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«Ancora!» urla lei. La guardo. Ha gli occhi dilatati, le pupille sono grandi come due piattini. Non so come faccio ad accorgermene con tutto questo buio – Dio, quanto è buio qui dentro – ma è così. Mentre parla, una goccia di saliva, grande e tremula, le illumina il labbro inferiore, proprio al centro. Sembra un piercing o uno strano gioiello da principessa indiana. La fisso ipnotizzata.
«Ancora!» urla di nuovo, e salta, le gambe magre e piene di lividi che si piegano di scatto all’indietro, i capelli arruffati che salgono su su su.
«Picchialo più forte, uccidilo!» grida eccitata. Salta ancora, e ancora, e i piedi nudi e sporchi battono sulle assi di legno del pavimento, un accordo ritmico che si allinea perfettamente a quello del mio cuore. Già, il mio cuore. Mi sembra che corra con una forza tale che mi chiedo come sia possibile che nessun altro lo senta.
E infatti, all’improvviso, tutti si girano verso di me, i volti sfocati, i lineamenti cancellati, non so chi siano. Però so che mi guardano, mentre io guardo lei, la ragazzina pallida, senza una curva eppure bellissima.
«Sì, uccidilo» ripete qualcuno, e solo allora capisco che stanno parlando a me, e chino gli occhi.
Lui è lì.
È in ginocchio, con le mani legate dietro la schiena, ha una benda lurida che gli copre la bocca. Ma che cosa gli hanno fatto, penso. Ed è in quel momento che lui alza lo sguardo e mi fissa. Ha le palpebre peste, ma gli occhi sono grigi come sempre e si incollano ai miei. Solo allora mi rendo conto: no, non sono gli altri che gli hanno fatto qualcosa. Sono io.
«Uccidilo» ripete ancora una volta Jill.
Come ho fatto a non riconoscerla prima? È lei, con quel vestito minuscolo strappato, con i capelli stopposi per tutto quel sangue che ha perso ed è colato ovunque, e non si potrà mai più pulire.
«Me lo devi, sorella» dice con il tono lievemente isterico di quando non riusciva ad averla vinta. Anche le labbra e i denti sono sporchi di sangue, hanno il bordo carminio come se qualcuno le avesse strofinato a forza il viso sul pavimento di un mattatoio. Mi si avvicina, e io muovo un passo all’indietro.
E mi ritrovo schiacciata contro la parete dietro il mio letto, e il freddo del muro sulla pelle mi riporta a casa in un istante. Scivolo giù e non mi muovo.