CAPITOLO XXIII
ORAMAI il sole si avviava al tramonto, però splendeva ancora caldo sui sentieri, e nel parco era tornata la calma, anzi la serenità. Ronzavano ancora le api intorno ai fiori, ma erano vere api, i fantasmi automatici erano scomparsi. Presumibilmente quelli di vetro avevano avuto oggi una grande giornata, una giornata di manovre.
Il giorno era stato lungo e torrido, rimasi stordito davanti al boschetto fissando il sentiero. Alla svolta vidi apparire Zapparoni che si dirigeva verso di me. Come avvenne che nel vederlo fui preso dalla paura? Non dico quel timore che incute il potente quando lo vediamo avvicinarsi. Era piuttosto un vago senso di colpa, di cattiva coscienza, col quale lo attendevo. Così mi ero trovato col vestito strappato e la faccia annerita davanti a mio padre nell’ingresso. E perché cercavo di spingere col piede l’orecchio sotto il tavolo rovesciato, affinché il suo occhio non vi si posasse? Non lo facevo tanto per celare la mia curiosità, quanto per il sentimento che non fosse uno spettacolo per lui.
Veniva a passi lenti per il sentiero e verso di me. Poi mi si fermò davanti guardandomi coi suoi occhi d’ambra. Adesso erano castano scuro, con riflessi chiari. Il suo silenzio mi opprimeva. Finalmente sentii la sua voce:
«Le avevo pur detto di fare attenzione alle api».
Prese in mano il bastone da golf ed esaminò il ferro corroso. Sfrigolava ancora. Il suo sguardo sfiorò anche i frantumi del grigiofumo e si fermò sulla manica della mia giacca. Ebbi l’impressione che nulla gli sfuggisse. Poi disse:
«Meno male che ha colpito uno di quelli innocui».
Non pareva ostile. Non avevo nessuna idea del prezzo d’uno dei suoi robot. Probabilmente superava di gran lunga la somma di tutti i pagamenti ai quali avrei avuto diritto nel caso che mi avesse assunto, specialmente perché doveva trattarsi d’un modello.
«Lei è stato imprudente. Simili oggetti non sono palline da golf.»
Anche queste parole suonavano benevole, quasi non disapprovassero troppo il mio colpo di golf. Non potevo nemmeno giurare che il grigiofumo avesse avuto cattive intenzioni. Avevo perso il dominio dei nervi, come si suol dire. Quel suo aggirarsi intorno a me, mentre esaminavo l’orecchio, mi aveva esasperato. Rimaneva poi l’orecchio o piuttosto le orecchie quale ragione sufficiente. Di fronte a un simile spettacolo chi non perde il buonumore? Però non volli difendermi. Era sempre meglio che non lo vedesse.
Intanto l’aveva già scoperto. Lo toccò leggermente col bastone da golf e lo voltò poi col piede, con la punta della pantofola, mentre scuoteva il capo. La sua faccia assunse ora completamente l’espressione d’un pappagallo irritato. Gli occhi si rischiararono diventando color giallo puro senza riflessi.
«Avete qui un esempio delle persone che mi tocca sopportare. In un manicomio si possono almeno rinchiudere.»
Proseguì con la storia delle orecchie, dopo che io ebbi raddrizzato il tavolo e mi fui seduto accanto a lui. Esse dovettero subire nella mia mente una nuova trasformazione. Erano state davvero mozzate, però senza dolore, e anche la mia presenza qui aveva un qualche rapporto con questa mutilazione.
Dovevo dunque sapere, spiegò Zapparoni, che la meravigliosa impressione suscitata dalle marionette in grandezza naturale, come le avevo ammirate nelle figure di Giulietta e Romeo, non si basava tanto sulla fedele riproduzione del corpo quanto sui piccoli difetti voluti. Per quel che riguarda la faccia, le orecchie hanno una parte quasi più importante degli occhi, che facilmente possono essere superiori per forma e movimento, a quelli naturali, per non parlare del colore. Nei tipi più nobili si cerca di rimpicciolire le orecchie, di abbellirle nella forma, nel colorito e nell’attacco e di conferire loro una certa mobilità che rinforzi il gioco delle espressioni. Questa mobilità si trova ancora negli animali e anche negli esseri primitivi, mentre negli uomini civili è quasi del tutto perduta. Inoltre, per quel che riguarda la simmetria, le due orecchie devono distinguersi un poco l’una dall’altra. Per un artista, un orecchio non somiglia all’altro. Su questo punto bisognava educare il pubblico. Bisognava inculcargli il gusto di un’anatomia superiore. Era uno scopo da raggiungere a lunga scadenza. Non bisognava risparmiare né tempo, né fatica. Decenni sarebbero appena bastati.
Ma non volle divagare troppo. Di questi particolari già accennati e di alcuni altri, si occupava per le marionette il signor Damico, insuperabile creatore di orecchie. Il signor Damico era napoletano di nascita.
Si capisce che tali orecchie non vengono semplicemente incollate, e non sono nemmeno incise sul modello, come può fare uno scultore o un ceraiolo. Devono essere piuttosto unite organicamente al corpo, in un modo che appartiene ai segreti del nuovo stile delle marionette.
La difficoltà di lavorare sulle marionette è ancora accresciuta dalla necessità di occupare molte mani sulla medesima figura. Ne nascono litigi e piccole gelosie tra gli artisti ai quali il lavoro collettivo ripugna. Per tale ragione, il signor Damico si era messo in urto con tutti gli altri, per via di bagattelle indegne di essere riferite. In breve, non voleva più avere da fare con loro. E affinché nessuno di essi dovesse profittare del suo lavoro, egli a tutte le marionette a cui aveva collaborato tagliò le orecchie col rasoio. Poi se ne andò, ed era da temere che esercitasse altrove la sua attività. Ddpo il successo dei nuovi film, anche altre ditte si provarono a fabbricare marionette.
Che si poteva fare? Se lo si denunziava, egli si richiamava al diritto d’autore. Si diventava ridicoli. Si offriva alla stampa un boccone ghiotto. E a marionette di quella classe, come a uomini naturali, non era possibile appiccicare un orecchio mozzato, anzi era forse più difficile ancora.
In questo episodio Zapparoni aveva riconosciuto la sua deplorevole dipendenza. Se il signor Damico fosse tornato, gli avrebbe perdonato. L’uomo era insostituibile, infatti non è così facile fare orecchie come si fanno bambini. L’incidente inoltre aveva dimostrato che la sorveglianza lasciava a desiderare. Per questo Zapparoni era stato mosso a ricorrere a Twinnings, che mi aveva mandato da lui.
Del resto Zapparoni aveva fatto buttare altre orecchie nel fosso della palude e mi aveva osservato. Era stata quella la parte pratica dello spettacolo che avevo dato. Per quel che riguardava l’esito, non avevo superato l’esame; non ero idoneo al posto da lui progettato, sulla natura di questo incarico egli non mi comunicò altro. Anche Caretti non era stato idoneo; e ora si trovava in un manicomio in Svezia. Non era possibile farlo uscire. Era ancora un bene che i medici tenessero le sue parole per pura fantasia, per i deliri d’un uomo inseguito da mali immaginari.
Potevo dunque andare a casa. Mi sarei ricordato di quella giornata. Un peso mi cadde dal cuore, sebbene pensassi a Teresa; se ne sarebbe rattristata.
Dovetti invece sedere di nuovo. Zapparoni aveva ancora una sorpresa pronta per me. Nel giudizio che mi aveva chiesto in biblioteca sull’episodio delle bandiere bianche, egli sembrava avesse trovato delle qualità, sia pure diverse da quelle prima cercate. Pensava che io avessi un certo senso di giustizia, d’equilibrio, per ciò che spetta alle parti d’un tutto, e che forse c’era la Bilancia nel mio oroscopo. Egli sapeva inoltre che negli anni in cui ero stato al collaudo dei carri armati, avevo avuto l’occhio pronto per le invenzioni, sebbene là mi fossi trovato sulla lista nera.
Ora nelle sue officine ogni giorno venivano presentate nuove invenzioni, progettati miglioramenti. Era difficile trattare con i lavoranti, spesso c’era gente sofisticata come quel napoletano, però erano ragazzoni geniali, e bisognava sopportare le loro debolezze tenendo conto delle loro qualità positive. Potevo ben immaginarmi che con queste duplici doti non mancavano mai né buoni progetti né tutte quelle discordie che nascono tra artisti. Ciascuno crede la propria soluzione la migliore; e ogni buona idea, ciascuno crede di averla avuta per primo. Tutto questo non si poteva portarlo davanti ai tribunali; e mancava ogni corte d’arbitrato. Qui ci voleva un uomo che unisse un occhio acuto per le cose tecniche con la capacità di riflettere, il che raramente si riscontra. Poteva anche essere di idee un po’ antiquate.
«Maggiore Richard, accetterebbe? Bene, allora l’annuncerò laggiù. Spero anche che non si offenderà se le offro un anticipo.»
In questo modo Twinnings veniva dopo tutto a ricevere la sua mediazione, almeno da Zapparoni; infatti i vecchi camerati li metteva a posto gratis.