NOTA DEL NARRATORE

Il Seminar di storia era una delle sezioni dei corsi di perfezionamento. Era tenuto in un convento» secolarizzato, che allungava i suoi edifici sulla riva del fiume, e radunava in sé pezzi e frammenti degli stili più discordanti. La generale decrepitezza attenuava quel caos. Anni innumerevoli vi erano passati, come ospiti di un giorno, e avevano cancellato le diversità di disegno.

Erano corsi obbligatori e io dovevo seguirli tre volte la settimana. Cominciavano per lo più in serata e finivano passata la mezzanotte. Oggi ancora, mi vedo spesso, nei sogni, errare attraverso l’enorme edificio, per decifrare alle ultime luci del giorno i cartelli appesi alle porte, con le indicazioni dei corsi. Si stentava a leggerli, mentre i pipistrelli svolazzavano per i corridoi. Mi capitava di smarrirmi e di imbattermi in gruppi di sconosciuti.

La mania delle conferenze in serie imperversava anche nel Seminar di storia. Il redattore capo di un giornale, un direttore di corso, un rettore che non ha nulla a che dire o così poco da essere equivalente a nulla, vogliono darsi importanza e infilano in una sola cornice una collezione di argomenti, offrendo così una nuova dimensione alla noia. Non si può credere quanta gente deve il suo pane quotidiano a tale procedimento.

Un giorno, in cui una volta di più mi ero lasciato sorprendere dall’ora, caddi nella serie di uno di questi lavoratori a cottimo. Ero intento a decifrare questo cartello:

Sezione di Biografia

Problema del Mondo degli Automi

12a Serie

Maggiore Richard

Il passaggio alla perfezione della tecnica

quando otto colpi calarono dalla torre dell’orologio e i gong ripeterono i rintocchi per tutti i corridoi. Nulla di più curioso di quella rigida puntualità e il pregio che le si annetteva in quei luoghi in rovina. L’ultimo minuto m’incalzava; m’infilai nella sala e risposi all’appello trovandomi così, volente o nolente, iscritto per quattro o cinque ore.

Si crederebbe facilmente che la sezione di biografia fosse più divertente delle altre, tanto più che offriva in genere numeri autobiografici, racconti di testimoni oculari, sia che si fossero trovati nel posto adatto per seguire gli avvenimenti, sia che avessero su di essi idee proprie. Ci si poteva attendere, per variare una nota frase, un angolo di storia vista attraverso l’individuo.

Non vi si trovava invece nulla di così eccitante, anzi, tutto il contrario. La storia grezza, la sola esperienza non ha gran che da apprenderci se non l’accompagna una facoltà di riflessione superiore. Forse la dimostrazione di una tale verità stava nell’inconfessato disegno di quelle lezioni. Si sfociava sempre in asfissianti ripetizioni, come se dei fantasmi si fossero radunati su un mucchio di ciarpame per discutere di cose morte.

Alla sezione di biografia si ascoltava gente di quella che, come si suol dire, ha fatto la storia, o altra su cui erano passate le ruote. Nel primo caso si perdevano le proprie illusioni; non si poteva fare a meno di stupirci con Oxenstierna della esigua dose di ragione che basta per governare gli Stati. Nell’altro caso, bisognava sorbirsi una quantità di sì e di ma a non finire. I falliti dell’azione venivano ora ad addottrinare gli altri. E tuttavia, sebbene avessero tutto l’agio necessario, non riuscivano a riprendere l’occasione perduta in un attimo, l’hic et nunc.

Davanti a quei ritorni verso il passato a cui ero costretto ad assistere si formava in me l’opinione che nella storia, a parte quel che si possa dire delle sue configurazioni e dei suoi attori, la necessità è padrona. Essi sono chiamati di volta in volta, come nei vecchi orologi, da un araldo che proclama irrevocabilmente l’ora appena scoccata. A che serve serrare gli occhi e chiuderci le orecchie? Tutte quelle menti che vi dimostrano, col senno di poi, come sarebbe stato meglio fare, possono essere più sottili, più giuste e meglio intenzionate di quelle che allora giocarono la partita: ma non si trovarono nelle stesse condizioni di necessità.

Inoltre, i nostri punti di vista sono imperfetti, perché l’opposizione è inclusa in ogni edificio storico. E che sarebbe la storia, senza la sofferenza?

Quelle lunghe serate dimostravano largamente che tali argomenti non si accostano né dal punto di vista della storia naturale, né da quello della storia dell’arte, né da quello delle idee. La più piccola effimera, la più piccola di quelle conchiglie chiamate cuori è di una struttura più armo niosa, più fatta per durare della grande Babilonia. In esse il Creatore parla senza intermediario. Una qualsiasi pagina di un sunto risponde meglio al nostro bisogno di logica dello studio, fosse pure quello dell’età dell’oro o di una dinastia di re buoni, per non parlare dei torbidi e della guerra dei cent’anni. Ogni grande quadro, ogni buon poema ha più equilibrio, è più vicino alla perfezione della confusa tappezzeria tessuta dagli avvenimenti di un secolo. Se si vuole che i Padri e gli atti loro ci appaiano in tutta la loro grandezza bisogna che l’arte, il canto, se ne impadroniscano. Infine, la morale non ha qui nulla da vedere, e i buoni sono una facile preda per la crudeltà; ma questo è il segreto di Pulcinella.

Certamente, atti di grandezza e di audacia non mancano; ma come è raro che penetrino la ottusa resistenza della massa, la critica bassa e malevola. L’arte politica non produce opere d’arte. Lavora su una materia ingrata. Creazioni imperfette di esseri imperfetti, ecco il sentimento che lascia questo gioco di nascite e di tramonti. E anche quando osserviamo, volgendoci indietro, il passato, uno dei nostri grandi scottanti dolori sta nel vedere il corso delle ruote seguire la sua strada fatale, contro ogni ragione apparente. È uno dei cerchi del Purgatorio: infatti, la sofferenza dei combattimenti è breve e se ne va con la vita.

Resta l’ipotesi consolante che regni nell’al di là della storia un senso inaccessibile ai nostri metodi di calcolo. Noi non sappiamo, né abbiamo il diritto di sapere, che cosa sia la storia nella sostanza, nell’assoluto, al di là del tempo. Indoviniamo, ma non conosciamo, il giudizio del Tribunale dei morti. Forse un’insperata gloria esploderà, atterrando le muraglie.

Al Seminar di storia, non si proponevano soluzioni, e quando ci si azzardava a farlo, non erano soluzioni che potevano soddisfare. Perciò, preferivo gli esposti, come quello del maggiore Richard, in cui era ancora sensibile la vita dei conflitti, prima che fossero pacificati. Richard ignorava le mutazioni sorprendenti che avevano tolto al suo argomento lo scottante interesse al quale aveva potuto aspirare per tutta una serie di anni. Nulla cambia più sicuramente di ciò che è attuale, soprattutto quando tutti ne parlano. Vi si può vedere una legge generale.

Richard non trattava il suo argomento come una materia divenuta storica e sulla quale si possono consultare archivi e biblioteche. Per lui, le sue avventure erano un vino che ancora fermentava. Lo si notava, fra gli altri segni, dalla sua inquietudine, che talvolta saliva sino ad essere agitazione. Rinuncio a disegnare il suo ritratto; di solito infatti, nel lettore di tali racconti, si forma un’immagine molto più somigliante delle apparenze di cui ci ha dotati la natura. Forse, avrò occasione di tornare sulla sua persona e sulle sue esperienze.

Il testo segue i miei appunti. L’ho abbreviato, soprattutto nei passi in cui domina la polemica. La descrizione dei torbidi nelle Asturie era troppo prolissa. Ho creduto poter sbarazzare la sua prosa dalle ripetizioni e dalle tare proprie allo stile parlato. In quale misura vi sono riuscito? Al lettore giudicarlo.