“Cant Z” contro “Sunderland”
Il nostro censore, a rigor di termini, potrebbe trovar da dire sulla pubblicazione della lettera sotto citata; si tratta di una comunicazione interna fra due comandi, per di più contenente un rimprovero: una faccenda riservata. Ci raccomandiamo, però, con fiducia, alla sua misericordia: si tratta di un “cicchetto”, è vero, ma qualsiasi combattente ne sarebbe giustamente orgoglioso: paragonabile, moralmente, a un’alta ricompensa al valore.
La lettera è indirizzata da un alto comando dell’Aeronautica a un comando inferiore e si riferisce all’azione di un ricognitore marittimo. In essa si dice, tra l’altro: “Mentre si ammira lo spirito di aggressione e combattività verso il nemico che anima gli equipaggi dipendenti, si fa d’altra parte osservare che trovandosi in presenza di un aereo nemico con caratteristiche di velocità e di armamento superiori è opportuno che gli equipaggi non ricerchino ad ogni costo il combattimento. È evidente che se da parte del nemico fosse posto eguale impegno, il vantaggio non potrebbe essere, nelle circostanze sopra accennate, che dalla parte di questi… Vi prego di elogiare gli equipaggi dipendenti per l’animosità combattiva che dimostrano ma Vi prego anche di contenerne l’entusiasmo nel senso prospettato”. Ora il censore si pronunci. Confessiamo che vorremmo che la citazione venisse lasciata e speriamo nella sua indulgenza; quelle poche righe sono più forti e persuasive di qualsiasi nostro possibile commento.
La “mancanza”, perché non si può negare che la lettera avesse ragione, è stata commessa dall’equipaggio di un “Cant Z 506”, uno dei tanti apparecchi che pattugliano giornalmente il Mediterraneo a scoprire il nemico e rendono così preziosi servigi alla nostra Marina. Lo comandava, quale più elevato in grado, l’ufficiale osservatore, un tenente di vascello più di una volta citato dai bollettini del Quartier Generale per fortunati aerosiluramenti.
Alle ore 7.40 di una mattina, in pieno Mediterraneo, l’idrovolante avvistò, a circa 4000 metri, un collega nemico, ma molto più grosso, che navigava a 400 metri di quota. L’osservatore guardò col binocolo: era uno “Short Sunderland”, un gigante con otto motori, quattro cannoncini e due mitragliere, bombe di profondità contro i sommergibili, eccetera, un piccolo fortilizio volante. Netta inferiorità dunque da parte nostra (eccezion fatta per gli animi).
D’accordo col primo pilota, l’osservatore decide di seguire il mastodontico nemico per accertarne la rotta. Si accosta quindi a dritta per mettersi di poppa all’inglese, a quota leggermente più alta. Questo alle 7.40. Alle 7.45, mentre si sta compilando il messaggio di scoperta per i nostri comandi di terra, il “Sunderland” accosta a sinistra e picchia, portandosi a pelo d’acqua. «Visto che non potevamo seguirlo» ha poi detto l’osservatore «decido di attaccarlo.»
Comincia allora il duello. Il gigante inglese ha le armi più pericolose a poppa; ai lati quelle di calibro minore, cioè le due mitragliere, una per parte. Al “Cant Z 506”, per avere qualche speranza, non resta che portarsi di fianco al nemico; mentre il nemico cercherà di tenere il nostro sempre di coda, per sparargli addosso con il cannoncino poppiero il maggior volume di fuoco. Detto qui, il problema è semplice. Per aria un po’ meno, crediamo.
Attenti a far fuoco: l’armiere sta alla mitragliatrice in torretta, il motorista a quella di poppa. Il “Cant Z” accosta a sinistra, mettendosi anche lui a pelo d’acqua. Le 7.50 minuti. I due aerei vanno paralleli a non più di 200 metri. Sparano per primi i nostri con la mitragliera della torretta, ma si è ancora troppo lontani; perciò sospendono subito il tiro. Ora risponde il nemico, con la mitragliera laterale dello scafo; si vedono le fiammelle palpitare; non arriva alcun colpo. A così breve distanza il “Sunderland” sembra ancora più grande; con la sua doppia e lunga fila di oblò fa venire in mente un vascello; quanti uomini là dentro e che cosa stanno pensando? Ma attraverso gli oblò non si può distinguere nulla. Solo quelle fiammelle si vedono, che scoppiettano su un fianco.
Il nemico manovra. Accosta improvvisamente a dritta, riesce a mettersi il “Cant Z” di poppa, come è suo maggior desiderio, e a sparare col cannoncino. Non più fiammelle adesso ma minacciose vampe. Guai a rimanerci sotto.
Alle ore 8, il ricognitore italiano accosta a destra, aumenta al massimo, tenta di riportarsi di fianco al “Sunderland”, di accorciare le distanze. Con manovra bellissima ci riesce, ma il “Sunderland” subito accosta, gli rimette contro la coda. Passano altri cinque minuti. Gli italiani potrebbero andarsene, dovrebbero, anzi; è evidente che il pachiderma britannico non ha nessuna voglia di avventure e noi siamo nettamente inferiori di mezzi. Eppure i nostri ritentano, di nuovo si lanciano, ripetono l’audace manovra. Ecco, finalmente, il falansterio volante si trova al traverso, monumentale, non più di 100 metri d’intervallo. Il duello è divenuto più equo. Il “Cant Z” spara con la torretta, il “Sunderland” può rispondere solo con la mitragliera di lato. E il “Cant Z” sa tirare assai meglio.
Le otto e un quarto. Il nemico rompe il contatto, accosta a dritta, riesce ancora a far fuoco col cannoncino poppiero; si vedono i proiettili traccianti, fulminee traiettorie di fumo; passano tutte di sopra. Da parte nostra si contromanovra. Una virata a dritta, un’accostata a sinistra e il gigante è nuovamente aggirato. Adesso è al traverso del “Cant Z”, la distanza non supera 800 metri. Paralleli, a pelo d’acqua, i due aerei si mitragliano rabbiosamente a vicenda. Alle 8.35 una nostra raffica centra in pieno il nemico; si vede un colpo esplodere nello scafo, subito dietro la mitragliera. Appare subito dopo uno squarcio, contornato da una macchia nerastra.
Il “Sunderland” ne ha abbastanza. Vergognoso per lui, ma sembra deciso ad andarsene; vira a sinistra, aumenta al massimo, i nostri non ce la fanno più a tallonarlo, la differenza di velocità è eccessiva. Il gigante diventa sempre più piccolo, ormai è fuori tiro, inutile tentare altro.
Il combattimento è durato esattamente sessanta minuti, un’ora continua di duello, i nostri sempre attaccando, gli inglesi difendendosi. Lunghissima un’ora simile, sempre a pelo della morte. Ma l’equipaggio ha l’impressione che tutto sia durato un respiro, tanto era teso alla lotta. Alle 8.45 l’osservatore, comandante dell’apparecchio, fa trasmettere il telegramma: “Nemico impegnato, colpito, in fuga”.
(Inedito)
28 gennaio 1942