Le mogli a terra
DA UNA BASE NAVALE
Una cancellata lunghissima chiude il passo alle banchine del porto. Da una parte ci sono bambini che giocano, gelatai, vecchietti, carrozzelle, fioristi, uomini vestiti di grigio, banche, l’avvocato Rossi, il parrucchiere Esposito, l’ingegnere Stragioni, automobili, i cartelloni policromi di una Compagnia di riviste, pressappoco la solita vita; e una giovane signora che aspetta. Dall’altra parte c’è soltanto la guerra: uomini tutti in divisa, navi tutte armate; perfino i piroscafetti di servizio attraverso la baia ostentano a prora un cannone, che da lontano si direbbe uno scherzo, cannone giocattolo concesso a titolo di contentino, perché il battello non si mettesse a piangere.
La cancellata ha un varco, sorvegliato da sentinelle. E a una certa ora ne escono gli ufficiali e i marinai “franchi”, liberi per quella sera da obblighi di servizio, autorizzati appunto a godere la cosiddetta franchigia. Ma la giovane signora fissa insistentemente il barcarizzo che congiunge la banchina alla coperta di un bastimento da guerra. Confrontato con le mastodontiche navi borghesi fatte per traversare gli oceani, questo bastimento può anche risultare metricamente modesto, eppure ha un aspetto potente; così come molti casoni Novecento a quindici piani sono ridicoli inezie al paragone di un vecchio castello alto una dozzina di metri che sembra toccare il cielo. Soprattutto alla giovane signora il bastimento da guerra ha sempre fatto un’enorme impressione: fortezza misteriosa e insondabile, le cui leggi non è mai riuscita a capire. Suo marito doveva discenderne alle ore cinque, così le avevano promesso; invece sono già le cinque e un quarto. Vede uno dei due fumaioli emettere un pennacchio denso, le pare di distinguere, sulla coperta, un insolito andirivieni. La nave sta per partire? Preoccupante segno è la mancata discesa a terra dei marinai “franchi” nei loro camisacci candidi. Qualche nuova disposizione di servizio? Abolita la libera uscita? Oppure è giunto l’ordine per una improvvisa missione? (Il cuore comincia a battere.) Inutile chiedere al sottufficiale di servizio all’ingresso. Anche se sapesse, egli risponderà solo: “Noi non sappiamo niente, signora”. Cinque e venticinque, ormai. Ma sì, ma sì, è proprio lui, verso poppa, che sta parlando con un altro ufficiale. Ma perché non guarda almeno verso il cancello? Perché non le fa segno, che so, agitando un fazzoletto? Nemmeno per cinque minuti si è potuto liberare? Non avrà alle volte preso gli arresti? «Signora Bisente» vicinissima una voce che la fa trasalire. «Il signor Bi mi ha dato da consegnarvi questa lettera.» E un marinaio, in maglia e pantaloni di tela; e non ha detto “Il signor tenente di vascello”, come usano i borghesi, ma semplicemente “Signor”, perché questo è il costume della Marina.
O Dio, perché queste buste sono tanto difficili da aprire? Possibile che debbano adoperare una carta così dura? Pare che facciano apposta. Due mani gentili estraggono finalmente dalla busta, con un lievissimo tremito, un biglietto: “Perdonami, cara, se non posso venire…”. Sì, le poche righe sono piene di affetto, che caro ragazzo; ma invano si cerca una sola parola che spieghi. Sempre così: da che è cominciata la guerra, un muto diaframma di mistero è disceso fra loro.
Un mistero di natura sacra, verso il quale neppure una moglie può avere rancore. Sopra le corazze di acciaio che resistono ai cannoni c’è questa cappa di mistero – lei lo sa – per proteggere l’intera flotta, per difendere anche suo marito. E le pochissime cose che inevitabilmente è venuta a conoscere – e che gli altri non sanno – lei se le tiene chiuse nel cuore, caro segreto, con un’ombra di orgoglio. Tacendo, le sembra di salvare una affettuosa complicità guerriera con la persona più amata del mondo; e di sentirsi più vicina a lui anche quando è lontana.
Non è facile, però, sorridere sempre. Nei primi tempi della guerra lui era a un’altra base, una base X, a lei sconosciuta. Le lettere portavano la data “Da bordo del ***” e il timbro “R. Nave ••••”. Dove fosse in realtà, egli non poteva dirlo.
A poco a poco, sebbene il pensiero non la lasciasse un istante, si era in un certo modo abituata. Quante donne come lei, dopo tutto. Quante mogli, madri, figlie vivevano in uguale incertezza. Peggio, anzi, perché lei almeno qualche notizia riusciva ad averla. Molte altre mogli di ufficiali di Marina abitano nella sua stessa città, ciascuna giorno e notte è accompagnata da uguale pensiero, vive l’identico orgasmo, ciascuna rispetta l’inviolabilità del segreto.
Finché una sera il campanello della porta suonò in modo speciale e le balzò il cuore nel petto: lui, in carne e ossa, giunto con la sua nave. E le parve dapprima una fortuna immensa: ogni due giorni poterlo vedere, anche se per poche ore soltanto. Così credette da principio. Ma poi si accorse che quasi era meglio prima, quando lui era lontano. Perché adesso era nata una nuova pena. Essere vicina a lui, sentire il suono dei suoi passi rallegrare la casa e non sapere quanto durerà questa gioia. E invano provare a interrogarlo (ma senza insistere) nella speranza di poter contare su un piccolo margine di quiete, magari appena due giorni, un giorno, dodici ore. Lui sempre rispondere che non sa, che non può sapere, che da un momento all’altro la nave potrebbe partire. E scorgere al mattino dalla terrazza il “suo” bastimento alla banchina, quasi assopito, e sapere, sì, che lui è a bordo, a un chilometro di distanza; ma forse, non appena distolti gli sguardi, la nave lascerà gli ormeggi, forse se ne andrà alla battaglia e lui non le avrà fatto nemmeno un saluto. Dirsi ogni volta “a dopodomani” e pensare che forse non sarà vero. Doversi ogni volta separare in uno strano modo, una via di mezzo tra l’arrivederci corrente e l’addio per una partenza fatale.
Già in tempo di pace vedersi non era mai cosa sicura. Per quanto grandi i suoi affetti familiari, l’ufficiale di Marina riesce a dimenticarli, appena a bordo della sua nave; la quale viene prima di ogni altra cosa al mondo. E le brave mogli non ne sono gelose, non si ribellano alla preferenza, sentono, anche senza poterlo ammettere, che le loro gioie, avaramente concesse dai turni di servizio, sono in compenso molto più belle e profonde, che la freschezza dell’amore si manterrà più a lungo e mai sopravverrà il mediocre tran-tran coniugale.
Ma adesso si è in guerra, non si tratta più di un appuntamento mancato, di un pranzo andato deserto. Adesso ogni distacco significa giorni di ansia, e l’ignorare la mèta della partenza accresce l’assillo. Pure, interrogatele a una a una, le mogli degli ufficiali di Marina. Nessuna che dica: “Facesse un altro mestiere mio marito! Fosse avvocato, fosse medico, fosse ingegnere!”. Esse sanno dopo tutto di avere un nobile privilegio, un privilegio che costa ma vale la pena.
Intanto la signora Bi si è avviata per le strade gaie di folla, è andata girovagando soprappensiero e non si è accorta che calava la sera. Già le sette e mezzo; a pranzo ci saranno due amici, bisogna incamminarsi verso casa. Ma non sa resistere a una tentazione e si affretta nuovamente al porto. Ecco laggiù la cancellata, e al di là le grigie torrette dei bastimenti da guerra. Ma ne mancano, se ne accorge immediatamente, quasi per istinto, alla primissima occhiata. C’è un vuoto lì a destra, nello specchio d’acqua dove poco fa riposava la “sua” nave. Partita! Ancora una volta.
Infine, di notte, dopo il penoso sforzo di mostrarsi brillante con gli ospiti, quando la stanchezza l’ha fatta assopire, ecco lui ricomparire nel sogno. È assolutamente lui, senza la minima differenza dal solito. Solo che adesso c’è una inquietudine. Egli è appena giunto, non ha ancora finito di chiudere dietro a sé la porta di ingresso e, benché non abbia parlato, si capisce che vuol già ripartire. Guarda, infatti: dinanzi alla finestra, su e giù, cosa strana, passa un albero di nave. Si direbbe che cammini sul marciapiede della via, nervosamente aspettando. «Ancora cinque minuti» fa lei con la muta voce dei sogni. «Ancora cinque minuti, ti prego.» E lui fa un piccolo cenno alla finestra, allo stravagante amico che lo attende fuori. «Ancora un minuto, ti devo dire una cosa, una cosa importante, che mi ero dimenticata.» Eppure lui se ne va, dopo un fulmineo bacio, senza poter ascoltare l’importante rivelazione. Ha già fatto una rampa di scale, si volta un attimo indietro, sorride, svanisce nel nulla, mentre da lontano giunge flebile richiamo di tromba.
“Corriere della Sera”, 25 agosto 1940