16. Parola e canto: afasia e musicoterapia

Samuel S., non ancora settantenne, sviluppò in seguito a un ictus una grave afasia espressiva; a distanza di due anni, nonostante la logoterapia intensiva, era ancora del tutto incapace di esprimersi verbalmente e di recuperare anche una sola parola. Per lui, la svolta arrivò il giorno in cui Connie Tomaino, la musicoterapeuta del nostro ospedale, lo sentì cantare proprio fuori dal suo ambulatorio: stava cantando Ol' Man River, con ottima intonazione e gran sentimento, ma usando solo due o tre parole della canzone. I logoterapeuti avevano ormai gettato la spugna e consideravano il suo caso «senza speranza»; Connie pensò, tuttavia, che la musicoterapia avrebbe potuto essergli d'aiuto. Cominciò a vederlo tre volte alla settimana in sedute di mezz'ora durante le quali cantava con lui o l'accompagnava alla fisarmonica. Cantando insieme a Connie, il signor S. riuscì ben presto a recuperare tutte le parole di Ol' Man River e poi quelle di molte altre canzoni e ballate che aveva imparato da ragazzino negli anni Quaranta: nel momento stesso in cui ciò accadde, il signor S. cominciò a mostrare una ripresa del linguaggio verbale. Di lì a due mesi, se qualcuno gli faceva una domanda, dava risposte brevi ma appropriate. Se uno di noi gli chiedeva come avesse passato il week-end a casa, per esempio, il signor S. rispondeva: «Stato benissimo», oppure «Visti i ragazzi».

Spesso i neurologi parlano di un'«area del linguaggio» localizzata nella regione premotrice del lobo frontale dominante (di solito il sinistro). Un danno in una parte specifica di questa regione – un'area identificata dal neurologo francese Paul Broca nel 1862 – può produrre un'afasia espressiva, ossia una perdita del linguaggio verbale orale, non importa se a causarlo sia stata una malattia degenerativa, un ictus o una lesione cerebrale. Nel 1873 Cari Wernicke aveva descritto un'altra area del linguaggio nel lobo temporale sinistro: un danno in quella zona tendeva a produrre difficoltà nel comprendere il linguaggio parlato, dando luogo a un'afasia «recettiva». Proprio nello stesso periodo si capì anche che un danno cerebrale può produrre disturbi dell'espressione o dell'apprezzamento musicali – le amusie – e che mentre alcuni pazienti potevano essere colpiti simultaneamente da afasia e amusia, altri presentavano soltanto afasia.90

Noi siamo una specie linguistica – ricorriamo al linguaggio per esprimere qualsiasi pensiero e di solito ne possiamo disporre in modo immediato. Per chi è colpito dall'afasia, però, l'incapacità di comunicare verbalmente può produrre una frustrazione e un isolamento quasi intollerabili: a peggiorare le cose, poi, costoro sono spesso trattati dagli altri come degli idioti – quasi delle non-persone – perché non riescono a parlare. Molto di tutto questo può cambiare, grazie alla scoperta che questi pazienti sono in grado di cantare: cantare non solo melodie, ma anche le parole di opere, inni o canzoni. All'improvviso la loro disabilità – quel loro esser tagliati fuori – sembra molto più lieve; e sebbene il canto non sia una comunicazione proposizionale, è pur sempre un'importantissima comunicazione esistenziale. Non è un limitarsi a dire: «Sono vivo, sono qui»; può esprimere anche pensieri e sentimenti che, a questo punto, non sono più formulabili con il linguaggio orale. Riuscire a cantare delle parole può rappresentare un'enorme rassicurazione per questi pazienti, poiché dimostra loro che non hanno irrimediabilmente perduto le capacità di linguaggio e che, da qualche parte, le parole sono ancora «dentro» di loro, anche se in certi casi per tirarle fuori è necessario ricorrere alla musica.

Il linguaggio verbale orale, di per se stesso, non è soltanto una successione di parole nell'ordine appropriato: ha inflessioni, intonazioni, tempo, ritmo e «melodia». Linguaggio e musica dipendono entrambi da meccanismi di fonazione e articolazione che sono rudimentali negli altri primati; e anche per essere apprezzati e compresi, linguaggio e musica dipendono da meccanismi cerebrali distintamente umani, dedicati in modo specifico all'analisi di flussi di suoni complessi, segmentati e in rapido cambiamento. Ciò nondimeno, esistono fondamentali differenze (e alcune sovrapposizioni) nell'elaborazione cerebrale del linguaggio e del canto.91

I pazienti con la cosiddetta afasia non fluente non solo presentano una compromissione del vocabolario e della grammatica, ma hanno «dimenticato», o perduto, la percezione del ritmo e dell'inflessione del linguaggio verbale; questo spiega lo stile spezzato, non musicale e telegrafico del loro eloquio, quando ancora riescono a disporre di qualche parola. Di regola, sono proprio tali pazienti a ottenere i migliori risultati con la musicoterapia, e sono sempre loro i più emozionati quando riescono a cantare dei testi – così facendo, infatti, scoprono non soltanto di avere ancora a disposizione le parole, ma anche di avere accesso al flusso dell'eloquio (sebbene questo sia chiaramente legato al flusso del canto).

Una situazione simile può verificarsi anche con un'altra forma di afasia, la cosiddetta afasia dinamica, dove a essere compromessa non è la struttura delle frasi, ma la capacità di iniziare un discorso. I pazienti con afasia dinamica parlano pochissimo, ma nelle rare occasioni in cui lo fanno producono frasi sintatticamente corrette. Jason Warren et al. hanno descritto un uomo anziano con una leggera degenerazione del lobo frontale e un'afasia dinamica grave il quale, a dispetto di ciò, non presentava alcuna compromissione dell'iniziativa musicale. Suonava il pianoforte, era in grado di leggere e scrivere la musica, e prendeva parte agli incontri settimanali di un gruppo che si riuniva per cantare. Come osservavano Warren et al., era anche capace di recitare: «Era in grado di leggere un passaggio scelto a caso dalla Torah usando la cantillazione riservata alla lettura ad alta voce, che è distinta sia dal canto, sia dalla normale lettura».

Molti pazienti afasici riescono non soltanto ad acquisire le parole delle canzoni, ma anche a ripetere particolari sequenze o serie di parole: i giorni della settimana, i mesi dell'anno, i numeri, eccetera. In quest'ultimo caso, può capitare che riescano a ripetere la serie in quanto tale, ma che non sappiano estrarre da essa un particolare elemento. Uno dei miei pazienti, per esempio, sa recitare tutti i mesi dell'anno in ordine (gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio...); sa anche in che mese siamo, ma quando glielo chiedo, non riesce a rispondere semplicemente «aprile». In effetti, gli afasici possono essere in grado di ripetere sequenze familiari ben più elaborate – una preghiera, oppure alcuni versi di Shakespeare o un'intera poesia -, ma solo come sequenze automatiche.92 Una volta avviate, tali sequenze si dispiegano nello stesso modo in cui si dispiega la musica.

Molto tempo fa Hughlings Jackson distinse il linguaggio «proposizionale» da quello che chiamò, a seconda dei casi, linguaggio «emozionale», «esclamatorio» o «automatico», sottolineando come a volte quest'ultimo potesse essere sorprendentemente preservato nell'afasia, anche quando il linguaggio proposizionale era invece colpito in modo grave. L'imprecazione viene spesso citata come una forma vistosa di linguaggio automatico; anche il canto di testi familiari, d'altra parte, può essere considerato altrettanto automatico. Una persona con afasia può essere in grado di cantare o imprecare o recitare una poesia, ma non di pronunciare una frase proposizionale.

Invece di chiederci se il canto abbia una qualche utilità nel recupero del linguaggio verbale, possiamo formulare la domanda in un altro modo: il linguaggio racchiuso nell'automatismo inconscio può essere «liberato» così da farne un uso cosciente, proposizionale?

 

Durante la seconda guerra mondiale, A. R. Lurija cominciò a studiare la base neurale dell'eloquio verbale e del linguaggio, di diverse forme di afasia e dei metodi per ripristinare l'uso della parola. (Il suo lavoro fu pubblicato in russo sotto forma di un'imponente monografia, Travmatičeskaja afazija [Afasia traumatica], uscita nel 1947 e seguita, l'anno dopo, da un piccolo libro sorprendente, Vosstanovlenie funkcij mozga posle voennoj travmy [Recupero delle funzioni cerebrali dopo traumi bellici]; in occidente, tuttavia, nessuno dei due fu tradotto, o comunque letto, prima che fossero passati diversi decenni). Secondo Lurija, in seguito a una lesione cerebrale acuta come quelle che aveva, osservato e studiato nei pazienti con ictus o nei soldati feriti, c'erano sempre due livelli di disturbo. In primo luogo, c'era un «nucleo» di distruzione tissutale irreversibile; in secondo luogo, un'area circostante più estesa, o «penumbra», la cui funzione era inibita o depressa, ma nella quale egli riteneva che il danno, in determinate condizioni, fosse reversibile.

Quando si visita un paziente subito dopo un ictus o una lesione cranica, si vedono solo gli effetti totali dell'insulto: paralisi, afasia o altre disabilità. È difficile distinguere le disabilità causate dal danno anatomico da quelle riconducibili invece all'inibizione del tessuto nervoso circostante. Nella maggior parte dei pazienti, sarà il tempo a mostrare la differenza: l'inibizione tende infatti ad attenuarsi spontaneamente, di solito nell'arco di qualche settimana. In alcuni soggetti, tuttavia, per ragioni ancora da chiarire, ciò non accade. A questo punto (se non prima) è fondamentale iniziare la terapia, per promuovere quella che Lurija chiamava «de-inibizione».

La logoterapia può portare alla de-inibizione, ma a volte capita che fallisca; in questi casi, si potrebbe erroneamente pensare che l'afasia del paziente sia dovuta a un danno anatomico permanente e quindi irreversibile. In alcuni soggetti, però, la musicoterapia può riuscire là dove la logoterapia convenzionale ha fallito, proprio come avvenne nel caso di Samuel S. Forse le aree corticali precedentemente inibite ma non distrutte possono essere de-inibite, lanciate di nuovo in azione risperimentando il linguaggio – seppure un linguaggio del tutto automatico, inglobato nella musica.

 

Per il paziente afasico un aspetto assolutamente cruciale – nella logoterapia come nella musicoterapia – è la relazione con il terapeuta. Lurija sottolineava come l'origine del linguaggio sia sociale non meno che neurologica: richiede l'interazione fra madre e figlio. È probabile che lo stesso valga anche per il canto, e in questo senso la musicoterapia rivolta ai pazienti afasici è profondamente diversa da quella somministrata per un disturbo del movimento come il parkinsonismo. In quest'ultimo caso è il sistema motorio che viene attivato, quasi automaticamente, dalla musica: un nastro registrato o un cd possono essere – in questo senso limitato – altrettanto efficaci di un terapeuta. Ma con i disturbi del linguaggio come l'afasia, il terapeuta e il suo rapporto con il paziente – una relazione che comporta non solo interazioni vocali e musicali, ma anche il contatto fisico, i gesti, l'imitazione del movimento e la prosodia – rappresentano una parte essenziale della terapia. Questa intima collaborazione, questo lavorare in tandem, dipende dai neuroni specchio presenti in tutto il cervello, che consentono al paziente non solo di imitare ma anche di appropriarsi di azioni o abilità altrui: un territorio esplorato da Rizzolatti et al.

Il terapeuta non si limita a fornire al paziente il proprio supporto e a costituire per lui una presenza incoraggiante; lo porta, letteralmente, verso forme di linguaggio sempre più complesse. Nel caso di Samuel S. questo comportò che la terapeuta dapprima gli tirasse fuori il linguaggio, finché lui riuscì a cantare Ol' Man River con tutte le parole; poi che lo guidasse in un intero repertorio di vecchie canzoni; e, infine, che lo inducesse a dare brevi risposte ponendogli il giusto tipo di domande. Resta aperto il problema se esista o meno la possibilità di spingersi oltre, ossia di ripristinare un linguaggio verbale fluente, narrativo o proposizionale, in pazienti da tempo afasici. Può darsi che frasi come «stato benissimo» e «visti i ragazzi» rappresentino un limite oltre il quale Samuel S. non può spingersi. Risposte verbali di questo tipo possono essere considerate modeste, limitate e stereotipate; esse costituiscono tuttavia un radicale passo avanti rispetto al linguaggio puramente automatico, e possono avere un impatto enorme sulla vita quotidiana di una persona afasica, poiché consentono a un individuo in precedenza muto e isolato di rientrare in un mondo verbale che sembrava aver perduto per sempre.

Nel 1973 Martin Albert e i suoi colleghi di Boston descrissero una forma di musicoterapia che denominarono «terapia dell'intonazione melodica». Insegnavano ai pazienti a cantare o intonare brevi frasi – per esempio: «Come stai oggi?». Gli elementi musicali erano poi lentamente rimossi, finché (in alcuni casi) il paziente riacquistava la capacità di parlare un po', anche senza l'aiuto dell'intonazione. Un uomo di sessantasette anni, che era afasico da diciotto mesi e riusciva ad emettere solo grugniti privi di significato, si era sottoposto per tre mesi alla logoterapia senza ricavarne beneficio alcuno; due giorni dopo aver iniziato la terapia di intonazione melodica cominciò invece a pronunciare parole; in capo a due settimane, aveva un vocabolario effettivo di un centinaio di parole e dopo sei settimane poteva sostenere «brevi conversazioni con un significato».

Che cosa succede nel cervello quando l'intonazione melodica, o qualsiasi altro tipo di musicoterapia, «funziona»? All'inizio Albert et al. pensavano che essa servisse ad attivare aree dell'emisfero destro, omologhe all'area di Broca. Norman Geschwind – collega di Albert, con il quale lavora a stretto contatto – era rimasto affascinato dal modo in cui i bambini possono recuperare parola e linguaggio anche dopo la rimozione dell'intero emisfero sinistro (intervento a volte eseguito, come abbiamo visto, su bambini con crisi epilettiche incontrollabili). Un tale recupero o riacquisizione del linguaggio suggeriva a Geschwind che, sebbene le abilità linguistiche fossero generalmente associate all'emisfero sinistro, anche l'emisfero destro possedesse un potenziale linguistico e fosse in grado di assumere le funzioni legate al linguaggio in modo quasi completo – almeno nei bambini. Albert e i suoi colleghi pensavano dunque, peraltro non confortati da prove certe, che almeno in una qualche misura potesse accadere lo stesso anche negli adulti afasici, e che la terapia dell'intonazione melodica, facendo appello alle abilità musicali dell'emisfero destro, contribuisse a sviluppare questo potenziale.

Negli anni Settanta non erano ancora disponibili neuroimmagini dettagliate di pazienti sottoposti alla terapia, e nel 1996 uno studio condotto con la pet da Pascal Belin et al. sembrò dimostrare, nei soggetti che praticavano l'intonazione melodica, l'assenza di attivazione dell'emisfero destro. Belin e colleghi riferirono, inoltre, che nei pazienti afasici non solo c'era un'inibizione dell'area di Broca, ma si evidenziava anche l'iperattività di un'area omologa nell'emisfero destro (potremmo chiamarla, per comodità, «area di Broca destra»). Questa continua iperattività sul lato destro inibisce attivamente la «vera» area di Broca che, così indebolita, è incapace di resistere. La difficoltà, quindi, non sta solo nello stimolare l'area di Broca normale, la sinistra, ma nel trovare un modo per smorzare l'iperattività maligna dell'«area di Broca destra». Il canto e l'intonazione melodica sembrano fare esattamente questo: impegnando i circuiti dell'emisfero destro in una normale attività, li disimpegnano dall'attività patologica. Questo processo ha una certa capacità di automantenimento; infatti quando viene liberata dall'inibizione, l'area di Broca sinistra può esercitare un'azione di soppressione sull'«area di Broca destra».

Un circolo vizioso, in breve, viene sostituito da un circolo terapeutico.93

Per varie ragioni, nel corso degli anni Ottanta e Novanta la ricerca ha prestato scarsa attenzione sia alla possibile adozione della terapia dell'intonazione melodica in pazienti con gravi forme di afasia di Broca non fluente, sia al meccanismo grazie al quale essa potrebbe funzionare. I musicoterapeuti hanno tuttavia continuato a osservare che in molti casi tale terapia può produrre miglioramenti davvero significativi.

Un recente lavoro di Gottfried Schlaug e dei suoi colleghi documenta con precisione l'attività cerebrale di otto pazienti sottoposti a terapia dell'intonazione melodica (che comporta settantaçinque sedute di terapia intensiva). Tutti questi pazienti, spiegano Schlaug et al., hanno «mostrato significativi cambiamenti nelle misure della produzione di linguaggio verbale e nelle connessioni fronto-temporali dell'emisfero destro, mentre ripetevano semplici parole/frasi nello scanner per la risonanza magnetica». Schlaug mi mostrò alcune videoregistrazioni di tali pazienti e in effetti il cambiamento della loro capacità di far uso della parola era sorprendente. All'inizio molti di loro erano incapaci di rispondere chiaramente perfino alla domanda: «Dove abita?». In seguito alla terapia con intonazione melodica, erano in grado di rispondere molto più facilmente a domande di quel tipo, fornendo anche dettagli aggiuntivi oltre a quelli richiesti. Era evidente che – almeno in una certa misura – avevano raggiunto la capacità di usare il linguaggio proposizionale. Tali cambiamenti, al tempo stesso comportamentali e anatomici, erano conservati anche a distanza di diversi mesi dalla fine del trattamento.

Come sottolinea Schlaug, «i processi neurali alla base del recupero del linguaggio dopo un ictus rimangono in larga misura sconosciuti e pertanto non sono stati affrontati specificamente dalla maggior parte delle terapie per l'afasia». Nel caso della terapia dell'intonazione melodica, però, è stato quanto meno dimostrato che si tratta di una cura «ideale per facilitare il recupero del linguaggio in pazienti afasici non fluenti, in particolare in quelli con vaste lesioni dell'emisfero sinistro per i quali l'unica via di recupero può essere il coinvolgimento delle regioni legate al linguaggio dell'emisfero destro».

Negli ultimi vent'anni ci siamo abituati a rivelazioni impressionanti sulla plasticità corticale. È stato dimostrato che negli individui con sordità congenita la corteccia uditiva può essere ridestinata all' elaborazione visiva, mentre nei non vedenti la corteccia visiva può essere reclutata per svolgere funzioni uditive e tattili. Forse ancor più straordinaria, però, è l'idea che l'emisfero destro – in circostanze normali dotato di capacità linguistiche solo molto rudimentali – possa essere trasformato in un organo linguistico abbastanza efficiente in meno di tre mesi di addestramento, e che la musica sia la chiave di questa trasformazione.