Riunione di coordinamento nella sede del Batf. In un angolo, caffettiere d’argento e vassoi di pasticcini; sulla scrivania, caraffe d’acqua ghiacciata e dossier. Inoltre, proiettata sulla grande lavagna bianca che prende tutta una parete, una fotografia aerea ad alta risoluzione di quello che è diventato ufficialmente il covo della Setta di Bruntsville. A fianco, piú in piccolo, c’è il particolare sgranato di una parte della proprietà, quella che sembra una scarpata rocciosa e isolata, con le figurine sfocate di due uomini visibili ai margini.

Otto persone sono sedute intorno al tavolo, sei uomini e due donne. In rappresentanza del Batf ci sono Gerry Cauldwell, Don Gerber e l’agente Bryan Brent delle forze speciali. In rappresentanza dell’Fbi ci sono Melanie Bruckheimer e il suo boss, il caposezione Stanley Tawse. Dalla Drug Enforcement Agency, la Dea, di San Antonio ci sono Connor Rifkind e Shirley Blass, e laggiú in un angolo, a ingozzarsi di tramezzini, abbastanza a disagio in mezzo a tutti quei distintivi governativi, c’è il capitano Craig Kinman dei Texas Rangers.

Le cose si sono messe in moto: merito delle ultime informazioni raccolte, nonché del parere favorevole a un eventuale blitz che il capo di Don, Sam Rodman, aveva ottenuto da Washington («Costui, – aveva detto a Rodman il procuratore generale Barbara Muller, – mi pare a dir poco profondamente antiamericano»).

– Shirley, Connor… – sta dicendo Don, che è il capoccia della situazione (al momento era tutto nelle mani del Batf), – perché uno di voi non ci, be’… ci ragguaglia sull’opinione della Dea a proposito di quello che vediamo lí, nell’immagine piú piccola?

– Certo, – fa Rifkind, avvicinandosi alla lavagna e raccogliendo una bacchetta. – Questa fotografia è stata scattata la settimana scorsa durante un volo di ricognizione. È una zona isolata all’estremità meridionale della proprietà. Abbiamo ragione di credere che questa sia una piantagione di marijuana. Un centinaio di metri quadri. Le piante sono mature. Il raccolto è interessante, qualcosa intorno ai cinquanta-sessanta chili…

– Ma è plausibile… – interrompe Tawse, – scusami Connor, ma è plausibile da un punto di vista legale che una quantità simile possa essere considerata per uso personale?

– Sessanta chili? – risponde Shirley Blass. – Non per il numero di persone che ci vivono. A meno che non sia una scorta personale per un paio d’anni.

– Quindi l’idea è quella di spacciarla? – dice Cauldwell.

– Esatto, – risponde Rifkind. – Da queste immagini non si riesce a determinare che tipo di piante stiano coltivando, ma c’è una buona possibilità che sia una varietà a coltivazione idroponica. Una di quelle nuove super-erbe di cui si sente parlare in giro, signore e signori.

– Grazie, Connor – interviene Don. – Se non sbaglio, anche l’Fbi ha qualche novità…

– Sí, – risponde Tawse, allungando la mano verso la piú vicina brocca del caffè. – Prego, Mel.

– Abbiamo contattato e interrogato una famiglia che stando alle pattuglie aveva appena lasciato il covo di Bruntsville –. Melanie Bruckheimer si alza in piedi e distribuisce le copie della trascrizione, facendole scivolare sul tavolo di noce laccato, acquistato con i soldi dei contribuenti americani. – La famiglia Rennet. Sono rimasti nel covo per quasi quattro mesi prima di decidersi ad andarsene. La nostra unità sul campo li ha intercettati in un motel quasi al confine con l’Oklahoma. Il padre, un certo Guff Rennet, sostiene che uno dei motivi per cui se ne sono andati era il comportamento, a suo dire inappropriato, che questo Gesú teneva nei confronti della figlia di otto anni.

– La figlia cosa dice? – fa Don, senza alzare gli occhi dalla trascrizione.

– Ancora non l’abbiamo interrogata, – risponde la Bruckheimer. – Li stiamo portando qui per un colloquio con un neuropsichiatra infantile.

– L’altra domanda che bisogna porsi, – dice Tawse, – è cosa ci fanno lí tutti quei bambini. Da quello che abbiamo capito ce ne saranno una sessantina. Strappati al nostro sistema scolastico e rinchiusi in un luogo al di fuori della legge…

– Esatto, – dice Gerry Cauldwell. – La nostra sensazione è che in termini di impatto sull’opinione pubblica quella sia una partita vinta in partenza. Uno sciroccato fanatico che ha rilasciato affermazioni esplicitamente antiamericane si rinchiude in una specie di covo tirato su alla bell’e meglio, con un mucchio di bambini e una santabarbara con tutti i crismi e, adesso lo sappiamo, coltiva droga…

– Sul versante armi, sappiamo qualcosa di preciso? – chiede Tawse.

– Bryan? – Don Gerber fa un cenno verso Bryan Brent delle forze speciali.

– Ho interrogato questo pastore Glass che ha avanzato le prime accuse e che sostiene di aver visto «un’armeria». E di armi a quanto pare ne capisce. Da quello che sono riuscito a stabilire mostrandogli alcune fotografie, laggiú ci saranno almeno mezza decina di fucili da caccia di grosso calibro, qualcuno con mirino telescopico, forse una decina di pistole – alcune semiautomatiche, alcune sempre di grosso calibro: 9 e 45 millimetri – qualche revolver e, cosa piú preoccupante, un paio di fucili d’assalto AR-15, che come saprete sono l’equivalente civile dei nostri M16…

– È altamente probabile che quei fucili siano stati convertiti in automatici, – interviene Gerry.

– Sí, molti degli AR-15 che confischiamo in azione sono convertiti, – concede Brent. – Ma stando a quello che mi ha raccontato il pastore non posso affermarlo con certezza. Quel che è certo, però… è che lí ci saranno almeno venti armi, molte semiautomatiche… A seconda delle munizioni di cui dispongono potrebbero, sí insomma, potrebbero crearvi non poche difficoltà…

– Ho come la sensazione che il Batf propenda già per un certo tipo di intervento… – dice Tawse, con un’occhiata sorniona a Gerber.

– Be’ Stan, – risponde Don Gerber, – vista l’estensione e la struttura della proprietà… insomma, qui stiamo parlando di un migliaio di ettari con diversi insediamenti sparpagliati: qui ci vivono, qui si trova la droga, qui si trovano le armi… l’idea canonica di bussare alla porta principale con un mandato di perquisizione lascerebbe ampi margini a un occultamento o a uno spostamento di qualche tipo. E come saprete, i risultati in questo tipo di blitz sono sempre stati eccellenti.

– Devo ammettere, – fa Rifkind, – che la Dea preferirebbe di gran lunga l’elemento-sorpresa.

– Cosa ne pensate da un punto di vista tattico? – domanda Tawse, soffiando sul caffè.

– Tre squadre, – risponde Brent, alzandosi e andando alla lavagna con la bacchetta. – La prima in posizione qui, al confine sud-ovest, che dovrà irrompere dal bosco qui e conquistare la piantagione di marijuana qui –. La bacchetta picchietta contro la lavagna ogni volta che pronuncia la parola «qui». – La seconda squadra entra dalla recinzione vicino all’entrata principale qui e procede dritta verso l’edificio principale per sequestrare le armi. Ci vuole una terza squadra di riserva, per calarsi dall’elicottero qui, se necessario, in mezzo alla proprietà, dietro l’edificio principale. Cinquanta o sessanta uomini in totale. La Texas National Guard ci fornirà dei Black Hawk e magari un paio di carri armati di supporto.

– Mmm. Abbastanza cazzuto come intervento, considerato il numero di donne e bambini lí dentro… – commenta Tawse.

– Secondo me, – risponde Don Gerber – alla fine non spareremo manco un colpo.

– Sí, – concede Tawse. – Non lo metto in dubbio, Don. Però tu hai in mente un’irruzione in un covo di spacciatori: gentaglia che sa di aver combinato delle brutte cose e che capisce al volo quand’è in minoranza. Puoi prevedere come si comporterà gente simile in una data situazione. Questi qua… – prende una fotografia su carta patinata, scattata da grande distanza, che mostra Gesú, Morgan e Pete ridere per qualche scemenza, – pensano solo di essere lí a farsi i cazzi loro. Non sai mai come potrebbero reagire quando vedono le teste di cuoio spuntare dal bosco.

– Mi stai dicendo che l’Fbi caldeggerebbe un approccio meno… diretto? – chiede Cauldwell.

– No, – risponde Tawse, – non necessariamente. Un blitz potrebbe essere la scelta migliore. Sto solo… dicendo la mia, ragazzi.

– Afferrato, – risponde Gerber.

– E in termini di tempistica? – chiede la Blass della Dea.

– L’agente Brent ha già una squadra in allerta a Fort Rigg, – dice Gerber.

– Siamo a soli cento chilometri da Bruntsville, – annuisce Brent. – Potremmo essere pronti a intervenire nel giro di tre o quattro settimane.

Date, strategie, tattiche. Logistica e questioni pratiche. Istanze etico-morali, non molte. Una volta che le cose si mettono in moto, domande tipo «Ma perché lo stiamo facendo?» tendono a passare in secondo piano rispetto a «Come lo faremo?»

Molto piú in là nel tempo verrà notato – durante l’inchiesta interna, durante il processo – che nel corso della riunione Stanley Tawse dell’Fbi aveva sollevato qualche «obiezione» sul modo in cui i «residenti nella proprietà» avrebbero potuto reagire all’«uso potenziale di armi letali». Verrà notato, sí, ma non basterà a salvargli il culo.

A volte ritorno
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