È incredibile che un giorno simile abbia avuto il coraggio di cominciare, che il sole abbia trovato l’ardire di sorgere sopra le unità che si stanno schierando lí sotto, unità che di lí a poco uno degli avvocati difensori definirà «la tempesta perfetta».

Strano ma vero, quella mattina di dicembre Gesú si è svegliato presto. Morgan e Bob l’hanno finalmente convinto ad andare con loro a cercare di far abboccare qualcuno degli enormi pescigatto che vivono nella pozza in fondo al Grande Lago. Partono in jeep appena prima dell’alba, quando l’unica luce dall’edificio principale è il bagliore delle lampadine rosse, gialle e blu che viene dal grande albero di Natale nell’atrio (sí, Gesú Cristo odia festeggiare in pompa magna il suo compleanno, ma bisogna pur accontentare i bambini). Gesú si stropiccia gli occhi sul sedile posteriore della jeep e armeggia con il coperchio del thermos di caffè che ha portato Morgan. Gesú ha dormito da cani, un dormiveglia da cui si svegliava in continuazione: un brontolio lontano lo strappava al sonno leggero, come se in fondo al bosco ci fosse qualcosa in agguato.

Alle 7:22 della mattina, nel momento esatto in cui l’agente speciale Rodriguez delle teste di cuoio apre un varco nell’arrugginito filo spinato lungo il perimetro meridionale (ha ventiquattro anni, il cuore a mille ma si costringe a non sorridere, emozionatissimo al pensiero che dopo quasi due anni di servizio non solo partecipa a un blitz, ma è perfino nella squadra di testa), Gesú, Morgs e Bob lanciano l’amo nelle fredde acque limacciose del lago, a circa due chilometri di distanza dall’edificio principale.

Becky e i bambini dormono fino a tardi, e la porta della camera da letto di Miles e Danny è socchiusa, perché Miles ha paura del buio e gli piace vedere proiettata sul letto la luce soffusa del grande albero natalizio nell’atrio: gli ricorda che Babbo Natale è dietro l’angolo.

Anche i fratelli Rennet quel giorno si sono svegliati presto, e sono già scesi nel garage che serve da officina improvvisata, dove hanno finalmente rimorchiato quel camioncino. Deek ha comprato una nuova trasmissione, e se riescono a montarla per la tarda mattinata allora Deek potrà guidare il camioncino fino a Austin con dietro Pat sulla Dodge. Dovrebbero riuscire a venderlo per un bel gruzzolo, e tornare a sera con qualche soldo in piú per il Natale. Pat si è infilato la tuta da meccanico alla luce dei fanali, con un brivido e uno sbadiglio, mentre Deek smanaccia in cerca della chiave inglese sul pavimento del camioncino, dopo aver buttato il vecchio Remington calibro 306 sul sedile posteriore. Quando vengono quaggiú a lavorare si portano sempre dietro il fucile da caccia: non sai mai quale selvaggina commestibile puoi trovare sulla via del ritorno.

I piú saggi sono lontani.

Giovanotti adrenalinici in divisa da combattimento pronti a tutto.

Bambini addormentati in una casetta di legno.

Un paio di bifolchi con la birra del giorno prima ancora in circolo e un fucile micidiale a portata di mano.

Davvero una «tempesta perfetta».

Rodriguez avanza piano dietro il sergente Anthony Berkowitz che guida il gruppo attraverso il bosco: sono in quindici, sparsi qui e là, in mimetica nera, gli M16 armati e spianati e pronti a fare fuoco. Le pistole da 9 millimetri nella fondina, le granate appese alla cintura, tutto comprato e pagato dai contribuenti americani, contribuenti come quelli su cui stanno per piombare, schiacciando con passo felpato il fogliame e i ramoscelli. Rodriguez e gli altri arrestano la marcia appena prima del limitare del bosco e si acquattano non appena il sergente alza in silenzio il pugno chiuso. C’è qualcosa piú avanti, delle luci e dei suoni a qualche centinaio di metri in lontananza, sul terreno aperto. Rodriguez controlla l’orologio: ci hanno messo poco piú di dieci minuti a percorrere un chilometro attraverso il bosco. Puntualissimi. La squadra B dovrebbe già essere in posizione accanto al filo spinato vicino al cancello principale.

– Porca troia, – esclama Pat Rennet sotto il camioncino, mentre con un ultimo grugnito riesce a svitare il bullone dal carter e a tirare fuori la vecchia trasmissione. La passa a Deek, che si china a esaminarla alla luce del fanale. – Eh sí, – dice Deek, – era bella che andata.

– Mi passi quello straccio? – risponde il fratello. – Cazzo, c’è olio dappertutto –. Deek gira intorno al muso del camioncino per prendere uno straccio dalla tasca accanto alla ruota anteriore dal lato del passeggero e si blocca con lo sguardo fisso verso la boscaglia.

– Cazzo, – bisbiglia Deek Rennet.

A pochi chilometri di distanza, Morgan dice ridendo: – E ti ricordi di quella volta, nel camerino a Denver… Dove qualche testa di cazzo aveva cagato nel piatto della doccia!

– Mamma mia, – risponde Gesú, ghignandosela. – E il promoter dava la colpa a noi…

– Con chi suonavamo quella sera? Gli Scud Mountain Boys?

– Naaa. Forse gli Slint…

– Eh già, gli Slint.

– Bang, – mormora Bob, portandosi l’indice alle labbra e facendo un cenno con il mento verso l’acqua.

– Scusa, Bob, – bisbiglia Gesú.

– Cazzo, – dice Morgan, abbassando la voce. – Non ti mancano le tournée?

– Ci torneremo, in tournée, – dice Gesú. – Dài, passami il caffè, Morgs…

Becky sbadiglia e si rigira nel sonno, dormicchia pur sapendo che fra non molto i ragazzi si sveglieranno, una parte del suo istinto materno già sintonizzato su di loro. Adora questo momento della mattina, perché sa che non sempre è stato cosí. Qualche anno fa, prima di conoscere Gesú e gli altri, quando ancora beveva e si faceva di crack, a volte si svegliava sul pavimento della cucina con Danny che la schiaffeggiava per svegliarla e Miles lí a guardare, spaventato e nervoso, come se la credesse già morta. Li aveva quasi persi, i suoi figli. Il pensiero che finissero nelle grinfie dello Stato basta ancora a farle venire i sudori freddi e a ricordarle il valore di tutto questo: svegliarsi fresca e riposata e sobria e al loro servizio. Sbircia la sveglia accanto al letto: 7:33. Stamattina deve fare un salto in banca a Bruntsville, poi andrà a comprare i regali di Natale insieme a Pete e Claude. Fuori fa freddo. Altri dieci minuti di nanna. Il piede trova un punto ancora calduccio.

– Dove? – Pat striscia fuori da sotto il camioncino, la testa e le spalle spuntano accanto alla ruota. Deek si è accovacciato fuori del raggio di luce e indica il bosco.

– Laggiú, – risponde.

Nella penombra i due fratelli si sforzano di scrutare la fila degli alberi. – Sarà un cervo, coglione, – bisbiglia Pat.

– Non è un cervo.

– Ma chi cazzo ci può essere lí fuo… – Pat lascia la frase a metà quando vede una sagoma nera muoversi rapida, nello spazio tra due alberi. In mano ha qualcosa che luccica. – Cazzo, – sibila. – Cazzo. Prendi il…

– Già fatto, fratellino, – risponde Deek, che riappare al fianco di Pat imbracciando il grosso Remington. L’otturatore scatta indietro con un rumore secco mentre Deek mette un colpo in canna e si avvicina alla porta.

– Attento… – dice Pat. – Cazzo, sono un esercito! – Un’altra sagoma si muove nel buio.

– C’è un fucile da caccia, – bisbiglia il sergente.

– Ce l’ho nel mirino, – risponde Rodriguez al sergente mentre inquadra la testa di Deek Rennet nel reticolo del telescopio a raggi infrarossi.

– Non sparate per primi, – bisbiglia il sergente. – Robertson, vedi se riesci a salire lassú e prenderli alle sp…

EHI! – strepita la voce di Deek. – Chiunque voi siate, pezzi di merda, venite subito fuori da quegli alberi!

– Cazzo, – bisbiglia il sergente. Bisogna decidere in una frazione di secondo: farli uscire ma rinunciare all’effetto sorpresa, visto che mancano parecchie centinaia di metri all’edificio principale? Oppure ritirarsi nel bosco e dire alla squadra B di fare irruzione per primi? Rimandare tutto?

– Spara un colpo di avvertimento, – bisbiglia Pat a Deek.

Deek punta il fucile verso la cima degli alberi e BUM! l’arma di grosso calibro squarcia il silenzio dell’alba e si scatena l’inferno.

Dal bosco parte un fuoco di sbarramento che sforacchia il garage di calcestruzzo. Deek si precipita dietro il camioncino e Pat rotola fuori da sotto mentre il piombo fischia appena sopra la loro testa, bucherellando il mezzo che hanno appena finito di riparare.

CRISTO SANTO! – grida Pat.

– Che cazzo succede? – esclama Gesú, mentre lui e Morgan si alzano di colpo. Bob è già scattato oltre, corre a perdifiato attraverso gli alberi, verso la jeep: conosce bene il suono di una decina di M16 che sparano insieme.

Becky salta fuori dal letto e si precipita in camera dei ragazzi.

Claude alza lo sguardo dalla fila di zucche dolci che coltiva nell’orto.

La gente si sveglia dappertutto, nelle baracche, nei piccoli hangar e nelle tende.

– Vieni, dài! – grida Deek, strattonando il fratello per il gomito. I fratelli Rennet si fiondano fuori dalla porta sul retro e giú per una collinetta; si mettono al riparo e scattano verso l’edificio principale mentre, alle loro spalle, i proiettili sventrano il garage.

– Cazzo, corri all’armeria! – grida Deek a Pat, che ha qualche anno di meno e lo precede di pochi metri, prima di girarsi, acquattarsi e sparacchiare alla cieca verso il bosco.

– Corvo, qui è Falco! – sta gridando Berkowitz nella radiolina, il frastuono nelle orecchie, la cordite nelle narici. – Ci sparano addosso! Ripeto: ci sparano addosso! Entrate! Entrate!

A quel punto un carro armato Bradley – un cazzo di carro armato! – sfonda la recinzione qualche centinaio di metri a nord dell’edificio principale, aprendo un varco alle teste di cuoio che irrompono e si gettano pancia a terra mentre Claude, stranito, osserva la scena dalla fattoria.

Gesú e Morgan si reggono forte mentre Bob imbocca il sentiero fangoso pieno di buche a cento all’ora, e adesso i colpi d’arma da fuoco sono attutiti dal rombo del motore, ma si sentono ancora nel breve intervallo di silenzio in cui Bob scala di marcia. Un cervo scatta di lato. La casa ancora non si vede, è coperta dalla collina.

La squadra A di Berkowitz risale il sentiero da sud correndo a perdifiato per aprire un secondo fronte sulla casa. Un ragazzo sonnacchioso appena uscito da un hangar li incrocia e si becca il calcio di un fucile nello stomaco, finisce a faccia in giú nel fango: non muoverti.

Deek e Pat arrivano all’armeria. Deek rompe il vetro della finestra con il calcio del fucile e prende di mira una delle sagome nere che si avvicinano strisciando lungo l’argine fangoso, vicino al cancello principale. Pat, alle sue spalle, infila un piede di porco dentro le ante di metallo dell’armeria. – Sbrigati, cazzo! – grida Deek. – Sono un fottio!

– Signore, uomo armato a ore due! – dice un soldato dietro al Bradley, vedendo la lunga canna del Remington proprio nel momento in cui il dito di Deek tira il grilletto. Deek fa partire un colpo che manca il bersaglio, e mezzo secondo dopo una decina di M16 svuotano i caricatori verso l’armeria, pallottole da 5,56 mm che trapassano le pareti di legno e si conficcano nei grandi blocchi di calcestruzzo.

Becky comincia a gridare, Miles a piangere, mentre lei mette al riparo i figli sotto il letto. – Fermi qui! – ordina, e inizia a strisciare verso la sparatoria.

– Mamma! Mamma!

Claude si lancia a rotta di collo giú dal sentiero verso i soldati, con il forcone ancora in mano, e grida: – Ehi, ehi! Che cazzo fate? – sopra il frastuono degli spari e il ruggito del Bradley. Si trova a meno di cento metri dai soldati quando uno di loro vede il forcone, vede un tizio che corre verso di lui con in mano «un oggetto lungo a forma di fucile» (cosí testimonierà al processo), alza l’M16 e scarica una raffica in pieno petto a Claude, che muore ancora prima di toccare terra, con tre buchi grossi come una casa nei polmoni.

Berkowitz alla radiolina di nuovo: – È pieno di cecchini! Mandate le Aquile! Ripeto: mandate le Aquile!

La jeep imbocca slittando l’ultima curva: Gesú e Morgan rimangono a bocca aperta nel vedere il campo di battaglia davanti a loro: il carro armato che manovra a fatica davanti alla casa, volute di fumo bluastro che aleggiano nella luce fioca del mattino, il crepitio delle mitragliette, il rumore sordo dei proiettili che colpiscono il legno.

– Ma cosa cazzo…? – sta dicendo Gesú mentre Bob schiaccia a tavoletta l’acceleratore, toccando i centoventi all’ora in discesa giú per la collina.

Becky striscia sul pavimento mentre Pat Rennet scardina l’anta dell’armeria. Alle sue spalle Deek continua a sparacchiare con il Remington, premendo il grilletto a piú non posso e reggendo il fucile appena sopra la testa.

CHE CAZZO STATE FACENDO? – grida Becky.

Pat la ignora e tira fuori l’AR-15 che gli era stato confiscato, lo posiziona su «semi-automatico» con le mani che gli tremano. Becky sente qualcosa infrangersi alle sue spalle e ha appena il tempo di realizzare che un proiettile ha attraversato la porta a vetri dell’ufficio mezzo metro sulla sua destra, dopodiché si lancia verso Pat per afferrare l’arma. – Mettila giú! Ci farai ammazzare tutti, cazzo!

– Cocca, ci stanno attaccando! – grida Rennet mentre si accapigliano per il fucile.

– Dammelo, cazzo! – urla Becky.

Pat dà uno strattone e colpisce Becky in faccia con il calcio. Le rompe il naso e la spedisce lunga distesa sui vetri rotti e i bossoli. Poi si lancia contro il muro accanto alla finestra, grida: – IAAAUU! BECCATEVI QUESTO! – e scatena l’inferno, mentre l’aria si riempie di un fragore sinistro.

Gesú, Morgan e Bob smontano dalla jeep, si gettano pancia a terra e in quel preciso momento vedono Becky uscire barcollando dalla porta sul retro con il viso imbrattato di sangue. Intanto due elicotteri militari da combattimento sorvolano con un baccano infernale il tetto della casa, ognuno carico di soldati.

Assurdo, pensa Gesú. Tutto questo è assurdo e basta.

Afferra Becky. – Becks! Cosa cazz… – grida al di sopra dell’elicottero, della sparatoria, del rombo del carro armato.

– I fratelli Rennet… – dice lei, stringendosi il setto nasale. – L’armeria. Hanno…

In quel momento un tizio che nemmeno conoscono, uno che Gesú rammenta vagamente di aver visto arrivare un paio di settimane prima, esce di corsa dalla casa con un fucile in mano e prende di mira gli elicotteri, mettendosi allo scoperto. Viene abbattuto da una raffica sparata dall’elicottero piú vicino mentre i due orrendi bestioni neri abbassano il muso verso terra e si lanciano attraverso i campi. Lo spostamento d’aria li sbatte quasi per terra. Una testa di cuoio spunta dietro l’angolo e fa appena in tempo a puntare l’arma, quando una raffica esplode improvvisa alle spalle di Gesú e il soldato finisce a terra. Si girano, e vedono Pat Rennet sparire nel vano di una finestra al piano di sopra.

– Oh no, cazzo cazzo cazzo, – sta dicendo Gesú, e adesso si sente un rombo devastante, una vampata di calore, un clangore metallico, e il Bradley spunta da dietro l’angolo, dalla torretta parte una fiammata che lambisce una parete, e la casa di legno prende fuoco come fosse un cerino.

– I bambini! – grida Becky. Morgan è accovacciato contro la base di cemento della cisterna, e piange con la testa fra le mani.

MA COSA FATE! – grida Gesú avvicinandosi al carro armato con le braccia spalancate, mentre i proiettili fischiano tutto intorno. Per tutta risposta, la mitragliatrice montata sulla destra del lanciafiamme comincia a ruotare verso di loro.

No, pensa Big Bob. Non è proprio il momento.

Conosce bene la saggezza del suo amico, la sua quasi inesauribile volontà di reagire all’odio e alla cattiveria con l’amore e la comprensione. Ma sa anche cosa succede negli scontri a fuoco, in quei momenti infernali in cui l’uomo rinuncia alla ragione e alla comprensione e cede il controllo al cervello rettiliano. È chiaro come il sole: questa gente vuole ucciderli. Nel momento in cui la mitragliatrice del carro armato – Bob la riconosce, è una 7,62 mm – apre il fuoco, lasciando dei buchi grandi come mele nel muro di cemento dello studio di registrazione alle loro spalle, Bob si lancia verso Gesú e Becky e li scaraventa a terra accanto a Morgan, nel canale di scolo che corre lungo il muro della casa. Gesú sbatte la testa contro il muro di calcestruzzo, perde i sensi, e intanto Bob trascina Becky sopra di lui, ammassa i suoi amici al riparo sotto la cisterna.

Ora tocca a Bob.

Per certi versi tutta la sua vita è stata un preludio a questo momento.

Il pulsare delle eliche, l’odore pungente della cordite, il crepitio degli M16, il puzzo di bruciato, le grida degli sgomenti e dei feriti.

Rieccomi a casa.

Bob si muove come un folletto malgrado i sessant’anni, si lancia di corsa a testa bassa, entra subito nel raggio del carro armato, cosicché la mitragliatrice coassiale non possa seguirlo. Il cervello di Bob ritorna subito ai vecchi schemi, cerca un riparo, individua i campi di tiro e le vie di fuga, d’istinto rasenta l’edificio in fiamme, mentre un fucile automatico apre il fuoco da qualche parte lí vicino e lui si butta a capofitto nel canale di scolo, trascinandosi dietro il corpo del soldato ucciso da Pat Rennet. Gli strappa l’M16, toglie i caricatori di riserva dalla cintura. Getta un’occhiata verso la collina e vede due teste di cuoio correre verso di lui, una che ricarica l’arma, l’altra che lo sta già prendendo di mira. Bob spara due brevi scariche e tutt’e due vanno giú. Non li guarda nemmeno cadere: sta già tornando al punto di partenza.

Si lancia attraverso il telaio slabbrato della finestra, tagliuzzandosi tutto, e atterra di culo nel corridoio sul retro che collega l’edificio principale alla scuola. Qui fa un caldo d’inferno e si sentono delle grida, passi pesanti che si avvicinano attraverso il fumo e le fiamme: Pat Rennet che corre verso di lui con in mano un fucile a pompa, grida: – Sí! Sí! – gli occhi scintillanti, fuori di sé, stravolti dall’adrenalina, uno sguardo che Bob ha visto l’ultima volta in riva a un fiume vicino al confine cambogiano quasi quarant’anni prima. Bob s’acquatta e gli spara dritto in faccia da una quindicina di metri, uno schizzo di sangue e Pat non c’è piú.

Di nuovo via di corsa a testa bassa, i proiettili che trapassano il legno poco sopra di lui, di corsa verso il salone dove l’albero di Natale è una vampa alta dieci metri che gli strina le sopracciglia e la barba perfino a questa distanza, e c’è un cadavere sul pavimento davanti a lui. Con un conato di vomito Bob riconosce Pete, gli occhi sbarrati, il collo squarciato. – Bang, – dice teneramente, chiudendogli gli occhi, poi gli strappa la maglietta bianca e la squarcia in due. Rotolando di lato verso il bagno, Bob vede Kris: in un angolo, scosso, tremante, la mano sinistra premuta contro la spalla destra, piagnucola per il dolore, mentre il sangue gli scorre fra le dita. Bob controlla la ferita al volo e dice: – Bang, – per dire «resta qui», poi immerge la maglietta nella tazza del cesso, la inzuppa d’acqua e se la lega intorno alla testa. Guarda a sinistra e vede dei pallini rossi saettare in silenzio attraverso la finestra, fa appena in tempo a pensare: traccianti, sparano dei traccianti contro una casa di legno piena di donne e bambini, poi rotola di lato, di nuovo pancia a terra in corridoio. L’uniforme di una testa di cuoio spunta davanti a lui e Bob gli spara due volte in pieno petto, due colpi in rapida successione, poi striscia sopra il cadavere – il tizio borbotta, cerca di dire qualcosa a Bob con la bocca inondata di sangue – e si dirige verso l’entrata del salone in fiamme.

Gesú riprende conoscenza al suono di un fucile che spara vicino al suo orecchio destro, diversi colpi in rapida successione, il rimbombo è assordante. Alla sua sinistra vede Morgan e Becky, lui la stringe forte mentre lei piange e si divincola, vorrebbe correre fuori tra le raffiche di proiettili: ripete qualcosa come una litania che Gesú non sente, ma sa che è «i bambini, i bambini». Si gira verso destra e vede la lunga canna del fucile spuntare da una finestra a pochi centimetri dalla sua spalla, dietro c’è Deek Rennet che spara come un dannato, un ghigno orrendo sul viso. Avrei dovuto ascoltare i ragazzi e sbatterli fuori, pensa. Peccato. C’è una pausa nella sparatoria e Deek alza il fucile per infilare un altro caricatore, Gesú balza in avanti e afferra la canna, cercando di strappare il fucile a Deek attraverso la finestra rotta. Gesú solleva il fucile e lo lancia lontano. Poi si butta di nuovo nel fosso appena in tempo per vedere Deek che gli grida qualcosa dalla finestra mentre allunga una mano dietro la schiena per prendere una pistola. Becky, pensa Gesú. Avrei dovuto dare retta a Becky e buttare tutte le armi in fondo al lago. Peccato. Deek tira indietro il carrello della pistola e la punta contro Gesú, poi da qualche parte lí dietro e sopra di loro si sente una raffica di colpi e il corpo di Deek Rennet sembra semplicemente vaporizzarsi in una nebbiolina rosa mentre l’elicottero da combattimento ruggisce sopra le loro teste, con la piccola mitragliatrice che continua a sparare, l’arcobaleno di un tracciante infuocato che sventra l’edificio, descrive un arco sopra il tetto e si spegne nel cielo del Texas, mentre al di sopra di tutto le enormi turbine eoliche girano impassibili.

Bob raggiunge l’ingresso del salone principale. Dentro è un vero inferno: le travi incendiate crollano, l’albero di Natale è rovesciato su un fianco e le fiamme salgono fino al soffitto. Che cazzo. In questo inferno non c’è tempo per strisciare o trovare riparo, solo una corsa a rotta di collo, premendosi la maglietta bagnata sulla faccia. Sente la carne sul dorso delle mani che si ustiona e corre all’impazzata, lanciando un grido quando sente una, due, tre pallottole colpirlo al fianco sinistro – coscia, ventre, bicipite – e spera di avere la forza necessaria per sfangarla. Sfonda di slancio la porta e si getta a terra, il fumo è cosí denso che non si vede a un palmo di naso. Bob avanza strisciando, non sente piú la gamba sinistra, il sangue gli riempie lo stivale, e finalmente li vede: Miles e Danny ancora sotto il letto, bravi bambini che fanno quel che ha detto la mamma. Danny piange, coccola il fratellino che dondola svenuto contro la sua spalla, le labbra livide sul viso bianco come uno straccio mentre Bob se li stringe accanto, e adesso anche le coperte del letto sono incandescenti.

Il tempo stringe. Da tanti punti di vista, il tempo stringe.

Il muro, la finestra… Ma la finestra brucia, si scioglie come una fornace. Meglio di no.

Impossibile riattraversare il salone, è riuscito a malapena a farcela la prima volta.

La parete in fondo alla camera da letto è di legno e dà sull’aia.

Bob punta l’M16 e svuota il caricatore contro la parete, sperando vagamente che dall’altra parte non ci sia nessuno dei suoi cari. Infila un altro caricatore e svuota anche quello, poi un altro ancora: un centinaio di colpi attraverso la parete di legno, fuoco concentrato ad alzo zero. Un dolore lancinante lungo il fianco sinistro, il sangue gli inzuppa i polmoni mentre prende in braccio i bambini e si alza in piedi, appoggiandosi sulla gamba destra perché la sinistra è quasi andata. Corre verso la parete e salta, piroettando a mezz’aria, mentre Danny grida: – Mamma! – e anche Bob grida mentre urta con la schiena e la spalla destra il legno fumante a brandelli, due metri di altezza e un quintale di uomo che vanno a sbatterci con tutto il suo peso.

Fuori, Morgan e Becky rimangono di stucco nel vedere il muro posteriore della casa che sembra esplodere e Bob che arriva al volo stringendosi al petto i bambini.

È surreale la sensazione di passare in una frazione di secondo da una stanza infernale alla luce del sole. Bob stringe ancora i piccoli mentre vola per due metri nella fredda aria invernale, fratturandosi l’anca quando atterrano sul cemento. Miles si fa uno squarcio alla fronte ma riprende conoscenza, comincia a tossire e a vomitare. I bambini cercano di alzarsi e correre via, ma Bob li stringe forte forte, sapendo che la sparatoria impazza ancora. Quando sente Becky gridare e strisciare verso di loro, li lascia andare.

La faccia di Gesú Cristo appare luminosa sopra di lui, mentre un elicottero nero solca il cielo azzurro alle sue spalle. Bob prova a parlare ma sente in gola il sapore denso e metallico del sangue. Gesú gli accarezza teneramente il viso, scostandogli i capelli dagli occhi. Sorride. Anche il viso di Becky compare nel quadro, piange e borbotta qualcosa mentre si china a baciarlo, ma Bob non riesce piú a sentire niente, nelle orecchie ha solo una specie di soffio, come quando da bambino si portava una conchiglia all’orecchio perché gli dicevano che si sentiva il mare. L’elicottero ripassa sopra di loro, questa volta piú basso, e oscura il sole alle spalle di Gesú Cristo, le pale che sembrano girare al rallentatore. Bob ha freddo, come aveva sentito dire da tanti altri ragazzi in Vietnam. Bob deve parlare, c’è una cosa che vuole dire a Gesú, una parola che deve tirare fuori attraverso il sangue, il piombo e il dolore che ha nel petto. Muove la bocca, unisce il labbro superiore a quello inferiore, cerca la consonante. Gesú si piega su di lui: gli occhi azzurri calmi e chiari in mezzo all’inferno.

– B… – mormora Bob con uno sforzo tremendo. Gesú gli prende la mano.

– B… – Gesú lo bacia dolcemente sulle labbra, sporcandosi il viso di sangue.

– Bye bye, amico, – dice Bob, per la prima volta in trentotto anni.

E anche per l’ultima.

Mentre la luce si spegne, mentre il freddo che sentiva comincia a sciogliersi e lascia spazio a un tepore di cui non ha mai sentito parlare, mentre sente disfarsi ogni atomo del proprio corpo, Bob vede una lacrima rigare la guancia destra di Gesú Cristo e la canna di un fucile accanto alla sua tempia sinistra, e le sagome nere delle teste di cuoio si profilano alle sue spalle. L’ultima cosa che Bob vede in punto di morte è Gesú che alza le mani in segno di resa.

A volte ritorno
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