si è sempre ascoltato un brano sarà percepita come l'unica giusta. Trasporre un brano di musica da una tonalità all'altra, per chi ha l'orecchio assoluto, non è diverso dal dipingere un quadro con tutti i colori sbagliati.
Un altro problema mi è stato menzionato dal neurologo e musicista Steven Frucht, lui stesso dotato di orecchio assoluto. A volte Frucht ha una certa difficoltà nell'ascolto di intervalli o armonie proprio perché è tanto consapevole della qualità specifica (chroma) delle note che li compongono. Se, per esempio, uno suona al pianoforte un do e il fa diesis subito sopra di esso, potrebbe essere talmente consapevole della qualità «da do» del do, e «da fa diesis» del fa diesis, da non accorgersi che le due note formano un tritono, ossia una dissonanza che fa trasalire la maggior parte delle persone.45
L'orecchio assoluto non necessariamente riveste una grande importanza per gli stessi musicisti: se è vero che Mozart lo aveva, Wagner e Schumann ne erano privi. Ma chiunque ne sia dotato probabilmente percepirà la sua perdita come una grave privazione. Tale percezione fu espressa in modo esplicito da uno dei miei pazienti, Frank V., un compositore che aveva subito danni cerebrali in seguito alla rottura di un aneurisma dell'arteria comunicante anteriore. Frank aveva un grandissimo talento musicale e aveva cominciato a studiare musica dall'età di quattro anni. Aveva avuto l'orecchio assoluto fin da quando gli riusciva di ricordare, ma adesso, mi raccontò, «se n'è andato o di sicuro è stato eroso». Poiché per lui, come musicista, l'orecchio assoluto era un vantaggio, sentiva acutamente questa «erosione». In precedenza, mi disse, percepiva l'altezza dei suoni in modo immediato e assoluto, proprio come percepiva i colori: in quel riconoscimento non era implicato alcun «processo mentale», nessuna inferenza né riferimenti ad altre note, intervalli o scale. Adesso, quella forma di orecchio assoluto era svanita del tutto; sotto questo aspetto, era come se fosse diventato cieco ai colori. Mentre era convalescente, però, scoprì di possedere ricordi ancora attendibili dell'altezza di certi brani musicali e di certi strumenti, e di poter utilizzare questi punti di riferimento per inferire l'altezza di altre note – sebbene questo fosse un processo più lento rispetto all' «immediatezza» del suo orecchio assoluto.
Anche dal punto di vista soggettivo era del tutto diverso, giacché in precedenza ogni nota e ogni tonalità avevano avuto un aroma particolare, un carattere unico ed esclusivo. Ora tutto questo non c'era più, e per lui non esisteva più alcuna reale differenza fra una tonalità e l'altra.46
In un certo senso, sembra curioso che l'orecchio assoluto sia così raro (si stima sia presente in meno di un individuo su diecimila). Perché non percepiamo tutti il carattere da «sol diesis» tipico del sol diesis, con la stessa automaticità con cui vediamo l'azzurro o sentiamo il profumo di una rosa? «Il vero interrogativo a proposito dell'orecchio assoluto» scrivevano Diana Deutsch et al. nel 2004 «... non consiste nel chiedersi perché alcune persone lo possiedano, ma piuttosto perché non sia universale. È come se, rispetto alla capacità di nominare le note musicali, la maggior parte degli individui avesse una sindrome simile a un'anomia cromatica, in cui il paziente è in grado di riconoscere i colori e di distinguerli uno dall'altro, ma non riesce ad associare loro etichette verbali».
Diana Deutsch qui parla anche per esperienza personale. Come mi ha scritto recentemente in una lettera:
La scoperta di avere l'orecchio assoluto – e dell'eccezionalità di questa dote – fu per me una grande sorpresa che arrivò quando, all'età di quattro anni, mi accorsi che gli altri avevano difficoltà a dare un nome alle note fuori da un contesto. Ricordo ancora benissimo il mio shock nello scoprire che quando io suonavo una nota al pianoforte gli altri, per poterle dare un nome, dovevano vedere che tasto avessi toccato...
Per rendere l'idea di quanto appaia strana la mancanza di orecchio assoluto a chi ne è dotato, prendiamo come analogia l'attribuzione di un nome ai colori. Supponiamo che lei mostrasse a qualcuno un oggetto rosso e gli chiedesse di nominarne il colore. E supponiamo che quello rispondesse: «Riesco a riconoscere questo colore e sono in grado di distinguerlo da altri, ma proprio non riesco a dargli un nome». Lei collocherebbe allora un oggetto azzurro accanto al primo e nominerebbe il suo colore – e a quel punto l'altro risponderebbe: «Bene, visto che il secondo colore è azzurro, il primo dev'essere rosso». Io credo che la maggior parte della gente troverebbe questo processo alquanto bizzarro. Eppure dalla prospettiva di chi ha l'orecchio assoluto, questo è esattamente il modo in cui la maggioranza degli individui dà un nome alle note: valutando la relazione fra la nota da nominare e un'altra, di cui già conosce il nome... Quando io sento una nota musicale e ne identifico l'altezza, non si tratta semplicemente di collocarla in un punto (o in una regione) lungo un continuum. Supponiamo che io senta un fa diesis suonato al pianoforte. Io provo un forte senso di familiarità nei confronti della sua peculiare qualità «da fa diesis» – come la sensazione che si prova quando si riconosce un volto noto. L'altezza è legata ad altri attributi della nota: il suo timbro (importantissimo), la sua intensità e così via. Io credo che almeno alcuni di coloro che sono dotati di orecchio assoluto percepiscano e ricordino le note in modo di gran lunga più concreto di quanto non accada a chi è privo di questa facoltà.
L'orecchio assoluto è particolarmente interessante in primo luogo perché esemplifica tutto un altro mondo di percezione, un intero mondo di qualia, ossia qualcosa che la maggior parte di noi non riesce nemmeno lontanamente a immaginare; in secondo luogo perché è una capacità isolata, con una scarsa connessione intrinseca alla musicalità o qualsiasi altra cosa; e in terzo luogo perché mostra come geni ed esperienza possano interagire nel produrlo.
Da un punto di vista aneddotico è sempre stato chiaro che l'orecchio assoluto è più comune nei musicisti che nella popolazione generale: un'osservazione oggi peraltro confermata da studi su larga scala. Fra i musicisti, poi, l'orecchio assoluto è più comune in quelli che hanno ricevuto un'educazione musicale precoce. Non sempre, tuttavia, questa correlazione regge: molti musicisti di talento non sviluppano un orecchio assoluto nonostante abbiano iniziato in tenera età a studiare seriamente la musica. Si tratta di un dono più comune in certe famiglie: ma ciò avviene per via di una componente genetica, o perché alcune famiglie offrono un ambiente musicale più ricco? Esiste una singolare associazione fra orecchio assoluto e cecità precoce (alcuni studi stimano che circa il 50 per cento dei bambini nati ciechi o che hanno perso la vista nel primo anno di vita sono dotati di orecchio assoluto).
Una delle correlazioni più affascinanti è quella esistente fra orecchio assoluto e ambiente linguistico. Negli ultimi anni, Diana Deutsch e i suoi colleghi hanno studiato in maggior dettaglio queste correlazioni, e in un articolo pubblicato nel 2006 hanno osservato che gli individui «la cui lingua madre è il vietnamita o il cinese mandarino mostrano un orecchio assoluto molto preciso nella lettura di elenchi di parole»; la maggior parte di questi soggetti presenta una variazione non superiore a un quarto di tono. Deutsch et al. hanno anche mostrato nettissime differenze nell'incidenza di orecchio assoluto in due popolazioni di allievi al primo anno di musica: la prima della Eastman School of Music di Rochester (New York) e la seconda del Conservatorio centrale di Musica di Pechino. «Fra gli allievi che avevano cominciato a studiare musica fra i quattro e i cinque anni di età,» scrivevano «circa il 60 per cento dei cinesi soddisfaceva il criterio per l'orecchio assoluto, a fronte del solo 14 per cento fra gli statunitensi, che parlano una lingua non tonale». Fra coloro che avevano cominciato a studiare musica tra i sei e i sette anni, le cifre si abbassavano in entrambi i gruppi, toccando rispettivamente circa il 55 e il 6 per cento. Infine, fra gli allievi che avevano cominciato a studiare musica ancora più tardi, all'età di otto-nove anni, «pressappoco il 42 per cento dei cinesi soddisfaceva il criterio, mentre nel gruppo degli statunitensi che parlano una lingua non tonale il criterio non era mai soddisfatto». In entrambi i gruppi non si riscontravano differenze fra i sessi.
Questa netta discrepanza indusse Deutsch et al. a ipotizzare che «qualora se ne dia loro l'opportunità, i bambini molto piccoli possono acquisire l'orecchio assoluto come un aspetto del linguaggio che poi trasferiscono alla musica». Per coloro che parlano una lingua non tonale come l'inglese, gli autori ritenevano che «l'acquisizione dell'orecchio assoluto nel corso dello studio musicale [fosse] analoga all'apprendimento dei suoni di un'altra lingua». Deutsch et al. osservarono che esisteva un periodo critico per lo sviluppo dell'orecchio assoluto, all'incirca prima degli otto anni: pressappoco la stessa età in corrispondenza della quale i bambini cominciano a trovare molto più difficile apprendere i fonemi di un'altra lingua (e quindi a parlare una seconda lingua con un accento nativo). Gli autori ipotizzano quindi che tutti i bambini molto piccoli abbiano le potenzialità per acquisire l'orecchio assoluto; una potenzialità, questa, che potrebbe forse essere «realizzata dando loro la possibilità di associare l'altezza dei suoni a etichette verbali durante il periodo critico» per l'acquisizione del linguaggio. (Ciò nondimeno, gli autori non escludono che siano importanti anche le differenze genetiche).
I correlati neurali dell'orecchio assoluto sono stati delucidati confrontando il cervello di musicisti che ne sono dotati o ne sono privi attraverso una forma sofisticata di tecniche di neuroimmagine strutturale (morfometria con risonanza magnetica) e ottenendo immagini funzionali del cervello mentre i soggetti riconoscono note e intervalli musicali. In un articolo del 1995, Gottfried Schlaug e i suoi colleghi dimostrarono che nei musicisti con orecchio assoluto (ma non in quelli che ne erano privi) esisteva, fra parte destra e sinistra del cervello, un'accentuata asimmetria volumetrica del planum temporale, una struttura importante per la percezione del linguaggio verbale e della musica. Asimmetrie simili nelle dimensioni e nell'attività del planum temporale sono state dimostrate in altri individui con orecchio assoluto.47
L'orecchio assoluto non ha a che fare soltanto con la percezione dell'altezza del suono. Per definizione, le persone che ne sono dotate sono in grado non solo di percepire precise differenze di altezza, ma anche di nominarle, ossia di farle corrispondere con le note o con i nomi di una scala musicale. È proprio questa l'abilità che Frank V. ha perso in seguito alla lesione del lobo frontale causata dalla rottura del suo aneurisma. I meccanismi cerebrali aggiuntivi necessari per correlare l'altezza di un suono e il suo nome hanno sede nei lobi frontali, e anche questo può essere osservato negli studi di risonanza magnetica funzionale; pertanto, se si chiede a un individuo con orecchio assoluto di nominare note o intervalli, la risonanza magnetica mostrerà un'attivazione focale in certe aree associative della corteccia frontale. Negli individui con la capacità di individuare l'altezza relativa dei suoni (orecchio relativo) questa regione viene attivata solo quando si nominano gli intervalli.
Sebbene tale denominazione categorica sia appresa da tutti gli individui con orecchio assoluto, non è chiaro se questo escluda una precedente percezione categorica dell'altezza dei suoni, svincolata dall'associazione e dall'apprendimento. L'insistenza di molti individui dotati di orecchio assoluto circa le qualità percettive uniche di ciascun suono – il suo «colore» o chroma – indica che può aver luogo una categorizzazione puramente percettiva prima ancora dell'apprendimento di etichette categoriche.
Jenny Saffran e Gregory Griepentrog della University of Wisconsin hanno confrontato bambini di otto mesi e adulti – questi ultimi con e senza educazione musicale – in un test di apprendimento di sequenze di note. Hanno scoperto che i bambini si affidavano molto più degli adulti a indizi derivanti dall'orecchio assoluto; gli adulti, dal canto loro, a indizi provenienti dall'orecchio relativo. Questo ha suggerito agli autori che l'orecchio assoluto possa essere una qualità universale e altamente adattativa nel primo anno di vita, ma che in seguito diventi maladattativo e quindi vada perduto. «Bambini che raggruppassero le melodie solo in base all'altezza assoluta delle note» hanno sottolineato Saffran e Griepentrog «non scoprirebbero mai che le canzoni sono le stesse anche quando sono cantate in tonalità diverse, né che le parole pronunciate a diverse frequenze fondamentali sono le stesse». In particolare, sostenevano gli autori, lo sviluppo del linguaggio impone l'inibizione dell'orecchio assoluto, la cui conservazione è consentita solo in condizioni insolite. (L'acquisizione di un linguaggio tonale potrebbe essere una delle «condizioni insolite» che portano alla conservazione e forse al potenziamento dell'orecchio assoluto).
Deutsch e i suoi colleghi, nel loro articolo del 2006, ipotizzavano che la loro ricerca non avesse solo «implicazioni per la questione della modularità nell'elaborazione del linguaggio e della musica... [ma anche per] l'origine evolutiva» di entrambi. In particolare, essi considerano l'orecchio assoluto, quale che sia stata la sua sorte successiva, come un fattore di importanza cruciale sia per l'origine del linguaggio, sia per quella della musica. Nel suo libro Il canto degli antenati: le origini della musica, del linguaggio, della mente e del corpo, Steven Mithen porta quest'idea ancora più oltre, ipotizzando che la musica e il linguaggio abbiano una comune origine, e che una caratteristica della mente neandertaliana fosse proprio una combinazione di protomusica-cum-protolinguaggio.48 Mithen chiama questa sorta di linguaggio cantato fatto di significati, ma senza singole parole così come le intendiamo noi, HMMM (holistic-mimetic-musical-multimodal: olistico, mimetico, musicale, multimodale) e ipotizza che esso dipendesse dall'unione di capacità isolate, ivi comprese le abilità mimetiche e l'orecchio assoluto.
Lo sviluppo di «un linguaggio composizionale e di regole sintattiche» propone Mithen «avrebbe poi reso possibile comunicare un infinito numero di cose, in contrasto con la quantità limitata di espressioni» consentite dal linguaggio multimodale. «Il cervello dei neonati e dei bambini si sarebbe così sviluppato in un modo nuovo, il che, fra le altre cose, avrebbe avuto come conseguenza la perdita dell'orecchio assoluto nella maggioranza degli individui e una generale diminuzione delle capacità musicali». Sebbene finora questa ipotesi audace abbia poco su cui appoggiarsi, è di sicuro molto affascinante.
Una volta sentii parlare di una valle sperduta, su qualche isola del Pacifico, dove tutti gli abitanti sono dotati di orecchio assoluto. Mi piace immaginare che un luogo simile sia popolato da un'antica tribù rimasta allo stadio dei neandertaliani di Mithen, con tutta una gamma di raffinate abilità mimetiche, i cui membri comunicano in un protolinguaggio musicale non meno che lessicale. Sospetto tuttavia che la Valle dell'Orecchio Assoluto non esista, salvo che nella veste di una bella metafora edenica, o forse come una sorta di memoria collettiva di un passato umano più musicale.