CAPITOLO XXIV

POTREI chiudere adesso come nei romanzi, nei quali si arriva al lieto fine.

Qui valgono principi diversi. Oggi può vivere soltanto chi non crede più in un happy ending, chi vi abbia rinunciato scientemente. Non esiste nessun secolo felice, ma esiste l’istante di felicità, ed esiste la felicità nell’istante. Persino Lorenzo, quando era sospeso nel vuoto, godette ancora d’un istante di libertà; poté mutare il mondo. Non si dice forse che durante una tale caduta tutta la vita ci passi ancora davanti? Questo è nascosto tra i segreti del tempo. L’istante si congiunge con l’eternità.

Forse tra breve racconterò come mi andò in quel lavoro da arbitro e quali esperienze feci nel regno di Zapparoni. Oggi siamo arrivati soltanto nei giardini esteriori. Che si sia spenta così la mia cattiva stella, lo potrà supporre soltanto chi non conosce la forza del destino. Non possiamo evadere dai nostri limiti, dal nostro intimo. Perciò non mutiamo nemmeno. Certo, ci evolviamo, però sempre entro i nostri limiti, nel cerchio segnato.

Che presso Zapparoni non sarebbero mancate le sorprese, si comprenderà, penso, dalla mia relazione. Egli era un essere enigmatico, un maestro delle maschere, e proveniva dalla foresta primitiva. Quando si avvicinò a me nel giardino, provai addirittura venerazione per lui, quasi fosse preceduto dai littori. Dietro di lui si cancellavano le orme. Sentivo quali profondità avevano le sue radici. Oggi, quasi tutti invece di dominare gli strumenti ne sono dominati. Per lui era un gioco. Egli aveva conquistato i fanciulli, che sognavano di lui con i fuochi d’artificio della propaganda. Dietro ai panegirici degli scrivani prezzolati c’era qualcos’altro. Anche come ciarlatano era grande. Ognuno conosce questi meridionali sulla culla dei quali ha vegliato un Jupiter benevolo. Spesso mutano il mondo.

Nondimeno gli ho pagato il mio apprendistato. Quando mi mise alla prova, e mi assegnò al mio posto, sentii di amarlo. È una gran bella cosa quando viene uno e ci dice: «Giocheremo la partita insieme, penso io a organizzarla», e noi abbiamo fiducia in lui. Ci toglie un gran peso.

Lì da Zapparoni c’erano grandi sale, dove non ho mai posato l’occhio, e grandi tentazioni, finché la mia cattiva stella trionfò anche qui. Ma chi sa se la mia cattiva stella non sia invece la stella della mia fortuna? Questo si capirà soltanto alla fine.

In quella sera però, mentre tornavo nella ferrovia sotterranea, credevo fermamente che fosse tramontata. Una delle vetture che al mattino avevo ammirato mi riportò in città. Per fortuna qua e là i negozi erano ancora aperti; potei comperarmi una giacca nuova. Acquistai anche per Teresa un bel vestito d’estate, a righe rosse; rammentava quello che indossava quando la incontrai la prima volta. Le stava a pennello. Conoscevo precisamente le sue misure. Aveva diviso molte ore con me, specialmente quelle amare.

Andammo a mangiare; era una di quelle giornate che non si dimenticano. Ben presto quel che mi era capitato nel giardino di Zapparoni cominciò a sbiadire. Nella tecnica molto è illusione. Però conservai fedelmente le parole che Teresa mi disse, conservai il sorriso che le accompagnava. Adesso era contenta per me. Fu un sorriso più forte di tutti gli automi, un raggio della realtà.