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Immigrati

I contatti del Movimento con gli emissari più nazionalisti e anti-migranti del mondo ultraconservatore anglosassone – coerenti, alcuni anni dopo, con il tentativo di approcciare ambienti analoghi e xenofobi nei gilet gialli francesi – erano in corso da anni, da molto prima che ce ne rendessimo conto in Italia. Uno dei momenti decisivi è l’incontro nel gennaio 2015 di Casaleggio con Raheem Kassam, il braccio destro nel Regno Unito di Steve Bannon; oltre che con Liz Bilney, la ceo di Leave. EU – il principale comitato finanziatore della Brexit costituito da Arron Banks, che, come già detto, darà 8 milioni di sterline all’Ukip di Nigel Farage, la più larga donazione nella storia politica britannica.

Non erano certo contatti casuali, dal punto di vista culturale, politico, organizzativo. Quella destra internazionale anglosassone condivideva e ammirava diverse cose, nel Movimento cinque stelle, non solo un interesse per la digital politics, e le strategie sui social media. Quando Carole Cadwalladr, nell’autunno 2018, domanderà a Kassam «chi paga i tuoi stipendi? Sei stato prima dipendente di “Breitbart” e foraggiato da Mercer, ma ora stai lavorando direttamente per Bannon, finanziato da chi, esattamente? Chi finanzia The Movement?», Kassam risponderà così: «Arron Banks è un self made man che ha finanziato la Brexit di tasca sua». Non la penseranno esattamente così la National Crime Agency britannica, che aprirà nel novembre 2018 un’inchiesta formale sulla provenienza dei fondi di Banks alla Brexit, e il procuratore speciale americano Robert Mueller che – rivelerà il «New York Times» – ha acquisito mail e comunicazioni di Banks con diplomatici russi, nell’ambito dell’inchiesta sulla collusione Trump-Russia.

La vicenda dell’inchiesta non tocca direttamente l’Italia, nel momento in cui scrivo, ma è politicamente molto rilevante che sia Raheem Kassam, sia Liz Bilney, emissaria e ceo del comitato di Arron Banks, erano alla Casaleggio Associati anni prima del tour europeo di Steve Bannon dopo le elezioni politiche italiane del 4 marzo 2018. Kassam ce lo racconta così: «Nel 2015 Nigel Farage e io andammo a incontrare Gianroberto Casaleggio, oggi scomparso, l’uomo dietro il Movimento cinque stelle da voi in Italia. La gente qui pensava che fossimo matti, che stessimo giocando con dei fenomeni marginali. Oggi i Cinque stelle sono al top dei voti». Uno degli incontri cruciali per la direzione da dare al Movimento cinque stelle, di cui fino a oggi nulla si sapeva in Italia. Il comitato Leave.EU, fondamentale per la campagna sulla Brexit, nasce sei mesi dopo quell’incontro, che la Bilney definisce «seminale».

Kassam è un agitatore politico molto noto ormai nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Londinese nato da genitori tanzaniani di origine gujarati, è stato tante cose, prima nel mondo conservatore britannico, poi via via sempre più ultraconservatore e anti-europeo. È stato anche candidato alla guida dell’Ukip, ma ciò che interessa qui è la sua figura di connettore, specialmente digitale, dell’ultradestra anglosassone. Se è avvenuta una pesante radicalizzazione dell’Ukip stesso, è stato soprattutto grazie a Kassam (ancor più che a Farage) nell’anno precedente il referendum sulla Brexit.

Membro di diversi think tank conservatori, Kassam aveva già cercato di fondare una versione britannica dei Tea Party, prima di lanciare, assieme a James Delingpole, l’edizione londinese di «Breitbart News». Quando, dopo l’elezione di Donald Trump, alcuni reporter londinesi notano che Farage è stato il primo politico britannico ricevuto alla Trump Tower, chi c’è nella foto ricordo, oltre a Trump e Farage, sullo sfondo di un ascensore dorato? Semplice, gli amici del Movimento cinque stelle: Arron Banks, Raheem Kassam, Andy Wigmore (con loro in quell’istantanea storica anche Gerry Gunster, ceo di Goddard Gunster, lo strategist americano transitato dal mondo di Trump alla campagna referendaria per la Brexit).

Se teorie cospirazioniste sui migranti, dati economici falsati, attacchi violenti agli avversari cominciano a diventare moneta corrente in Regno Unito, è a questo mondo americano-inglese che dobbiamo guardare, e alle sue tante piattaforme di microblogging, o account social. Quando Kassam, nell’agosto 2017, pubblica No Go Zones: How Sharia Law Is Coming to a Neighborhood Near You – che racconta di un’islamizzazione ormai avvenuta che sta per impiantare la sharia nella Londra del sindaco Sadiq Khan (definita da Kassam, senza troppi giri di parole, «una merda») –, il libro viene pubblicato da una casa editrice di Washington vicina alla destra americana, e spinto con forza da Alex Jones, l’animatore di «Infowars», uno dei più micidiali siti cospirazionisti del panorama americano. Jones intervista entusiasticamente l’autore e promuove il libro con convinzione grazie a Mike Cernovich e Jack Posobiec, due figure chiave sui social network della rete americana di alt-right pro-Trump.

Un network che trova in tanti siti, blog, account influenti, il suo mare di propaganda più intensa. Per esempio in @prisonplanet di Paul Joseph Watson, dedito a celebrare ininterrottamente sui social due figure: il presidente americano e il ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini. Kassam è uno degli anelli che congiungono questi know-how all’Italia. È, tra le altre cose, in contatto con Marion Maréchal, la nipote di Marine Le Pen, un’altra entusiasta, come Davide Casaleggio e Luigi Di Maio, della rivolta dei gilet gialli che seminano il caos a Parigi e nella Francia rurale.

Il sabato 24 novembre 2018 Maréchal è in piazza sugli Champs-Élysées con i gilet, e scrive su Twitter: «Macron ha sporcato la mobilitazione di migliaia di gilet gialli in tutta la Francia con una manciata di casseurs... dell’estrema sinistra! Una vera manipolazione. Anch’io mi vergogno, sì, mi vergogno dei nostri leader politici». Maréchal, nel febbraio 2018, ha anche tenuto un discorso (un’ora e mezzo dopo Mike Pence) alla Conservative Political Action Conference, il conclave annuale della destra americana, facendo esultare Kassam su Twitter: «brillante, e sta facendo impazzire tanti». E quando, nel settembre 2018, Maréchal fonda una sua scuola di politica, l’Institut de Sciences Sociales Économiques et Politiques (Issep), un’accademia sovranista nazionalista e un «luogo di pedagogia alternativa», così lo definisce lei, chi c’è nel consiglio scientifico? Raheem Kassam, l’entusiasta interlocutore di Casaleggio qualche anno prima, l’agitatore politico che accompagna Steve Bannon nel tour europeo per la fondazione di The Movement, tra 2018 e 2019. Mentre proprio Bannon è consigliere informale della scuola di Maréchal.

Kassam spiega al «Washington Post» che i due, Maréchal e Bannon, sono in contatto «irregolarmente ma frequentemente». Bannon dice di vedere la scuola della nipote di Le Pen un po’ come la scuola a Milano di Armando Siri, consigliere economico di Matteo Salvini, o l’accademia sovranista di Collepardo, guidata dal britannico Benjamin Harnwell. Maréchal è però un tramite con l’Italia, e la Lega, anche per ragioni personali: il suo compagno, Vincenzo Sofo, è un militante leghista assai attivo, fondatore tra l’altro di un think tank sovranista e anti-islamico, Il Talebano. I due si conobbero a un convegno della Lega organizzato da Sofo. Maréchal allora profetizzò: «Vogliamo stringere un’alleanza europea che guardi alla Russia e combatta l’Europa dei tecnocrati e dell’immigrazione a favore dell’Europa dei popoli e delle nazioni».

Nella stagione in cui nasce e cresce il governo Lega-Movimento, «Breitbart» – la catena di siti omonimi della alt-right finanziata dalla famiglia di Robert Mercer e dalle sue due figlie, Rebekah e Jennifer, affidato per tutta la lunga stagione della sua fondazione alla spregiudicata guida di Bannon – celebra Beppe Grillo, specialmente quando il frontman dell’esperimento Cinque stelle elogia Matteo Salvini sull’immigrazione. Il 28 giugno 2018 il sito cult della destra alternativa americana titola, assai visibile in home page: «Italian Five Star Movement founder Grillo backs populist Salvini as a man who gets things done», Grillo celebra Salvini come uomo che fa le cose. L’articolo è firmato da Chris Tomlinson, che spesso firma su «Breitbart» per l’Europa assieme proprio a Raheem Kassam: l’ospite della Casaleggio di tanti anni prima.

Come abbiamo visto, uno dei più grossi equivoci, alimentato in Italia da commentatori ideologicamente schierati, è che il Movimento sia, per dirla con un loro ritornello, «in fondo più vicino al centrosinistra». Marco Travaglio, direttore del «Fatto Quotidiano», un giornale importante anche per i trend di viralità nella galassia social pro-Movimento, arrivò a sostenere ovunque e scrivere che il governo Lega-M5S era totalmente impossibile (basti un esempio del 25 marzo 2018): «Se Di Maio farà un governo con la Lega finirà linciato sulla pubblica piazza». Altri commentatori spiegarono in toni sempre assertivi che si trattava di «fantascienza», distopie di persone disturbate. Il governo anti-migranti e duramente euroscettico, invece, si farà, e nessuno per fortuna è stato linciato. I migranti però lo rischiano, passano una bruttissima stagione, sotto il governo del Movimento: che approva – con soli cinque dissidenti – un decreto sicurezza che di fatto elimina i permessi umanitari per chi sbarca in Italia e produce una gravissima stretta reazionaria sui diritti civili.

Quelle politiche migratorie dell’esecutivo Conte sono tutta opera del cattivo Salvini, o c’è una condivisione con l’universo dei Cinque stelle, seminata culturalmente da anni, dal blog di Grillo e dai testi di Gianroberto Casaleggio stesso? Sui giornali della borghesia italiana è transitata per mesi la favola del Di Maio «moderato»; e adesso?

Se tra Movimento cinque stelle e Lega esistono notevoli differenze sulle politiche economiche (ma entrambi vogliono affermarle facendo deficit) e sulla scala delle priorità (il no o il sì alle grandi opere, per esempio), proprio l’immigrazione è uno dei temi che più li unisce. Forse può aiutare una piccola ricostruzione di post scritti sugli immigrati alla Casaleggio per il blog di Grillo, con una lunghissima rincorsa che va da oltre un decennio fa a oggi.

All’inizio del settembre 2014 Grillo pubblica in sequenza due post, sostanzialmente legati, all’insegna di un hashtag, #Tbcnograzie. Un giorno dopo l’altro. Prima un “passaparola” firmato da Igor Gelarda, presentato come segretario generale del sindacato di polizia Consap, il quale denuncia: «Abbiamo lanciato una class action contro il ministero dell’Interno, che cosa è successo? Che migliaia di miei colleghi della Polizia di Stato, ma anche dei Carabinieri, delle altre forze dell’ordine, sono stati impegnati in servizi di accoglienza o gestione a vario titolo dei migranti. Inevitabilmente questi migranti vengono da luoghi dove esistono e resistono determinate malattie che qui in Italia erano completamente scomparse. E tra queste c’è la tubercolosi». Gelarda sostiene – e il blog della Casaleggio gli apre entusiasticamente le porte e la vetrina – che «quaranta poliziotti sono risultati positivi al test di Mantoux», l’esame che verifica la presenza del batterio della tubercolosi.

Il giorno dopo, il 2 settembre, interviene direttamente Grillo. Si lamenta che la denuncia di Gelarda non abbia ottenuto sufficiente ascolto, e la rilancia con ancora più veemenza: «Per la tbc non esiste un vaccino che provveda una protezione affidabile per gli adulti, si trasmette per via aerea e le cure richiedono anni. Vogliamo reimportarla, reimportiamola! [...] Qui per evitare il tabù del razzismo arriviamo alla situazione grottesca degli Stati africani che chiudono le frontiere tra loro per paura del diffondersi dell’ebola, che ha ventuno giorni di incubazione, mentre noi le lasciamo spalancate senza fare alcun accertamento medico su chi arriva da chissà dove nel nostro Paese. I triti e ritriti confronti degli italiani come popolo di migranti che deve comprendere, capire, giustificare chiunque entri in Italia, sono delle amenità tirate in ballo dai radical chic e dalla sinistra che non pagano mai il conto e da chi non vuole affrontare il problema».

Insomma, gli immigrati portano la tubercolosi. La tesi, non sostenuta da alcuna evidenza scientifica, viene scagliata da Grillo contro il buonismo, contro la sinistra, contro i liberal o i radical chic. Gli elementi di una tradizionalissima cassetta degli attrezzi delle destre autoritarie internazionali. Grande soddisfazione, presumibilmente, di Liz Bilney, Arron Banks, Raheem Kassam e dei loro amici americani e russi.

Eppure in Italia queste sparate vengono colte molto poco. La favola del Movimento di bravi ragazzi continua. Forse è utile aggiungere quanto racconterà lo stesso Gelarda, già noto a Palermo per le sue posizioni durissime contro i migranti, e radicalmente critiche verso il trattato europeo di Schengen, per far capire cosa succede successivamente. Il poliziotto, subito dopo, viene chiamato alla Casaleggio con tutti gli onori. Non solo quel post su immigrati, poliziotti e tbc è piaciuto tantissimo a Gianroberto, ma ha come toccato le corde della sua stessa Weltanschauung, di un’educazione assai legata ai valori della polizia e al rispetto di regole estremamente rigide.

E così Gelarda sale a Milano. «Esattamente il 24 settembre 2014 ho incontrato per la prima volta Gianroberto Casaleggio, alla Casaleggio & Associati. Parlando con lui capii che il Movimento era diverso dagli altri, e in quel momento nacquero tante idee e progetti, e tante attività che avremmo svolto». La radicale postura anti-migranti, e le chiare posizioni che potremmo definire di destra di Gelarda, piacciono e ispirano la massima simpatia a Gianroberto. È lì che sta portando il suo esperimento, con colpi di timone che i più distratti – o il vasto coro dei complici o di chi si rende “utile pedina” – non avvertono. In quel contesto, non certo a sinistra, dovrà avvenire l’esecuzione. Nota a margine: Gelarda, proprio all’inizio della stagione dell’esecuzione, nel luglio 2018, passa dal Movimento alla Lega, diventando capogruppo del partito di Salvini in consiglio comunale a Palermo. Da Casaleggio alla Lega è un passo culturalmente senza traumi.

La rincorsa anti-migranti era stata testata, nell’esperimento sulle reti di Gianroberto Casaleggio, da ben prima dell’esecuzione. Il Movimento sapeva che l’Italia non si stava aprendo, semmai si stava chiudendo, e lì ha puntato il timone. Anzi, lì ha soffiato. Secondo uno studio di Alto Data Analytics, condotto in sei mesi da febbraio a luglio 2017, su 1.055.774 commenti generati da 98.191 utenti, il dibattito pubblico così radicalmente anti-migranti in Italia è stato costruito, ingegnerizzato, prodotto. Non è una cosa del tutto spontanea, non in questa forma. In questa discussione (che per l’85,2 per cento degli utenti totali ha preso origine da Twitter, dato interessante), la comunità pro-migranti (35.017 utenti) è quasi il doppio di quella anti-migranti (17.748 utenti), ma la prima ha prodotto 187.665 tweet, meno della metà della seconda (469.881). A parità di presunte inclinazioni, è un indizio fortissimo di comportamenti anomali, inautentici, nel cluster anti-migranti. Altrettanto interessanti sono le fonti primarie di notizie anti-migranti: di 3164 fonti testate sull’immigrazione, tra i media stranieri, «Sputnik Italia» è risultato al secondo posto. Il 90,4 per cento della distribuzione di contenuti da parte di Russia Today e «Sputnik» viene da comunità anti-migranti. Inutile ripetere – lo abbiamo descritto in altre sedi – quanto la propaganda web pro-Movimento abbia rilanciato instancabilmente questa narrativa proveniente dalla Russia.

Negli Stati Uniti il «New York Times» rivela, a ottobre 2018, che il ministero del Commercio retto da Wilbur Ross, che controlla il dipartimento preposto ai censimenti, ha fatto aggiungere una domanda al censimento pubblico per acquisire dati sugli immigrati (mail, numeri di cellulare), forse per scoraggiarne il voto (la pratica della «soppressione del voto» in cui eccelleva Cambridge Analytica). Oppure, non è possibile escluderlo, per targettizzarli. E di chi era l’idea? Di Steve Bannon, che nel 2018 più volte – lo afferma lui stesso, mai smentito – incontra uomini del Movimento.

Nell’estate 2018 il Movimento assiste senza battere ciglio alle operazioni di Matteo Salvini sulla nave Diciotti – attraccata nel porto di Catania con 177 migranti salvati dalla guardia costiera italiana, ma tenuti fermi dal governo italiano per dieci giorni, sotto il sole cocente dell’estate siciliana, in condizioni disumane, pericolose dal punto di vista igienico-sanitario, in violazione dei trattati e del diritto internazionale. La Procura catanese ritiene «sequestrati» i migranti, e indaga Salvini con questa ipotesi di reato, per poi archiviare le ipotesi di reato in autunno. La Procura di Agrigento ha poi indagato il vicepremier leghista per sequestro di persona, e trasmesso i relativi atti alla Procura di Palermo per il successivo inoltro al tribunale dei ministri del capoluogo. Il magazine italiano «Rolling Stone» lancia un appello contro Salvini. Ma è davvero una sciagurata scelta che appartiene solo alla Lega? Secondo molti, tra cui Roberto Saviano, no: il Movimento ne è totalmente corresponsabile. Del resto i Cinque stelle rivendicheranno – con poche eccezioni, del tutto irrilevanti nelle decisioni strategiche – la condivisione totale delle politiche migratorie con la Lega anche quando si tratterà di difendere Salvini dalla richiesta di autorizzazione a procedere. Il 18 febbraio 2019 – in mezzo al solito tilt della piattaforma Rousseau, e senza nessuna certificazione terza del voto, il che lascia un potere assoluto a Davide Casaleggio – il 59,1 per cento degli iscritti voterà per salvare il capo della Lega dall’autorizzazione a procedere. E Luigi Di Maio, alla «Stampa», lo rivendica esplicitamente: «Le scelte di governo [sull’immigrazione e la nave Diciotti] sono state condivise». Alla fine, dopo due settimane di inutili sofferenze, sbarcheranno dalla nave bambini definiti, da parte di osservatori neutri e medici, «scheletrini, debilitati, alcuni feriti». Il collega Cinque stelle di Di Maio, Danilo Toninelli, ministro delle Infrastrutture, si affretta a dare manforte alla Lega nella promessa di chiudere i porti. Copione assai simile alla tragedia di due navi, Sea Watch e Sea Eye, lasciate a vagare per settimane nel Mediterraneo, a Capodanno, con 49 migranti a bordo. Per molti italiani, che hanno creduto alla vecchia favola propagandata da giornali amici, che il Movimento sia tutto sommato dentro l’orizzonte progressista, è un risveglio amaro; ma i più gradiscono, e altri forse non vogliono risvegliarsi, guardando nello specchio com’è cadente e rugoso il volto di Dorian Gray. Di Maio, in un comizio ad Avezzano il 20 gennaio 2019, dirà: «Il posto degli africani è l’Africa, non il fondo del mare». Il giorno prima, 170 migranti erano morti in due tragedie nel Mediterraneo. A inizio febbraio la propaganda M5S – approfittando del fatto che la nave Sea Watch 3 risulta registrata come «pleasure yacht» – si scaglia contro la nave con un titolo agghiacciante del blog Cinque stelle: «La Sea Watch 3 è uno yacht di piacere». Il sottotesto che penetra nel popolo a cui è rivolto l’esperimento non ha bisogno di spiegazioni: ci invadono torme di clandestini che arrivano in Italia con tutte le comodità di uno yacht.

Eppure da anni il blog gestito alla Casaleggio arava questo terreno: un costante innalzamento della tensione sulla questione migratoria, sui rom, sul rischio di una presunta invasione di clandestini. Il 23 luglio 2018, prima che diventasse drammaticamente evidente il caso della Diciotti (ma c’era già stata l’amarissima vicenda della Aquarius, la nave della ong Sos Méditerranée alla quale Salvini e il suo collega Toninelli avevano negato, a giugno, l’attracco nei porti italiani), Davide Casaleggio concede un’intervista a Mario Giordano, per il quotidiano «La Verità». Fanno molto rumore le sue frasi sul Parlamento che «forse, tra qualche lustro», potrebbe non esser più necessario, ma altrettanto preoccupante è la sua risposta sulle politiche migratorie. Un vero manifesto di come l’esperimento si stia ormai inverando nella stagione dell’esecuzione. L’immigrazione è una vera emergenza o una paura creata ad arte? «Quello che conta è la percezione che ne hanno i cittadini che quotidianamente si confrontano con l’immigrazione nelle città, nei paesi e sul territorio», risponde alla «Verità» il figlio dell’inventore dell’esperimento. Tutto ha senso solo come variante di un test di marketing, sul consumo, sulle percezioni, sui sentiment del campione testato: il popolo. Piccola curiosità: il quotidiano «La Verità» a novembre 2018 ha acquisito il settimanale «Panorama», di proprietà di Berlusconi. Il comunicato stampa dell’avvenuta acquisizione del settimanale mondadoriano-berlusconiano è stato scritto, noterà Susanna Turco sull’«Espresso», dalla Visverbi, già agenzia di ufficio stampa per la Casaleggio Associati, e organizzatrice della convention Casaleggio a Ivrea.

Impossibile stupirsi della linea sull’immigrazione del Movimento di governo, se solo si fosse conosciuta meglio la storia dei Cinque stelle. Erano nati e pensati alla Casaleggio i post del blog di Grillo che, per lunghi anni, hanno seminato asserzioni di vera destra, o autentica strategia della tensione sulla questione migratoria. Molti di quei post oggi non sono trasmigrati nell’archivio del nuovo blog di Grillo, ormai separato dalla Casaleggio; ma ne conserviamo copia originale screenshottata, qualora venissero meno anche dalla cache dei motori di ricerca, dove ancora si trovano al momento in cui scriviamo (molti dei post anti-vaccinisti, putiniani, anti-migranti, più tristemente famosi nei siti della Casaleggio sono in effetti spariti, a volte assieme ai siti, come è accaduto a «Tze Tze», mentre altri siti sono stati totalmente trasmutati nel frattempo dalla Casaleggio, come nel caso della «Fucina», diventato un innocuo portale vegano).

Per esempio il 5 ottobre 2007 Grillo pubblica un post tutto sulla difesa dei confini: «I confini sconsacrati». I rom vengono descritti come «un vulcano, una bomba a tempo», da «disinnescare». E chi era il responsabile di questa bomba? L’Europa, che tollera «migrazioni selvagge di persone senza lavoro da un Paese all’altro [...] senza la conoscenza della lingua e senza possibilità di accoglienza». Due anni dopo – cadenza ciclica – un altro post, dal titolo sintomatico «Lazzaretto Italia», riusciva nell’impresa di risultare uno scritto anti-vaccinista e anti-migranti allo stesso tempo. «Un bambino italiano che frequenta l’asilo deve essere vaccinato. Un immigrato clandestino che entra in Italia non può essere curato. Il medico deve denunciarlo. Il clandestino spesso preferisce morire che essere espulso».

Sono tutte affermazioni che, con una discreta sofisticazione e un atteggiamento a volte simil-caritatevole, inoculano nel lettore la convinzione che vi sia un’equivalenza, clandestino uguale portatore di malattie. Grillo (e Casaleggio) formalmente criticava la Lega, e l’emendamento che obbligava i medici che visitavano clandestini a denunciarli («legge Tafazzi»). Ma poi scriveva cose come questa: «Per scoprire un clandestino si mette a rischio la salute degli italiani. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Tra le malattie d’importazione vi sono tbc, scabbia, aids, colera, malaria, lebbra». Non era chiaro, all’epoca, il bersaglio dell’invettiva, chi fosse il nemico, ma c’era il Nemico, ossia un’entità da attaccare, un soggetto collettivo su cui riversare sentimenti negativi: «Hanno inventato le malattie clandestine. In Italia ci sono migliaia di casi di tbc, una malattia diffusa in Romania e Bulgaria, paesi comunitari». E ancora, l’accostamento emotivo, e fortemente suggestionante, tra due materie irrelate, vaccinazione e clandestinità, col chiaro risultato di suscitare una forma di irrazionale paura verso entrambe: «I bambini italiani sono vaccinati contro il morbillo e dall’est arriva la tbc senza controlli alla frontiera. Le porte della stalla Italia sono sempre aperte ai virus e il governo riesce sempre a peggiorare la situazione». L’idea propugnata da Grillo (o, forse meglio, dalla srl che ha prodotto per gemmazione il Movimento) era quella di dotarsi in Italia di uno strumento come «il passaporto sanitario per gli immigrati dei Paesi a rischio».

Bisogna continuare? L’elenco si allungherebbe non poco e finirebbe per fare invidia anche a un Salvini, perché più sottile, in grado di confondere anche persone non necessariamente inclinate a destra. Particolarmente esplicito, ormai a ridosso dello Tsunami tour, fu il blog della Casaleggio quando scrisse nel maggio 2011 un altro di questi famigerati post sull’immigrazione: «Un clandestino è per sempre» (titolo peraltro ciclico, e usato diverse volte, come fosse un format: è in effetti ispirato a una pubblicità). Dopo una prima parte in apparenza preoccupata per le sorti di questi immigrati, tutta la parte finale del post era una rasoiata tesa, ideologicamente violenta, stavolta sui tunisini: «In Italia sono entrati ventimila tunisini, della maggior parte di loro non si sa più nulla, che fine abbiano fatto. Pochi sono riusciti ad arrivare in Francia. Vagano per la penisola senza sapere una parola di italiano. In nessuno stato del mondo questo è permesso con una tale serenità d’animo, da noi sì. Il motivo è semplice, sono utili ai profitti delle aziende, ai partiti, alle mafie. Il clandestino è multiuso come un coltellino svizzero. Per ricevere qualcuno a casa tua devi disporre delle risorse per farlo. Dargli un lavoro dignitoso, un letto, organizzare l’integrazione. Altrimenti devi interrogarti se stai giocando con la dinamite e con il futuro della tua nazione».

Mi capitò di assistere durante lo Tsunami tour, nell’inverno 2012, a Rovereto, a poche decine di metri dal Mart, alla seguente scenetta: due muratori marocchini si erano avvicinati a Grillo, incuriositi dalla folla che si portava dietro quel personaggio. E Grillo li apostrofò con uno sketch, «maledetti! andatevene!», in cui recitava la parte del finto razzista. Fu un mio errore, lì per lì, scambiarla per satira: stava, come tante altre volte, dicendo la verità e facendo politica, sotto il cappello della satira. In uno switch occulto tra le due cose – tra satira e politica – che è stato, spesso, alla base della presa del messaggio su chi ascolta.

Tutto è sempre stato condito, fin dalla fondazione del Movimento cinque stelle, da una fortissima retorica sull’italianità, una specie di «Italia first» ante litteram, un trumpismo arrivato dieci anni prima dell’«America first» del presidente americano eletto nel 2016. Troppe forze però, e troppi commentatori in Italia, hanno lavorato per dissimularlo. Nell’ottobre del 2018 si accende un doloroso dibattito nell’opinione pubblica italiana perché a Lodi l’amministrazione comunale leghista ha introdotto condizioni talmente irrealizzabili, per i figli di immigrati, per accedere alle mense scolastiche, che quasi nessuno dei migranti riesce a soddisfarle: si deve produrre un certificato del paese d’origine che attesti le eventuali proprietà immobiliari, e cioè l’assenza di beni, dotato di bollo e tradotto in italiano. In sostanza, i figli di immigrati vengono tagliati fuori dalla mensa scolastica.

Ne nasce un caso che per tre giorni accende le coscienze persino di un’Italia abituata ormai a tutto, nell’esperimento. Un coordinamento no profit attiva una raccolta fondi per consentire ai bimbi di stare a mensa tutti insieme, italiani e migranti, senza differenze: in un giorno vengono raccolti 60mila euro. Eppure il Movimento cinque stelle per tre giorni non fiata, avallando le disposizioni dell’alleato di governo leghista, complice in toto, non vittima di Salvini. Solo quando la storia è ormai risolta, e per la prima volta il test sull’opinione pubblica sembrerebbe essere andato non bene per il Movimento, ossia in direzione contraria rispetto all’esperimento di consenso, si ode una flebile voce. Di chi? Del solito Roberto Fico, il presunto volto “di sinistra” dei Cinque stelle. Ma non riesce a dire molto di più di questo: «Nel momento in cui si fa una delibera che in modo conscio o inconscio crei discriminazioni così importanti si deve solamente chiedere scusa». In modo conscio o inconscio?

Eppure sarebbe bastata una migliore informazione per sapere che nel 2016, stando all’Inps, i contribuenti stranieri hanno versato Irpef per 3,3 miliardi, che sommati ad altre voci arrivano a 19,2 miliardi all’anno: la spesa per i migranti è 17,5 miliardi, dunque il saldo è positivo. Ma queste cose non sono mai apparse sul blog gestito dalla Casaleggio. Né Grillo ci ha fatto su comizi. Oppure sarebbe bastata una migliore informazione per sapere che, esattamente sulle mense scolastiche e i bimbi stranieri, il cervello del Movimento aveva già dato ampia prova delle sue idee nel recente passato.

Nel gennaio 2012, all’inizio della cavalcata che poi portò al risultato trionfale delle politiche 2013, il Movimento si era diviso in Emilia Romagna, terra delle prime clamorose espulsioni ed epurazioni: i Cinque stelle non avevano votato a favore della risoluzione «A scuola nessuno è straniero», una campagna che si batteva per la cittadinanza dei bimbi stranieri nati in Italia, nello spirito auspicato da una iniziativa di pochi giorni prima del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Giovanni Favia, allora ancora non espulso, aveva, imbarazzato, provato a metterci una toppa: «Il nostro era un sì, c’è stato un errore nel conteggio». Cosa era successo? Anche qui erano intervenuti direttamente Casaleggio e Grillo; e quest’ultimo lo dichiarerà pubblicamente: «La cittadinanza a chi nasce in Italia, anche se i genitori non ne dispongono, è senza senso». Affossata qualsiasi anche remota possibilità di una battaglia del Movimento per lo ius soli. Nella stagione di governo, quando gli verrà fatta esplicita domanda, Luigi Di Maio spiegherà che anche il leggendario reddito di cittadinanza è riservato solo agli italiani. Al Circo Massimo, nella convention Italia cinque stelle dell’autunno 2018, l’età trionfante del Movimento al governo, tra i più acclamati ci sarà il padre di Alessandro Di Battista, Vittorio, orgogliosamente fascista, che fa capannello e intima: «Datemi pieni poteri sei mesi e saprei come sistemare l’Italia».

Nel frattempo, il figlio Alessandro scalda i motori, tra Messico e Guatemala, per il gran rientro di Natale 2018. Riapparirà a Moena in Val di Fassa, in tenuta da sci accanto a Luigi Di Maio, tuonando contro i privilegi mentre sono sulle Dolomiti a Capodanno: la Casaleggio lo ha conservato come carta di riserva politica, l’attore ultrapopulista, un fenomeno da campagna elettorale che può rientrare in Italia non scalfito (o meno scalfito rispetto al vicepremier Cinque stelle) dagli scandali e dal serio appannamento d’immagine del Movimento nella stagione dell’esecuzione.

Di Battista va tenuto in fresco, nei piani di Davide Casaleggio, perché può ancora provare a condurre, più di altri, una campagna elettorale aggressiva ed euroscettica per le europee del 2019, nel tentativo di fronteggiare e in un certo senso marcare l’ascesa irresistibile di Matteo Salvini, scaricando sull’Europa anche la colpa della dannosa manovra finanziaria di fine 2018. Che poi l’operazione riesca, è da vedere. Il tentativo però viene fatto. Il Movimento è ormai troppo schiacciato in una grigia e contraddittoria livrea governativa? Di Battista deve riportarlo alle piazze, alla presunta purezza del grido anticasta, alla logica del balcone di Palazzo Chigi, solo provvisoriamente abbandonata dal compromesso con l’Unione europea. Di Maio – che ripete «su quel balcone risalirei anche domani» – è politicamente boccheggiante? Gli si affianchi il suo gemello, il Che Guevara di Roma nord.

Pazienza se nel frattempo anche Di Battista, proprio come Di Maio, è stato ingrigito dagli scandali della piccola azienda familiare non proprio irreprensibile: il padre Vittorio, come documenta «Il Giornale», risulta avere debiti cospicui con i dipendenti, i fornitori e il fisco italiano, in tutto 399mila euro, e ammette di aver avuto un lavoratore nero; mentre papà Di Maio aveva quattro dipendenti in nero, capannoni abusivi e pignoramenti da Equitalia per 130mila euro nell’azienda poi transitata al figlio Luigi. Se il grido «onestà onestà» si indebolisce e sfiorisce, bisogna evitare almeno l’aperto, ormai plateale schiacciamento d’immagine autoritaria del Movimento che una volta riusciva a far credere a tanti di non essere «né di destra né di sinistra». Un conto è andare a destra senza farsene troppo accorgere, altra cosa è diventare smaccatamente di destra, e ancillari rispetto a Matteo Salvini.

Il Movimento era entrato in Parlamento nel 2013 con le modalità di un esperimento di reti: due giovani semidisoccupati a 27 e 35 anni, istruzione modesta o ordinaria, senza nessuna eccellenza che li potesse riscattare, vengono reclutati da un’azienda di marketing digitale e trasformati in leader della politica italiana. Che tra i due possa esserci uno scambio funzionale fa parte delle ricerche di branding e di posizionamento del prodotto intervenute nella stagione del governo.

Il 26 settembre 2018 il collettivo di scrittori Wu Ming, che come Favia conosce bene Bologna, ricordando l’anniversario delle lotte altermondialiste a Praga del 26 settembre 2000, ha scritto qualcosa che riguarda da vicino questa parabola del Movimento, citando proprio la storia di Favia a esempio: «Eravamo lì a Praga. Incontrammo un altro italiano, che a stento conoscevamo, che alzava una bandiera: “Luther Blissett is here”. Anni dopo divenne una figura di vertice nel M5S di Beppe Grillo. Poi fu espulso, e ai membri cinque stelle fu proibito di nominare anche solo il suo nome». L’analisi di Wu Ming è interessante: «La sua traiettoria esemplifica cosa accadde a una parte significativa di quella generazione, ex attivisti ora intorno ai quarant’anni. Hanno deluso se stessi, pensando che il M5S li avrebbe portati fuori dal dopo-2001, fuori dallo spleen del dopo-Genova, e sono finiti ad allevare un mostro». Ora quel tipo, scrive Wu Ming riferendosi appunto a Favia, «non fa più politica né battaglie. Tempo fa ha aperto un’osteria hipster nel centro gentrificato di Bologna, precisamente dove una volta c’era una meravigliosa libreria, a lungo tenuta da un compagno greco, un posto adorato da tre generazioni di attivisti. I cospirazionisti di destra farneticano sempre di un Soros che è dappertutto, del diabolico “Piano Kalergi”, di forze occulte che vogliono rimpiazzare gli europei bianchi con africani e musulmani eccetera. La cosiddetta “sostituzione delle nazioni”. No. Quello a cui abbiamo assistito, invece, è una “sostituzione di movimenti”».

Se si guarda a cos’è il Movimento nella stagione in cui è a Palazzo Chigi, esistono evidenze che davvero fanno pensare, almeno in parte, a un dirottamento cosciente, verso un esperimento reazionario, anche di numerosi elettori di centrosinistra, o addirittura di militanti che erano nati nelle proteste radical-anticapitaliste, o altermondialiste dei primi anni Duemila. Poi però c’è un nudo dato di fatto: che quello scheletro di autoritarismo era ben presente e visibile fin dall’inizio.

Cosa pensasse Casaleggio senior dello ius soli, per esempio, possiamo ascoltarlo da Edoardo Narduzzi, un uomo dotato di vero pensiero laterale, che ha fondato startup innovative a Londra (la più recente lavora a un robot per gli investimenti, basato su algoritmi di intelligenza artificiale applicati alla creazione di portafogli di investimenti finanziari automatizzati e personalizzati) ed è stato uno dei veri amici di Gianroberto Casaleggio. Narduzzi era nel consiglio d’amministrazione di Webegg (anche se nella fase successiva all’esperimento di Gianroberto sul forum intranet aziendale), e Casaleggio a sua volta era nel consiglio di un’azienda (Netikos) di cui Narduzzi era presidente, sempre nella galassia Telecom. Nella prima metà del 2018 ha raccontato anche lui queste idee di Casaleggio sull’immigrazione, assai severe: «La proposta di legge sullo ius soli del Pd è irricevibile, non votabile dal nostro Movimento», gli disse Casaleggio senior. Narduzzi ricorda: «Qualche anno fa stavo conversando con Gianroberto Casaleggio nella piccola sala riunioni del suo ufficio di via Morone a Milano e non mi ricordo come, tra un discorso e l’altro sulle novità della tecnologia, spuntò fuori l’argomento delle politiche migratorie. Gianroberto, a differenza mia, era molto preparato sull’argomento». Narduzzi racconta che Casaleggio gli disse: «Il diritto di asilo è sacrosanto e deve essere garantito ma la gestione della migrazione economica è una vicenda molto complessa e bisogna ispirarsi a quello che hanno fatto alcuni paesi che sull’immigrazione hanno costruito la loro società come l’Australia, dove io ho vissuto da giovane».

Le comunità hanno l’esigenza di difendere la propria specificità territoriale, spiegò Casaleggio a Narduzzi. Il quale aggiunge: «Se molti sono sorpresi della linea politica seguita dal M5S in materia di politiche migratorie, io non lo sono per niente. I movimenti politici, al pari delle altre organizzazioni umane, seguono le idee e il modo di essere impressi inizialmente dai fondatori». Il punto focale di Casaleggio, insomma, era la difesa dei confini e della specificità di un territorio.

Elementi di questa natura sono sembrati sempre più visibili negli ultimi anni, nell’esecuzione. Nell’estate del 2017, l’anno che precede il voto del 4 marzo 2018, Luigi Di Maio inaugurò una vigorosa polemica puramente, classicamente autoritaria contro le ong definite «taxi del Mediterraneo», in piena sintonia culturale con Matteo Salvini, ed eleggendo da allora un suo nemico numero uno in Roberto Saviano, lo scrittore di Gomorra che s’impegna, su «Repubblica», a smontare passo per passo le errate informazioni su cui si basa la campagna anti-ong.

Un anno dopo, nel settembre 2018, i frutti del lavoro di semina di Gianroberto Casaleggio sulla questione migratoria erano ormai maturi: un sondaggio di Ipsos (Nando Pagnoncelli è il sondaggista più apprezzato dai Cinque stelle) mostrava senza ombra di dubbio la composizione ideologica dell’elettore del Movimento attuale. Interrogato su quanto condividesse «la linea della fermezza» del ministro Salvini, che impedisce gli sbarchi in mare, il 74 per cento dei votanti M5S mostrava di condividerla, e solo il 20 la avversava. Il 23 agosto, al massimo della tensione sulla nave Diciotti bloccata nel porto di Catania sotto il sole rovente, con bambini e donne incinte a bordo, Di Maio ritenne sì di intervenire, ma per minacciare l’Europa: «Se domani [dall’UE] non esce nulla sulla Diciotti e sulla redistribuzione dei migranti io e il M5S non saremo disposti a dare più 20 miliardi all’Unione europea ogni anno». La questione migratoria che si sposa, e finisce col fare tutt’uno, col sovranismo sostanzialmente xenofobo degli ormai vecchi amici anglosassoni del Movimento: da Farage a Bannon, passando per Arron Banks, Liz Bilney e Raheem Kassam.