9.
– Cazzo, volete chiudere il becco, ragazzi? – grida Guff, facendo capolino dalla porta fra le due camere da letto che hanno preso in quella topaia: i figli in una camera, lui e Carol nell’altra. Due cazzo di televisori accesi, i bambini che gridano e dal bagno il rumore del phon. Non si riesce nemmeno a pensare, rimugina lui mentre stappa la terza birra. Due giorni di viaggio e ancora non erano usciti dal Texas. Una cazzo d’odissea, con i piccoli che si lagnavano di continuo perché volevano tornare indietro. Sangue del suo sangue, porca puttana, piú affezionati a quel coglione che al papà… Un’odissea costosa, per di piú, tra la benzina e il resto, per quella che alla fin fine era stata una lunga vacanza. Una cazzo di vacanza lavorativa, tra l’altro. Almeno gli avevano restituito i soldi che aveva scucito per il materiale edile. Quella testa di cazzo. Gli parlava come se si credeva il Dio in terra…
– Guff! – La voce di Carol, stridula sopra il rombo dell’asciugacapelli.
– Eh?
– C’è qualcuno alla porta!
Santiddio.
Spalanca la porta con la birra in mano, sarà il direttore o qualche vicino che protesta per il volume del televisore, e invece vede completi scuri, cravatte, camicie bianche, un distintivo dentro un portafogli di plastica che gli viene sbattuto in faccia, e il tizio dietro il distintivo che dice: – Il signor Rennet? – Per Guff quell’appellativo di solito è sinonimo di brutte notizie.
– Sí? – dice, puntando su una miscela di indignazione e prudenza.
– Fbi.