1.
Un’ondata di caldo.
Si potrebbe friggere un uovo su quel maledetto marciapiede, e i poveracci sono quelli che se la passano peggio. In inverno la scampano grazie al flusso d’aria calda che sale attraverso le grate e i condotti della metropolitana. Ma in estate, nisba. L’unica è bighellonare nei fast food dalle parti di Times Square dove, Gesú lo sa bene, puoi goderti l’aria condizionata fin quando riesci a far durare la tua bibita.
Cazzarola, pensa Gesú, fa già cosí caldo? Riesce a indovinare piú o meno l’ora dall’intensità del traffico su Broadway, ma per sicurezza controlla sul Casio di plastica: le 5:48 del mattino.
Gesú butta fuori le gambe dalla brandina e le piante dei piedi toccano il linoleum consumato. All’ultimo momento sposta il tallone del piede sinistro per evitare di calpestare, accanto al letto, il cadavere spappolato di uno scarafaggio. Deve averlo accoppato Morgs la sera prima quando è rincasato. Gesú sorride, guardando la sagoma addormentata di Morgan, che ronfa in branda dall’altra parte della camera. La branda è sotto un poster degli Arcade Fire che Kris ha strappato da un muro vicino alla Bowery Ballroom qualche anno prima. Morgs è il suo batterista («Sí, come no. Batterista… – direbbe Morgs. – Fra poco mi tocca battere, visto che abbiamo le pezze al culo») e lavora come aiutocameriere in un locale del centro, quindi spesso non rientra prima delle tre o delle quattro del mattino.
Sono in tre a condividere quel bilocale da trenta metri quadri all’ultimo piano. Anche Kris, il bassista, lavora di notte, e di giorno dorme nel letto di Gesú. Ovviamente manca l’aria condizionata. Gesú apre la piccola ghiacciaia in un angolo, godendosi la leggera corrente d’aria fresca, e recupera il bicchiere di McDonald’s che ha riempito con l’acqua del rubinetto prima di andare a dormire. Butta giú un sorso e rimette a posto il bicchiere: al risveglio Morgan avrà sete. Gesú scosta appena le tende. La camera affaccia sulla scala antincendio di un altro palazzo a pochi metri di distanza. Ma facendosi venire il torcicollo è possibile intravedere una striscia di cielo fra i due edifici.
In quattro e quattr’otto si veste: pantaloncini e scarpe da ginnastica senza calze, e una vecchia T-shirt tarmata con su scritto «I CAMIONISTI LO FANNO MEGLIO». Gliel’ha regalata un tizio a New Orleans, dopo un concerto. Gesú si fruga nelle tasche prima di uscire e scopre di avere due banconote da un dollaro e ottantadue centesimi in monetine: una bella sommetta, non se l’aspettava. Lascia i due dollari sul comodino accanto al letto per i ragazzi e prende la porta.
Fuori dalla relativa frescura del palazzo, giú lungo il vicolo, e via per Broadway. Quasi tutti i negozi sono ancora chiusi e quel poco di traffico è dato da un paio di furgoncini per le consegne e qualche taxi diretto downtown.
Ai vecchi tempi avrebbe puntato dritto verso i giardini di Washington Square o ancora piú a sud verso Wall Street, sarebbe salito su una cassetta capovolta e avrebbe provato a parlare alla gente, a farsi ascoltare. Niente da fare, ormai. Cazzarola, fino a ieri funzionava ancora. Ma qui in Occidente, all’alba del xxi secolo, un tizio fermo a un angolo di strada che dà fiato alla bocca non è piú un’alternativa fattibile. I cristiani hanno sputtanato anche quello. Non solo i cristiani: qui a New York sembrava proprio che chiunque avesse una storia da spiattellare, un’improbabile versione di qualche fatto assurdo che dovevi assolutamente ascoltare. Gesú non se la prendeva a male per qualche sporadico pestaggio, né per le nottate che gli toccava passare in cella quando gli sbirri pensavano bene di ammazzare la noia mettendo al fresco barboni e mendicanti. La cosa che lo infastidiva era essere scambiato per un cristiano.
Accelera il passo lungo Broadway. Bisogna fare la spesa per la settimana. Ci sono bocche da sfamare.
Il supermercato, che sollievo! Un po’ d’aria fresca, almeno per i beni di consumo. Gesú si beve una bottiglietta d’acqua fresca lungo il corridoio, come sempre stupefatto davanti a tutto quel bendidio. Cazzarola, gli scaffali d’America: fagiolini dal Kenya, carambole dalla Nuova Guinea, il dorso iridescente dei salmoni arrivati freschi freschi dalle Highlands scozzesi o dai fiumi d’alta quota del Canada, cosciotti d’agnello dalla Nuova Zelanda, pomodori e basilico dalla Toscana, olive spagnole e arance sudafricane. Quasi niente proviene dalle vaste aree coltivabili intorno a New York. Poi: siamo in piena estate, eppure gli scaffali delle verdure traboccano di navoni, pastinache, cavolfiori, cavoletti di Bruxelles e zucche. Gesú medita, e non è la prima volta, sul costo e il dolore causati da quell’andamento contro natura: fottere le stagioni per qualche centesimo in piú. Quaggiú hanno una strana idea degli affari.
La vera follia non si trova sugli scaffali del supermercato, tuttavia, ma nei carrelli e sulle facce dei consumatori. Cazzarola, i consumatori d’America. Gesú li osserva spiattellato contro un enorme frigorifero che contiene quattordici tipi diversi di patatine fritte surgelate, da cui gli arriva una leggera frescura alla schiena. In questo supermercato, in uno degli angoli meno salubri di Manhattan, nell’orario lavorativo di un qualsiasi giorno feriale, basta buttare un occhio alla faccia e al carrello delle casalinghe americane o delle donne disoccupate o anche solo molto ingorde. Senza degnare di uno sguardo i ricchi scaffali di frutta e verdura fresca, sfilano accanto a Gesú ipnotizzate dal settore surgelati. Si riempiono il carrello di pizza congelata. Di cene già pronte da ficcare nel microonde, con innumerevoli varietà di patatine fritte, crocchette di patate, pasticci di patate e patate saltate. Barattoli di gelato, cheese-cake e torte assortite. Gesú osserva una donna – il carrello che già trabocca di bottiglioni di plastica pieni di zuccherose bevande fluorescenti, confezioni di pane bianco insapore, sacchettoni di patatine, barattoli strabordanti di hot dog e sottaceti, di tortine e biscotti e barrette di cioccolato che potrebbero sfamare un esercito – indecisa tra due scatole di ghiaccioli. Quella donna peserà almeno centoventi chili. Perfino nell’aria fresca del settore surgelati il sudore le imperla il naso e le inzuppa la maglietta viola sformata.
E non è nemmeno la piú cicciona tra le clienti. Altre due poco piú in là hanno da tempo abbandonato l’uso delle gambe. Si aggirano per i corridoi del super appollaiate sulle carrozzelle elettriche, infilando le cibarie nei cestelli montati sul manubrio. Centoventi chili per loro sarebbero un successo. E nessuno le ferma. Nessuno le aiuta. Gesú si guarda intorno e pensa: urca!
Ha già rinunciato ad aiutare ’sta gente. È sorprendente scoprire sulla propria pelle qual è il prezzo da pagare quando ti avvicini con un sorriso e dici: – Mi scusi, signora… signore… Sicuri che vi faccia bene mangiare tutta quella roba? Vi rendete conto che finirete con l’ammazzarvi, vero?
Ti mandano a fare in culo.
Ti sputano in faccia.
In un’occasione l’hanno colpito ai santissimi con un bastone da passeggio.
Controlla il Casio mentre si dirige verso la panetteria del super. Appena in tempo, pensa Gesú quando vede il gestore e un ragazzo piú giovane spingere un grosso carrello attraverso la tenda a strisce di plastica, nel magazzino buio sul retro. Gesú corre fuori dal supermercato.
Via, lungo il vicolo e la recinzione che circonda l’area carico-scarico sul retro del supermercato. Sono già lí: una decina di persone che attendono nella viuzza, accovacciate contro la staccionata di legno, in cerca d’ombra. C’è Becky con i suoi due piccoli, Danny di sette anni e il fratellino Miles di cinque. C’è il vecchio Gus, un ubriacone sui sessanta, e Dotty, la sua compagna. Ci sono Al e Frankie e Meg, i tossici, Big Bob e un paio d’altri che Gesú non conosce ancora per nome, ma ai quali sarà arrivata la voce.
– Ciao Gesú, – fa Becky. – Ciao Gesú, – le fanno eco i figli.
– Ciao ragazzi, – risponde Gesú, ravviando i capelli a Miles.
– Bang, – mormora Bob mentre si stringono la mano. Big Bob è… Be’, grande. Piú o meno un centinaio di chili, ma tonico e longilineo nonostante i suoi quasi sessant’anni. Anche gli altri salutano, sorridono, tossicchiano. Hanno quasi tutti un’aria malandata. Sono sporchi e malati e affamati. – Allora ragazzi… – bisbiglia Gesú. – Ci si muove da un momento all’altro… State in silenzio, ok? Avete portato le buste? – Tutti mostrano i loro sacchetti di plastica. – Ottimo.
Gesú si arrampica piano piano su un bidone dell’immondizia e sbircia al di là della recinzione. Per un minuto buono non vola una mosca, quindi il gestore esce insieme a tre ragazzotti con la divisa del supermercato, che spingono due grandi carrelli. I ragazzotti cominciano a svuotare i carrelli dentro un cassonetto arancione mentre il gestore si guarda intorno, sbadigliando nella prima luce del giorno. Gesú si accuccia di nuovo e dà l’ok a tutti. Li raduna in cerchio e parla a bassa voce. – Tutto secondo i piani. Adesso, come al solito, formiamo una catena. Bob? Io e te sul cassonetto.
– Bang! – Bob fa di sí con la testa, o forse è un tic.
– Bob, io e te lanciamo verso Frankie e Meg in mezzo al cortile. Ve la sentite, ragazzi?
Loro annuiscono, mentre Frankie rivolge a Gesú un tremebondo, incerto «via libera» con i pollici alzati. È un lago di sudore, probabilmente non si fa una pera da ieri pomeriggio.
– Ottimo, – dice Gesú. – Frankie e Meg lanciano verso Al e Becky che stanno a cavalcioni della recinzione, i quali a loro volta passano a Gus, Dotty e ai ragazzi nel vicolo; d’accordo?
– Sí! – dice Miles. – Li acchiappo al volo!
– Ma se li fai sempre cadere, imbecille! – dice Danny.
– Sarai tu a farli cadere!
Potresti anche farcela, a vivere a New York sotto la soglia della povertà. Se trovi da mangiare gratis e qualcuno ti aiuta con l’affitto, potresti anche farcela.
– Ragazzi… – Gesú li richiama all’ordine battendo le mani. – Forza, cerchiamo di concentrarci. Dentro e fuori in un batter d’occhio.
Lancia un’altra occhiata al di là della recinzione. I ragazzotti stanno rovesciando gli ultimi sacchetti nel cassonetto. Poi rientrano nel supermercato mentre il gestore si chiude la porta metallica alle spalle. – E va bene, – fa Gesú. – Andiamo.
Gesú scavalca la recinzione, e appena tocca terra scatta di corsa, seguito da Bob, poi Frankie e Meg, quindi Al e Becky. Gesú e Bob raggiungono il grande cassonetto e Bob fa da staffa a Gesú. Questi si piazza a cavalcioni sul cassonetto e guarda in basso verso quella montagna di cibo: polli interi, lattine ammaccate di pelati e zuppe, sacchetti di riso e pasta, teste di lattuga, pannocchie, confezioni di torte e cartoni di aranciata. Tutto scaduto, tutto parte delle centinaia di migliaia di dollari di cibo che gli Stati Uniti d’America buttano nel cesso ogni giorno. Gesú afferra il pollo piú vicino e fa per lanciarlo verso Bob quando sente la puzza. Non è puzza di cibo marcio, questa – Gesú sa bene che quasi tutta questa roba sarà ancora commestibile per giorni, dopo che il supermercato se n’è sbarazzato – è una puzza chimica, pungente. Gesú si porta il pollo al naso e il tanfo di ammoniaca gli fa lacrimare gli occhi.
– Bang, – mugugna Bob, facendogli segno di sbrigarsi a lanciare quel maledetto pollo.
– Aspetta, Bob – risponde Gesú. – C’è qualcosa che…
Un cigolio metallico: le porte sul retro del supermercato si riaprono e il gestore si profila minaccioso. Due tra gli inservienti piú grossi fanno capolino alle sue spalle.
– Merda, – esclama Frankie mentre lui e Meg scattano verso la recinzione, che Al e Becky stanno già scavalcando. Bob e Gesú sono in trappola: Bob striscia i piedi a terra e non sa cosa fare, Gesú ha le mani nel sacco, anzi nel cassonetto puzzolente. Il gestore se la ride.
– Ti piace, coglione? – chiede. È giovane, avrà piú o meno l’età di Gesú Cristo, forse qualche anno di meno. Porta una cravatta con l’elastico e due baffetti da sparviero. – Ti fai d’ammoniaca?
– Ok, ok, ragazzi – fa Gesú, smontando. – Non siamo in cerca di rogne.
– Allora fuori dal cazzo, – risponde il tizio.
– Ma perché? – chiede Gesú, atterrando sull’asfalto bollente. – Perché il cibo è inzuppato di ammoniaca? – Gesú parla in tono tranquillo, quasi autorevole. Non si direbbe che un attimo prima sia stato sorpreso a frugare nell’immondizia.
– Ordini dall’alto, – risponde il gestore. – In Indiana qualche straccione rincretinito ha provato a farci causa dopo essere stato male perché aveva mangiato dei prodotti scaduti. Adesso tutto il cibo viene cosparso di ammoniaca prima di venire buttato –. Il gestore si avvicina tenendo d’occhio Big Bob, irrequieto nella sua mimetica sudicia.
– Ma questo è… è assurdo, – risponde Gesú. – Dài, amico, questi hanno fame –. Fa un gesto verso la recinzione dove gli altri sono ammassati a sbirciare. – Ci sono anche dei bambini. Gente a cui è andato tutto storto. Nessuno ti farà mai causa.
Il gestore sputa per terra. – Ordini dall’alto, – alza le spalle. Il sole picchia come un martello.
– Senti… – fa Gesú, con un sorriso. – Scusami, com’è che ti chiami?
– Come mi chiamo? Io mi chiamo Vaffanculo Stronzo, ecco come mi chiamo, barbone di merda.
Bob comincia a ringhiare. I due energumeni accanto al gestore si fanno sotto.
– Calma Bob, calma, – dice Gesú. – Senti, signor Vaffanculo Stronzo. Qui hai l’occasione di fare qualcosa di magnifico. Questa gente muore di fame. L’anno scorso la tua azienda avrà fatturato profitti per qualcosa come, boh, miliardi di dollari, no? Non puoi regalarci qualcosa da mangiare? Lascia perdere le regole. Qui hai l’occasione di cambiare qualcosa. Di fare del bene. Di fare il bravo, capisci.
Il gestore guarda Gesú, guarda dritto in quei liquidi occhi azzurri, che luccicano nella luce del primo mattino, su quel fazzoletto d’asfalto. C’ha le palle ’sto tizio, pensa il gestore. – Già, – risponde. – La sai una cosa? Vaffanculo. Fuori dal cazzo, prima che chiamo la polizia –. Si gira e si avvia verso l’area di carico.
Gesú incassa il colpo e cerca di tenere a freno la rabbia. Spesso la gente, soprattutto quelli come questo stronzo figlio di troia repubblicano della prim’ora, crede che il buonismo sia facile. Che «fate i bravi» sia una posizione passiva, automatica. Cazzarola, pensa Gesú, niente di piú sbagliato. In certi giorni, come questo ad esempio, deve fare ricorso a tutta la propria forza di volontà per amare coloro che odiano. Gli ci vuole tutto il suo autocontrollo per non farsi venire un coccolone di sacrosantissima furia. Tipo quando pensa al Medio Oriente, e a quei fondamentalisti. Che cosa vogliono quei tizi? Che scopo hanno? (E cosa fanno nella vita? Quale sarebbe la loro musica fondamentalista? E i libri? E l’arte? Che fine ha fatto quella roba?) Quando vedi le foto di una tipa con un buco in mezzo alla faccia perché qualcuno le ha tagliato il naso dopo che lei è scappata di casa, quando vedi le donne con la schiena ridotta in poltiglia da cento scudisciate perché hanno guardato un ragazzo nel modo sbagliato, quando vedi gli adolescenti portati al patibolo e impiccati sulla pubblica piazza perché sono gay, oppure i cosiddetti «delitti d’onore»… devi fare uno sforzo erculeo per restare concentrato sul «perdonali perché non sanno quello che fanno». Certe volte Gesú deve fare appello a tutta la pazienza, al coraggio e all’amore di cui dispone per non dare ragione a san Giovanni: Bye bye stronzetti. Bombardiamo questi stronzi e riportiamoli all’Età della Pietra, paparino. Buttiamoli dentro al cesso e tiriamo lo sciacquone. Sotto con l’Armageddon!
Gesú respira a pieni polmoni, riacquista il controllo e dice: – Possa Dio perdonarti.
– Cos’hai detto? – fa il gestore, voltandosi di scatto.
– Ho detto… – scandisce Gesú. – Possa Dio perdonarti.
– Pensi che non abbia niente di meglio da fare che stare qui a farmi insultare da un barbone del cazzo? – inveisce il gestore, tornando alla carica.
– Non era mia intenzione insultarti. Scusami… – risponde Gesú, indietreggiando con i palmi aperti, in segno di resa. Remissivo.
– Fai bene a scusarti, porca troia – dice il gestore. – Adesso fuori dal cazzo, stronzo. Prima che… – E qui ficca con forza due dita nel torace di Gesú, facendolo incespicare all’indietro.
È la goccia che fa traboccare il vaso.
Con un ululato, Bob si lancia in avanti sferrando una castagna formidabile che centra il gestore in pieno viso. Il tizio finisce subito al tappeto. – No, Bob! – grida Gesú, mentre dal super spuntano altri dipendenti, che saltano giú dalla zona di carico-scarico e corrono verso di loro. – Scappa, Bob! – dice Gesú. Bob è ricercato dalla polizia di mezza America.
– Bang –. Bob vorrebbe restare, affrontarli una volta per tutte.
– Eddài, vieni via! – gli grida Gesú, lanciandosi a tutta birra verso la recinzione. Bob cambia idea, arriva per primo e scavalca facilmente, nel momento esatto in cui il primo cazzotto centra Gesú sulla tempia.
Il figlio di Dio si rannicchia per terra e incassa una gragnola di pugni e calci, mentre nell’aria incandescente si avvicina l’urlo delle sirene.